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«Cosa farete?» chiese Lennox.

Andò nel punto in cui Mercy era ancora inginocchiata e le tese la mano. Lei si alzò, tenendo lo sguardo rivolto al pavimento ed evitando quello di Lennox.

«Cosa posso fare?» replicò la giovane con voce spenta. Senza aggiungere altro se ne andò, attraversò la Sala del Clan e poi imboccò il corridoio che portava alle scale.

Lennox era venuto a cercarla e per puro caso aveva ascoltato la conversazione tra lei e il padre. La sua antipatia per Rutherford era scaturita non appena lo aveva sentito elogiare quel vigliacco di Hamilton. Senza dubbio a Macrory House gli era stata fornita una versione alterata degli eventi. Ma qualunque uomo pronto a prendere le parti di Hamilton piuttosto che quelle della propria figlia non era degno di rispetto.

A ogni passo di Mercy gli sembrava che lei si stesse allontanando sempre più, e non solo all’interno della casa: era come se l’oceano stesse già iniziando a separarli.

Averla come ospite era stato al contempo il paradiso e l’inferno. Ogni volta che Lennox si voltava, lei era così vicina che gli sarebbe bastato allungare la mano per toccarla, anche se si era sempre vietato di farlo. A volte Mercy gli sorrideva attraverso la stanza e in quel momento il desiderio di stringerla e non lasciarla andare mai più diventava quasi insopportabile, così come quello di dirle... Di dirle cosa? Che la sua vita era migliore, da quando lei ne faceva parte? Che non riusciva a immaginarla, senza di lei? La notte, poi, saperla sotto lo stesso tetto, vicina eppure irraggiungibile, lo teneva sveglio a lungo, acuendo il suo desiderio.

Mercy trascorreva parecchio tempo nella Stanza del Laird e, stranamente, non cercava mai di distoglierlo dal lavoro. Non toccava nulla. Non lo assillava di domande, ma le poche che gli poneva denotavano grande perspicacia. Sedeva su uno sgabello e osservava i suoi disegni, fermandosi di tanto in tanto per rivolgergli un sorriso.

La sera precedente, dopo aver cenato insieme a Irene, Ruthie e Connor, Mercy lo aveva colto del tutto impreparato sollevandosi in punta di piedi per dargli un lieve bacio.

Ecco, aveva detto, io non ho alcun obbligo a comportarmi con onore.

Lennox l’aveva guardata salire in camera, chiedendosi se lei avesse idea di quanto fosse forte il desiderio di seguirla. Se avesse potuto, avrebbe cacciato tutti gli altri da Duddingston e avrebbe tenuto Mercy prigioniera. Non sarebbero usciti dalla sua stanza nella torre se non per nutrirsi.

Ora però si riscosse, accorgendosi di essere rimasto fermo lì a lungo.

Non voleva che Mercy partisse, ma non poteva fare nulla per trattenerla.

Voltandosi, vide Irene. Sul viso della donna lesse un’espressione che di rado gli era capitato di scorgervi. Avrebbe voluto ordinarle di non compatirlo.

Invece, andò a rinchiudersi nella Stanza del Laird.

Mercy sedeva nella stanza che ormai considerava sua. La stessa stanza in cui c’erano così tanti ricordi di Lennox.

Cosa farete?, le aveva chiesto lui.

Cosa poteva fare, se non tornare nella sua prigione e scontare la sua pena? Non avrebbe sposato Gregory, probabilmente non avrebbe sposato nessuno. Forse sarebbe diventata l’anziana signora che viveva nell’enorme casa grigia, oggetto di dicerie e supposizioni.

No, non si è mai sposata, ma pare che in passato abbia avuto un amante.

Deve aver subito una tragedia e non si è mai ripresa.

Dicono che vaghi di stanza in stanza in quella grande casa.

Non c’era niente che poteva fare per opporsi: doveva partire con il padre. Persino nelle Highlands vigevano determinate regole di condotta. Nel corso dell’ultima settimana lei le aveva sfidate, bellamente ignorate, ma non poteva continuare a farlo.

Né poteva pretendere che Lennox continuasse a ospitarla per sempre.

Se avesse avuto anche solo una speranza che lui accettasse, gli avrebbe di nuovo chiesto di sposarla, ma Lennox non voleva per moglie un’ereditiera americana. Non voleva lei.

Il tempo era volato e le quattro erano ormai vicine. Di lì a poco sarebbe arrivato suo padre e lei si sarebbe fatta trovare pronta. I suoi bagagli erano già stati preparati, Connor li aveva portati da basso e lasciati davanti alla porta.

Ora non le restava che scendere le scale, attraversare il castello un’ultima volta e andarsene. Strano che sembrasse così facile a dirsi, quando invece sarebbe stata una delle azioni più difficili che avrebbe mai compiuto.

La verità era che non voleva andarsene. Non voleva tornare in America, alla vita da cui era fuggita. Non voleva lasciare Lennox.

Era sempre stata amata, su quel punto non poteva muovere alcuna critica ai genitori. Eppure proprio quell’amore l’aveva intrappolata. Adesso non voleva macchiarsi della stessa colpa. Non sarebbe andata da Lennox a confessargli i propri sentimenti, facendolo sentire in trappola.

No, l’amore che provava per Lennox era il suo segreto e lo avrebbe mantenuto.

A costo di farlo infuriare, non avrebbe riportato con sé in America la valigetta con il denaro. L’aveva nascosta in fondo all’armadio e aveva lasciato un biglietto a Irene. Oltre a ringraziarla per la sua amicizia, le lezioni di cucina e le sue premure, le aveva raccontato dei soldi. Avrebbe restituito la somma a suo padre, ma voleva che quel denaro andasse a Lennox.

Perlomeno gli avrebbe reso la vita un po’ più facile. Gli avrebbe consentito di riparare il tetto della cappella e di comprare i materiali per costruire i suoi velivoli.

Al posto del cuore, sentiva un grande vuoto che andava allargandosi sempre più con l’avvicinarsi delle quattro. Sarebbe sopravvissuta, tuttavia non era sicura di desiderarlo. Una parte di lei sarebbe rimasta per sempre in Scozia.

Forse, dopo la sua morte, il suo fantasma sarebbe apparso sulle rive del loch o sul ponte che conduceva a Duddingston. Avrebbe vagato anche per il castello? Sarebbero circolate storie sullo spirito della donna infelice che si aggirava per la cucina o si soffermava nella Sala del Clan?

Sta cercando il conte, avrebbero raccontato quelle storie. Lo amava, ma fu costretta a lasciarlo.

Alle quattro meno dieci bussarono alla porta della camera. Mercy se l’era aspettato: Ruthie era sempre puntuale.

Lasciare Connor sarebbe stato molto difficile anche per lei. Forse avrebbero potuto consolarsi a vicenda durante la traversata fino a New York. Nel corso del viaggio Mercy avrebbe condiviso con la cameriera i propri progetti per il futuro. Sperava che Ruthie la seguisse, una volta che si fosse trasferita. Non voleva perdere la sua unica amica.

Quando Ruthie entrò, Mercy notò subito che c’era qualcosa di diverso. Impiegò un istante per capire cosa fosse, poi sorrise.

«Hai tolto la stecca e le bende» le disse.

Ruthie annuì.

Mercy si alzò e le si avvicinò. «Come va il braccio?»

«Provo una strana sensazione, signorina» ammise Ruthie allungando il braccio guarito.

Era più pallido di quello sano, ma era l’unica differenza che Mercy riuscì a notare.

«Ti fa male?»

«Per niente. Lo sento più debole, ma Lennox dice che è normale, visto che non lo uso da tanto.»

«Sei sicura che non ti faccia male?»

Ruthie scosse il capo.

Accortasi che la giovane evitava di guardarla negli occhi, Mercy credette di capire cosa le passasse per la testa.

«Mi dispiace, Ruthie» mormorò. «Vorrei che le cose stessero diversamente.» Cosa poteva dire o fare per alleviare la tristezza di Ruthie? A volte le parole erano inutili. «So che Connor ti mancherà molto.»

La cameriera non le rispose né si appellò a qualche detto o credenza popolare. Andò solo a sedersi sul bordo del letto.

«Siete sempre stata un’amica, Miss Mercy, oltre che la mia padrona» mormorò, lo sguardo chino sulle mani posate in grembo.

«E tu lo sei per me, Ruthie.»

«Pensavo che questo viaggio in Scozia sarebbe stato pieno di pericoli. È quel che mi dicevano i presagi. Ma non avrei mai potuto lasciarvi partire da sola.»

«Lo so. Grazie di avermi accompagnato. Speriamo che anche nel viaggio di ritorno fili tutto liscio.»

Ruthie le gettò un’occhiata di sfuggita. «Poi siamo arrivate e io ho conosciuto Connor.»

Mercy rimase in silenzio.

«Credo di essermi innamorata di lui dal primo istante, Miss Mercy.» Ruthie la guardò di nuovo. «Non posso venire con voi. Connor mi ha chiesto di sposarlo. Oh, Miss Mercy, perdonatemi!»

«Non devi scusarti, Ruthie» disse Mercy, colta da un misto di invidia e tristezza. Non voleva perdere Ruthie, ma neppure avrebbe ostacolato la sua felicità. «Non sentirai la mancanza della tua famiglia?» le chiese.

Ruthie annuì. «Certo. Ma adesso la mia famiglia è Connor.»

Una frase semplice, che però trafisse Mercy come una lancia.

«Vuoi che porti una lettera ai tuoi cari?» si offrì.

Ruthie annuì ancora. «Se non vi è di troppo disturbo...»

«Ne sarei felice.»

Mercy andò ad abbracciare la cameriera lottando per trattenere le lacrime. Era giusto che in quell’addio vi fosse un poco di tristezza, ma doveva esserci anche gioia. Per Ruthie desiderava soltanto il meglio e sapeva che il meglio per lei era Connor.

Per anni Ruthie l’aveva ascoltata, capita, protetta. Adesso la giovane non sarebbe più stata al suo fianco. Quel pensiero fece diventare una voragine il vuoto che già Mercy aveva nel petto.

«Sono così felice per te!» esclamò. «Ma anche triste. Vorrei poter assistere alle tue nozze.»

Anche se non si erano ancora salutate, in un certo senso la separazione era già iniziata. Era come se Ruthie stesse avanzando verso il futuro, un futuro di cui Mercy non faceva più parte.

«Mi scriverai, vero?» domandò. «Spero che resteremo in contatto.»

«Ve lo prometto, signorina.»

Anche dopo che Ruthie se ne fu andata, Mercy non cedette alle lacrime. Se l’avesse fatto, probabilmente non avrebbe più smesso di piangere fino allo sbarco in America.

Suo padre arrivò alle quattro in punto. James Gramercy Rutherford non era mai in ritardo.

Quando Mercy aprì la porta, si trovò davanti il cocchiere, che la salutò toccandosi il cappello. Sulla soglia non c’era nessuno a dirle addio: era stata Mercy a chiedere agli altri di non farlo, temendo di perdere il contegno così faticosamente guadagnato. E per quanto riguardava Lennox, si era allontanato dal castello un paio di ore prima.

Suppongo che sia salito sul Ben Uaine, aveva detto Irene. Va sempre lì quando deve riflettere.

Mentre il cocchiere caricava i suoi bagagli, Mercy salì in carrozza.

Suo padre le rivolse un cenno di saluto, ma lei evitò di guardarlo mentre prendeva posto davanti a lui, dopodiché dedicò parecchio tempo a lisciarsi e risistemarsi la gonna dell’abito a righe azzurre. Quando ebbe finito, rimase a fissare fuori dal finestrino opposto, quello da cui non si scorgeva Duddingston, mentre la carrozza partiva.

Mercy accolse con sollievo quel silenzio. Non aveva nulla da dire a suo padre che non gli avesse già detto. Lui non l’aveva capita, dunque ora non vi era niente da aggiungere.

Nessuno era più testardo di James Rutherford, Mercy aveva avuto ampio modo di impararlo nel corso della vita.

«Dov’è la tua cameriera?»

«Ha deciso di restare in Scozia» gli rispose, senza darsi la pena di spiegargli che Ruthie aveva trovato un uomo che la amava quanto lei amava lui.

Alcune donne erano fortunate in amore. Altre sembravano essere perseguitate da una maledizione.

«Davvero Gregory ti ha colpito?»

«Sì, mi ha colpito.»

«Non è da lui comportarsi così.»

Mercy gli gettò un’occhiata. «Siete libero di non credermi, padre. Forse Gregory avrebbe dovuto lasciarmi una cicatrice, per convincervi.»

Lui parve ferito da quel commento.

«Mi odi, Mercy?»

«No.»

«Allora perché mi parli così?»

Questa volta Mercy lo guardò dritto negli occhi. «Perché non mi credete? Perché volete credere all’idea che vi siete fatto di Gregory, piuttosto che a quello che vi dico?»

«È quello che sto facendo, secondo te?»

Mercy non rispose. Tornò a guardare fuori dal finestrino, cercando di ignorare la ferita che le si era spalancata nel cuore e che andava allargandosi via via che si allontanavano da Duddingston Castle.

«Spiegherò a Gregory che il fidanzamento è cancellato» dichiarò suo padre.

Mercy scosse il capo. «Credete che non glielo abbia già detto? Più di una volta? Non ho bisogno che sia mio padre a rompere il fidanzamento in mia vece.»

«Allora cosa vorresti che facessi?»

«Vorrei che aveste fiducia in me. Che mi rispettaste. Che la smetteste di ordinarmi dove io debba andare, chi debba frequentare e chi io debba sposare. In queste settimane sono riuscita a sopravvivere senza le vostre attenzioni soffocanti ed è stata un’esperienza molto piacevole.»

«Chissà quante persone vorrebbero vivere la tua vita, Mercy. Lo riterrebbero un grosso privilegio.»

«Lascerei loro il mio posto molto volentieri.»

Avrebbe di gran lunga preferito vivere in un castello fatiscente con un conte coraggioso, orgoglioso e senza un soldo.

Mercy e suo padre non si scambiarono più una parola fino a Macrory House.