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Mercy riuscì a scendere le scale e ad attraversare la Sala del Clan senza incontrare nessuno. Giunta sulla soglia della cucina esitò, vedendo Irene indaffarata alla stufa.

Ma non poteva raggiungere il villaggio a piedi o tornare a Macrory House senza scarpe.

«Per attraversare la gola vi occorreranno degli stivali» disse Irene senza nemmeno voltarsi.

Mercy sussultò.

«Le vostre scarpe sono rovinate.» La governante le indicò la porta sul retro, accanto alla quale c’era un paio di stivali. «Prendete quelli. Potrete restituirli a Jean.»

Mercy entrò in cucina, afferrò gli stivali e si sedette su una sedia per infilarseli.

«Grazie» disse.

Per tutta risposta, Irene alzò le spalle.

Mercy lasciò la cucina e ripercorse il corridoio fino alla Sala del Clan. Giunta lì, rallentò per guardarsi attorno, sapendo che non avrebbe mai più rivisto quel luogo così affascinante.

Era arrivata al portone di ferro quando Irene la fece sussultare di nuovo sbucandole silenziosa alle spalle.

«Vi accompagno fino alla gola» le disse.

«Non è necessario.»

«Non lo faccio per voi. Lo faccio per Lennox. Di certo vorrebbe che vi accompagnassi almeno per un pezzo.»

Mercy si trattenne dal chiederle dove fosse Lennox, sospettando che tanto Irene non le avrebbe risposto.

Il ponte era ancora in parte coperto d’acqua, il che rese Mercy ancora più grata alla donna per averle prestato gli stivali. La governante portava un robusto paio di scarpe nere e non si lamentò quando l’acqua iniziò a filtrare attraverso il cuoio.

«Non l’avete nemmeno salutato. Era quello il vostro piano? Sgattaiolare via come una ladra?»

Mercy guardò Irene e capì di non essere più, ai suoi occhi, un’amica né un’eccentrica forestiera. Ormai era diventata una nemica.

«È stato più facile così» rispose sinceramente. Non se l’era sentita di salutare Lennox. Tanto non l’avrebbe rivisto mai più, dunque aveva voluto risparmiarsi almeno lo strazio di un addio.

Irene si limitò a gettarle una rapida occhiata per poi riportare lo sguardo sul sentiero davanti a loro.

«Vostra nonna è una vera arpia» aggiunse. «Non mi sorprenderei se vi cacciasse di casa.»

«Non importa. Tanto oggi partirò comunque.»

«Senz’altro i Macrory vi presteranno una carrozza, visto che ne possiedono ben tre.»

Mercy guardò Irene di sfuggita. «Credete che avrei dovuto chiederla già la scorsa notte?»

«Nessuno vi avrebbe portato da nessuna parte la scorsa notte, con quel temporale.»

Mercy rimase in silenzio.

«Ai vostri parenti basterà fare due più due, come ho fatto io, per capire cosa sia successo» proseguì Irene. «Ma non permetterò che la colpa ricada su Lennox. La responsabilità è vostra. Siete stata voi a presentarvi al castello nel cuore della notte. Non è certo stato lui a venire a cercarvi.»

Irene stringeva le labbra con rabbia, nei suoi occhi vi era uno sguardo di aperta condanna.

«Farò in modo che non venga incolpato» le assicurò Mercy.

«Non vedo come potreste riuscirci. Sapete perfettamente che lo incolperanno comunque.»

«Sbaglierebbero.»

Irene la fissò con aperto scetticismo. «E ditemi, cosa provate per Lennox?»

Per un attimo Mercy non ribatté, non perché non riuscisse a trovare le parole per spiegarsi, ma perché non conosceva la risposta alla domanda. Sapeva per certo che, quando era con Lennox, si sentiva diversa, una persona migliore. Accanto a lui sorridere le veniva spontaneo.

Eppure sapeva anche che ogni briciola di sentimento che provava per Lennox Caitheart avrebbe comportato una montagna di sofferenza. Poteva già immaginarsi a New York, a ripensare agli attimi trascorsi tra le sue braccia. Non aveva rimorsi per quella notte: se fosse tornata indietro si sarebbe comportata nello stesso modo. Avrebbe amato Lennox malgrado le conseguenze. Pur sapendo che ne avrebbe pagato il prezzo.

«Ebbene?» la incalzò Irene. «Volevate ingannarlo? Approfittarvi di lui? Non siete stata la prima Macrory a trascorrere la notte a Duddingston, e nemmeno in quell’occasione le cose finirono bene.»

Mercy si fermò nel bel mezzo del sentiero per guardare la governante, ricevendo in cambio un’occhiata apertamente ostile, senza dubbio ispirata dalla lealtà che la donna provava verso Lennox.

La domanda di Irene era ingiusta, come pure il suo sguardo astioso.

«No» rispose Mercy sospirando. «Non era certo quella la mia intenzione. È semplicemente... accaduto.»

Sapeva di essere paonazza per la vergogna, ma tanto valeva abituarsi all’imbarazzo, perché quello che avrebbe dovuto subire a Macrory House sarebbe stato cento volte peggiore.

Irene la scrutò a braccia conserte. «Cose del genere accadono quando due persone provano qualcosa l’una per l’altra.»

«Grazie di avermi prestato gli stivali» cambiò discorso Mercy. «Li darò a Jean.» Si allontanò da Irene, non volendo soffermarsi a discutere dei propri sentimenti. Davanti a lei c’era una sola strada: continuare secondo i piani e sopportare le conseguenze delle sue azioni con coraggio.

Sperava solo di averne abbastanza.

«Cosa intendi dire? Se n’è andata?» tuonò Lennox fissando Irene.

«Esattamente quello. È tornata a Macrory House.»

Lennox era uscito a controllare se il temporale avesse danneggiato la cappella e le scuderie. Queste ultime ne erano uscite indenni, ma la furia degli elementi aveva fatto crollare un altro pezzo del tetto della cappella. Avrebbe dovuto portare fuori i banchi dalla chiesa e metterli nella Sala del Clan per tenerli al riparo.

«Perché?»

Irene si strinse nelle spalle. «Per farsi prestare una carrozza che la porti a Inverness. Per rappacificarsi con i suoi parenti. Per sposare quell’americano. Cosa ne so?»

«Ti ha detto qualcosa?» le chiese Lennox, ben sapendo di fare la figura dello stupido solo per averlo domandato. Esisteva forse una risposta in grado di lenire il senso di profondo abbandono che era calato su di lui?

«Volete sapere se ha lasciato un messaggio per voi? No. Era solo ansiosa di arrivare a Macrory House il più in fretta possibile.»

Lennox aveva già capito. Aveva capito cosa Mercy intendesse fare.

Senza aggiungere altro uscì dalla cucina, percorse il corridoio e risalì le scale due gradini alla volta. Non perché non si fidasse di Irene, ma perché voleva vedere con i propri occhi.

Spalancò la porta con tale impeto da farla sbattere contro il muro. Poi rimase sulla soglia a osservare il letto sfatto.

Sposatemi. Se proprio non volete sposarmi, potreste almeno portarmi nel vostro letto?

Avrebbe dovuto capirlo già in quel momento, ma la richiesta di Mercy lo aveva colto alla sprovvista, dopodiché era stato travolto dal desiderio. Avrebbe dovuto capirlo, invece aveva visto solo ciò che aveva voluto vedere.

Era stato usato. Mercy non voleva sposare Gregory e quale modo più facile di evitare le nozze che concedersi a un altro? Farsi disonorare? Perdere la verginità? Sapendo che non era più pura, Gregory non l’avrebbe più voluta. In più, si era anche concessa qualche ora di svago nel letto di uno scozzese.

Come diavolo aveva fatto a non accorgersene?

Avrebbe voluto chiudere a chiave quella stanza e non riaprirla mai più, oppure incendiare il letto e ridurlo in cenere.

Mercy lo aveva usato. Per qualche ora era riuscita a fargli dimenticare tutto. L’aveva stretta fra le braccia mentre lei dormiva, contemplando la sua bellezza. All’alba l’aveva amata ancora, sapendo che quei momenti gli sarebbero rimasti per sempre impressi nella memoria. Quella mattina avrebbe voluto raccontarle cose che non aveva mai svelato ad alcuno, mostrarle i progetti delle sue nuove invenzioni, condividere con lei ogni pensiero.

Trascorrere così tante ore a pensare a quella donna gli aveva dato alla testa, impedendogli di vederla per quella che era veramente.

Che razza di sciocco era stato!

Mercy lo aveva abbandonato senza pensarci due volte, senza fornirgli una motivazione. Lo aveva usato e poi gettato via.

Un oggetto nell’angolo della stanza attrasse la sua attenzione. Raggiunse quel punto e rimase a fissare la valigetta di Mercy. Una valigetta piena di soldi. Era il pagamento per i servigi che le aveva reso la notte scorsa? A quel pensiero fu colto da una violenta collera.

Si chinò, afferrò la valigetta e tornò alle scale, mentre la rabbia gli svuotava la mente di ogni pensiero che non fosse quello di andare da Mercy.