17

Avrebbe dovuto dormire.

Era sfinita, avrebbe dovuto riposare per essere in forma fisicamente e mentalmente. In casa c’era un silenzio di tomba da ore, ed Elise continuava a girarsi e rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Aveva la mente in subbuglio e non riusciva ad acquietarsi.

La stanza le sembrava una caverna vuota, e lei si sentiva svuotata dentro. Gli ultimi giorni erano stati una benedizione: ogni minuto trascorso con l’uomo che le aveva rubato il cuore era un minuto da ricordare. Da quella notte in poi le cose sarebbero cambiate. Era l’inizio della fine. Dal giorno successivo, avrebbe fatto ciò che sapeva fare meglio, e con l’aiuto di Ivory e Alex avrebbe restituito a Noah il rango che gli spettava.

Si mise a giocherellare con la spilla che le avevano donato i Barr. Il ferro riluceva alla luce della candela che aveva lasciato sul portacatino. Passò l’indice sui rami del piccolo albero. Il metallo era caldo sul palmo della mano. La quercia dai rami contorti simboleggiava la forza e il coraggio, esattamente ciò di cui aveva bisogno per staccarsi da Noah Ellery. Sperava di averne a sufficienza per sopravvivere.

Scostò le lenzuola stropicciate e si alzò. Restare a letto non serviva a nulla. Non aveva più sonno di quanto ne avesse avuto un’ora prima. Accese una lanterna, andò nel suo spazioso spogliatoio e posò la lanterna e la spilla sul banco al centro della stanza. Tutt’intorno c’erano scaffali pieni di costumi. Erano quasi tutti piegati e raggruppati per tipologia e foggia, ma alcuni, quelli di seta, erano stati messi sui manichini per evitare che il tessuto si sgualcisse.

Elise prese da uno scaffale gli indumenti che avrebbe indossato la mattina e li sistemò sul banco, vicino alla lanterna, insieme a una parrucca e agli accessori, poi passò in rassegna gli abiti sui manichini. Erano una dozzina, tutti molto costosi, modelli così raffinati che non avrebbero sfigurato nello spogliatoio di una regina. Ne accarezzò uno. Era un vero capolavoro, bianco ghiaccio con applicazioni di pizzo giallo chiaro e perline sul corpino, ed era uno dei suoi preferiti, ma era troppo inglese. “Mi serve qualcosa di diverso” pensò, mentre esaminava gli altri e li scartava uno dopo l’altro. Quello bianco crema era da educanda, quello giallo zafferano troppo serio...

Si fermò davanti all’ultimo abito. Non lo indossava da molto tempo ed era perfetto.

— Ti metti davvero questi vestiti?

Lui era alle sue spalle. Elise si ritrovò il cuore in gola. Si girò.

Merde.” Si appoggiò allo scaffale per non cadere.

Noah era vicino al banco. Aveva addosso soltanto i calzoni e la camicia con il collo slacciato. — Non riuscivo a dormire — disse.

Lei riprese fiato. — E hai pensato di poterci riuscire in camera mia? — domandò.

Noah abbassò lo sguardo sulla scollatura a “V” della sua camicia da notte chiusa da due lacci sopra i seni, poi guardò il resto del corpo, spogliandola con gli occhi. — Veramente non era questa la mia intenzione — rispose.

Elise sentì il fuoco scorrerle nelle vene. Per un attimo le si mozzò il respiro. Avrebbe dovuto trovare il coraggio di tenerlo a distanza, preparare lui e se stessa al momento in cui sarebbero diventati, l’uno per l’altra, nient’altro che un ricordo. Non avrebbe dovuto starsene lì con lui, in camicia da notte, a chiedersi se ci fosse abbastanza spazio sul banco per potersi sdraiare in due. Avrebbe reso tutto più difficile, ripeté a se stessa, nel tentativo di soffocare il grande desiderio che aveva di lui.

Fece un passo indietro, come se qualche centimetro in più di distanza potesse fare la differenza.

— Ti voglio, Elise — disse Noah. — Ho bisogno di te. E non solo ora. Per sempre.

— No, non è vero — rispose lei, con il cuore straziato.

Noah prese la spilla dal banco. — Ti sbagli. Tu mi hai reso un uomo migliore.

— Ti ho solo aiutato a capire l’uomo che potevi diventare.

— Resterai, vero? — domandò Noah.

Elise comprese ciò che intendeva dire. Sapeva quale risposta lui desiderasse ricevere, ma non poteva fargli promesse che non avrebbe potuto mantenere. — Resterò tutto il tempo necessario per risolvere il tuo problema — rispose — ma devi capire che il mio ruolo qui è diverso da quello che avevo a Nottingham. Muoversi negli ambienti dell’alta società è la specialità della signorina Moore. Fidati di lei. Ti guiderà sulla strada giusta.

Noah annuì.

— A partire da domani, quando mi rivedrai, Elise DeVries non esisterà più. Sarò la donna di cui il duca di Ashland avrà bisogno in quel determinato momento. Mi capisci?

Noah si avvicinò. Ora i loro corpi quasi si toccavano.

— Significa che d’ora in poi non potrò più fare questo? — replicò, chinando il capo per baciarla.

— No, non potrai più farlo — confermò Elise, con la morte nel cuore.

— E nemmeno questo? — continuò Noah, sfiorandole con un dito la fronte, gli zigomi e il contorno delle labbra.

— Già.

Lui le diede un bacio sulla fronte. — Avrei dovuto crederti fin dal primo momento — disse.

— Non importa — replicò Elise, scuotendo la testa. — Mi credi adesso.

— Ti crederò sempre, qualunque cosa dirai.

— No, tu devi credere in te stesso, qualunque cosa succeda. — Gli mise una mano sul braccio. — Sono fiera di te, Noah Ellery.

— Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere — disse Noah con voce strozzata.

— Avrebbero dovuto farlo — replicò Elise, accarezzandogli teneramente la guancia. — Ti capiterà ancora di avere qualche difficoltà a esprimerti.

— Sì — mormorò Noah, coprendo la mano di Elise con la sua. — Posso immaginare le voci che mio cugino avrà messo in giro sul mio conto, in tutti questi anni. Prima o poi qualcuno mi darà del babbeo, e quando succederà...

— Non lo sfiderai a duello — lo prevenne Elise.

— D’accordo. Chiamerò te e tu gli sparerai.

— Molto divertente.

— Se qualcuno mi dirà qualcosa che non mi andrà a genio penserò a te, alla fiducia che mi hai dimostrato. Dirò a me stesso che ci sono cose ben più importanti.

Elise sentì il respiro morirle in gola.

— Penserò al fatto che Francis stava per togliermi ciò che mi è più caro, e non alludo certo al ducato. E gliela farò pagare.

— Forse dovrai metterti in fila — replicò Elise, pensando al Re.

— Sai qual è il lato ironico della faccenda? — domandò Noah.

— Che quella smorfiosa della signorina Silver ti abbia detto che non sei nessuno?

— In realtà, non era questo che avevo in mente.

— Allora cosa?

— Il Bedlam mi ha davvero guarito. Non l’ospedale, non i dottori, non le cure né la fame, ma il ragazzo a cui mi tenevano legato.

— Joshua?

— Sì. Da piccolo facevo fatica a trovare le parole per esprimere ciò che avrei voluto dire. Non mi venivano in mente oppure usavo quelle sbagliate. Più i miei istitutori e mio padre mi castigavano, e più sbagliavo, finché a un certo punto ho smesso di parlare.

Elise appoggiò la testa alla sua spalla.

— Al Bedlam c’era sempre un gran baccano. Gente che parlava, che piangeva, che urlava. A volte rinchiudevano Joshua e me in una stanza senza finestre, senza luce. Eravamo al buio, ma almeno c’era silenzio. Lui parlava spesso di pittura.

— Di pittura? Intesa come arte?

— Sì. Sapeva tutto sugli artisti, specialmente quelli del Rinascimento. Pittori e scultori, uomini che hanno creato capolavori partendo da una tela, da un blocco di marmo o dal bronzo. Da piccolo era stato sul Continente e aveva visto molte di quelle opere.

Elise corrugò la fronte. Uno strano presentimento le fece venire i brividi.

— Credo che per lui fosse un modo per non impazzire — continuò Noah, non accorgendosi del suo turbamento. — Dopo un anno trovai il coraggio di fargli una domanda su qualcosa che mi aveva detto. Dopo due anni lui mi ascoltava mentre elencavo i nomi degli artisti e dei loro lavori. Per me era più facile ripetere le cose che ascoltavo. Non mi criticava mai, si limitava a correggermi quando sbagliavo. Credo che per lui fosse più importante che ricordassi le cose che mi diceva, per esempio che c’erano voluti centoventi anni per costruire la basilica di San Pietro. O che sapessi descrivere il mosaico della Navicella che si può ammirare al suo interno. O ancora che le statue di Marte e Nettuno, opere del Sansovino, che dominano la Scala dei Giganti di Palazzo Ducale, sono il simbolo della potenza di Venezia sul mare e sulla terraferma.

“Oh, maledizione.” Quei dettagli che avevano fatto sorgere in Elise il presentimento andarono formando un quadro sempre più definito.

— Che fine ha fatto Joshua? — chiese, sforzandosi di parlare senza tradire l’emozione.

— Dopo la fuga siamo rimasti insieme tre anni — rispose Noah. — Vivevamo in strada. Lui era il capo. Io a malapena sopravvivevo, lui se la cavava egregiamente.

— Che cosa accadde dopo?

— Abigail scappò di casa. Non facevo più parte della sua vita, ma ero rimasto a Londra per amor suo. Potevo vederla, anche se a distanza. Quando lei se ne andò, me ne andai anch’io. — Tacque un istante. — Joshua decise di restare. Non l’ho più rivisto. Mi piace pensare che sia vivo e sia felice.

Elise deglutì a fatica. Il ragazzo che Noah aveva conosciuto come Joshua era sicuramente sopravvissuto, ma Elise non era in grado di dire se fosse felice.

“Sono in debito con lui” aveva detto.

Joshua era il Re. Il Re era Joshua. E doveva la vita a Noah. L’uomo che era diventato un pezzo grosso della malavita londinese in passato era stato legato a un ragazzo che sapeva usare bene il coltello. Molti anni prima, il pericoloso trafficante d’arte aveva insegnato al giovane duca a parlare.

— Elise? — domandò Noah, guardandola in uno strano modo. — Ti senti bene?

— Sì. — Stava riflettendo. Aveva promesso al Re di non rivelare il suo coinvolgimento nel caso. A parte il fatto che infrangere la promessa fatta a un uomo come lui era rischioso, era anche contro i suoi principi. Ciò che i due uomini avevano sopportato e il legame che si era creato tra loro riguardava soltanto loro due. Tutto ciò che era accaduto in passato e tutto ciò che sarebbe potuto accadere tra loro in futuro non era affar suo. Lei non doveva immischiarsi.

— Sono convinta che sia sopravvissuto — disse.

— Questa sera, quando siamo andati di sopra, ho parlato con Abigail. Ha deciso di andare a Kilburn, nella casa del dotalizio.

— Come hai fatto a convincerla? — domandò Elise, che non se lo aspettava.

— Mia madre avrà bisogno di un luogo piuttosto tranquillo dove stare per rimettersi in salute. Abigail baderà a lei.

— Mi sembra una buona idea — approvò Elise.

Noah la strinse di nuovo tra le braccia. Rimasero in silenzio per un minuto intero.

— E se non riuscissi a perdonare mia madre? — domandò lui. — Se non riuscissi a essere così generoso?

Elise si staccò dall’abbraccio per guardarlo. — Allora cerca almeno di perdonare te stesso.

Noah chiuse un attimo gli occhi, poi li riaprì, andò verso la porta dello spogliatoio, si fermò sull’uscio e le tese la mano.

Elise posò la spilla sul banco. La forza e il coraggio potevano aspettare. Ci avrebbe pensato il giorno dopo. Quella notte sarebbe stata la loro notte, anche se avrebbe reso la separazione più difficile.

Si avvicinò a Noah senza fretta, lo prese per mano e lo guidò verso il letto. Noah le slacciò la camicia da notte, che cadde ai suoi piedi. Lei ebbe un brivido di freddo.

— Questa notte non voglio più parlare del passato — disse Noah. — Non voglio parlare della persona che ero e di quella che potrei essere domani. — Si sfilò la camicia dalla testa, la lasciò cadere su quella di Elise e i calzoni seguirono la stessa sorte. Abbassò la testa e la baciò, un bacio lungo e sensuale che le tolse il respiro. Noah le baciò il collo, poi i seni. Elise chiuse gli occhi mentre lui le stuzzicava i capezzoli con la lingua e con i denti, accrescendo il suo desiderio fino a farlo divenire doloroso.

Noah si staccò di colpo, si sdraiò sul letto e appoggiò la testa alla spalliera. — Vieni qui — sussurrò.

Elise rimase ferma qualche istante ad ammirare lo splendore del suo corpo. Gli si leggeva negli occhi il desiderio. Un cono di luce illuminava i capelli sparsi sul petto, che scendevano ancor più giù fino a sfiorare l’inguine. Leggermente più scuri sulle punte, terminavano con morbidi boccoli da cui spuntava il membro eretto e pronto per lei. A ogni minimo movimento, a ogni respiro, i muscoli guizzavano sotto la pelle, richiamando carezze. Per il momento era ancora Noah, era ancora suo.

Sarebbe stato il loro addio, anche se lui non lo sapeva. Elise ne avrebbe conservato il ricordo per sempre, insieme ad altri che le erano altrettanto cari. Quando avesse avuto la forza, avrebbe ripensato a come era stato bello vivere ogni istante del suo innamoramento con quell’uomo, il duca di Ashland.

Salì sul letto, gli andò sopra e strinse le gambe intorno ai suoi fianchi. Gli accarezzò il petto e i capezzoli duri come sassi, poi abbassò la testa e li succhiò. I suoi gli sfioravano l’addome, e il pene di Noah premeva contro il suo ventre. Elise iniziò a muoversi lentamente. Lui inarcò la schiena.

Lei si sollevò, puntò le ginocchia sul letto e gli prese il volto tra le mani. Noah le accarezzò le spalle, poi i seni. Le pizzicò i capezzoli, suscitando sensazioni così intense che le si ripercossero in tutto il suo corpo.

Elise sentì la sua virilità premere contro le pieghe della vagina, così infilò una mano tra i loro corpi e lo guidò verso la sua umida fessura. Portando in avanti il bacino, sentì la punta spingere contro il suo sesso.

Noah mosse i fianchi e il pene scivolò dentro di lei. Immobile, Elise sentiva il piacere aumentare nell’attesa dell’amplesso.

Lui le mise le mani sui fianchi. Il suo corpo era sudato e voglioso. Assecondando Elise, rimase fermo e aspettò.

Lei puntellò i gomiti sul letto e, muovendosi con cautela per evitare che i loro corpi si staccassero, si girò sulla schiena e lo baciò sulla bocca, gli leccò le labbra, la guancia e il collo.

Lui gemette, ma non si mosse.

— Chi vuoi essere adesso, Noah? — chiese lei, sfiorandogli l’orecchio con la bocca. Portò avanti il bacino e sentì il membro penetrare più in profondità. Si ritrasse un poco, poi spinse di nuovo i fianchi in avanti. Era vicina all’orgasmo, molto vicina. Al terzo affondo perse il controllo, e superò il punto di non ritorno con lunghe ondate di piacere.

Noah le strinse i fianchi con forza, affondando le dita nella carne. — Voglio essere tuo — rispose, ansimando mentre la spingeva contro il materasso e la penetrava. — Tuo — ripeté, ritraendosi e penetrandola di nuovo con un affondo che la mandò in estasi.