11
Elise fece un respiro profondo, espirò l’aria lentamente e riuscì a rilassarsi. Il proiettile della signorina Silver aveva colpito il cerchio esterno del bersaglio. Era già tanto che lo avesse preso. Comunque doveva riconoscere che reggeva il moschetto senza sforzo apparente.
Il bersaglio scelto dalla baronessina si trovava a una distanza media e non era mobile. Non c’era vento né pioggia né nebbia né fumo. Non c’erano rumori di sorta, nulla che potesse far perdere la concentrazione.
Elise era sicura del fatto suo, sicura che il suo colpo avrebbe centrato il bersaglio. Doveva sbagliare di proposito, ma, se lo avesse fatto, non si sarebbe tolta la soddisfazione di assistere allo smacco della signorina Silver. D’altro canto, non poteva non considerare le conseguenze che avrebbero subito i Barr se lei avesse vinto la gara.
A malincuore mirò al cerchio esterno del bersaglio, chiedendosi a quale distanza dovesse tenersi rispetto al tiro della rivale. Poi, a un tratto, notò qualcosa di grigio muoversi velocemente sul muretto, al di là del bersaglio. Sorrise e fece partire il colpo.
Noah non poteva non ammirare Elise per la facilità con cui aveva assorbito il rinculo dell’arma. Era evidente a tutti che era esperta nel maneggiare il fucile. Sembrava l’estensione del suo braccio. La mano era ferma, e ogni movimento calcolato con la massima precisione, compreso quello dell’ultimo secondo, quando aveva corretto il puntamento prima di premere il grilletto. Mentre tutti guardavano il bersaglio, Noah aveva continuato a guardare lei e l’aveva vista sorridere per qualche motivo che solo lei conosceva.
— L’ha mancato! — esultò la signorina Silver. — Forse con un po’ di pratica potreste migliorare — disse a Elise con aria di trionfo.
— Ne sono certa — replicò lei, fingendosi contrariata. Noah non sapeva se ridere della sua abilità di attrice o arrabbiarsi per la messinscena.
Quando Elise incrociò il suo sguardo e gli strizzò l’occhio, si sentì suo complice e gli passò di colpo la voglia di arrabbiarsi.
“Sono con voi, non contro di voi” gli aveva detto.
Noah combatteva una dura battaglia dentro di sé. L’amarezza e la prudenza lo avevano aiutato negli anni a tenere lontani i ricordi del passato, il che gli aveva consentito di sopravvivere in totale solitudine. Ora però iniziava a chiedersi se l’isolamento e la sicurezza gli piacessero davvero. Nel suo cuore e nella sua anima erano germogliate l’ammirazione e la speranza. Quando Elise DeVries aveva fatto irruzione nella sua vita, gli aveva donato la consapevolezza di non essere solo al mondo.
E poi credeva in lui. Pur sapendo praticamente tutto della sua vita, credeva in lui più di quanto ci credesse lui stesso.
Con quel pensiero in mente, Noah fece fatica a concentrarsi e non riuscì a distogliere lo sguardo da quella splendida creatura con il fucile in mano.
Ignorò i mormorii degli spettatori. Ignorò la signorina Silver, con cui molti stavano congratulandosi. Ignorò le persone che, spinte dalla curiosità, avevano accerchiato Elise. La raggiunse e si fermò al suo fianco. Sentiva la necessità di starle accanto.
Elise gli sorrise, poi si chinò per esaminare la pietra focaia. — Dov’è Sarah?
— Con John — rispose Noah.
— Bene. Per favore, avvertitemi se quell’odioso barone dovesse fare qualche brutto scherzo a lei o a qualcuno della sua famiglia.
— Perché, cosa fareste in quel caso? Lo spedireste in una colonia penale?
— Questa sì che è una buona idea, signor Lawson — commentò Elise, alzando la testa.
— Scherzavo — disse Noah.
— Io no.
— Potreste farlo davvero?
— Sì, anche se lavorando per la Chegarre ho conosciuto persone che hanno più agganci di me nel settore.
Noah rimase senza parole. Non si aspettava una risposta simile.
— Vi è piaciuta la mia prestazione? — domandò Elise, tornando a esaminare il fucile.
— Sì, ma non era necessario mancare il bersaglio.
— Non l’ho mancato.
— Non c’è traccia del proiettile.
— Infatti non miravo al bersaglio — replicò Elise, controllando lo scodellino dell’innesco.
— E a cosa miravate?
— C’era un topo.
— Dove? — fece Noah. — Io non l’ho visto.
— Correva in cima a quel muro, a un metro dal cancelletto, sulla sinistra. Come sapete, io odio i topi. Molti li ritengono portatori della peste nera.
— A sinistra del cancelletto — disse Noah. Si accorse di avere ripetuto le parole di Elise come un povero deficiente, ma c’era un motivo ben preciso: il cancelletto era distante il doppio rispetto al bersaglio.
— Sì — disse Elise, scacciando una mosca che le ronzava intorno. — Sentite, sto morendo di fame. Tutta questa messinscena mi ha messo appetito. Credete che si possa trovare qualcosa da mangiare?
Noah le lanciò un’occhiataccia. — Restate qui — disse.
— Che cosa...? — iniziò a dire Elise, ma lui stava già attraversando di buon passo il campo per raggiungere il punto che lei gli aveva indicato. Raggiunto il cancelletto di legno, prese a sinistra. Se era vero che Elise aveva sparato a un topo, lo avrebbe trovato.
Poco dopo si fermò e saltò dall’altra parte del muretto. Tra l’erba, un po’ distante dal muro, c’era un topo morto. Gli diede una leggera spinta con il piede, sollevando un nugolo di mosche. Il corpo non si era ancora irrigidito.
Si voltò a guardare Elise. La individuò subito grazie al suo abito verde, benché fosse circondata da uomini praticamente da ogni parte. La vide mettere le mani sui fianchi e scuotere la testa. Tornò indietro senza fretta.
Elise lo guardò storto. — Che cos’avete trovato al di là del muro, signor Lawson? — chiese, inclinando il capo.
— Un topo.
— Davvero? Era morto?
— Sì.
— Lo supponevo. Sapete, se mi aveste creduto, vi sareste risparmiato la fatica — disse Elise in tono sarcastico. — Una donna meno intelligente di me si offenderebbe per la vostra mancanza di fede.
Noah ci rimase male. — Non è giusto — protestò debolmente.
— C’è ben poco di giusto nella vita — ribatté Elise. — Io ho appena perso una gara di tiro a segno per far vincere una stupida ragazza, che in Canada morirebbe di fame la prima settimana d’inverno, se dovesse contare sulla propria abilità di cacciatrice per procurarsi il cibo. Non è giusto.
— Siete riuscita a colpire un topo in fondo al campo. Siete davvero...
— Brava? — gli suggerì Elise.
— È il minimo che si possa dire — ammise Noah. — Era un tiro impossibile.
— Davvero? — mormorò Elise. — Meno male che neanche voi dovete saper sparare per avere qualcosa da mettere sotto i denti. Siete sempre così gentile con le donne che vi accompagnano ai picnic?
— Vi chiedo scusa — disse Noah, passandosi una mano tra i capelli. Aveva fatto la figura dell’idiota.
— Scuse accettate — concesse Elise, mettendogli una mano sul braccio. — Un giorno o l’altro mi sorprenderete, signor Lawson, credendo sulla parola a tutto ciò che vi dirò. — Gli diede una pacca sul braccio e Noah le prese la mano.
— Grazie per avere accettato di perdere — disse, attirandola più vicino a sé.
— Prego. Ma non chiedetemelo mai più.
— Non lo farò — promise lui, ammirando il suo bel viso.
— Bene — mormorò Elise, sorridendo. — Posso perdere molte sfide, se necessario, ma non una gara di tiro a segno. Ho anch’io il mio orgoglio, sapete?
— Siete davvero... — Non trovava le parole. “Incredibile.” “Incomparabile.”
E quella donna così speciale era lì, al suo fianco.
Per la prima volta, nella sua vita da adulto, non si sentì solo. Certo, aveva degli amici meravigliosi, persone che gli volevano bene, ma che lui aveva sempre tenuto a distanza. Persino John, il suo migliore amico, ignorava il suo vero nome. Non aveva frequentato molte donne, ben sapendo che avrebbe avuto con loro solo rapporti fisici. Non avrebbero condiviso sogni e speranze, per il semplice fatto che lui non era in grado di esprimerli. Le donne, esattamente come gli uomini, sapevano soltanto ciò che lui era disposto a rivelare, non potevano conoscere la persona che era veramente.
Una tale prudenza lo aveva portato inevitabilmente alla solitudine.
Fino al giorno in cui era arrivata Elise. La donna che conosceva la sua vera identità, che si era rifiutata di lasciarlo al suo destino, che non si era tirata indietro neppure quando lui aveva tentato di cacciarla via. Non solo, era riuscita a estorcergli altri segreti e ne aveva generosamente condiviso il peso.
Alleggerendo lui.
— Allora, mi dite come sono? — lo sollecitò Elise.
Noah sussultò. Si accorse di avere lasciato la frase a metà. Avrebbe dovuto rispondere alla domanda, ma non ci riusciva. Parole, emozioni e sentimenti gli si accavallavano nella testa e nel cuore. Non era facile esprimere ciò che Elise DeVries rappresentava per lui. Allungò una mano e le sfiorò una guancia. In quel momento non c’era altro modo per comunicarle ciò che provava.
Lo sguardo dolce di Elise e il suo respiro accelerato lo costrinsero a ricorrere alla forza di volontà per reprimere la libidine e ricordare a se stesso che si trovavano sotto un tendone, in mezzo a tanta gente. Avrebbe voluto almeno baciarla, ma non poteva. Il desiderio che aveva di lei era così forte da fargli male.
— Non siamo in una sala da ballo di Londra! — esclamò, tanto per dire qualcosa, sperando di mascherare la voglia che aveva di portarsela a letto e tenercela per sempre.
— Già — mormorò Elise. — Siamo in un campo, con intorno tanta gente, tanti fucili e tante cacche di pecora. Non è di certo il luogo ideale.
Noah le fece scorrere il pollice sulla guancia. — Ho proprio bisogno di una carrozza — mormorò. — Con tanto di lucchetto allo sportello.
Elise si inumidì il labbro.
Ogni singola goccia di sangue gli era affluita al basso ventre. — Non potete immaginare quanto vi desideri in questo momento — disse. Non poteva più nasconderlo, doveva essere sincero con lei. — Vi farei...
Uno sparo lo interruppe. Era iniziata la gara di tiro a segno.
— Cibo — disse Elise, ritraendosi.
— Come, prego? — fece Noah. Era così eccitato da non riuscire a connettere.
— Ho bisogno di mangiare qualcosa — rispose lei con voce tremante.
Lui rimase lì impalato.
— Io vado, signor Lawson — disse Elise, girando sui tacchi e incamminandosi. Doveva allontanarsi, sfuggire alla pazzia che li aveva presi entrambi.
— Dove? — domandò Noah, affrettandosi a raggiungerla.
— A cercare qualcosa da mangiare.
— Allora datemi il fucile. Lo riporto nel carro.
Elise aprì la bocca come per protestare.
— Qui sono tutti miei amici — osservò Noah. — Ammesso che qualcuno voglia farmi del male, credo proprio che non mi torcerebbe un capello davanti a tanta gente.
— Ne siete certo?
— Assolutamente.
Elise esitava.
— Se siete preoccupata per il pranzo, sappiate che tutto ciò che serviranno è già morto.
— Molto spiritoso — commentò lei con una smorfia.
— Ci provo.
Elise gli consegnò il fucile con una certa riluttanza. — Avvisatemi se notate qualcosa di strano, signor Lawson.
— D’accordo. Grazie.
— Per cosa?
— Perché vi fidate di me.
— Le belle parole non servono a nulla, signor Lawson — replicò Elise, scrollando il capo. — Potreste ringraziarmi contraccambiando il favore.
— Scommetterei il ricavato di tutti i bottoni d’ottone che ho venduto fino a oggi nel mio negozio che la signorina DeVries ha lasciato vincere la figlia di lord Corley — disse Stuart Howards, quasi gridando per farsi sentire al di sopra della musica. Noah sentiva tremare la terra sotto i piedi, tante erano le persone che volteggiavano nella danza.
Lo ascoltava distrattamente. Howards, non del tutto sobrio, era uno dei tanti uomini che avevano tirato in ballo l’argomento, nella speranza che lui negasse o confermasse. Erano tutti inclini a pensare che Elise avesse perso di proposito. Molti di loro erano veterani che, oltre a sapere che il suo non era un fucile comune, avevano altresì capito, da come lo maneggiava, che Elise non era una dilettante.
— È possibile — rispose Noah, tenendosi sul vago. Era la risposta che aveva dato a tutti. Aveva perso di vista Elise e si guardava intorno, sperando di scorgerla tra la folla.
Howards bevve un sorso di birra. — Da dove viene la signorina DeVries? — domandò, rosso in volto per il caldo, per la birra tracannata o per entrambe le cose.
In quel momento Noah la avvistò. Era dall’altra parte della pista da ballo e batteva il piede a tempo di musica. Per una volta non era sul chi vive alla ricerca di improbabili sicari. Seguiva con lo sguardo i ballerini e doveva avere una gran voglia di unirsi alle danze.
— Da York — rispose, sovrappensiero.
— Una ragazza del Nord — disse Howards annuendo, come se quello spiegasse tutto.
Quasi avesse sentito il suo sguardo su di sé, Elise incrociò quello di Noah. Lui indicò i ballerini con un cenno del capo e inarcò un sopracciglio. Lei sorrise, raggiante. Bastò questo per fargli sentire il sangue scorrere più veloce nelle vene, accelerando il battito cardiaco.
Ormai il suo era un caso disperato. Desiderava quella donna con tutto se stesso. Per il momento si sarebbe accontentato di danzare con lei, ma voleva di più.
— Ci sono sempre molti forestieri in questo periodo dell’anno — disse Howards, asciugandosi la bocca con la manica della camicia. — Gli affari vanno a gonfie vele, ma bisogna tenere gli occhi aperti. Ieri sono entrati nella mia bottega due tizi che volevano sapere...
— Scusami, Howards — lo interruppe Noah. — C’è una signora che sta cercando qualcuno con cui ballare. — Non le avrebbe consentito di ballare con un altro. Elise era sua, soltanto sua. Si allontanò senza dare all’amico il tempo di rispondere. Era stato scortese, ma in quel momento non gli importava. La donna vestita di verde, che gli aveva acceso il fuoco dentro, era l’unica cosa che gli interessasse.
Dopo pochi istanti stavano ballando in mezzo agli altri. Elise sorrideva e aveva l’aria di essere felice.