19

 



 

Era una festicciola domenicale. I partecipanti, veramente, non avevano l'aria di dover aspettare la domenica per prendere parte a una festa, perché appartenevano alle classi elevate, a quelle classi che anche il mercoledì o il giovedì o addirittura il lunedì potevano essere, ed erano, invitate. C'erano artisti, studiosi e consiglieri comunali. Si trovava tra gli ospiti un vicesindaco che aveva interessi musicali. Un professore dell'università che al venerdì teneva lezione dalle sei alle otto della sera, presenti assidue le signore della buona società. Un attore che aveva recitato con successo allo Staatstheater di Berlino. Una piccola attrice giovane che, pure avendo fatto l'amore con il grasso vicesindaco, era uscita indenne dalle sue braccia, e in certo modo persino corroborata. Un direttore di museo che aveva scritto un paio di saggi su Van Gogh benché gli stesse a cuore Bocklin. Il critico musicale di un giornale importante, che sembrava aver stipulato un tacito patto con il direttore d'orchestra.

 

Alcuni avevano portato con sé la propria moglie. Le signore si divisero in due gruppi: quelle eleganti, che propendevano per Parigi, e quelle pratiche, che facevano pensare ai laghi Masuri. C'era intorno a queste ultime un bagliore d'acciaio e di vittoria. Qua e là se ne vedeva una con l'abito a spacco. Si formarono tre gruppi. Primo: le signore pratiche; secondo: le signore eleganti; terzo: gli uomini. Solo Franz e sua cognata andavano e venivano dall'uno all'altro dei tre gruppi dispensando bibite. Su Franz, che circondato da un'aureola siberiana diffondeva intorno l'ampio respiro della steppa e del Mar Glaciale, si puntavano gli sguardi arditi di alcune signore eleganti. Gli uomini gli battevano la mano sulla spalla e gli raccontavano com'era la Siberia. Il critico musicale s'informò sulla nuova musica in Russia. Ma non attese una risposta, bensì cominciò a fare un discorso sull'orchestra moscovita senza direttore. Il direttore di museo conosceva a memoria l'Hermitage di Pietroburgo. Il professore, che disprezzava Marx, citò i passi in cui Lenin si contraddiceva. Conosceva perfino il libro di Trotzki sulla creazione dell'Armata Rossa.

 

Non c'era un qualche ordine nelle conversazioni. A soddisfare questa esigenza era chiamato un industriale, che giunse soltanto verso la mezzanotte. Era un dottore "honoris causa" e socio del club. Col volto acceso, le mani disperatamente in cerca di qualcosa come fossero le mani di uno che affoga, anche se l'industriale se ne stava con tutti e due i piedi ben saldo sulla terra, cominciò a tempestare Tunda di domande.

 

L'industriale aveva delle concessioni in Russia. “Come va l'industria nella zona degli Urali?” domandò.

 

“Non lo so” ammise Tunda.

 

“E il petrolio a Baku?”.

 

“Benissimo” disse Tunda e sentì che perdeva terreno.

 

“Sono contenti gli operai?”.

 

“Non sempre!”.

 

“Ci siamo” disse l'industriale. “Dunque gli operai non sono contenti. Ma lei non sa un bel niente sulla Russia, caro amico. Si perde talmente la distanza dalle cose quando si è lì vicino. Lo so bene. Non c'è da vergognarsi, caro amico”.

 

“Già,” disse Tunda “si perde la distanza. Si sta tanto vicini alle cose, che non ce ne curiamo più. Così come lei non fa caso a quanti bottoni abbia il suo panciotto. Si vive nel tempo, come dentro una foresta. Uno incontra delle persone e poi le perde, come gli alberi perdono le foglie. Non capisce che non mi sembra affatto importante sapere quanto petrolio venga estratto a Baku? E' una città stupenda. Quando il vento si leva a Baku...”.

 

“Lei è un poeta” disse l'industriale.

 

“In Russia si legge Ilja Ehrenburg?” domandò la piccola attrice.

 

“E' uno scettico”.

 

“Non conosco affatto questo nome, chi è?” chiese con severità il professore.

 

“E' un giovane scrittore russo” disse fra lo stupore generale la signora Klara.

 

“Va a Parigi quest'anno?” domandò una signora ad un'altra del gruppo delle parigine.

 

“Ho visto in 'Femina' gli ultimi cappelli, di nuovo a "cloche", giacche tailleur con un lieve accenno di linea a campana. Penso che quest'anno non ne valga la pena”.

 

“Eravamo a Berlino la settimana scorsa, mio marito e io” disse la moglie del critico musicale.

 

“E' una città che cresce orrendamente. Le signore si fanno sempre più eleganti”.

 

“Davvero fenomenale,” si fece sentire l'industriale “questa città fa trattenere il respiro a tutta la Germania”.

 

E applicò una storia qualunque al tema di Berlino. Era sempre lui che sapeva dare alla conversazione che languiva un nuovo centro.

 

Parlò dell'industria e della nuova Germania, degli operai e del tramonto del marxismo, di politica e della Società delle Nazioni; d'arte e di Max Reinhardt. L'industriale si ritirò in una stanza appartata. Si sdraiò, seminascosto da un'acquasantiera di rame, esemplare molto raro, su un largo divano. Aveva slacciato le scarpe di vernice, si era sbottonato il colletto, il pettino della camicia era aperto come una porta a due battenti, sul petto nudo c'era un fazzoletto di seta. Tunda lo trovò così.

 

“Dianzi l'ho capita perfettamente, signor Tunda” disse l'industriale. “Ho capito perfettamente a che cosa alludeva col vento di Baku. Ho capito perfettamente che lei ha avuto molte esperienze, e che noi ora, senza rendercene conto, veniamo a chiederle delle sciocchezze. In quanto a me, le ho fatto le mie domande pratiche per un motivo egoistico ben preciso. In un certo senso ero obbligato a farle. Lei ancora non comprende queste cose. Deve anzitutto vivere da noi per qualche tempo. Poi farà anche lei certe domande e dovrà dare certe risposte. Ognuno vive qui secondo leggi eterne e contro la propria volontà. Ognuno certamente, una volta, all'inizio, oppure arrivando qui, ha avuto una propria volontà. Ha organizzato la sua vita con assoluta libertà, nessuno ha interferito. Tuttavia dopo un po', senza rendersene conto, quello che lui aveva organizzato per libera decisione è diventato legge, non scritta, è vero, ma sacrosanta, e ha cessato così di essere il risultato del suo decidere. Tutto quello che in seguito gli è venuto in mente e che più tardi ha voluto realizzare, ha dovuto ottenerlo contro la legge, oppure eludendola. Ha dovuto attendere finché essa, per così dire, non chiudesse gli occhi un attimo per la stanchezza. Ma già, lei non conosce ancora la legge.

 

“Non sa ancora che occhi spaventosamente aperti essa ha, e che palpebre incollate alle sopracciglia, palpebre che non si chiudono mai. Se per esempio quando arrivai qui mi piaceva portare camicie colorate con il colletto attaccato e senza polsini, ubbidii col tempo, portando questo tipo di camicie, a una legge severissima e inesorabile. Lei davvero non immagina quanto fosse difficile, per ragioni pratiche - poiché era un momento in cui le cose mi andavano male - mettermi camicie bianche con il colletto sostituibile. La legge ordinava: l'industriale X porta camicie colorate con il colletto attaccato, dimostrando così di essere un lavoratore, come i suoi operai e i suoi impiegati. Basta che si tolga la cravatta per sembrare un proletario. Pian piano, con molta cautela, quasi avessi rubato le camicie bianche a qualcuno, cominciai a metterle. Prima una volta alla settimana, la domenica, perché in quel giorno la legge suole a volte chiudere un occhio, poi il pomeriggio del sabato, poi il venerdì. Quando portai per la prima volta un mercoledì la camicia bianca - il mercoledì è per me sempre un giorno disgraziato -, tutti quanti mi guardarono con aria di rimprovero, la mia segretaria in ufficio e il mio capotecnico in fabbrica.

 

“E poi le camicie non sono così importanti. Ma sono un simbolo, almeno in questo caso. Va così anche per le cose più importanti. Se sono venuto qui come industriale, crede lei che potrei mai diventare, qui, direttore d'orchestra quand'anche fossi dieci volte meglio del suo signor fratello? Oppure crede che suo fratello potrebbe mai diventare industriale? E poi, per conto mio, la professione non è così importante. Non è determinante di che cosa si viva. Ma è importante, ad esempio, l'amore per moglie e figli. Se lei cominciasse ad essere, di sua spontanea volontà, un buon padre di famiglia, crede che potrebbe mai smettere? Una volta che ha dichiarato alla sua cuoca: non mi piace la carne bianca, crede che potrebbe cambiare dopo dieci anni la sua decisione? Quando venni qui avevo molto da fare, dovevo procurarmi denaro, impiantare una fabbrica - perché deve sapere che sono figlio di un venditore ambulante ebreo -, non avevo tempo per il teatro, l'arte, la musica, l'artigianato, gli oggetti religiosi, la comunità israelitica, le cattedrali cattoliche. Se qualcuno perciò mi si faceva addosso con qualche proposta, io lo respingevo con rudezza. Diventai dunque, diciamo così, un villan rifatto, oppure un uomo d'azione, ammiravano la mia energia. La legge s'impossessò di me, mi ordinò di essere rude, di agire senza riguardi - io devo, capisce, parlare con lei come mi ordina la legge. Chi mi ha ordinato di prendere concessioni in questa lurida Russia? La legge! Crede che il vento di Baku non mi interessi più del petrolio? Ma posso io chiederle notizie dei venti? Sono un meteorologo? Che ne dirà la legge?

 

“Come me, mentono tutti quanti. Ognuno dice ciò che la legge gli impone. Forse alla piccola attrice, che dianzi le ha chiesto di un giovane scrittore russo, interessa più il petrolio. Ma no, a ciascuno è assegnata la sua parte. Il critico musicale e suo fratello, per esempio: giocano entrambi in borsa, lo so. Di che cosa parlano? Di cultura. Quando lei entra in una stanza e guarda la gente, può sapere subito quello che ognuno dirà. Ognuno ha la sua parte. Così è nella nostra città. La pelle che ognuno porta su di sé, non è la propria pelle. E come nella nostra città è così in tutte, almeno nelle cento città più grandi del nostro paese.

 

“Vede, sono stato a Parigi. A parte il fatto che dopo il mio ritorno non potei dire a nessuno che avrei preferito vivere povero sotto un ponte della Senna piuttosto che nella nostra città con una fabbrica abbastanza grossa. Nessuno mi crederà, ma io stesso già dubito che lo desiderassi veramente. Ma volevo dirle un'altra cosa: nell'Avenue de l'Opéra uno mi rivolge la parola. Vuol farmi vedere dei bordelli. Sto in guardia, naturalmente, ma l'uomo cerca di dissipare i miei timori. Mi elenca i suoi clienti. Mi nomina il ministro con cui ho trattato una settimana prima. Non mi dà solo il nome, ha delle prove, mi mostra delle lettere. Sì, è la calligrafia del ministro. Caro Davidowiczi - gli scrive il ministro, un buon amico di Davidowiczi. Come mai gli scrive 'caro'? Perché il ministro ha una perversione ben precisa: perché giorno e notte pensa solo alle capre, a nient'altro. Ma s'immagini: alle capre. E non è nemmeno ministro dell'agricoltura. Affronta le trattative con un fervore indescrivibile. Su di lui, si pensa, il dicastero può contare. Ma cos'ha continuamente per la testa? Degli animali. Chi gli proibisce di dire le cose di cui vorrebbe parlare? La legge”.

 

L'industriale dovette rimettersi in ordine rapidamente perché si avvicinavano due signore. Era, caso strano, una signora del gruppo delle pratiche con un'altra del gruppo delle parigine. Parlavano di vestiti, sembrava proprio che quella pratica chiedesse informazioni alla elegante.

 

“Non è che dovrebbe parlare proprio degli animali, apertamente, come fa con Davidowiczi” bisbigliò l'industriale. “Ma potrebbe parlarne per via indiretta, ricordare ad esempio la loro utilità per l'economia domestica. Non fa nemmeno questo. Chi lo fa mai? Cosa crede, quante cose si scoprirebbero se potessimo frugare nei cassetti di ognuno di noi - e ben più che nei cassetti, negli angoli più intimi e nascosti?

 

“Quando lei ha parlato del vento mi sono venute le lacrime. Crede che potessi piangere? Io non posso che sbraitare.

 

“Le dirò che a volte vado al cinema per sfogarmi a piangere. Già, al cinema”.

 

Arrivò una signora, guardò Tunda e gli sorrise, graziosa, attraente e distaccata, come se tenesse davanti al suo corpo un doppio decimetro, come se ci fosse una legge precisa che ordina di mostrare nel sorriso solo un certo numero di denti.

 

“Così lei non ha mai avuto nostalgia della patria?” domandò. “Abbiamo parlato di lei più di una volta. Eh già, lei era disperso!”. Piegò il capo, pronunciando questa parola. Si sentiva in imbarazzo perché doveva dire a una persona presente che era stata dispersa. Era una situazione penosa, forse persino sconveniente, essere disperso. Era pressappoco come dire a un uomo vivo che era stato dato per morto.

 

“Suo fratello ha raccontato spesso di lei. Di come eravate tutti e due innamorati di vostra cugina Klara, quando tornava a casa per Natale e per Pasqua, e di come, per questo, lei s'era arrabbiato, quasi. E di come si congedò quando andò in guerra” (stava per dire: “partì soldato”) “e baciò suo fratello, che era così afflitto di dover rimanere a casa per via della gamba. Sì, abbiamo parlato spesso di lei. Non ha pensato qualche volta che si potesse parlare di lei come...”.

 

Non finì quella frase. Probabilmente voleva dire: come di un morto. Ma cose del genere non si dicono in faccia a un uomo vivo.

 

Franz si meravigliò dei racconti di suo fratello.

 

Ad ogni modo, a una signora che racconta cose simili si dice: Sediamoci! E si sedettero. C'erano molte opportunità di sedersi nella casa del direttore d'orchestra. Una qualità peculiare di queste opportunità era che, una volta seduti, ci si trovava immediatamente sdraiati. Pare che questa usanza sia legata alla moda femminile. Si portano abiti che invitano, o per lo meno fanno pensare, a sdraiarsi. C'è inoltre da rilevare una certa tendenza ad abbandonare le usanze europee.

 

Tunda si sedette dunque con la signora dietro le larghe spalle scure di un Buddha, era quasi come sotto una pergola, dietro la vite selvatica. Le gambe ben rasate della signora erano stese l'una accanto all'altra, come due sorelle vestite dello stesso abito, entrambe in maglia di seta. Tunda le mise una mano intorno a una gamba, ma la signora parve non badarci. Ogni volta che dei passi si avvicinavano, cercava di scostarsi.

 

Ma che cosa non si fa per un disperso?

 

Se Tunda avesse approfittato di tutte le possibilità che offrono un fascino siberiano e dei massicci oggetti religiosi, il suo destino sarebbe forse stato rimandato, ma non per questo stornato. Se però ne abbia approfittato più tardi, io non lo so.