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Irene aveva realmente aspettato molto. Nella classe sociale alla quale la signorina Hartmann apparteneva, esiste una fedeltà per convenzione, un amore per ragioni di convenienza, la castità per mancanza di scelta e perché si hanno gusti difficili.

 

Il padre di Irene, un industriale ancora di quei tempi in cui l'onestà di un uomo veniva calcolata sull'entità delle percentuali che applicava alle sue merci, perse la sua fabbrica per gli stessi scrupoli ai quali Irene avrebbe quasi sacrificato la vita.

 

Non poteva decidersi a usare piombo scadente, sebbene i consumatori non fossero per nulla esigenti. C'è un misterioso commovente attaccamento alla qualità della propria merce, la cui genuinità si ripercuote sul carattere del produttore, una fedeltà al prodotto che somiglia quasi al patriottismo di quegli uomini che fanno dipendere la propria esistenza dalla grandezza, dalla bellezza e dalla potenza della loro patria. E' un patriottismo che gli industriali hanno a volte in comune con gli ultimi dei loro dipendenti, come il grande patriottismo di principi e caporali.

 

Il vecchio era nato in quei tempi in cui una volontà determinava la qualità e si guadagnava ancora con i princìpi etici. Faceva forniture di guerra, ma non aveva idee precise sulla vita di guerra. Perciò forniva milioni delle migliori matite ai nostri combattenti al fronte, matite che erano di così poco aiuto ai nostri combattenti quanto i miserevoli prodotti degli altri fornitori. A un commissario che gli consigliava di avere minori esigenze sulla qualità della sua merce il fabbricante indicò la porta. Altri tennero in serbo il materiale buono per tempi migliori.

 

Quando venne la pace il vecchio aveva solo materiale scadente, che era comunque calato di prezzo. Lo vendette insieme alla fabbrica, si ritirò in un sobborgo di Vienna, fece ancora qualche breve passeggiata e poi quella lunga al Cimitero Centrale.

 

Irene rimase, come la maggior parte delle figlie di industriali andati in rovina, in una villa, con un cane e una nobile signora che riceveva visite di condoglianza e piangeva la scomparsa del vecchio sinceramente, non perché fosse stato in stretti rapporti con lei, ma perché se n'era andato senza esserlo stato. La morte aveva interrotto la sua ascesa da governante a padrona. Ora aveva in mano le chiavi di armadi che non le appartenevano. Si consolava contemplando a lungo il dolore di Irene.

 

Peraltro la distinta signora era stata la causa del fidanzamento con Tunda. Irene si era fidanzata per dimostrare la propria autonomia. Essere fidanzata era quasi come essere maggiorenne. La fidanzata di un ufficiale effettivo in guerra era maggiorenne persino "de facto". Probabilmente, se Tunda fosse tornato, l'amore cresciuto su questo terreno non sarebbe sopravvissuto alla maggiore età legale, alla fine della guerra, alla rivoluzione. Ma i dispersi hanno un fascino irresistibile. Si può ingannare uno che è presente, uno sano, anche uno malato, e in certi casi persino un morto. Ma uno che è scomparso misteriosamente lo si aspetta finché si può.

 

Svariati sono i motivi per cui una donna ama. Anche l'attesa può esserne uno. Si ama la propria nostalgia e la considerevole quantità di tempo investito. Ogni donna disprezzerebbe se stessa se non amasse l'uomo che ha atteso. Ma perché Irene attendeva? Perché gli uomini presenti sono molto inferiori ai dispersi.

 

Inoltre era esigente. Apparteneva alla generazione delle giovani senza illusioni dell'alta borghesia, cui la guerra aveva distrutto la naturale inclinazione romantica. Quelle giovani, durante la guerra, andavano alla scuola media, al liceo, alla cosiddetta 'scuola femminile'. Scuole che in tempo di pace sono il covo delle illusioni, degli ideali, delle infatuazioni.

 

In guerra si trascurava l'educazione. Le ragazze di ogni ceto imparavano, a discapito dei giambi, assistenza sanitaria, eroismo d'attualità, bollettini di guerra. Le donne di questa generazione sono scettiche, come lo sono soltanto le donne che hanno una grande esperienza in amore. La natura ottusa, ingenua e barbara degli uomini le annoia. Dei miseri metodi, eternamente immutabili, del corteggiamento maschile sanno già tutto in anticipo.

 

Dopo la guerra Irene s'impiegò in un ufficio, perché ci si cominciava allora a vergognare di non lavorare. Era uno dei migliori elementi dell'ufficio, di quelli che il principale era solito chiamare lui stesso, senza mandarli a chiamare dal segretario. Per questo ci s'immaginava allora che il mondo fosse alla rovescia e l'eguaglianza di tutti fondamentalmente realizzata. Che tempo, quello in cui le figlie degli industriali dovevano rispondere alla pregiata del diciotto corrente per poter mettere calze più fini. Quel tempo era un tempo 'di sconquasso'.

 

Mattino, giorno e sera Irene (come molte migliaia di donne) aspettava il postino. A volte portava una lettera qualunque del notaio. Nel frattempo la circondavano i sospiri dell'aristocratica signora, nella cui compassione c'era una gioia maligna. Irene frequentava una famiglia amica di triestini. Era una vecchia famiglia che da decenni viveva producendo stufe di terracotta e statue classiche di gesso. A quella famiglia sono da attribuire la maggior parte dei discoboli che stanno sotto campane di vetro nelle vetrine di mogano. Un ramo della famiglia triestina - probabilmente per motivi d'affari - aveva professato l'irredentismo, trasferendo i suoi uffici a Milano, e si era separata dal resto della famiglia fedele agli Asburgo.

 

I due nuclei non si scambiavano nemmeno più telegrammi d'auguri per nozze.

 

Conseguenze così gravi può produrre il patriottismo.

 

Dopo la guerra i rapporti lentamente si riallacciarono. Dato che la vittoria imponeva magnanimità, fu il ramo italiano della famiglia a tendere la mano per primo a quello austriaco. Ci fu un nipote che da Milano andò a Vienna - e questo è l'uomo che alla fine Irene sposò.

 

La conquistò con la galanteria. Una qualità rara in quei giorni negli uomini tedeschi - e lo è anche oggi. Era mediocre, spigliato, abile negli affari, guadagnava denaro e possedeva la grande capacità dell'uomo di mondo di essere avaro e insieme di fare a una donna regali costosi e sorprendenti. Il suo gusto personale era in sconcertante contrasto con quello professionale. Nella sua casa non c'era una sola statua di quelle che fabbricava.

 

Irene fu contenta quando lasciò la villa di suo padre e, per la prima volta dopo quindici anni, l'aristocratica signora.

 

Dal momento che il cane seguì la coppia, la governante assunse anche una parte delle sue funzioni: ringhiava al postino.

 

Irene non dimenticò Tunda. La sua prima creatura, una bambina, la chiamò, malgrado il suo buon gusto: Franziska.