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INVIDIA, COMPETIZIONE, EGO

Quando il mondo ti spinge a competere e a fare confronti con i tuoi alleati

Paragonarsi sempre agli altri è una ricetta per l’infelicità. E nella militanza è un intralcio che ci fa perdere di vista quel che conta davvero.

Nel campo dell’attivismo, con un mondo così pieno di problemi e tante persone che si impegnano a risolverli, viene quasi istintivo misurare il valore di sé e del proprio lavoro sulla base dei risultati altrui. La nostra non è una gara, eppure spesso ragioniamo come se lo fosse: “L’organizzazione X è più grande della mia e ai loro eventi va molta più gente. L’attivista Y riceve più attenzione mediatica di me. Il gruppo Z ha avuto un impatto molto più forte del nostro!”.

La combinazione di grandi ambizioni e scarsa fiducia in se stessi rischia di farci sentire sempre in scacco. Siamo esseri umani e abbiamo tutti bisogno di conferme e gratificazioni. Ma spesso permettiamo al nostro ego di mettere in ombra le cose davvero importanti, diventando gelosi e invidiosi di persone che in realtà giocano nella nostra squadra e lottano per i nostri stessi ideali. In una società in cui più celebrità, fondi e seguito sui social equivalgono a maggiore diffusione e impatto è fin troppo facile risentirsi perché qualcun altro ha già raggiunto l’influenza e la risonanza pubblica cui aspiriamo noi.

A volte quella vocina dentro la testa che dice: «Il tuo impegno non viene apprezzato come merita» ha assolutamente ragione. Se combattete in prima linea in difesa di una comunità oppressa e imbavagliata, il vostro lavoro meriterebbe davvero maggiore attenzione. Non datevi per vinti e continuate la lotta finché la società avrà riconosciuto e soddisfatto le legittime richieste delle persone che rappresentate.

In questo capitolo parleremo di rinuncia all’ego, ma non nel senso che dovete smettere di impegnarvi in prima persona. Però gelosia e rancore sono zavorre, e se vogliamo raggiungere il nostro scopo dobbiamo liberarcene.

Mi vergogno ad ammetterlo, ma io ho sprecato ore a leggere i profili di altri attivisti sui social, paragonando i miei risultati ai loro e lasciandomi invadere dall’amarezza e dall’invidia. Come tutti ho anch’io i miei complessi, e cerco di compensare cercando conferme dall’esterno, con l’unico risultato – passatemi il termine – di sentirmi di merda. I social sembrano fatti apposta per indurci a confronti continui, e da Internet-dipendente so quant’è facile cadere nella trappola di pensare che l’attenzione riservata agli altri sia “rubata” a noi.

Il primo passo per superare le gelosie, la rivalità, l’insicurezza e il risentimento nei confronti dei compagni di lotta è esserne consapevoli. L’ego, il rancore, la competizione e la sensazione che il successo degli altri dovesse spettare a noi sono mine vaganti negli spazi del movimento. Danneggiano i rapporti e la collaborazione, entrambi fattori cruciali per realizzare il cambiamento. Quei sentimenti negativi compromettono la nostra lucidità e spesso ci spingono a inseguire i riconoscimenti con azioni eclatanti ma di nessun valore per la causa. E se non ne siamo consapevoli il problema si aggrava. Emozioni come queste servono solo a deprimervi. La gelosia vi impedisce di vedere quanto valete e i progressi compiuti nel vostro viaggio. Quand’ero piccola mia madre mi ripeteva sempre che paragonandomi agli altri avrei ottenuto solo di diventare vanitosa e infelice. La rivalità non ci aiuta a raggiungere il traguardo; al contrario, ci ostacola.

Ora che abbiamo ammesso che quel tipo di atteggiamento si è insinuato nel nostro gruppo e che non è utile o produttivo per il bene comune, vediamo come superarlo.

Come si fa a zittire l’ego?

COME SUPERARE EGO/GELOSIA/RIVALITÀ CON I NOSTRI ALLEATI

1. Prendete coscienza delle vostre emozioni

Non c’è niente di male a dire a se stessi: «So che dovrei essere felice che un altro giovane attivista si sia impegnato per la mia stessa causa, ma in realtà mi fa arrabbiare che lui abbia ottenuto subito un mucchio di attenzioni mentre io lotto da un secolo e nessuno mi dà retta». È brutto non essere ascoltati, ed è perfettamente lecito ammettere che ci fa stare male.

Un esempio classico sono i giovani militanti indigeni e di colore che lottano a lungo per una causa senza che nessuno li degni di uno sguardo. Poi arriva un ragazzino bianco e appena apre bocca fa il botto. È una dinamica che si ripete da sempre in quasi tutti i movimenti, dalla riforma delle leggi sulle armi alla giustizia climatica. Certi meccanismi sono il riflesso di una profonda ingiustizia, e non posso certo biasimarvi se li trovate deprimenti.

Ma se da un lato avete il pieno diritto di offendervi, non agite di conseguenza. Non prendetevela con quel ragazzino bianco, postando commenti rancorosi sui suoi profili, creando inimicizie e antagonismi. Ci si pente sempre delle reazioni a caldo e questo tipo di comportamento danneggia la causa. Non bisogna creare divisioni nel movimento! Siamo tutti dalla stessa parte.

Raccomando invece un metodo collaudato: telefonate a un amico che si sente come voi e confidatevi con lui. Sfogatevi finché vi sarete liberate di tutti i sentimenti negativi.

Dunque niente risse sui social, niente rimostranze pubbliche, niente invettive contro gli attivisti privilegiati che come d’incanto si sono accaparrati i riflettori: la vostra valvola di sfogo sarà una bella sfuriata con un compagno fidato. In privato.

2. Rammentatevi il vostro perché

Ora che avete dato libero sfogo a tutti i vostri sentimenti di rivalità, ego, invidia eccetera, dovete ritrovare il vostro centro di gravità. Per cominciare, rammentate a voi stessi tutto ciò che non c’entra con l’attivismo. Non state lottando per ottenere riconoscimenti o gratificazioni. Per arrivare primi in qualcosa. Per vantare più follower o essere più fichi. Non è una gara al primato, a chi ha più fama, più attenzione dai media, più eventi di alto profilo, più seguito sui social o più finanziamenti.

Dunque cos’è l’attivismo?

Be’, ciascuno di noi darà una definizione personale. Voi avete trovato la vostra quando abbiamo riflettuto sul nostro perché (vedi Capitolo 1). È importante avere rituali e pratiche che ci aiutano a restare in contatto con il vero significato del nostro impegno. L’attivista ventunenne e rappresentante politica Daphne Frias ha un ottimo metodo per rammentarsi il suo perché:

Ogni mese dedico un po’ di tempo alla creazione di un tabellone di foto e souvenir che mi ricordano i traguardi raggiunti e le tappe future del mio cammino. Conservo ancora il primo tabellone realizzato all’inizio della mia militanza. È tappezzato di piccoli promemoria della mia identità, immagini della mia comunità e della mia causa. Foto di famiglia, del mio cane, del mio quartiere e delle vittime delle armi da fuoco, tutte le cose che mi ancorano e che sono alla base del mio impegno politico. È un metodo che consiglio a tutti. Trovate un ausilio visivo che vi rammenti chi siete, chi e che cosa amate e perché state lottando.

Ogni mese, quando ne creo uno nuovo, rifletto su quel primo tabellone, per accertarmi di essere rimasta fedele alla mia causa. Mentre raccolgo e incollo immagini e ritagli ho il tempo di interrogarmi sulla strada che ho percorso: “Mi sono allontanata dalla comunità? Sono ancora in linea con la mia causa originaria? Mi sono conservata coerente con la mia identità e i miei valori?”.

Per me quelle parentesi di riflessione hanno un’importanza vitale. Un attivista deve sempre tenersi radicato nei suoi ideali, perciò è essenziale adottare pratiche che ci rammentino chi siamo, perché lottiamo, cosa rappresentiamo e difendiamo.

E in aggiunta, i miei tabelloni mi aiutano a conservare il giusto senso delle proporzioni. Ricordandomi ciò che ho realizzato mi evitano l’errore di invidiare le vite artificiali incapsulate in Instagram, talmente photoshoppate da sembrare perfette e mille volte meglio della mia. Questo tipo di esercizio non soltanto ci rende più autentici ma ci mostra la verità delle cose: “Ehi, anch’io non sono niente male!”. Credo sia importante essere fieri di noi stessi e soddisfatti del nostro lavoro. Non è sano affannarsi sempre a volere di più.

La prossima volta che vi sentite arenati, invidiosi o in competizione, se siete scoraggiati o demotivati, provate il metodo Daphne.

3. Identificate le cause delle emozioni negative e impegnatevi a eliminarle o ridurle

Ci sono comportamenti, fattori o luoghi specifici che portano a galla la parte più insicura e competitiva di voi?

Per me sono i social network. La presenza sui social è essenziale per il mio lavoro, come per tanti altri giovani attivisti, ma è capitato che superasse i limiti, finendo per sabotarmi. Ho una personalità compulsiva, e in certi periodi i social mi rubano più tempo e spazio mentale del dovuto. Quando guardo le vite e i successi degli altri sui loro profili ho l’impressione di non aver combinato niente. Perciò, data la mia tendenza a ossessionarmi e fare confronti, mi sono impegnata a fissare dei limiti. Stabilisco un orario e programmo una sveglia sul cellulare che mi ricorda di staccare il collegamento, e a volte disattivo per qualche giorno le app di Instagram e Twitter per uscire dal vizio delle gratificazioni istantanee. Identificate le fonti delle vostre emozioni negative e imparate a evitarle del tutto oppure trovate un modo più sano di gestirle.

4. Riparate in un luogo che vi rende felici e vi rammenta il vostro perché

Da soli, con un amico o con il vostro cane, andate in un posto che amate, per ritrovare il senso delle proporzioni e ricordare che certi pensieri negativi sono superficiali e irrilevanti sul lungo termine. Tornate alle persone o ai luoghi che vi stanno a cuore e che state cercando di difendere.

Per liberarmi di certe zavorre e ridare senso alla mia lotta io passo del tempo con le comunità più esposte alla crisi climatica oppure a contatto con la magnifica natura della costa nordoccidentale. Guardando l’oceano Pacifico e pensando ai rischi dell’acidificazione mi rendo conto di quant’è sciocco preoccuparmi di quante copertine o articoli mi ha dedicato la stampa. Le orche se ne fregano della mia “celebrità”: non è inseguendo il numero di follower che le aiuterò a salvarsi dall’estinzione.

Al confronto con la natura ogni riconoscimento, premio o gratificazione impallidisce, e li vedo per ciò che sono in realtà: falsi valori e convenzioni sociali. Passiamo il tempo a scattarci selfie, a cliccare mi piace e a concedere interviste, e intanto il mondo brucia. Mentre l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, le meraviglie naturali della Terra, le persone per cui lottiamo non sono convenzioni: sono valori reali.

Perciò ogni volta che comincio a fissarmi su preoccupazioni superflue faccio una passeggiata in un bosco o lungo la costa, per rammentarmi qual è il significato autentico della mia lotta.

Ricercate la compagnia di persone che se ne infischiano della fama. Tornate ai luoghi e alle comunità che state cercando di tutelare. Ritrovate il senso delle proporzioni e considerate il quadro più vasto. Vi garantisco che le apparenze sfumeranno da sole.

5. Ripensate ai traguardi raggiunti e prendete coscienza dei passi avanti compiuti nel vostro cammino

Ricordate: è perfettamente lecito essere soddisfatti di voi stessi! Avete il diritto di provare orgoglio per i vostri successi, persino i più piccoli. Celebrateli e prendetevi una pausa di tanto in tanto. Spesso il risentimento affiora quando ci siamo immersi nella causa al punto da sfiorare l’esaurimento. Io ho notato che le mie emozioni negative coincidono sempre con i periodi in cui mi sono trascurata. E quando mi fermo a rifletterci mi rendo conto che in realtà non ce l’ho con i compagni di lotta: la verità è che sono sfinita o alle prese con qualche problema personale, e proietto quei sentimenti sugli altri. È matematico: appena supero i miei limiti, sovraccaricandomi di impegni e di pressioni e dimenticando di avere cura di me, ecco che riaffiorano tutte le mie insicurezze. E se ci penso bene mi accorgo che in realtà non m’importa proprio di tutti quei riconoscimenti accessori. La verità è che ho cercato di riempire un vuoto emotivo più profondo con le gratificazioni immediate, nella speranza che le conferme esterne mi rendano finalmente felice e sicura di me. Spoiler alert: non funziona.

Forse anche la vostra insicurezza deriva dai ritmi troppo serrati. Perciò rallentate, fate un bel respiro, e pensate un po’ a voi! Congratulatevi con voi stessi per tutti i traguardi già raggiunti. Non è facile nuotare sempre controcorrente, eppure ci state riuscendo, e alla grande anche! E datemi retta: ciò che fate è già abbastanza. Voi siete già abbastanza. Di più: siete supereroi!

TOKATA IRON EYES, 16 anni, She/Her

Fondatrice del movimento

#NoDakotaAccessPipeline a Standing Rock;

Custode dell’Acqua

Jamie: Raccontami il tuo viaggio di attivista!

Tokata: Ho cominciato a nove anni, tenendo il mio primo comizio. Fino ad allora il mio attivismo consisteva nel fatto di venire educata all’interno della mia cultura indigena, fuori dal sistema scolastico occidentale. Nel 2016 la lotta contro l’oleodotto in Dakota si è impadronita della mia vita. Avevo dodici anni quando scoprii che l’avrebbero costruito proprio accanto alla mia comunità! In quel momento ho smesso di essere una bambina per votarmi alla resistenza. Vivevo nella riserva indigena di Standing Rock, nel Nord Dakota. Là è un lusso avere un tetto sopra la testa e una famiglia che ti protegge. Quando ho preso coscienza del mio privilegio ho cominciato a pensare ai ragazzi della mia comunità che avrebbero voluto impegnarsi ma non ne avevano le risorse, e ho deciso di usare le mie per parlare a nome di tutti contro l’oleodotto. Ci siamo accampati su terreni federali come gesto di protesta contro la violazione dei trattati, unendo le forze in un atto di resistenza e protezione dello stile di vita e dei valori indigeni. Abbiamo messo in atto azioni nonviolente quasi ogni giorno; la mobilitazione #NoDAPL è stata un’occupazione di preghiera e cerimonie.

Jamie: Come conservi la coerenza con la causa, tenendo il tuo spazio di azione libero dalle rivalità e dall’ego?

Tokata: Le grandi mobilitazioni fanno notizia, ed è allora che si rischia di perdere la concentrazione sull’obiettivo. In quel caso è cruciale conservarsi in contatto gli uni con gli altri e saldi negli ideali. Se nel rapportarti ai compagni reciti la parte, finirai per comunicare messaggi sfalsati, violando la fiducia delle persone. Bisogna essere sempre consapevoli delle nostre parole e del loro significato per gli altri. Cercare di coinvolgere gli indifferenti impegnandoci a capire cosa conta per loro e cosa potrebbe indurli a unirsi alla causa. Se ci circondiamo solo di persone che la pensano come noi dimentichiamo che stiamo lottando anche per chi ha una visione diversa dalla nostra. E dobbiamo ricordare che già migliaia di altri stanno compiendo il nostro stesso lavoro all’interno delle loro comunità, e sforzarci di creare soluzioni diversificate e accessibili.

Jamie: Qual è la lezione del movimento indigeno per il resto di noi?

Tokata: Il contatto con la natura. A me hanno insegnato fin da piccola che la natura è un membro della famiglia e che tutto ciò che mi circonda è parte di me. Le persone lottano solo per qualcosa che le riguarda direttamente, e quando prendiamo coscienza del nostro legame indissolubile con la natura e con gli altri, ci rendiamo conto che la sofferenza di alcuni è sofferenza di tutti. La sofferenza della Terra non è più qualcosa di esterno: diventa un fatto personale.