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LANCIARE IL VOSTRO MOVIMENTO

Come portare l’attivismo al livello successivo fondando un’organizzazione tutta vostra

A me piace pensare all’attivismo e ai diversi spazi di cambiamento come a un ecosistema. All’interno di un habitat coesistono molti organismi diversi, con funzioni distinte ma tutte necessarie alla sopravvivenza dell’insieme. In una foresta, per esempio, nessuna singola creatura può occuparsi di tutto: la fotosintesi, il consumo delle piante per tenerne sotto controllo la popolazione, la caccia, la fertilizzazione dei suoli, la produzione di ossigeno e l’eliminazione delle scorie. Vale lo stesso nel mondo della militanza: nessuna singola organizzazione può soddisfare le esigenze di tutti e realizzare tutti gli obiettivi. Nella foresta, i cervi, gli scoiattoli, l’erba, gli alberi e gli uccelli convivono tra loro, facendo ciascuno la propria parte. Insieme compongono un ecosistema sano, collaborando tra loro e alimentandosi a vicenda. Ciascuno ha il suo compito ma nessuno sopravvive da solo. Ogni specie animale e vegetale aiuta l’altra, creando una rete intricata di collegamenti e rapporti ben più profonda ed essenziale di quel che appare a prima vista.

Nella sfera del cambiamento, i movimenti femministi, ambientalisti e di giustizia climatica, dei diritti delle popolazioni indigene e dei neri, dei diritti riproduttivi e femminili, delle persone LGBTQ+, dei malati, dei disabili e dei lavoratori coesistono, componendo un sistema interconnesso di ecosistemi.

Come ogni habitat, il movimento ambientalista comprende una quantità di “nicchie” specifiche. Ci sono organizzazioni che si occupano delle battaglie legali, gruppi che organizzano proteste e azioni dirette, campagne di pressione sui politici e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e così via. Ogni movimento consiste a sua volta di un’intricata rete di gruppi di lotta, organizzazioni, attivisti, studi legali, società per la comunicazione, organizzatori, giornalisti, artisti e molto altro ancora. Affinché il movimento sia forte serve il contributo di tutti.

Anche le singole comunità hanno i propri ecosistemi di associazioni di base. In un quartiere potete trovare un consultorio, un sindacato dei lavoratori, la sede di un’organizzazione animalista, un gruppo di volontari per la bonifica dei parchi e altre iniziative che compongono il tessuto della militanza in quella zona.

In questo capitolo parleremo di come si crea qualcosa di nuovo, lanciando l’associazione, il movimento o la campagna che ancora manca nel vostro ecosistema. Per determinare un cambiamento significativo ai fini della vostra comunità e della vostra causa dovete riflettere sul vostro perché e domandarvi in che modo si colleghi alla nicchia ecologica che volete riempire. È importante prendere coscienza di tutti gli ecosistemi di cui siete già parte: il mondo generale del cambiamento, il movimento in cui militate, il vostro quartiere. Siate consapevoli del vostro ruolo e della vostra nicchia ecologica e lavorate nel rispetto degli altri.

Questo è il paesaggio generale. Ora proviamo a guardarlo più da vicino.

Poniamo che abbiate esplorato le alternative a vostra disposizione, visitando le sedi di qualche organizzazione e partecipando a un paio di iniziative, senza trovare quella giusta per voi. Nessuno dei gruppi esistenti sta lavorando nella direzione che avete in mente. Nella vostra comunità avvertite la carenza di certe risorse o servizi di assistenza e sostegno particolari. L’ambiente della militanza in cui lavorate non offre la libertà di cui avete bisogno per promuovere la vostra causa, oppure avete aderito a un’organizzazione in cui non vi sentite abbastanza bene accolti o rappresentati. Per un motivo o per l’altro, sentite che manca qualcosa: c’è un vuoto che volete colmare. Come fare? Per illustrarvelo userò l’associazione che lanciai a quindici anni, Zero Hour. Servirà da esempio reale di come costruire un movimento giovanile letteralmente da zero.

Chiariamo subito una cosa: creare un movimento non è un’impresa facile. Richiede fatica, sudore e lacrime, ma ne vale assolutissimamente la pena. Ve la sentite? Allora forza, diamoci da fare!

COSTRUIRE UN MOVIMENTO: L’ABC

1. Identificare un vuoto e stabilire in modo chiaro come riempirlo

Che cosa manca? Quale strategia non è stata adottata dal movimento di cui siete parte? Quali voci non hanno avuto rappresentanza? Quale approccio non è stato ancora sperimentato? Quale dibattito non è stato avviato?

Gli albori di Zero Hour

Il problema: La totale mancanza di consapevolezza globale sull’urgenza della crisi climatica e di misure per tutelare la vita e il futuro delle nuove generazioni. Nel 2017 il cambiamento climatico era un tema largamente ignorato dai media, dalla politica, dal settore privato e dall’opinione pubblica. Per giunta il movimento ambientalista era rappresentato quasi esclusivamente da maschi bianchi. Mancava uno spazio in cui le donne e i giovani di colore potessero far sentire la propria voce.

La soluzione: Zero Hour, una marcia internazionale di giovani per il clima e una giornata di mobilitazione per concentrare l’attenzione del mondo sull’urgenza della crisi climatica, organizzate da un’associazione per la giustizia climatica guidata principalmente da giovani donne.

2. Trovate i vostri compagni

Questo dipenderà dal tipo di azione che volete avviare. Anche un singolo individuo può cambiare il mondo. Alla fine del settembre 2018, quando sedette davanti al parlamento svedese con un cartello che recitava Skolstrejk för klimatet (Sciopero della scuola per il clima), l’allora quindicenne Greta Thunberg era sola. E tuttavia il suo gesto diede il via a un fenomeno mondiale. Perciò non è detto che dobbiate affannarvi a trovare compagni di strada: potete avviare una rivoluzione anche da soli. Più spesso però serve una squadra, persone che condividono il vostro ideale e sono disposte a collaborare per tramutarlo in realtà.

Per trovarle dovete diffondere il vostro messaggio, comunicare il vostro obiettivo e chiedere agli altri di unirsi a voi. Potete farlo sui social, agli eventi, in conversazioni a due. L’idea è di riunire persone affini, che credano nelle stesse cose e che abbiano la dedizione necessaria a realizzarle. Ecco come ho radunato la mia squadra per dare vita alla Marcia dei Giovani per il Clima nel 2018, e più tardi a Zero Hour.

Come ho trovato la mia squadra per Zero Hour

All’inizio, quando per la prima volta mi venne l’idea di organizzare una marcia per il clima, francamente non mi sentivo all’altezza. Non avevo influenza o milioni di follower sui social network, dunque come organizzare la mobilitazione di migliaia di giovani? Ero soltanto una ragazzina. Così archiviai l’idea. Intanto però la situazione peggiorava. C’erano stati disastri naturali, come l’uragano Maria a Portorico, ma i media e i politici continuavano a ignorare il problema. Nello stesso periodo una fitta coltre di smog avvolse Seattle, la città in cui vivo, dovuta al fumo degli incendi aggravati dal cambiamento climatico. Dopo varie emicranie da inquinamento e attacchi di panico per la crisi climatica, finalmente presi la mia decisione: “’fanculo. Io ci provo”.

Nell’estate del 2017 usai Instagram per fare un annuncio. Postai la foto di un cartellone con la scritta: Marcia dei giovani su Washington (un riferimento alla marcia per i diritti civili di Martin Luther King), e lanciai la proposta di organizzare una manifestazione di ragazzi per il clima. Chiesi a chiunque volesse partecipare di contattarmi in privato.

Il mio appello ottenne un’unica risposta, da una mia amicizia online: Nadia Nazar. Al tempo aveva quindici anni, e comunicavamo via Instagram da quando aveva letto una mia lettera aperta a un giornale studentesco. Scrisse: «Ci sto», e fu la prima a unirsi all’impresa, diventando la mia socia nell’iniziativa della marcia. Strano il destino, no? Se non avessi scritto quell’articolo, se l’insegnante di Nadia, sapendo del suo interesse per l’ambiente, non le avesse segnalato la rivista, se Nadia non si fosse presa la briga di dare retta all’insegnante e non avesse letto l’articolo, o se in seguito non avesse pensato di chiedermi l’amicizia su Instagram, forse Zero Hour e la Marcia dei Giovani per il Clima non si sarebbero mai realizzati. Io credo nelle coincidenze, ma bisogna esserci perché accadano. Fidatevi: se la vostra idea spacca e voi ci mettete le energie giuste e l’impegno necessario, la gente vorrà partecipare.

Nadia viveva a Baltimora e io a Seattle. Ci separava un continente intero, eppure quell’anno parlai più spesso con lei che con i miei genitori. Elettrizzate dal nostro progetto ci sentivamo al telefono più volte al giorno, e io coinvolsi due ragazzi incontrati a uno stage estivo, Madelaine Tew e Zanagee Artis.

Il resto della squadra si formò perché io e Nadia non smettevamo mai di diffondere la nostra idea: parlavamo della marcia agli eventi, nelle conversazioni di persona e sui social, e io scrissi una valanga di email ad attivisti adulti che stimavo e che potevano aiutarci.

La prima a rispondere fu Mrinalini Chakraborty, di Women’s March, che si prestò da mentore per quel gruppo sgangherato di ragazzini senza un centesimo ma con un grande sogno e un’inossidabile etica del lavoro. Mrinalini ci aiutò a creare un sito web, e a quel punto un altro adulto si unì alla combriccola, dando una mano nella ricerca di un consulente fiscale per avviare la raccolta fondi. Dopodiché io mi presentai a un convegno e conquistai alla causa Natalie Mebane, una lobbista per l’ambiente di Washington che dopo una sola conversazione decise di offrirci il suo sostegno. Nel giro di poco le adesioni cominciarono a moltiplicarsi. Avevamo riunito un gruppo di toste ragazze di colore e di mentori adulte (a loro volta di colore), unite verso il traguardo rivoluzionario della giustizia climatica.

Per costruire una buona squadra dovete avere ben chiara in mente la vostra visione e quel che serve per realizzarla. Non potete aspettare che gli alleati vi piovano dal cielo. Dovete impegnarvi a convertire le persone, dimostrando la vostra determinazione e la bontà del vostro ideale. A volte basta un’unica conversazione per cambiare tutto. Con Zero Hour era andata proprio così. Due semplici incontri ci dotarono delle mentori adulte più fantastiche, devote e sagge del mondo. E dopo una telefonata, Shravya Jain, esperta di comunicazioni sul clima di Climate Nexus, si unì alla squadra, contribuendo con le sue vitali competenze di strategia mediatica. Siate sinceri e attirerete le persone giuste. Propagandate il movimento e voi stessi, e se la vostra idea è solida la gente verrà.

3. Scrivete il vostro manifesto

Okay, ora avete ben chiara la vostra idea e avete riunito un piccolo gruppo di persone disposte ad aiutarvi. È venuto il momento di proclamare esattamente il vostro obiettivo e quale percorso avete in mente per arrivarci. Concordate con la squadra una dichiarazione di intenti e mettetela per iscritto. Sarà una fonte costante di ispirazione e un ottimo modo per non perdere di vista l’impegno originario e per comunicarlo al mondo. Per intenderci, un “manifesto” è un documento che dichiara la missione della vostra organizzazione e la visione che si propone di realizzare. Qui sotto trovate le dichiarazioni d’intenti scritte dalla squadra di Zero Hour prima della Marcia per il Clima del 2018. Da allora sono rimaste pressoché inalterate, tranne quando un evento di primo piano ha imposto un ripensamento e un cambio di direzione.

Missione di Zero Hour

Zero Hour si propone di raccogliere le voci della diversità giovanile in una conversazione concentrata sulla giustizia climatica e ambientale. Il nostro è un movimento autogestito che offre partecipazione, formazione e risorse ai giovani attivisti e organizzatori (e agli adulti solidali) che vogliono agire in modo concreto contro il cambiamento climatico. Insieme rappresentiamo un movimento inarrestabile di ragazzi decisi a proteggere i propri diritti, l’accesso alle risorse naturali e a un ambiente pulito, sicuro e sano in grado di garantirci un futuro, un mondo in cui non ci si limiti a sopravvivere ma si possa prosperare.

Visione di Zero Hour

Adesso basta. Noi giovani crediamo che questa sia l’Ora Zero (#ThisIsZeroHour) per agire contro il cambiamento climatico. Non possiamo permetterci di aspettare che siano gli adulti a difendere il nostro diritto a un ambiente pulito e sano e a tutelare le risorse naturali di cui abbiamo bisogno per condurre un’esistenza davvero accettabile. Siamo noi stessi i leader di cui abbiamo bisogno! Crediamo nell’accesso universale ad aria, acqua e terra pulite per ogni individuo e comunità. Crediamo che il benessere e la salute della nostra comunità vengano prima del profitto delle aziende. Crediamo che la leadership giovanile in quest’ambito sia essenziale, perché non siamo stati noi a creare la crisi che abbiamo ereditato. Ci impegniamo a esercitare pressioni sugli adulti e sui politici affinché si assumano la responsabilità di questo lascito di devastazione e apatia rispetto al cambiamento climatico. Crediamo in un approccio concreto, che offra soluzioni reali ai bisogni primari delle comunità. La crisi climatica riguarderà tutti – e i suoi effetti sono visibili già oggi – ma il suo impatto colpisce alcuni più di altri. Le comunità costiere in tutto il globo e negli Stati Uniti ne stanno pagando le conseguenze in modo sproporzionato. Tuttavia noi crediamo che chi è più vicino al problema lo è anche alla soluzione. Quelle stesse comunità si stanno mobilitando attivamente per creare soluzioni e transizioni eque. Il nostro obiettivo è di incorporare la saggezza, l’esperienza e la leadership uniche di quelle comunità al nostro impegno per un cambiamento significativo. Riconosciamo anche che il movimento per la giustizia climatica e ambientale non potrà raggiungere i suoi obiettivi senza costruire solide coalizioni e alleanze trasversali con gli altri movimenti per la giustizia sociale. Crediamo nella diversità e nel potenziale dei vari movimenti e leader giovanili, le cui esperienze e retroterra apriranno la strada a un futuro più giusto e sicuro per tutti.

4. Istituite una struttura interna con regole precise e nel rispetto dei valori democratici

Ogni organismo deve rispondere a una certa logica. La struttura è essenziale per la buona riuscita di qualsiasi movimento, e nel nostro caso dovrà rispecchiare gli ideali democratici: se il fine è la giustizia anche i mezzi devono essere giusti. Riunite la vostra squadra e decidete insieme come strutturare il vostro organico, fissando le norme da rispettare per salvaguardarne la democrazia. Non sarà la parte più emozionante della militanza, ma credetemi, sarete felici di averci dedicato del tempo.

Nell’interesse della piena trasparenza, vi dirò subito che per Zero Hour questa fase è stata durissima, e anzi, ne discutiamo ogni giorno ancora adesso. È un passaggio che impone di ascoltare attivamente gli altri, di passare ore in videoconferenze e riunioni, a volte in dibattiti pieni di contrapposizioni e attriti. Ma la tensione è normale, e vi garantisco che ne ho sperimentata parecchia nella mia vita di organizzatrice. Noi tutti abbiamo la tendenza a difendere accanitamente la nostra visione delle cose, e la costruzione di un movimento non è come un lavoro d’ufficio: la faccenda diventa subito molto personale. Molti di noi si identificano in modo viscerale con il proprio impegno di attivisti, perciò se al momento di definire la struttura del movimento le nostre idee vengono respinte o ne vengono proposte altre che non ci piacciono, è facile che gli animi si scaldino.

È essenziale essere rispettosi e sensibili alle idee, alle opinioni e ai sentimenti degli altri. Servono riserve immense di pazienza, di disponibilità al compromesso e di elaborazione emotiva. Di sicuro è la parte che prediligo meno dell’attivismo, perché è logorante, e a volte i conflitti sembrano talmente irrisolvibili da darti l’impressione che il movimento stia crollando prima ancora di nascere. Anche con le migliori intenzioni del mondo è probabile che alcuni si offendano con voi. È impossibile accontentare tutti, perciò vi avverto: non sarà una passeggiata.

Esistono molti metodi diversi per condurre questo tipo di dibattito e decidere la struttura del movimento. Il più diffuso nelle organizzazioni dal basso si basa sul consenso. In sostanza si tratta di adottare solo le decisioni che raccolgono l’adesione di tutti. È un modo creativo e dinamico di raggiungere un accordo davvero collettivo all’interno del gruppo. Invece di limitarsi ad accettare il voto della maggioranza, ci si impegna attivamente a trovare soluzioni cui tutti possano aderire o che quantomeno trovino accettabili. L’idea è puntare al sostegno unanime: serve compattezza, non uniformità. Se si vota a maggioranza, le persone rimaste in minoranza potrebbero continuare a fare opposizione, causando problemi e intralciando le iniziative. Per un’illustrazione succinta del processo decisionale date un’occhiata al diagramma a pag. 93.

COSTRUITE IL VOSTRO MOVIMENTO

1. Trovate alleati

Ricordate: siete parte di un ecosistema. Non state operando nel vuoto. Perciò è buona strategia chiedere l’aiuto delle associazioni solidali. Confrontatevi con altri organizzatori, parlando del movimento che vorreste lanciare e del modo in cui potreste collaborare. Non siete rivali. Condividete gli stessi obiettivi, perciò il vostro movimento e il loro potranno unire le forze in favore della causa. Così come negli habitat naturali esistono rapporti di reciprocità in cui specie diverse – per esempio le api e i fiori – si favoriscono e soccorrono a vicenda, allo stesso modo nel mondo della militanza potete creare relazioni positive con altri gruppi per contribuire alla crescita del vostro movimento e alla realizzazione della causa comune. Più siete interconnessi e in armonia con gli altri nuclei dell’habitat militante e maggiore sarà la probabilità di successo per voi e i vostri alleati.

Gli alleati di Zero Hour

Il successo della Marcia per il Clima del 2018 dipese dal fatto che la squadra di Zero Hour non si limitò a mobilitare i propri seguaci ma coinvolse anche altre associazioni come Sunrise Movement, International Indigenous Youth Council, Rezpect Our Water (il gruppo giovanile di Standing Rock) e molte altre comunità e organizzazioni di base per la giustizia climatica. Ci mettemmo in contatto con tutti i movimenti solidali, spiegando il nostro intento e la nostra visione, e molti di loro aderirono e promossero l’iniziativa. Senza la collaborazione e il sostegno di tanti alleati e sodali non saremmo mai riusciti a ottenere una mobilitazione su così vasta scala.

UN’IDEA VIENE PROPOSTA ALLA SQUADRA

2. Create una struttura per la raccolta dei fondi e delle risorse di cui avete bisogno

(Avvertenza: Io qui riferisco la mia esperienza in una situazione specifica: trovate consulenti legali e finanziari adatti alla vostra.) Se la vostra organizzazione o iniziativa comporta una spesa o la raccolta di finanziamenti, dovrete dotarvi di un commercialista, interno o esterno. Cosa significa? Okay, scusate se il discorso diventa un po’ tecnico, ma qui si tratta di tasse. La legge fiscale prevede agevolazioni o esenzioni per gli enti sociali non a scopo di lucro (in Italia gli enti associativi sono disciplinati dal cosiddetto Codice del terzo settore, emanato con il decreto legislativo n. 117 del 2017). In certi casi potete evitare le imposte anche sugli stipendi dei dipendenti. È un risparmio notevole, e vitale per le organizzazioni come le nostre, che tipicamente non sono miliardarie.

Per gestire le vostre finanze potete cavarvela da soli oppure rivolgervi a un commercialista o consulente esterno, che chiederà un compenso per il suo lavoro.

Le finanze di Zero Hour

Al momento Zero Hour si è affidata a uno studio fiscale che gestisce le nostre finanze e le tasse dell’associazione, risparmiando a me e ai miei compagni liceali di occuparci di faccende parecchio intricate. In genere il binomio giovani-soldi spaventa la gente, perciò non è stato facile trovare uno studio competente disposto ad assumersi la responsabilità fiscale della nostra organizzazione, ma alla fine ci siamo riusciti. Adesso i loro funzionari ci aiutano a rispettare il bilancio e a prendere decisioni sensate dal punto di vista economico, e ci proteggono da chi vorrebbe approfittarsi di noi.

Quest’ultimo è un rischio sempre presente per le associazioni giovanili. È ovvio che noi ragazzi non abbiamo le competenze finanziarie di un adulto laureato ed esperto del settore, perciò siamo bersagli facili. E a volte non si tratta nemmeno di autentici malintenzionati, ma semplicemente di persone che ci considerano troppo piccoli e ingenui per impicciarci di soldi. Per questo ci siamo rivolti a uno studio professionale, che si occupa di difenderci da chi pensa di fregarci solo perché siamo giovani.

3. Stabilite una tempistica e rispettatela

Definite un calendario per ogni tappa del vostro viaggio verso il traguardo finale: raccolta fondi, contatti con i media, iniziative sui social e di quartiere e così via. Siate realistici nel fissare le scadenze e rispettatele. Aiuteranno voi e la vostra squadra a organizzarsi e a pianificare in modo strategico. Definite un modello di tempistica “campione” da applicare con eventuali varianti ai compiti specifici.

Calendario Zero Hour per la raccolta dei fondi necessari alla marcia per il clima

Questo è il calendario esatto (riportato con taglia-e-incolla) stilato dalla nostra squadra di raccolta fondi, guidata dalla responsabile finanziaria Madelaine Tew (al tempo sedicenne), in vista della Marcia e del Giorno di Mobilitazione dei Giovani per il Clima del 2018.

Nota bene: Alla fine non riuscimmo a raggiungere il nostro obiettivo di raccogliere 250.000 dollari per la Marcia. Cose che capitano. La nostra associazione era ancora semisconosciuta e le donazioni si fermarono molto al di sotto della soglia ideale, ma bisognò accontentarsi. Ciò detto, riuscimmo comunque a organizzare l’evento, con 80.000 dollari raccolti dalle donazioni di privati e dalle sovvenzioni ottenute con la laboriosa compilazione di moduli (grazie Madelaine & Co.!).

Zero Hour: strategia raccolta fondi 2018

I. L’obiettivo

A. Raccogliere 250.000 dollari per la Marcia e il Giorno di mobilitazione. Abbiamo stimato la spesa reale a 200.000 dollari, ma abbiamo arrotondato per far fronte a eventuali imprevisti. B. Iscrizione ufficiale come no profit.

II. La missione

Il denaro servirà a scopi programmatici; per le spese specifiche necessarie alla marcia, vedi: bilancio.

III. Fondi

A. Aziende

  1. Principale fonte di fondi; probabilmente più disposte a fare donazioni nella fase iniziale rispetto alle fondazioni o ai privati.
  2. Le squadre di collegamento dovranno inviare richieste ai donatori selezionati (e riferire alla squadra).
  3. Materiali: un testo di presentazione (una breve descrizione dell’associazione per presentarla ai potenziali finanziatori) e un piano per gli sponsor (un testo che descriva in che modo l’associazione dimostrerà il proprio apprezzamento e riconoscerà il contributo dei donatori, sia singoli sia aziendali).

B. Fondazioni

  1. Raggiunta la somma di 25.000 dollari (dieci per cento dell’obiettivo) potremo cominciare a contattare le fondazioni.
  2. Non è necessario che i 25.000 siano fisicamente depositati sul conto dell’organizzazione: basterà l’impegno delle aziende a devolvere le somme.

C. Singoli cittadini

  1. 1. In ordine di tempo, l’ultima fonte di finanziamenti.

IV. Calendario

Marzo

  1. Verificare il riconoscimento dell’esenzione come associazione no profit.
  2. Discutere e selezionare i vari donatori.
  3. Rapporto trimestrale.
  4. Contattare cinque donatori.
  5. Raggiungere un totale di 5.000 dollari attraverso il crowdfunding.
  6. Nominare un mentore per la raccolta fondi (carica provvisoria).

Aprile (mese delle aziende)

  1. Rettificare il bilancio in vista dell’obiettivo dei 250.000 dollari.
  2. Decidere insieme al mentore l’approccio per le aziende.
  3. Rettificare il bilancio per ridurre al minimo le spese.
  4. Perfezionare il piano per gli sponsor.
  5. Concludere la ricerca di aziende da contattare.
  6. Avviare la ricerca di fondazioni cui poterci rivolgere e preparare una bozza di Lettera d’intenti per la richiesta di sovvenzioni.
  7. Contattare quindici aziende.
  8. Ottenere conferma dell’impegno da parte delle aziende.
  9. Contattare quattro organizzazioni ambientaliste di primo piano e già affermate e inviare il nostro piano per gli sponsor.
  10. Cominciare a contattare le fondazioni, idealmente cinque.
  11. Raggiungere un totale di 15.000 con il crowdfunding.
  12. Raggiungere 50.000 dollari.

Maggio (mese delle fondazioni)

  1. Finalizzare e pubblicare annunci sponsorizzati.
  2. Elaborare e finalizzare Lettere di intenti e proposte adatte alle fondazioni (vale per tutto il mese).
  3. Proseguire i contatti con le aziende che appaiono ancora promettenti.
  4. Contattare venti fondazioni con email personali.
  5. Adattare le Lettere d’intenti a fondazioni specifiche.
  6. Idealmente, contattare le fondazioni per telefono.
  7. Inviare email di follow-up (1-2 giorni dopo quelle iniziali).
  8. Se anche le email di follow-up restano senza risposta, scrivere un’altra email di promemoria, conservando un tono professionale.
  9. Idealmente, presentare una proposta per il finanziamento.
  10. Inviare lettere di ringraziamento.
  11. Raggiungere 100.000 dollari.
  12. Inviare alle fondazioni un primo rapporto sui progressi realizzati finora.

Giugno (mese dei singoli donatori)

  1. Continuare l’invio di email di presentazione/Lettere di intenti/proposte di finanziamento (vale per tutto il mese).
  2. Finalizzare proposta di finanziamento su misura per i singoli donatori potenziali.
  3. Contattare dieci donatori potenziali.
  4. Inviare dieci email di follow-up con materiale informativo accluso.
  5. Contattare altri dieci donatori potenziali.
  6. Inviare altre dieci email di follow-up con materiale informativo accluso.
  7. Raccogliere 75.000 dollari (per un totale provvisorio di 175.000 dollari).

Luglio (mese delle spese)

  1. Proseguire i contatti con i singoli e le aziende nel caso emergano nuovi nominativi potenziali.
  2. Raggiungere l’obiettivo di raccolta: 200.000-250.000 dollari.
  3. Attenersi alle spese previste dal bilancio (nelle versioni: minimo, medio o massimo).
  4. Giorno di mobilitazione e Marcia per il clima!

4. Siete seduti sulle spalle dei giganti: siatene consapevoli

Al momento di cominciare qualcosa di nuovo potreste sentirvi molto soli, ma è solo un’impressione. In realtà siete parte di una grande famiglia di innovatori che lotta per la giustizia da molto prima della vostra nascita. La storia dei loro successi e fallimenti ha molto da insegnarci, trasmettendoci strategie affinate in anni di battaglie. Approfondite la conoscenza dei movimenti che vi hanno preceduti.

Un esempio prezioso di strumenti forniti dai nostri predecessori sono i Principi di Jemez per l’organizzazione democratica. Il 6-8 dicembre 1996 si tenne a Jemez, nel Nuovo Messico, un incontro tra quaranta persone di colore e rappresentanti bianchi per il Gruppo di Lavoro sulla Globalizzazione e il Commercio. Il convegno era stato organizzato dalla Rete Sudoccidentale per la Giustizia Ambientale ed Economica, allo scopo di raggiungere un’intesa comune tra partecipanti provenienti da culture, ambienti politici e organizzazioni diverse. Il risultato furono appunto i “Principi di Jemez” riportati qui sotto, che rappresentano un vademecum utilissimo per l’organizzazione di qualsiasi movimento democratico.

È soltanto uno di mille esempi storici su come strutturare un’associazione. Io consiglio caldamente anche la dottrina per l’azione diretta nonviolenta di Martin Luther King. Leggete i testi, guardate i documentari e studiate le strategie del passato per metterle a frutto nel presente.

Principi di Jemez per l’organizzazione democratica

  1. Siate inclusivi: Se la nostra speranza è di costruire società giuste in cui nessuno sia escluso dai processi decisionali e la ricchezza e il lavoro del mondo siano distribuiti equamente a tutti, allora dobbiamo cominciare a incorporare questa inclusività nel nostro movimento, sviluppando politiche e istituzioni alternative a quelle improntate al neoliberalismo. Non basteranno le azioni di facciata. Serve una diversità reale nei gruppi di pianificazione, di gestione e di coordinamento. È probabile che il processo rallenti il conseguimento degli obiettivi, perché il raggiungimento di una partecipazione davvero inclusiva richiederà dibattiti, fatica, pazienza e lungimiranza. Potrebbero sorgere conflitti, ma attraverso la discussione impareremo a collaborare. L’idea è di costruire istituzioni e movimenti davvero alternativi, senza scendere a compromessi per guadagnare accesso al club dell’antiglobalizzazione.
  2. Enfasi sulla partecipazione dal basso: Per realizzare il nostro obiettivo è importante coinvolgere nuovi gruppi di partecipanti interessati e raggiungere sia i vertici sia la base delle organizzazioni già attive nelle nostre reti. Bisogna continuare ad allargare e rafforzare la partecipazione dal basso, perché è dalla base che dipendono la nostra credibilità, le nostre strategie, lo sviluppo della leadership e le energie necessarie al nostro impegno quotidiano.
  3. Lasciate che tutti si esprimano: È essenziale che le persone interessate siano direttamente coinvolte. Bisogna che i loro portavoce siano davvero rappresentativi e responsabili nei loro confronti. L’organizzazione dovrà definirne con chiarezza il ruolo e garantire sistemi di responsabilizzazione al proprio interno.
  4. Il lavoro si svolge insieme, in solidarietà e reciprocità: I gruppi che operano su progetti analoghi e con visioni compatibili dovrebbero collaborare, ispirandosi in modo consapevole a solidarietà, reciprocità e mutuo appoggio. Sul lungo termine, per rafforzare i rapporti reciproci, si punterà a incorporare gli obiettivi e i valori gli uni degli altri. Per esempio, i sindacati del lavoro e i gruppi che si occupano dello sviluppo economico delle comunità dovrebbero includere la sostenibilità ambientale nelle proprie strategie invece che limitarsi a dare sostegno alle associazioni ambientaliste. Perciò la comunicazione e la condivisione di strategie e risorse sono cruciali per aiutarci a individuare e potenziare i possibili punti di intersezione.
  5. Costruire rapporti giusti tra noi: Dobbiamo trattarci l’un l’altro con giustizia e rispetto, sia a livello individuale sia delle associazioni, nelle relazioni nazionali e internazionali. Definire e sviluppare rapporti “giusti” richiederà del tempo. Serviranno trasparenza sui processi decisionali, condivisione delle strategie e un’equa distribuzione delle risorse. È un processo che comporta l’attivazione di molte competenze e bisognerà coordinare le persone incaricate di funzioni diverse e definire le loro responsabilità reciproche.
  6. Impegno nella trasformazione di sé: Per cambiare le società dobbiamo cambiare prospettiva, lasciandoci alle spalle la mentalità individualista per mettere al centro la comunità. Dobbiamo “razzolare come predichiamo” e incarnare i valori per cui lottiamo: essere la giustizia, la pace, la comunità.

Esistono moltissime altre risorse come i Principi di Jemez sviluppate da varie associazioni cui potete ispirarvi per organizzare il vostro movimento. Avete alle spalle una lunga tradizione di militanti e attivisti: fate tesoro delle tecniche che hanno sviluppato per spingere il mondo al cambiamento positivo.

5. Mettetecela tutta e non lasciatevi scoraggiare da un fallimento

Infine, ricordate che un fiasco non è la fine del mondo! La costruzione di un movimento è un processo faticoso e complicato e spesso servono parecchi tentativi per farcela. Nel corso del vostro viaggio avrete spesso la tentazione di gettare la spugna, convincendovi che nessuno vi ascolti e che sia meglio rinunciare. Non date retta alla paura. Se avete inciampato, rialzatevi e continuate a impegnarvi.

L’ispirazione e l’entusiasmo hanno alti e bassi. Non condannatevi a oscillare tra i due estremi – “Sono invincibile!” e “Non posso farcela…” – ma trovate un giusto mezzo per proseguire il vostro lavoro con coerenza strategica e analitica.

Imparate dai vostri errori, e se qualcosa proprio non ingrana sentitevi liberi di prendere una pausa per ripensare le vostre strategie. Continuate a sbagliare finché azzeccate la soluzione giusta. A quindici anni fondai un’organizzazione di cui non avete mai sentito parlare perché fallì miseramente. Poco male: quel fiasco fu un’esperienza essenziale per lanciare Zero Hour, perciò ne era valsa la pena.

Il fallimento che portò al successo di Zero Hour

Nella primavera del 2017, quand’ero matricola al liceo, riversai tutta la mia passione e le mie energie in un progetto chiamato Future Voters for 350ppm. E sì, mi rendo conto che il nome era legnoso e un po’ da secchioni, ma abbiate pazienza: al tempo non ero precisamente un’esperta di comunicazione e strategie mediatiche.

Protestavo contro le politiche ambientali del mio Stato da più di un anno, senza risultati. Le leggi per la giustizia climatica venivano presentate ma non venivano votate. I deputati con cui ero in contatto mi spiegarono il perché: le pressioni in favore di quelle leggi venivano solo da Seattle. I deputati e i senatori si preoccupano di accontentare i propri elettori e su quell’argomento non avevano ricevuto pressioni dalle loro circoscrizioni. Il rappresentante eletto dalla mia zona mi disse che se fossi riuscita a convincere i giovani e gli adulti di tutti i distretti dello Stato di Washington a esercitare pressioni sui propri deputati, allora forse quelle leggi sarebbero state approvate.

Così mi misi al lavoro. Avevo un’unica co-organizzatrice, Chiara Rose D’Angelo, che al tempo aveva vent’anni ed era già nota sulla costa nordoccidentale per le sue imprese di ambientalista eroica, per esempio incatenarsi per tre giorni a una nave perforatrice della Shell per impedirne la partenza verso i siti di trivellazione nell’Artico.

Il nostro piano prevedeva di reclutare due “capitani” per ogni distretto elettorale dello Stato. Ci saremmo incaricati di formarli e in seguito ogni coppia di capitani avrebbe riunito nel proprio distretto una squadra intergenerazionale responsabile di tenere costantemente sotto pressione i deputati al Parlamento sulle varie iniziative di azione climatica.

Ci fissammo un calendario molto ambizioso: contavamo di selezionare tutti i capitani durante l’estate, dopodiché avremmo chiesto sovvenzioni, raccolto fondi e formato la nostra squadra d’assalto entro la fine dell’autunno. Adottammo il nome di Future Voters per comunicare il messaggio che pur non potendo ancora votare, noi giovani eravamo gli elettori del futuro, e che dunque i politici ci ignoravano a proprio rischio e pericolo. 350ppm è la soglia sotto la quale deve scendere il carbonio nell’aria (350 parti per milione) entro la fine del secolo perché il pianeta possa sopravvivere alla crisi climatica.

Dedicammo una settimana a costruire un sito web, creare profili sui social e definire i messaggi da diffondere. Ma a quel punto fummo entrambe dirottate da una montagna di impegni esterni a Future Voters. Chiara doveva gestire un’altra sua organizzazione, Students for the Salish Sea, ed era presissima con il suo lavoro in difesa delle orche nella costa sudoccidentale, e io ero immersa fino al collo in uno stage estivo di scienze politiche all’università di Princeton. Fu più o meno in quel periodo che mi venne l’idea di una marcia di giovani per il clima – il primo germe di Zero Hour – e cominciai a parlarne con i miei compagni allo stage. Reagirono tutti con entusiasmo e io mi resi conto che per affrontare la crisi climatica non bastava mobilitare i giovani dello Stato: l’iniziativa doveva essere a livello nazionale.

L’idea di una marcia di giovani mi attirava molto più del lancio di Future Voters, che comunque aveva già cominciato a cadere a pezzi. Nessuno voleva assumersi la responsabilità di diventare capitano di distretto, mentre la proposta della marcia aveva infervorato tutti. Così accettai il fiasco della mia idea precedente e mi buttai a organizzare la nuova iniziativa.

E nemmeno Zero Hour si è rivelata perfetta. Commettemmo una valanga di errori, potremmo commetterne altri, e magari in futuro spariremo del tutto. Ma saremo comunque riusciti a lasciare il segno, conseguendo il nostro obiettivo originario di lanciare una manifestazione di giovani per il clima a livello internazionale. È un risultato destinato a restare anche se Zero Hour dovesse cessare di esistere. Nessuno potrebbe cancellare la nostra marcia su Washington o il movimento giovanile per il clima di cui abbiamo gettato le basi. Il bene compiuto resta.

Dunque la lezione è: non demoralizzatevi! Non lasciatevi scoraggiare dai fallimenti iniziali. E non crediate che per riuscire si debba essere ricchi o privilegiati, o disporre subito di tutte le conoscenze e le risorse necessarie. Ciò che serve davvero per lanciare un movimento sono una visione chiara, una gran scorta di resilienza e il rifiuto ad arrendersi.

Ve lo dice una ragazzina normale che ha costruito un movimento partendo dal nulla, affidandosi soltanto a un profilo Instagram pressoché privo di follower, a un indirizzo di posta elettronica e alla propria ostinazione.

PRANJAL JAIN, 17 anni, She/Her

Attivista per i diritti delle donne indiane e degli immigrati

Jamie: Come sei diventata attivista?

Pranjal: Scoprii di essere un’immigrata irregolare lo stesso anno in cui Donald Trump arrivò alla Casa Bianca. Avevo quindici anni e per me fu uno shock spaventoso. Sapevo di essere immigrata, ma non mi ero mai pensata come “clandestina”.

Rendermi conto della mia situazione cambiò tutto. In passato avevo sempre vissuto come una normale cittadina americana.

Io sono stata tra i fortunati, perché ottenni la naturalizzazione poco dopo quella scoperta. Perciò mi sentii in dovere di fare qualcosa per gli altri.

La crisi era urgente. Oggi nella mia comunità ci sono moltissimi immigrati irregolari che vivono nel terrore. Per giunta il nostro è un quartiere abitato in gran parte da persone di colore, e con l’elezione di Trump i suprematisti bianchi si sono convinti di poterci aggredire impunemente.

La disperazione dei miei concittadini di colore mi spinse a passare all’azione. Nel 2016 lanciai un evento scolastico di solidarietà post-elezione, in cui celebrare l’accoglienza a prescindere dalla razza, dal genere e dall’orientamento sessuale.

Da allora mi sono dedicata a organizzare eventi, campagne e progetti a tutela dei diritti delle comunità con cui mi sento solidale.

Jamie: Quali sono le tue strategie per determinare un cambiamento?

Pranjal: Credo fermamente nella necessità di educare i giovani per dotarli delle conoscenze necessarie a fare la differenza.

Quando organizzai il mio primo laboratorio per l’abolizione delle tasse sugli assorbenti e la loro accessibilità, nessuno dei miei coetanei sapeva di cosa stessi parlando.

Io ero talmente nervosa che tremavo. Ma proprio la mia vulnerabilità permise alle altre di aprirsi. Ascoltando la mia esperienza anche loro si resero conto della necessità dell’equità mestruale nelle proprie vite.

Vengo dall’Asia del Sud e nella mia cultura d’origine parlare di sessualità è tabù, e le mestruazioni sono un’onta da nascondere, perciò ho dovuto io stessa superare il senso di vergogna che mi avevano inculcato.

Jamie: Perché sono i piccoli gesti a cambiare il mondo?

Pranjal: Io credo nei movimenti dal basso. L’associazione no profit che sto fondando per l’emancipazione e l’affermazione delle donne indiane si ispira proprio a questo principio. Certo, l’impresa è immane, ma se riusciremo a coinvolgere anche una sola famiglia, convincendola del valore delle donne e dell’importanza di mandare le figlie a scuola, allora avremo ottenuto il nostro scopo.

È così che cominciano le vere rivoluzioni.