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SCRIVERE E PUBBLICARE PER DIFFONDERE IL MESSAGGIO

Come usare la tastiera per far sentire la vostra voce

È sempre una buona idea cominciare da ciò che abbiamo già a portata di mano. Magari non siete portati per i discorsi in pubblico, non vi sentite pronti a esprimere le vostre rimostranze a un politico, siete a disagio a lavorare in un gruppo numeroso e avete bisogno di tempo per farvi le ossa ed elaborare le cose per conto vostro, diventando comunque il cambiamento che volete vedere nel mondo.

Per questo esiste la scrittura. Io ho un’indole introversa, perciò la considero un modo eccellente per dire al mondo ciò che mi preme senza bisogno di interazioni dirette. Se siete come me e trovate difficile sostenere un confronto faccia a faccia, potete comunque farvi sentire usando la scrittura. Magari avete una disabilità o una malattia cronica che condiziona la vostra mobilità o altri aspetti della vostra vita; oppure vivete in un Paese in cui è troppo rischioso manifestare per le strade; o più semplicemente siete timidi, e ancora non ve la sentite di affrontare la folla: in tutti questi casi la scrittura è lo strumento ideale per svolgere comunque il vostro compito e lasciare il segno. Ma il suo valore va molto oltre. In realtà gli articoli e gli editoriali politici sono un fantastico veicolo di comunicazione e sensibilizzazione per qualsiasi attivista, e uno strumento essenziale nella vostra cassetta degli attrezzi a prescindere dal vostro carattere o dalle circostanze personali. Potrà rappresentare per intero il vostro lavoro di attivisti, costituirne una parte grande o piccola, oppure essere un’arma da tenere in arsenale e da sfoderare quando serve.

Nel mio caso è stata la primissima forma di attivismo, persino prima di rispondere a quell’annuncio per la campagna elettorale. Già un anno prima, quando avevo tredici anni, scrivevo di ciò che mi stava a cuore in ogni forma disponibile: nei temi per la scuola, nei post online, nelle lettere aperte e in quelle indirizzate ai direttori dei giornali, parlando di argomenti che consideravo importanti, delle mie esperienze, del mio retroterra culturale e delle mie passioni. La prima esperienza di intervento in un forum pubblico avvenne postando su una piattaforma di blog chiamata Teen Ink. Era un modo di esprimermi e di far sentire la mia voce quando ancora non avevo un altro podio.

Il mondo ha bisogno di ascoltare la vostra voce. Spesso i giovani non “fanno notizia”, e chi non è maggiorenne non può votare, perciò le nostre istanze non arrivano al sistema politico. Per questo è essenziale farci sentire, perché esistono questioni urgentissime che ci riguardano direttamente (per esempio la crisi climatica!) e sulle quali non ci viene riconosciuto alcun potere decisionale.

Le lettere aperte e quelle indirizzate ai direttori dei giornali possono colmare il divario, costringendo gli adulti a prendere sul serio le nostre richieste. La stragrande maggioranza degli elettori che si presenta alle urne consiste di persone di mezza o terza età, perciò il sistema politico pensa solo a soddisfare le loro esigenze. Secondo l’Ufficio censimenti degli Stati Uniti, nel 2018 l’affluenza alle urne per la fascia dai sessantacinque anni in su è stata del sessantacinque per cento per le donne e del sessantotto per cento per gli uomini. Per contro, nella fascia tra i diciotto e i ventinove anni aveva votato solo il trentotto per cento delle ragazze e il trentatré per cento dei ragazzi. Non si tratta di un caso isolato. Ormai da decenni i giovani disertano le urne, lasciando che a votare siano gli anziani. (Questo deve cambiare. Ehi, tu! Sì, dico proprio a te: VOTA!)

Beninteso, non significa che la politica debba ignorare gli anziani. Il problema è quando i politici e i media ascoltano solo loro, restando sordi alle esigenze di milioni di giovani. È essenziale che anche voi abbiate voce in capitolo. E bastano un computer e un collegamento a Internet perché il mondo intero possa sentirvi.

Ma veniamo al dunque. Che cosa sono le lettere aperte e le lettere ai direttori?

COS’È UNA LETTERA APERTA?

In sostanza si tratta di un testo scritto da una persona che non appartiene alla redazione di un giornale e che esprime un’opinione personale su un fatto di attualità. Potete mandarne a qualsiasi rivista o quotidiano! Non sono vietate ai minori, e pubblicate da una testata di rilievo potrebbero aprire gli occhi del mondo su un tema importante.

COS’È UNA LETTERA AL DIRETTORE?

Anche in questo caso si tratta di un testo inviato a un giornale su questioni che potrebbero interessare in modo diretto i lettori. Non sono lettere private: sono pensate per essere pubblicate. Tipicamente sono più brevi delle lettere aperte, e spesso sono scritte in relazione a un articolo pubblicato dal giornale stesso invece che su un tema generale.

Sono una forma di scrittura con una lunga tradizione alle spalle, nata pressoché in simultanea con l’affermarsi della stampa cartacea. Come per le lettere aperte, chiunque può scriverne. Minorenni compresi.

COME IMPOSTARE UNA LETTERA APERTA O AL DIRETTORE

Avete un’opinione chiara e interessante da condividere su un tema di attualità, su una notizia di cronaca o su un problema urgente? Se scritta in modo persuasivo, una lettera pubblicata da un giornale può arrivare a migliaia se non addirittura a milioni di lettori. Avrà il potere di conquistare menti e cuori, e forse persino di esercitare un impatto concreto sulla politica e le decisioni del governo.

La Duke University ha realizzato un ottimo manuale step by step per la scrittura di testi del genere. Il libro era destinato agli studenti, ma non serve essere iscritti a un’università prestigiosa per scrivere una lettera con le palle. Questi sono gli elementi essenziali.

1. Tenetevi al corrente delle notizie e cogliete le opportunità

«Il tempismo è essenziale. Per essere letta (e pubblicata) la lettera dovrà riguardare un argomento già al centro dell’opinione pubblica. Perciò, nel limite del possibile, cercate di tracciare un chiaro collegamento tra il vostro testo e un fatto di cronaca recente.» Se per esempio volete parlare della crisi climatica, potete collegarla a un disastro naturale accaduto ultimamente, usandolo come esempio per spiegare quant’è urgente la questione del clima. Un episodio di intolleranza razziale potrà illustrare il problema della discriminazione e il suo impatto sulla vostra vita quotidiana.

2. Non superate le settecentocinquanta parole

«Meno è meglio. Lo spazio sui giornali è limitato e se un testo è troppo lungo la redazione non perderà tempo a tagliarlo: si limiterà a cestinarlo.» Bisogna essere concisi. Un testo prolisso si condanna da solo al cestino. So che avete molto da dire (io stessa sono un po’ logorroica, e ridurre le mie lettere ai giornali a dimensioni accettabili è sempre uno strazio) ma dovete porvi dei limiti!

3. Dite una cosa sola e ditela bene

«Non si possono risolvere tutti i problemi del mondo in settecentocinquanta parole. Concentratevi su un punto specifico e cercate di essere persuasivi. Se non riuscite a comunicare il messaggio in un paio di righe significa che avete messo troppa carne al fuoco.» Lo so, è dura, soprattutto per i giovani: in genere noi non abbiamo un canale per esprimere le nostre esperienze e preoccupazioni, e quando lo troviamo non ci teniamo più! Ma una lettera a un giornale non è la piattaforma adatta a parlare di tutto. Il suo scopo è richiamare l’attenzione su un’unica idea ben precisa. Rimandate il resto a una lettera successiva, oppure comunicatelo usando un canale diverso.

4. Iniziate dal concetto essenziale

«Avrete non più di dieci secondi per agganciare l’attenzione di un lettore indaffarato, perciò non perdete tempo a “schiarirvi la voce” con una battuta o un aneddoto. Andate dritti al punto e convincete il lettore che vale la pena di spendere un po’ del suo tempo prezioso leggendo il testo fino in fondo.» Dovete sbrigarvi a dire subito la vostra! Quando scrivete un tema sapete già che il professore dovrà leggerlo comunque, anche se l’introduzione non risveglia il suo interesse. Ma un direttore di giornale non è obbligato a leggere tutti gli articoli che gli vengono proposti. Se le prime frasi lo annoiano… be’, ci siamo già capiti: cestino!

5. Spiegate ai lettori perché la questione li riguarda

«Mettetevi nei panni di una persona indaffarata che si trova davanti il vostro articolo. Alla fine di ogni paragrafo, domandatevi: “E allora? A chi importa?”. È essenziale avere una risposta. Un appello diretto ai reali interessi della gente sarà più efficace di mille discorsi astratti.» A voi l’importanza della questione potrà sembrare lampante, ma non tutti hanno le stesse idee o le stesse esperienze di vita. Chi vi legge dovrà avere l’impressione di aver vissuto il problema in prima persona, e sentirsi coinvolto. Perché accada a volte dovrete specificare l’ovvio, spiegando esattamente il motivo per cui il problema ci tocca da vicino. Un testo incisivo e condivisibile è molto meglio di una lunga disquisizione che dà per scontato l’interesse del lettore.

6. Offrite soluzioni tangibili

«Una lettera aperta non è un saggio che si limita a descrivere una situazione: è la vostra opinione su come migliorarla. Perciò dovete offrire alternative concrete. In che modo lo Stato dovrebbe tutelare l’ambiente o gestire una questione di affari esteri? In che modo i genitori potrebbero proteggere la salute dei figli attraverso l’alimentazione? Non limitatevi a dire: C’è un problema! Datevi una risposta.» Non state scrivendo una ricerca scolastica in cui dovete esporre i fatti. Una lettera al giornale è la vostra occasione per sbrigliare l’immaginazione. Siate creativi e proponete soluzioni innovative al problema che avete posto.

7. Parlate con la vostra voce

«Le lettere migliori si basano sul vissuto personale.» Nessuna laurea vale quanto l’esperienza. I sociologi potranno dedicare anni a studiare la vita di una giovane gay in America o altrove, ma mai e poi mai potrebbero conoscerla quanto noi donne LGBTQ+. Il vostro potere risiede in ciò che avete passato e vissuto sulla vostra pelle. Siete titolari della vostra storia e nessuno può conoscerla meglio di voi o ha il diritto di raccontarla al vostro posto. Chiunque cerchi di zittirvi, spacciandosi per esperto di ciò che voi avete vissuto, sta mentendo.

Io sono una ragazza gay, perciò so cosa significa affrontare ogni giorno l’omofobia e la misoginia molto meglio di un tizio che ha letto montagne di libri sulle lotte degli omosessuali per scriverci una tesi. Quale che sia, la vostra esperienza di vita è unica e insindacabile: siete voi gli esperti. Mostratevi al lettore nella vostra umanità e date forza al messaggio condividendo con franchezza la vostra storia.

Ciò detto, siate anche consapevoli del vostro diritto alla privacy: non siete obbligati a condividere tutto. Esporre il proprio dolore e il proprio trauma affinché gli altri possano imparare comporta un costo emotivo che non siete tenuti ad assumervi. È essenziale avere cura del proprio equilibrio e della propria serenità mentale. Perciò se vi sentite a disagio o avete l’impressione di speculare sulla vostra esperienza raccontandola al mondo, non fatelo. La condivisione deve servire a liberarvi, a farvi sentire più forti, non più vulnerabili. Dunque tracciate una linea nella sabbia e fissate dei limiti. Conosco moltissime persone queer, di colore o appartenenti ad altri gruppi emarginati che spesso si sentono in dovere di sacrificare la propria intimità per fungere da esempio vivente ed educare chi non ha avuto le stesse esperienze. Ricordate: non dovete niente a nessuno. La vostra storia è importante e merita di essere raccontata, però appartiene a voi.

8. Sottolineate la vostra affinità personale con i lettori

«Molti quotidiani cittadini faticano a sopravvivere. Per tenere testa alla concorrenza dei giornali nazionali, della televisione, dei blog e di altri media, devono conquistare i lettori occupandosi di problemi e di tematiche locali. I loro direttori tendono sempre più a prediligere reporter che abitano nella zona o ne hanno una conoscenza di prima mano. Se presentate un articolo al giornale della vostra città, il ruolo di cittadino giocherà in vostro favore. Se il giornale è pubblicato in una città in cui avete vissuto o lavorato in passato, non mancate di citare quel collegamento e di precisare le vostre radici insieme alla firma. Vale lo stesso per i periodici destinati a lettori che rientrano in una certa categoria professionale, un gruppo etnico o un altro segmento specifico della popolazione: spiegate in modo chiaro perché anche voi siete come loro.» Per scrivere in modo convincente bisogna conoscere il proprio destinatario, avere ben chiaro in mente il lettore e rivolgersi a lui o a lei nel modo più sincero e diretto possibile.

9. Frasi e paragrafi brevi

«Prendete l’esempio di qualche lettera già pubblicata e contate le parole per ogni frase. È probabile che siano pochissime. Adottate lo stesso stile, evitando subordinate e incisi. Usate il punto fermo: un paragrafo con molte virgole si può ridurre a due o tre frasi compiute.» Voi sareste più portati a leggere un articolo lungo e prolisso, zeppo di divagazioni, oppure un testo breve e accessibile? Come scrittori adottate lo stile che preferite come lettori. Quando leggete online, quali sono gli articoli che catturano subito la vostra attenzione, spingendovi ad arrivare fino in fondo?

10. Evitate il gergo

«Se un termine tecnico non è essenziale a comunicare il messaggio, evitatelo. O meglio ancora, evitatelo, punto. Un linguaggio semplice non equivale a un pensiero semplicistico: è un segno di gentilezza nei confronti dei lettori meno esperti di voi sull’argomento e che stanno leggendo l’articolo ancora mezzo addormentati al tavolo della colazione.» Lo ripeto: state scrivendo una lettera a un giornale, non un tema per la scuola! Il vostro lettore non è un professore che vi darà un buon voto perché avete usato dei paroloni. L’obiettivo è esprimervi nel modo più conciso e chiaro possibile, affinché tutti possano capirvi senza dover ricorrere a una ricerca su Google. Siate accessibili.

11. Scrivete in prima persona

«Non: “Si spera/è auspicabile che il governo…” ma “Io spero/mi auguro che il governo”. Le frasi in prima persona sono più efficaci delle frasi passive o impersonali. Sono più immediate e non lasciano dubbi su chi spera o si augura.» Scrivendo in prima persona sarete più convincenti e autorevoli e vi assumete la responsabilità delle vostre opinioni. Le frasi impersonali nascondono l’autore, mentre una lettera aperta è proprio la vostra occasione di parlare direttamente al mondo, dicendo forte e chiaro ciò che finora avete urlato allo schermo guardando un telegiornale. Non siate timidi. A prescindere dalla vostra età o dal vostro ruolo nella società, chiamate direttamente in causa chi prende le decisioni sopra la vostra testa e ditegli: «Devi fare XYZ in modo diverso!». Dopotutto è questo il significato di Alza la voce: usare la nostra voce per dire la verità in faccia ai potenti. Se volete denunciare un politico o una lobby di potere, non abbiate paura a fare nomi e cognomi!

12. Evitate confutazioni tediose

«Se state scrivendo in reazione a un pezzo precedente che vi ha fatto ribollire il sangue, non cedete alla tentazione di confutare quel testo punto per punto. Apparireste meschini. È probabile che quell’articolo i vostri lettori non l’abbiano nemmeno letto, o che nel mentre l’abbiano dimenticato. Perciò fate un lungo respiro, citate il testo precedente un’unica volta e poi argomentate la vostra tesi. Se una confutazione dettagliata vi sembra proprio necessaria, meglio rinunciare a una lettera aperta in favore di una lettera al direttore, più adatta a questo scopo.» Come abbiamo detto, non avete molto spazio a disposizione per comunicare il vostro punto di vista, perciò usatelo per esprimere un parere, non per scagliare accuse a un giornalista pubblicato in precedenza. Le invettive tenetele per Twitter.

13. Riconoscete il valore dell’avversario

«Un errore tipico delle lettere aperte consiste nel fare un lungo elenco di argomentazioni per dimostrare le ottime ragioni dell’autore e il torto marcio (se non addirittura l’imbecillità) dei suoi oppositori. Apparirete più credibili, e senz’altro più modesti e simpatici, se dedicate un piccolo spazio a riconoscere il valore dell’opposizione. Avete presente quel “beninteso” con cui gli autori esperti di lettere aperte iniziano una frase? Be’, stanno facendo proprio questo.» In alcuni casi non c’è proprio margine di dibattito. I negazionisti della crisi climatica o i suprematisti bianchi, per esempio, non hanno argomentazioni accettabili: offrono solo propaganda pericolosa. Perciò fate le dovute distinzioni. Se l’“avversario” dispone di tesi credibili, ragionevoli e comprensibili, riconoscetele. Se però i suoi sono solo pregiudizi e menzogne, non sprecate fiato e saltate questo passaggio.

14. Chiudete col botto

«Abbiamo visto che per agganciare il lettore serve un’introduzione a forte impatto. Scrivendo una lettera aperta conta molto anche il paragrafo conclusivo, che dovrà riassumere le argomentazioni in modo conciso e convincente. Questo perché molti lettori si limitano a scorrere il titolo e l’apertura, e poi saltano di netto il testo centrale per passare direttamente alle conclusioni. Uno dei trucchi impiegati dagli editorialisti consiste nel ripetere alla fine la frase dell’inizio, per chiudere il cerchio.» È un po’ come quando scrivete una ricerca per la scuola: la conclusione deve ribadire la tesi. Ricordate però che non vi state rivolgendo a un insegnante. Il vostro testo dovrà essere molto più vivace, incisivo e convincente di un tema scolastico, perciò chiudetelo col botto: qualcosa di potente che riassuma la vostra opinione e offra materia di riflessione al lettore. Immaginate di scrivere uno slogan o una massima, qualcosa che la gente vorrà citare, condividendola sui social network con un link al vostro fantastico articolo!

15. Rilassatevi e divertitevi

«Molti autori, e soprattutto gli accademici, assumono un tono solenne e cattedratico nelle loro lettere aperte. Francamente aumenterebbero di parecchio il proprio indice di gradimento se si prendessero meno sul serio e pensassero di più a intrattenere se stessi e il lettore.» Perché essere così pesanti? Una lettera aperta è la vostra occasione di mostrarvi come siete. Le redazioni dei giornali sono sempre in cerca di voci nuove e autentiche. Siete giovani, quindi non assumete un tono impettito e non cercate di apparire più seriosi o adulti di quel che siete. Il vostro scopo è proprio di trasmettere al mondo le istanze essenziali e troppo spesso trascurate dei giovani.

SUGGERIMENTI EXTRA PER UNA LETTERA AL DIRETTORE

Citate l’articolo cui intendete rispondere

Non pretendete che il lettore o la redazione ci arrivino da soli. Nessuno legge un giornale da cima a fondo. Nemmeno il direttore.

Siate brevi e incisivi

Lo spazio è ancora più ridotto rispetto alle lettere aperte, perciò il testo dovrà essere ancora più concentrato: una risposta chiara e concisa all’articolo che ha suscitato la vostra reazione.

Non aspettate troppo

La redazione cui state scrivendo non pubblicherà la risposta a una notizia uscita un mese prima. La vostra lettera deve arrivare il giorno stesso o all’indomani dell’articolo. I giornali sono interessati solo a ciò che è attuale: le novità di ieri sono già nel dimenticatoio.

Fiù… ce l’avete fatta! Avete scritto una lettera potente e sbalorditiva, comunicando un concetto importantissimo che il mondo deve conoscere. Siete pronti a infiltrarvi nel mondo adulto dei media. Ma appena messo il punto pensate: “Oh, un momento: questa roba devo proporla a un giornale! E come diavolo si fa?”.

PER FARSI PUBBLICARE

1. Compilate un elenco di testate

Fate una ricerca online, selezionando i giornali e le riviste più adatte al vostro testo. Non puntate solo alle testate più grosse e a diffusione nazionale: quelle ricevono valanghe di lettere ogni giorno. Prendete nota dei periodici locali e di settore, dove avreste più probabilità di venire apprezzati e pubblicati, e rivolgetevi a loro. Un curriculum di articoli già usciti sugli organi di stampa più piccoli non soltanto moltiplica le probabilità future di accedere ai giornali più grossi (che spesso ripubblicano i pezzi usciti sulle testate cittadine), ma avrà anche un impatto più immediato sulla vostra comunità. Il vostro scopo non è farvi notare dalle riviste prestigiose, ma comunicare il messaggio a chi ha bisogno di sentirlo. Le persone che vivono nella vostra città e leggono i giornali e le riviste locali, sia cartacee sia online, sono un ottimo punto di partenza. E selezionate con cura i periodici di settore: è improbabile che una rivista sportiva pubblichi una lettera aperta sui crimini di guerra in Yemen. Meglio rivolgervi a una rivista di storia militare.

2. Leggete con attenzione le linee-guida della testata

Ogni pubblicazione ha regole proprie per la presentazione di testi da parte dei lettori. Ciascuna chiederà di inserire dati particolari nell’email di accompagnamento e vorrà un certo formato per il testo accluso. E accertatevi che il vostro testo non superi il numero di parole consentito. So che Alza la voce è un manuale per disobbedienti, ma in questo caso state puntando a farvi pubblicare, perciò seguite le regole.

3. Preparate l’email di accompagnamento secondo le indicazioni della testata

Scrivete un’email specifica per ogni giornale, impostandola secondo le sue linee guida. Non inviate il vostro testo a una sfilza di destinatari, con un generico “inoltra a tutti”. Ogni testata deve ricevere un messaggio breve ma personalizzato in cui spiegate chi siete, presentate le vostre credenziali e il motivo per cui dovrebbero pubblicare il vostro testo. Qui sotto trovate l’esempio dell’email (testuale) che avevo scritto al «Seattle Times» e con cui ottenni la pubblicazione di una delle mie prime lettere aperte. Al tempo avevo quattordici anni.

Egregio Direttore,

sono una ragazza di quattordici anni e il secondo dibattito presidenziale trasmesso domenica in televisione mi ha profondamente indignata. I media sono già passati a parlare d’altro, ma io non riesco a smettere di pensarci. Ciò che abbiamo visto è gravissimo e credo sia giusto discuterne ancora.

Ho pubblicato due articoli – Piccoli scrittori crescono e Cosa non scrivere in un romanzo per ragazzi (i consigli di una ragazza) – su The Writer’s Dig, un blog del sito Writer’s Digest seguito da circa un milione di persone. Altri due articoli, A bordo campo e Non solo nastrini e bigiotteria, sono stati pubblicati nel mensile cartaceo della piattaforma Teen Ink.

Distinti saluti

Jamie Margolin

Come vedete, nel primo paragrafo chiarivo che in quanto adolescente avevo una prospettiva unica e importante su un fatto di attualità e nel secondo elencavo i miei testi già pubblicati. Però non preoccupatevi se non avete articoli precedenti da citare: bisogna pur cominciare da qualche parte! Magari potete inserire altri dettagli, per esempio le vostre esperienze nel giornale della scuola o altre attività extrascolastiche pertinenti. Comunque non è obbligatorio vantare credenziali. Ciò che conta in questa breve email è dire con parole vostre perché la vostra voce merita di essere ascoltata.

4. Rileggete con cura

Controllate l’ortografia e verificate di avere rispettato le linee guida. E prima di inviare accertatevi di avere accluso l’allegato!

5. Invio!

La vostra voce conta, la vostra storia è importante, perciò chiudete gli occhi, contate fino a tre e cliccate INVIO!

BOCCIATI

Capiterà spesso che il vostro articolo o la vostra lettera non vengano pubblicati: benvenuti nel club! Vi svelerò un segreto: io conservo su Google Drive una (grossa!) cartelletta zeppa di messaggi con cui i direttori di vari giornali avevano respinto un mio articolo. Il fatto che non vi abbiano pubblicati NON significa che la vostra voce non conta, che non siete abbastanza bravi o qualsiasi altro pensiero deprimente vi passi per la testa quando leggete quell’email di “no, grazie”. Non conosco nessun autore o attivista cui non abbiano sbattuto la porta in faccia almeno cinque volte. O quindici. O venti. Anche i giornali e le riviste devono campare, quindi non prendetela sul personale.

Ma non arrendetevi! Archiviate i messaggi di rifiuto e ritentate. Continuate a scrivere!

E se dopo qualche settimana di tentativi ancora nessuno vi ha pubblicati, pubblicatevi da soli! Lanciate un blog, contribuite alla sezione commenti dei siti online, potenziate la vostra presenza sui social network: trovate un megafono. Il mondo ha urgente bisogno di sentire la vostra voce di giovani che dicono la verità in faccia ai potenti ed esigono un cambiamento.

Dopodiché rimettevi alla tastiera e scrivete un’altra lettera aperta. Le redazioni apprezzano la tenacia e la perseveranza. Ed esercitandovi perfezionerete il vostro talento, affinerete la vostra voce e acquisirete sicurezza.

PROMOSSI!

La vostra lettera aperta o al direttore è stata pubblicata?

CONGRATULAZIONI! Scatenatevi in un balletto celebrativo e prendetevi un momento per assaporare il traguardo raggiunto. La vostra voce, la vostra storia, la vostra esperienza personale hanno trovato risonanza! Tenete a mente però che le redazioni potrebbero modificare un po’ il vostro testo per renderlo più chiaro o più succinto, perciò è possibile che la versione pubblicata non corrisponda parola per parola all’originale.

E informatevi sulla possibilità di un pagamento! A me è capitato più di una volta di pubblicare su riviste che di solito riconoscevano un compenso anche ai non professionisti, eppure non ho visto un centesimo: non ne sapevo niente, perciò non l’avevo chiesto (e dato che ero tanto giovane forse loro avevano pensato bene di approfittarsi della mia ingenuità). Con l’esperienza ho imparato a farmi valere. Il vostro lavoro merita di essere pagato, perciò informatevi!

A volte un esempio vale più di mille spiegazioni, quindi ho pensato di includere un paio di lettere aperte che ho pubblicato in passato. Potrebbero servire a darvi un’idea di come scriverle e della diversità di temi possibili.

La prima era acclusa all’email che avete già letto, a pag. 67, e fu pubblicata dal «Seattle Times». A parte i post sul blog Teen Ink, quello che leggete più avanti è il mio primo articolo ufficiale. Come vedete è molto breve, ma la mia opinione arriva forte e chiara.

Data di pubblicazione: ottobre 2016

LA POLITICA PRESIDENZIALE VISTA DA UNA QUATTORDICENNE

Indignazione di una giovane aspirante all’impegno in politica per il comportamento di Donald Trump

«I nostri figli seguono attentamente queste elezioni» ha detto Michelle Obama in un discorso sulla follia crescente della gara presidenziale del 2016. Ha ragione. I giovani vi guardano, e io sono una di loro.

I tre dibattiti tra Donald Trump e Hillary Clinton sono stati definiti i più aggressivi in assoluto nella storia recente. Concordo in pieno. Seduta davanti al televisore ho dovuto trattenermi per non lanciare il telecomando contro il muro.

A renderli particolarmente intollerabili è stata l’indifferenza di Donald Trump alle regole più basilari della buona educazione. Interrompeva di continuo la candidata e si comportava da bullo, per esempio incombendole addosso e invadendo il suo spazio personale.

Per contro la signora Clinton si è dimostrata composta e educata. Si è impegnata a rispondere in modo pacato alle domande, aspettava la fine degli interventi di Trump prima di parlare, sorrideva quando veniva insultata. La sua classe di fronte a quel trattamento scandaloso me l’ha fatta rispettare ancora di più, ma sono comunque furibonda.

È offensivo anche solo che si trovassero a condividere un palco. Mettere sullo stesso piano una donna che ha dedicato la vita alla politica e un tizio che twitta commenti sessisti alle tre del mattino è la prova che nella nostra società il doppio standard è vivo e vegeto.

È un pensiero preoccupante per una ragazza come me, che in futuro aspira a entrare in politica.

Ma l’aspetto più disgustoso del dibattito è che Trump la sta passando liscia. Ha liquidato gli abusi sessuali di cui è accusato sostenendo che «Bill Clinton ha fatto di peggio» (cioè secondo lui una donna sarebbe più responsabile delle azioni compiute dal marito venti anni prima rispetto a un uomo che quelle azioni le ha compiute lui stesso, e undici anni fa). E ha ammesso apertamente di evadere le tasse federali sul reddito.

Nonostante tutto questo, i media continuano a dargli credito. Dopo ciascuna delle sue piazzate commentano che “dimostrerà quanto vale” al prossimo dibattito.

Quali altre prove ci servono per giudicarlo? Che cosa stiamo aspettando? Insomma, se ancora non ci basta il fatto che abbia insultato le minoranze, fomentato la violenza, si sia vantato di avere commesso abusi sessuali e abbia rifiutato di accettare i risultati di un’elezione democratica, allora siamo proprio disposti a digerire qualsiasi cosa.

Quelli come Trump non cambiano. Il suo curriculum parla chiaro. L’impressione che gli spettatori possono trarre da un dibattito sarà anche soggettiva, ma i fatti sono fatti. E uno spettacolo televisivo non dovrebbe indurci a cambiare idea.

Il secondo esempio è una lettera aperta pubblicata dal «Guardian». Questa volta non si trattava di esprimere un parere politico. Ho raccontato una storia personale sugli effetti del cambiamento climatico sulla costa nordoccidentale degli Stati Uniti. Non tutte le lettere aperte servono a comunicare un’opinione. Potete parlare anche di una vostra esperienza in merito a un problema di importanza sociale. Questo tipo di lettere è un misto di articolo e narrazione, e a volte un racconto dimostra la vostra tesi in modo più convincente di un discorso astratto. Eccola qui.

Data di pubblicazione: ottobre 2018

HO QUERELATO LO STATO DI WASHINGTON PERCHÉ L’ARIA È IRRESPIRABILE. MI HANNO IGNORATA.

Un tempo io e miei amici di Seattle non passavamo l’estate ad ammalarci per l’aria malsana. Adesso sì, ed è una violazione dei nostri diritti.

Sono nata dopo l’11 settembre, perciò per me l’allarme terrorismo è la norma. Allo stesso modo vivo da sempre sotto la minaccia del cambiamento climatico, nella consapevolezza che il mondo che conosciamo sta per finire e che la mia generazione erediterà un disastro di portata apocalittica.

Mi chiamo Jamie, sono una liceale di sedici anni e insieme ad altri dodici ragazzi ho querelato lo Stato di Washington. Come mai? Perché il governatore Jay Inslee e l’intero governo dello Stato stanno fregando la mia generazione.

A parole i politici di Washington dicono di voler risolvere la crisi climatica, ma nei fatti firmano permessi per la costruzione di impianti di carburante fossile che avvelenano le comunità, distruggono gli ecosistemi, inquinano l’acqua, l’aria e la terra di cui la mia generazione e quelle che seguiranno hanno bisogno per sopravvivere.

E la cosa più assurda è che stanno distruggendo la base stessa della vita per sovvenzionare un sistema energetico assolutamente superfluo. Gli esperti di tutto il pianeta insistono da un pezzo che non c’è bisogno di carburanti fossili per soddisfare le nostre esigenze energetiche: esistono sistemi alternativi.

Un tempo, a Seattle, io e miei amici non ci ammalavamo ogni estate per lo smog. L’aria non era piena di fumo e veleni. Mentre oggi le foto dei miei amici su Instagram non li ritraggono più sdraiati al parco a godersi il sole estivo: ora indossano maschere antigas, con la scritta: «Qui non si respira». E nelle foto della città lo skyline è sparito: si vede solo una coltre di fumo.

Nei giorni peggiori, il fumo degli incendi in Canada (aggravati da estati sempre più calde e secche) ha reso la qualità dell’aria più irrespirabile che a Pechino. Trascinato dal vento, il fumo ricopre la costa nordoccidentale e ci sta soffocando.

In agosto ho passato un’intera settimana tappata in casa. La luce era sempre grigia, e non per le nubi: era il fumo. Fuori faticavo a respirare, l’aria aveva uno strano odore, soffrivo di mal di testa e mal di gola. Un tempo non era così.

E io sono sana. Per i miei amici affetti da malattie croniche è anche peggio. Alcuni sono stati ricoverati d’urgenza per insufficienza respiratoria. Ogni estate la mia città soffoca. Ed è lo stesso in tutta la costa nordoccidentale.

La Costituzione americana riconosce a ogni individuo il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità. La legge dello Stato di Washington riconosce «il diritto fondamentale e inalienabile a un ambiente sano». Ma come posso vivere la mia vita e perseguire la felicità se d’estate mi è impossibile uscire e il mio pianeta è colpito da uragani, incendi e ondate di calore senza precedenti, che causano malattie, costringono la gente ad abbandonare le proprie case e mietono migliaia di vittime?

Ecco perché, con l’aiuto dell’associazione no profit Our Children’s Trust, io e altri dodici ragazzi abbiamo intentato causa allo Stato di Washington, per avere negato ai giovani i diritti costituzionali alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità aggravando attivamente la crisi climatica.

La sentenza emessa dalla corte la settimana scorsa ha in pratica liquidato tutta la mia generazione, raccomandandoci di essere «più ottimisti» e condannandoci a mendicare dai governi diritti fondamentali come quello a un pianeta vivibile, diritti di cui le generazioni passate hanno potuto godere senza doverlo chiedere.

La corte ha accolto la richiesta del governo di archiviare la nostra denuncia. Invece di sostenere la legittima richiesta dei giovani a un futuro, lo Stato ha lottato con le unghie e con i denti per imbavagliarci, e la corte si è schierata con il suo tentativo di zittire le nostre proteste.

La cosa più deludente è che il giudice ha completamente ignorato un diritto riconosciuto e sancito dalla legge. Ecco l’articolo pertinente: «Si riconosce a ogni individuo il diritto fondamentale e inalienabile a un ambiente sano, e si attribuisce a ciascuno il dovere di contribuire a preservare e migliorare l’ambiente». È l’unico diritto definito così – fondamentale e inalienabile – dalla legge dello Stato.

Il giudice incaricato del caso non ha tenuto in alcun conto la documentazione scientifica che abbiamo presentato. Ha preferito prendere una decisione in base alle sue opinioni personali e a fonti esterne, affermando che i giovani dovrebbero essere «più ottimisti» sul futuro e accontentarsi di sperare che la generazione al potere cambi rotta. Ottimisti? E come posso essere ottimista quando la stessa protezione civile dirama la raccomandazione di non uscire perché respirare l’aria esterna è nocivo per la salute? Possibile che quel giudice non abbia mai guardato fuori dalla finestra? Come può ignorare il fumo degli incendi che ricopre la nostra città?

Quando noi giovani prendiamo posizione, i governanti non hanno scrupoli a ignorare nel modo più sfacciato e disinvolto i nostri diritti. Si limitano a darci una pacca sulla spalla, trattandoci con l’equivalente legale di un: «Torna a giocare, ragazzino. Queste sono cose da grandi: ce ne occupiamo noi». Ma della crisi climatica i “grandi” al governo dello Stato di Washington non si stanno occupando per niente.

Quella a un ambiente sano non è un’“aspirazione”, come l’ha definita il giudice. È un diritto fondamentale e inalienabile (l’unico tra tutti quelli riconosciuti dallo Stato a essere definito così), e va tutelato: lo dice la legge.

Secondo la Costituzione gli organi giudiziari del governo avrebbero un compito di vigilanza, accertando la costituzionalità delle azioni dei rami esecutivo e legislativo. È stato questo principio a rendere possibile l’abrogazione delle leggi che segregavano i bambini afroamericani nelle scuole, vietavano il matrimonio tra persone dello stesso sesso o impedivano una giusta rappresentanza nel voto.

I giovani danneggiati dal cambiamento climatico meritano la stessa attenzione. Noi non smetteremo di lottare finché non avremo ottenuto un cambiamento: ciò che chiediamo è un’esigenza vitale e un nostro preciso diritto.

Spero che questi esempi vi siano utili. Io però posso parlare solo delle mie opinioni e delle mie esperienze specifiche, perciò allargate la prospettiva. Fate una ricerca su Google con le parole chiave «lettere aperte di giovani», oppure con il nome del vostro giovane attivista preferito, e troverete una miriade di esempi diversi cui ispirarvi!

Fate buon uso della scrittura. A prescindere dalle vostre circostanze di vita e dalle risorse cui avete accesso (se non disponete di un computer potete scrivere il vostro capolavoro in biblioteca), è sempre uno strumento fondamentale per cambiare il mondo.

DEVIN HALBAL, 20 anni, She/Her

Attivista per i diritti transgender e delle comunità, stagista al centro LGBT di New York, scrittrice freelance

Jamie: Come sei diventata attivista?

Devin: Da bambina mi identificavo come maschio perché era il genere che mi era stato assegnato alla nascita. Al liceo cominciai a soffrire di gravi problemi psicologici, perché non sapevo di essere trans. Dopo il diploma presi coscienza della mia transessualità e avviai la transizione. A causa della mia identità subii un’aggressione in metropolitana.

In seguito a quell’episodio sentii il bisogno di condividere la mia storia, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui pregiudizi che colpiscono le donne trans di colore in una grande città. Scrissi un articolo per «Teen Vogue».

Dopodiché decisi di attivarmi all’interno della mia comunità, lavorando al centro LGBT del mio quartiere. Adesso mi occupo dei gruppi di sostegno per trans, perché molti di noi non sono al corrente delle risorse sanitarie e psicologiche messe a disposizione dalla città di New York.

Jamie: Qual è il tuo consiglio per i giovani attivisti?

Devin: Concentratevi su ciò che volete cambiare e mettete a frutto i vostri talenti. Se studiate medicina, agite in quel settore.

Esistono molti modi di creare comunità nella vostra città e nella vostra regione. Trovate persone affini per costruire reti di sostegno e organizzare eventi.

Non aspettate l’approvazione degli editori. Se i vostri articoli e la vostra arte non vengono pubblicati, usate Internet e i social network, diventando editori di voi stessi.

Jamie: Cosa vorresti dire ai ragazzi LGBTQ+ che aspirano a impegnarsi nell’attivismo ma non si sentono di fare coming out?

Devin: Se avete già dichiarato la vostra identità, vorrei dirvi grazie di essere voi stessi in forma visibile, pubblica e fiera. Ciò detto, la visibilità come persone LGBTQ+ comporta dei rischi, perciò ciascuno dev’essere libero di agire secondo i suoi tempi. Magari potete cominciare confidandovi con persone selezionate e in ambienti che ritenete sicuri.

È importante scrivere e riflettere su ciò che proviamo. Penso spesso alle persone trans che mi hanno preceduta, alla bellezza della mia identità e al privilegio di avere una prospettiva sul mondo diversa da quella degli altri.

Fate volontariato per un consultorio, per un’associazione no profit, per un gruppo di sostegno. Circondatevi di una comunità per sentirvi meno soli.

Usate i social per parlare delle vostre esperienze utilizzando uno pseudonimo. Online non c’è bisogno di esporsi: potete diventare attivisti senza rivelare il vostro nome. Condividendo in forma anonima la vostra arte e i vostri pensieri diventerete parte della comunità LGBTQ+ e del movimento di liberazione senza correre rischi o essere costretti a fare coming out.