La Sala Grande parve volar via, rimpicciolire, restringersi. Harry indietreggiò oltre la soglia. Non riusciva a respirare. Non ce la faceva a guardare gli altri cadaveri, a scoprire chi altri era morto per lui. Non riusciva a unirsi ai Weasley, a guardarli negli occhi: se si fosse consegnato subito, Fred forse non sarebbe morto...

Si voltò e corse su per la scalinata di marmo. Lupin, Tonks... avrebbe preferito non provare nulla... potersi strappar via il cuore, le viscere, tutto ciò che urlava dentro di lui...

Il castello era vuoto; anche i fantasmi si erano mescolati alla folla in lutto nella Sala Grande. Harry corse senza fermarsi, stringendo la fiala di cristallo che conteneva gli ultimi pensieri di Piton, e non rallentò finché non fu davanti al gargoyle di pietra a guardia dello studio del Preside.

«Parola d'ordine?»

«Silente!» rispose senza riflettere, perché era lui che voleva vedere, e con sua sorpresa il gargoyle scivolò di lato, rivelando la scala a chiocciola. Ma quando Harry irruppe nella stanza circolare, vide che qualcosa era cambiato. I ritratti appesi alle pareti erano vuoti. Non un solo preside era rimasto; evidentemente erano corsi tutti via, attraverso i quadri che tappezzavano il castello, per assistere da vicino agli eventi. Harry guardò disperato la cornice vuota del ritratto di Silente, appesa dietro la sedia del Preside, poi le voltò le spalle. Il Pensatoio di pietra era al suo posto nell'armadio: Harry lo trasportò sulla scrivania e versò i ricordi di Piton nel grande bacile con le rune incise attorno al bordo. Fuggire nella testa di qualcun altro sarebbe stato un sollievo... nemmeno i pensieri di Piton potevano essere peggio dei suoi. I ricordi vorticarono, bianchi, argentei, strani, e senza esitare, con un sentimento di disperato abbandono, come se così potesse placare il dolore che lo torturava, Harry vi si immerse. Cadde lungo disteso nella luce del sole, su un suolo tiepido. Quando si mise in piedi, scoprì che si trovava in un parco giochi quasi deserto. Un'enorme ciminiera dominava l'orizzonte. Due bambine si dondolavano sulle altalene e un ragazzino magro le osservava da dietro un gruppo di cespugli. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana camicia simile a un grembiule.

Harry si avvicinò al ragazzo. Piton non doveva avere più di nove o dieci anni, giallastro, piccolo, nervoso. Sul suo volto magro si leggeva chiaramente il desiderio con cui guardava la più piccola delle due bambine dondolare sempre più in alto, molto di più della sorella.

«Lily, non farlo!» strillò la maggiore.

Ma la bambina, arrivata nel punto più alto dell'arco, si lanciò a volo, quasi letteralmente a volo, si gettò verso il cielo con uno scoppio di risate e, invece di precipitare sull'asfalto del parco giochi, si librò nell'aria come una trapezista e vi indugiò troppo a lungo, e atterrò con troppa leggerezza.

«La mamma ti ha detto di non farlo!»

Petunia fermò l'altalena piantando i talloni dei sandali a terra con uno scricchiolio, poi balzò in piedi, le mani sui fianchi.

«La mamma ha detto che non puoi, Lily!»

«Ma non mi sono fatta niente» ribatté Lily, che ancora rideva. «Tunia, guarda. Guarda cosa so fare».

Petunia si guardò intorno. Il parco giochi era deserto a parte loro e, anche se le bambine non lo sapevano, Piton. Lily raccolse un fiore caduto dal cespuglio dietro il quale era nascosto Piton. Petunia si avvicinò, dibattuta tra la curiosità e la disapprovazione. Lily aspettò che la sorella guardasse bene, poi tese la mano aperta. Il fiore apriva e chiudeva i petali come una bizzarra ostrica con molte valve.

«Smettila!» strillò Petunia.

«Mica ti fa del male» obiettò Lily, ma poi chiuse la mano sul bocciolo e lo gettò di nuovo a terra.

«Non è giusto» protestò Petunia, ma il suo sguardo aveva seguito la caduta del fiore a terra e vi indugiava. «Come fai?» domandò, con un chiaro tono di desiderio.

«È ovvio, no?» Piton non riuscì più a trattenersi e balzò fuori dai cespugli. Petunia strillò e tornò di corsa alle altalene, ma Lily, per quanto allarmata, rimase dov'era. Piton parve pentirsi di essere uscito allo scoperto. Un cupo rossore invase le sue guance giallognole.

«Che cosa è ovvio?» chiese Lily.

Piton era agitato. Scoccò un'occhiata a Petunia che gironzolava vicino alle altalene, poi abbassò la voce e disse: «Io so cosa sei».

«Cioè?»

«Tu sei... sei una strega» sussurrò Piton.

Lei parve offesa.

«Non è una cosa carina da dire!»

Si voltò, il naso per aria, e si allontanò a grandi passi verso la sorella.

«No!» esclamò Piton. Ormai era paonazzo, e Harry si chiese come mai non si toglieva quel cappotto, sproporzionato e ridicolo, a meno che non fosse per nascondere la camiciola di sotto. Saltellò dietro le bambine, come la caricatura di un pipistrello, o di se stesso da adulto. Le sorelle lo osservarono, unite nel disprezzo, tutt'e due aggrappate a uno dei pali dell'altalena come se fosse la tana in una partita di chiapparello.

«Lo sei» insisté Piton. «Sei una strega. È un po' che ti tengo d'occhio. Ma non c'è niente di male. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago».

La risata di Petunia fu come una doccia fredda.

«Un mago!» strillò, rinfrancata dopo lo spavento per l'improvvisa apparizione. «Io so benissimo chi sei. Sei il figlio dei Piton! Abitano giù a Spinner's End, vicino al fiume» spiegò a Lily, e dal suo tono si capiva che trovava l'indirizzo poco raccomandabile. «Perché ci stai spiando?»

«Non vi spio» rispose Piton, in pieno sole, accaldato, a disagio, con i capelli sporchi. «Non te, comunque» aggiunse sprezzante. «Tu sei una Bab-bana». Anche se Petunia non capiva la parola, non poteva fraintendere il tono.

«Lily, su, andiamo via!» esclamò. Lily obbedì immediatamente alla sorella e si allontanò, scrutando torva Piton. Lui le guardò attraversare il parco giochi, e Harry, il solo rimasto a osservarlo, ne riconobbe l'amara delusione, capì che era da molto che aspettava quel momento e che era andato tutto storto...

La scena si dissolse e in un attimo si riformò. Adesso si trovava in un boschetto. Vide un fiume scintillare al sole che filtrava fra i tronchi. Gli alberi proiettavano sull'erba una pozza di fresca ombra verde. Due bambini erano seduti per terra a gambe incrociate, una di fronte all'altro. Piton si era tolto il cappotto; la sua strana camicia sembrava meno assurda in quella penombra.

«... e il Ministero può punirti se fai magie fuori dalla scuola, ti mandano delle lettere».

«Ma io le ho fatte!»

«Noi siamo a posto. Non abbiamo ancora la bacchetta. Ti lasciano stare, quando sei un bambino e non puoi farci niente. Ma a undici anni» e annuì

con aria d'importanza «cominciano a istruirti, e allora devi stare attento». Calò un breve silenzio. Lily raccolse un bastoncino e lo agitò, e Harry capì che immaginava di vederne uscire una pioggia di scintille. Poi lo lasciò cadere, si sporse verso Piton e chiese: «È vero, no? Non è uno scherzo? Petunia dice che mi racconti delle bugie. Dice che Hogwarts non esiste. È proprio vero?»

«È vero per noi» rispose Piton. «Non per lei. Ma noi riceveremo la lettera, io e te».

«Sul serio?» mormorò Lily.

«Certo» confermò Piton, e persino con i capelli tagliati male e i vestiti balordi era stranamente solenne, seduto davanti a lei, fiducioso nel proprio destino.

«E arriverà davvero con un gufo?» mormorò Lily.

«Di solito» rispose Piton. «Ma tu sei figlia di Babbani, quindi dovrà venire qualcuno della scuola a spiegarlo ai tuoi genitori».

«È diverso se si è figli di Babbani?»

Piton esitò. I suoi occhi neri, colmi di entusiasmo nella penombra verdastra, si spostarono sul volto pallido, sui capelli rosso scuro di lei.

«No» dichiarò infine. «Non è diverso».

«Meno male» sospirò Lily, tranquillizzata: era chiaro che prima era un po' preoccupata.

«Tu hai un sacco di magia» continuò Piton. «L'ho visto. Ti guardavo sempre...»

La sua voce si affievolì; Lily non stava ascoltando, ma si era distesa sul terreno coperto di foglie e osservava la volta di rami sopra di loro. Lui la studiava con lo stesso desiderio di quando la spiava nel parco giochi.

«Come vanno le cose a casa tua?» gli chiese lei.

Una piccola piega apparve fra gli occhi di Piton.

«Bene» rispose.

«Non litigano più?»

«Oh, sì, litigano» ribatté Piton. Raccolse un pugno di foglie e cominciò a strapparle, soprappensiero. «Ma fra poco me ne andrò».

«A tuo papà non piace la magia?»

«Non gli piace praticamente niente» rispose Piton.

«Severus».

Un piccolo sorriso incurvò le labbra di Piton quando lei disse il suo nome.

«Sì?»

«Parlami ancora dei Dissennatori».

«Perché?»

«Se uso la magia fuori dalla scuola...»

«Non ti danno ai Dissennatori per questo! I Dissennatori sono per chi fa cose veramente brutte. Sono le guardie della prigione magica, Azkaban. Tu non puoi finire ad Azkaban, sei troppo...»

Arrossì di nuovo e strappò altre foglie. Poi un fruscio alle spalle di Harry lo costrinse a voltarsi: Petunia, nascosta dietro un albero, aveva perso l'equilibrio.

«Tunia!» esclamò Lily, sorpresa e lieta insieme. Ma Piton balzò in piedi.

«Chi è adesso che spia?» gridò. «Cosa vuoi?»

Petunia era senza fiato, spaventata per essere stata scoperta. Harry vide che cercava qualcosa di perfido da dire.

«Che cos'è che hai addosso?» chiese infine, indicando il petto di Piton.

«La camicetta di tua mamma?»

Si udì un crac: un ramo sopra la testa di Petunia cadde. Lily urlò: il ramo colpì sulla spalla Petunia, che barcollò all'indietro e scoppiò in lacrime.

«Tunia!»

Ma la sorella stava scappando. Lily si voltò verso Piton.

«Sei stato tu?»

«No». Era insolente e spaventato insieme.

«Sì, invece!» Lei indietreggiò. «Sei stato tu! Le hai fatto male!»

«No... no, non sono stato io...»

Ma la bugia non convinse Lily: con un ultimo sguardo di fuoco corse via, dietro la sorella, e Piton rimase lì, desolato e confuso... E la scena si riformò. Harry si guardò intorno: Piton era davanti a lui, sul binario nove e tre quarti, un po' curvo, vicino a una donna magra, dal viso giallastro e acido, che gli assomigliava moltissimo. Piton fissava una famiglia di quattro persone poco lontano. Le due ragazze si erano lievemente allontanate dai genitori. Lily stava supplicando la sorella; Harry si avvicinò per ascoltare.

«... mi dispiace, Tunia, mi dispiace! Ascolta...» Le prese la mano e la strinse forte, anche se Petunia cercava di sottrarla.

«Forse quando sarò là... no, ascolta, Tunia! Forse quando sarò là riuscirò

a convincere il professor Silente a cambiare idea!»

«Io non... voglio... venirci!» esclamò Petunia, tirando la mano. «Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare a essere una... una...»

I suoi occhi sbiaditi vagarono sul marciapiede, sui gatti che miagolavano tra le braccia dei proprietari, sui gufi che sbattevano le ali e gridavano l'uno all'altro dalle gabbie, sugli studenti, alcuni già nelle lunghe divise nere, che caricavano i bauli sul treno a vapore rosso o si salutavano con grida di gioia dopo un'estate di separazione.

«... credi che io voglia essere un... un mostro?»

Gli occhi di Lily si riempirono di lacrime e Petunia riuscì a liberare la mano.

«Io non sono un mostro» pianse. «È una cosa orribile da dire».

«È là che stai andando» ribatté Petunia compiaciuta. «In una scuola speciale per mostri. Tu e quel Piton... due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza» . Lily guardò i genitori, che contemplavano con sincero piacere tutto quello che succedeva attorno al binario. Poi si rivolse alla sorella e parlò con voce bassa e rabbiosa.

«Non pensavi che fosse una scuola per mostri quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti». Petunia diventò paonazza.

«Supplicare? Io non l'ho supplicato!»

«Ho letto la sua risposta. Era molto gentile».

«Non dovevi...» sussurrò Petunia. «Era una cosa personale... come hai potuto...?»

Lily si tradì rivolgendo un mezzo sguardo a Piton. Petunia boccheggiò.

«L'ha trovata quel ragazzo! Siete entrati di nascosto in camera mia!»

«No... non di nascosto...» Adesso Lily era sulla difensiva. «Severus ha visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per...»

«A quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!» esclamò Petunia, pallida quanto era stata rossa poco prima. « Mostro! » E si precipitò dai genitori... La scena sfumò di nuovo. Piton correva lungo il corridoio dell'Espresso per Hogwarts, che sferragliava attraverso la campagna. Si era già cambiato e indossava la divisa: la prima occasione per liberarsi di quegli orrendi abiti Babbani. Finalmente si fermò, fuori da uno scompartimento in cui alcuni ragazzi chiassosi stavano chiacchierando. Rannicchiata nell'angolo vicino alla finestra c'era Lily, il volto premuto contro il vetro. Piton aprì la porta dello scompartimento e si sedette di fronte a lei. Lily gli gettò un'occhiata e poi tornò a guardare fuori. Aveva pianto.

«Non voglio parlare con te» mormorò con voce soffocata.

«Perché?»

«Tunia mi... mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente» .

«E allora?»

Lo guardò con profonda avversione.

«Allora è mia sorella!»

«È solo una...» Riuscì a trattenersi; Lily, troppo impegnata ad asciugarsi gli occhi senza farsi notare, non lo sentì.

«Ma ci stiamo andando!» esclamò lui, incapace di trattenere la gioia. «Ci siamo! Stiamo andando a Hogwarts!»

Lei annuì, stropicciandosi gli occhi, e quasi suo malgrado sorrise.

«Speriamo che tu sia una Serpeverde» continuò Piton, rinfrancato.

«Serpeverde?»

Uno dei ragazzi nello scompartimento, che fino a quel momento non aveva mostrato alcun interesse per Lily o Piton, a quella parola si voltò, e Harry, che si era concentrato sui due accanto al finestrino, riconobbe suo padre: smilzo, con i capelli neri come Piton, ma con quell'aria indefinibile di chi è stato molto curato, perfino adorato, di cui Piton era così vistosamente privo.

«Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?» chiese James al ragazzo mollemente abbandonato sul sedile di fronte al suo, e con un sussulto Harry si rese conto che era Sirius, che non sorrise.

«Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde» rispose.

«Oh, cavolo» commentò James. «E dire che mi sembravi a posto!»

Sirius ghignò.

«Forse io andrò contro la tradizione. Dove vorresti finire, se potessi scegliere?»

James alzò una spada invisibile.

« 'Grifondoro... culla dei coraggiosi di cuore!' Come mio padre». Piton fece un verso sprezzante. James si girò verso di lui.

«Qualcosa che non va?»

«No» rispose Piton, ma il suo lieve ghigno diceva il contrario. «Se preferisci i muscoli al cervello...»

«E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?» intervenne Sirius. James scoppiò in una risata fragorosa. Lily si raddrizzò nel sedile, nervosa, e guardò prima James poi Sirius, disgustata.

«Andiamo, Severus, cerchiamo un altro scompartimento».

«Ooooooooh...»

James e Sirius imitarono la sua voce altezzosa; James cercò di fare lo sgambetto a Piton.

«Ci si vede, Mocciosus!» gridò qualcuno quando la porta dello scompartimento si chiuse... E la scena ancora una volta svanì...

Harry era alle spalle di Piton, davanti ai tavoli delle Case, illuminati dalle candele, attorniati da volti rapiti. Poi la professoressa McGranitt chiamò:

«Evans, Lily!»

Guardò sua madre camminare con le gambe incerte e sedersi sullo sgabello traballante. La professoressa McGranitt le mise in testa il Cappello Parlante e, un secondo dopo essersi posato sulla chioma rosso scuro, il Cappello gridò: « Grifondoro! »

Harry sentì Piton emettere un flebile gemito. Lily si tolse il Cappello, lo diede alla professoressa McGranitt, poi corse verso i Grifondoro esultanti, ma a metà strada si girò e rivolse a Piton un rapido sguardo e un sorrisino triste. Harry vide Sirius farle posto sulla panca. Lei lo guardò, lo riconobbe, incrociò le braccia e gli voltò le spalle con decisione. L'appello riprese. Harry guardò suo padre, Lupin e Minus unirsi a Lily e Sirius al tavolo di Grifondoro. Infine, quando restava solo una dozzina di studenti da Smistare, la professoressa McGranitt chiamò Piton. Harry lo seguì allo sgabello e lo guardò mettersi in testa il Cappello.

« Serpeverde! » gridò il Cappello Parlante.

E Severus Piton andò dall'altro lato della Sala, lontano da Lily, dove i Serpeverde lo accolsero con grida di tripudio, dove Lucius Malfoy, con una spilla da prefetto che brillava sulla veste, gli diede una pacca sulla schiena e lo fece sedere accanto a sé...

E la scena mutò...

Lily e Piton passeggiavano nel cortile del castello, litigando. Harry accelerò il passo per riuscire ad ascoltare. Quando li raggiunse si rese conto che erano molto più alti: erano passati alcuni anni dallo Smistamento.

«... credevo che fossimo amici!» si stava lamentando Piton. «Credevo di essere il tuo migliore amico!»

«Lo siamo, Sev, ma non mi piace la gente con cui vai in giro! Scusa, ma detesto Avery e Mulciber! Mulciber! Che cosa ci trovi in lui, Sev? Fa venire i brividi! Lo sai cos'ha cercato di fare a Mary Macdonald l'altro giorno?»

Lily raggiunse una colonna e vi si appoggiò, fissando il volto affilato e giallastro dell'amico.

«Non era niente» disse Piton. «Era solo uno scherzo...»

«Era Magia Oscura, e se pensi che sia uno scherzo...»

«E quello che fanno Potter e i suoi amichetti?» ribatté Piton. Arrossì, incapace di nascondere il risentimento.

«Cosa c'entra Potter?» chiese Lily.

«Escono di nascosto, di notte. Ha qualcosa di strano, quel Lupin. Dov'è

che va sempre?»

«È malato» spiegò Lily. «Dicono che è malato...»

«Tutti i mesi con la luna piena?» domandò Piton.

«Conosco la tua teoria» replicò Lily, gelida. «Ma perché sei così fissato con loro? Che t'importa dove vanno di notte?»

«Sto solo cercando di farti capire che non sono meravigliosi come tutti pensano».

L'intensità del suo sguardo la fece avvampare.

«Ma non usano Magia Oscura». Lily abbassò la voce. «E tu sei un ingrato. Ho sentito cos'è successo l'altra notte. Ti sei infilato in quel tunnel vicino al Platano Picchiatore e James Potter ti ha salvato da quello che c'è là

sotto, qualunque cosa sia...»

Il volto di Piton si contorse in una smorfia. Farfugliò: «Salvato? Salvato? Credi che abbia fatto l'eroe? Stava salvando se stesso e anche i suoi amici! Tu non... io non ti permetterò...»

«Permettermi? Permettermi? »

Gli occhi verde chiaro di Lily erano ridotti a due fessure. Piton fece subito marcia indietro.

«Non volevo dire... è solo che non voglio che ti prendano in giro... gli piaci, tu piaci a James Potter!» Sembrava che le parole gli venissero strappate contro la sua volontà. «E non è... tutti pensano... il Grande Campione di Quidditch...» L'amarezza e il disgusto lo rendevano incoerente, e le sopracciglia di Lily erano sempre più inarcate.

«So benissimo che James Potter è un arrogante» lo interruppe. «Non ho bisogno che me lo dica tu. Ma il modo di divertirsi di Mulciber e Avery è

malvagio. Malvagio, Sev. Non capisco come fai a essere loro amico». Harry non pensava che Piton avesse nemmeno sentito le sue critiche su Avery e Mulciber. Appena Lily aveva parlato male di James Potter, si era rilassato, e nel suo passo c'era una nuova baldanza...

La scena svanì...

Piton usciva dalla Sala Grande, dopo aver sostenuto l'esame di G.U.F.O. in Difesa contro le Arti Oscure, si allontanava dal castello e andava, soprappensiero, verso la betulla sotto la quale erano seduti James, Sirius, Lupin e Minus. Ma Harry questa volta si tenne a distanza, perché sapeva che cosa era successo dopo che James aveva sollevato Severus a mezz'aria e lo aveva insultato; sapeva che cosa era successo e che cosa era stato detto e non aveva voglia di risentirlo. Vide Lily raggiungere il gruppo e difendere Piton. Da lontano udì Piton urlarle contro, umiliato e furente, le parole imperdonabili: « Schifosa Mezzosangue» . La scena cambiò...

«Mi dispiace».

«Non mi interessa».

«Mi dispiace!»

«Risparmia il fiato».

Era notte. Lily, in vestaglia, era davanti al ritratto della Signora Grassa, a braccia incrociate, all'ingresso della Torre di Grifondoro.

«Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui».

«L'avrei fatto. Non volevo chiamarti schifosa Mezzosangue, mi è...»

«... scappato?» Non c'era pietà nel tono di Lily. «Troppo tardi. Ti ho giu-stificato per anni. Nessuno dei miei amici riesce a capire come mai ti rivolgo la parola. Tu e i tuoi cari Mangiamorte... vedi, non lo neghi nemmeno! Non neghi nemmeno quello che volete diventare! Non vedi l'ora di unirti a Tu-Sai-Chi, vero?»

Lui aprì la bocca, ma la richiuse senza aver parlato.

«Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia».

«No... senti, io non volevo...»

«... chiamarmi schifosa Mezzosangue? Ma chiami così tutti quelli come me, Severus. Perché io dovrei essere diversa?»

Piton stava per ribattere, ma con uno sguardo sprezzante lei si voltò e varcò il buco del ritratto...

Il corridoio sparì, e la scena impiegò un po' più di tempo per ridefinirsi: Harry volò tra forme e colori mutevoli finché i dintorni si solidificarono di nuovo, e si ritrovò su una collina desolata, fredda e buia, col vento che sibilava tra i rami dei pochi alberi spogli. Piton adulto ansimava, voltandosi, la bacchetta stretta in mano, in attesa di qualcosa o qualcuno... la sua paura contagiò Harry: pur sapendo di non correre alcun rischio, si guardò indietro, chiedendosi che cosa stesse aspettando Piton... Poi nell'aria balenò una luce bianca accecante e frastagliata: Harry pensò

a un fulmine, ma Piton cadde in ginocchio e la bacchetta gli scivolò di mano.

«Non mi uccida!»

«Non era mia intenzione».

Il rumore della Materializzazione di Silente era stato coperto dall'ululato del vento tra i rami. Stava davanti a Piton, la veste svolazzante e il viso illuminato dal basso dalla luce della bacchetta.

«Allora, Severus? Che messaggio ha Lord Voldemort per me?»

«Nessun... nessun messaggio... sono qui per conto mio!»

Piton si tormentava le mani: sembrava un folle, con i capelli neri che gli sventolavano in faccia.

«Io... io vengo con un avvertimento... no, una richiesta... la prego...»

Silente agitò la bacchetta. Foglie e rami continuarono ad agitarsi nella notte attorno a loro, ma dove loro due si fronteggiavano calò il silenzio.

«Quale richiesta potrebbe farmi un Mangiamorte?»

«La... la profezia... la predizione... la Cooman...»

«Ah, sì» fece Silente. «Quanto hai riferito a Lord Voldemort?»

«Tutto... tutto quello che ho sentito!» rispose Piton. «È per questo... è

per questo motivo... lui pensa che sia Lily Evans!»

«La profezia non parla di una donna» obiettò Silente, «ma di un bambino maschio nato alla fine di luglio...»

«Sa cosa voglio dire! Lui pensa che si tratti di suo figlio, le darà la caccia... li ucciderà tutti...»

«Se lei è così importante per te» ribatté Silente, «Lord Voldemort la risparmierà, no? Non puoi chiedere pietà per la madre in cambio del figlio?»

«Io ho... io gliel'ho chiesto...»

«Tu mi disgusti» commentò Silente, e Harry non aveva mai sentito tanto disprezzo nella sua voce. Piton parve rimpicciolire.

«Quindi non t'importa se suo marito e suo figlio muoiono? Possono morire, purché tu ottenga ciò che desideri?»

Piton tacque, continuando a guardare Silente.

«Allora li nasconda tutti» gracchiò infine. «La metta... li metta al sicuro. La prego».

«E tu che cosa mi darai in cambio, Severus?»

«In... in cambio?» Piton guardò Silente a bocca aperta e Harry si aspettava che protestasse, ma dopo un lungo istante rispose: «Qualunque cosa». La cima della collina svanì e Harry si ritrovò nello studio di Silente, e qualcosa o qualcuno esalava un lamento terribile, da animale ferito. Piton era chino in avanti su una sedia e Silente, in piedi accanto a lui, lo guardava cupo. Dopo qualche istante Piton alzò il viso: rispetto all'uomo sulla collina spazzata dal vento sembrava aver vissuto cento anni di dolore.

«Credevo... che lei... l'avrebbe... protetta...»

«Lei e James hanno riposto la loro fiducia nella persona sbagliata» osservò Silente. «Più o meno come te, Severus. Non speravi che Lord Voldemort la risparmiasse?»

Piton respirava appena.

«Suo figlio è sopravvissuto» aggiunse Silente.

Con uno scatto della testa, Piton parve scacciar via una mosca molesta.

«Suo figlio è vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi. Ricordi la forma e il colore degli occhi di Lily Evans, non è vero?»

«No!» urlò Piton. «Perduta... morta...»

«È rimorso, Severus?»

«Vorrei... vorrei essere morto io...»

«E a che cosa sarebbe servito, e a chi?» ribatté Silente, gelido. «Se amavi Lily Evans, se davvero l'amavi, allora la tua strada è tracciata». Piton sembrava guardarlo da dietro un velo di dolore e le parole di Silente impiegarono molto tempo a raggiungerlo.

«Cosa... cosa vuole dire?»

«Sai come e perché è morta. Fa' che non sia stato invano. Aiutami a proteggere il figlio di Lily» .

«Non ha bisogno di protezione. Il Signore Oscuro se n'è andato...»

«... il Signore Oscuro tornerà e Harry Potter sarà in enorme pericolo...»

Dopo una lunga pausa, lentamente Piton riprese il controllo di sé e del proprio respiro. Alla fine parlò: «Molto bene. Molto bene. Ma non lo dica... non lo dica mai a nessuno, Silente! Deve restare fra noi! Non posso sopportare... soprattutto il figlio di Potter... voglio la sua parola!»

«Vuoi la mia parola, Severus, che non rivelerò mai la parte migliore di te?» Silente sospirò, guardando il volto feroce e addolorato di Piton. «Se proprio insisti...»

Lo studio si dissolse ma si riformò all'istante. Piton lo misurava a grandi passi davanti a Silente.

«... mediocre, arrogante come suo padre, ribelle a ogni regola, compiaciuto di scoprirsi famoso, avido di attenzione e impertinente...»

«Tu vedi quello che vuoi vedere, Severus» replicò Silente, senza alzare lo sguardo da Trasfigurazione Oggi. «Altri insegnanti mi dicono che è

modesto, piacevole e dotato di un certo talento. Personalmente lo trovo un ottimo ragazzo».

Silente girò una pagina e aggiunse, sempre senza guardarlo: «Tieni d'occhio Raptor, d'accordo?»

Un vortice di colore, poi tutto si fece buio: Piton e Silente erano nella Sala d'Ingresso, un po' appartati, e gli ultimi tiratardi del Ballo del Ceppo sfilavano davanti a loro, diretti ai dormitori.

«Allora?» mormorò Silente.

«Anche il Marchio di Karkaroff sta diventando scuro. È terrorizzato, teme una vendetta; sai quanto ha collaborato col Ministero dopo la caduta del Signore Oscuro». Piton guardò di sghembo il profilo irregolare di Silente. «Karkaroff vuole fuggire se il Marchio si accende».

«Davvero?» sussurrò Silente, mentre Fleur Delacour e Roger Davies rientravano dal parco ridacchiando. «E tu sei tentato di fare lo stesso?»

«No» rispose Piton, gli occhi neri puntati su Fleur e Roger che si allontanavano. «Non sono così vigliacco».

«No» convenne Silente. «Sei un uomo molto più coraggioso di Igor Karkaroff. Sai, a volte credo che lo Smistamento avvenga troppo presto...»

Si allontanò, lasciando Piton basito...

E Harry si ritrovò di nuovo nello studio del Preside. Era notte e Silente era afflosciato su un bracciolo della poltrona simile a un trono dietro la scrivania, semisvenuto. La mano destra gli penzolava lungo il fianco, nera e bruciata. Piton borbottava incantesimi, puntando la bacchetta verso il polso ferito, mentre con la sinistra versava in gola a Silente un calice colmo di una densa pozione dorata. Dopo qualche istante, le palpebre di Silente tremarono e si aprirono.

«Perché» chiese Piton senza preamboli, «perché ti sei messo quell'anello? Contiene una maledizione, sono sicuro che lo sapevi. Perché ti sei azzardato anche solo a toccarlo?»

Sulla scrivania davanti a Silente c'era l'anello di Orvoloson Gaunt. Era spezzato; accanto, la spada di Grifondoro.

Silente fece una smorfia.

«Io... sono stato uno sciocco. Terribilmente tentato...»

«Tentato da cosa?»

Silente non rispose.

«È un miracolo che tu sia riuscito a tornare qui!» Piton era furibondo.

«Quell'anello conteneva una maledizione di straordinaria potenza e possiamo solo sperare di limitarne il danno; l'ho circoscritta a una sola mano, per il momento...»

Silente alzò la mano nera e inutile, e la osservò come fosse un'interessante rarità.

«Ottimo lavoro, Severus. Quanto tempo credi che mi resti?»

Il tono di Silente era tranquillissimo; sembrava che si informasse sulle previsioni meteo. Piton esitò, poi rispose: «Non lo so. Forse un anno. Non c'è modo di bloccare per sempre un incantesimo del genere. Si diffonderà, alla fine, è il tipo di maledizione che si rafforza col tempo». Silente sorrise. La notizia che aveva meno di un anno di vita sembrava una faccenda di scarsissimo o nessun interesse.

«Sono fortunato, molto fortunato, ad avere te, Severus».

«Se solo mi avessi mandato a chiamare prima, forse avrei potuto fare di più, guadagnare più tempo!» esclamò Piton, furioso. Guardò l'anello spezzato e la spada. «Credevi che spezzando l'anello avresti infranto la maledizione?»

«Qualcosa del genere... deliravo, non c'è dubbio...» rispose Silente. Con uno sforzo, si raddrizzò nella poltrona. «Be', insomma, questo rende le cose molto più semplici». Piton parve decisamente perplesso. Silente sorrise.

«Mi riferisco ai progetti di Lord Voldemort su di me. Il suo piano di farmi uccidere da quel povero giovane Malfoy».

Piton si sedette sulla sedia che Harry aveva occupato tanto spesso, al di là della scrivania, di fronte a Silente. Harry capì che voleva parlare ancora della mano maledetta del Preside, ma quest'ultimo la alzò in un garbato rifiuto di discuterne oltre. Accigliato, Piton osservò: «Il Signore Oscuro non si aspetta che Draco ci riesca. È solo una punizione per i recenti insuccessi di Lucius. Una lenta tortura per i genitori di Draco, che lo guarderanno fallire e pagare per questo».

«In breve, il ragazzo ha sul capo una sentenza di morte sicura quanto la mia» commentò Silente. «Ora, suppongo che il naturale erede del compito, quando Draco avrà fallito, debba essere tu».

Una breve pausa.

«Credo che questo sia il piano del Signore Oscuro».

«Lord Voldemort prevede un momento nel prossimo futuro in cui non avrà bisogno di una spia a Hogwarts?»

«Lui è convinto che presto la scuola sarà nelle sue mani, sì».

«E se effettivamente vi cade» proseguì Silente, quasi come se fosse un dettaglio di scarsa rilevanza, «ho la tua parola che farai tutto ciò che è in tuo potere per proteggere gli studenti di Hogwarts?»

Piton rispose con un rigido cenno di assenso.

«Bene. Allora. La tua priorità è scoprire cosa sta facendo Draco. Un ragazzino spaventato è un pericolo per sé e per gli altri. Offrigli il tuo aiuto e la tua guida, dovrebbe accettare, tu gli piaci...»

«... molto meno da quando suo padre non è più nelle grazie del Signore Oscuro. Draco attribuisce la colpa a me, crede che io abbia usurpato la posizione di Lucius».

«Comunque devi tentare. Sono meno preoccupato per me stesso che per le vittime accidentali dei piani che potrebbe architettare il ragazzo. In definitiva, c'è una sola cosa da fare, se vogliamo salvarlo dall'ira di Lord Voldemort». Piton inarcò le sopracciglia e chiese, in tono sardonico: «Vuoi lasciare che ti uccida?»

«Certo che no. Devi uccidermi tu».

Calò un lungo silenzio, interrotto solo da uno strano ticchettio. Fanny la fenice stava becchettando un osso di seppia.

«Vuoi che lo faccia subito?» chiese Piton, ironico. «O hai bisogno di qualche istante per comporre il tuo epitaffio?»

«Oh, non ancora» sorrise Silente. «Oserei dire che il momento giusto si rivelerà a tempo debito. Considerando quanto è successo stanotte» e indicò

la propria mano raggrinzita, «possiamo essere certi che accadrà entro un anno».

«Se non ti importa di morire» insisté Piton con durezza, «perché non lasci che sia Draco a ucciderti?»

«L'anima di quel ragazzo non è ancora così guastata» spiegò Silente.

«Non voglio che si spezzi per colpa mia».

«E la mia anima, Silente? La mia?»

«Tu solo sai se evitare a un vecchio sofferenza e umiliazione sarà un danno per la tua anima» replicò Silente. «Ti chiedo questo grandissimo favore, Severus, perché la mia morte si avvicina, quanto è certo che i Cannoni di Chudley quest'anno finiranno ultimi in classifica. Ti dirò che preferisco una dipartita rapida e indolore all'operazione lunga e cruenta che risulterebbe se, per esempio, se ne occupasse Fenrir Greyback... ho sentito che Voldemort l'ha reclutato. O la cara Bellatrix, a cui piace giocare col cibo prima di mangiarlo».

Il suo tono era leggero ma i suoi occhi azzurri trafiggevano Piton come spesso avevano fatto con Harry, come se vedessero l'anima di cui stavano discutendo. Infine Piton annuì di nuovo.

Silente parve soddisfatto.

«Grazie, Severus...»

L'ufficio scomparve. Piton e Silente passeggiavano insieme nel parco deserto del castello, al crepuscolo.

«Che cosa fate tu e Potter, tutte quelle sere che vi rinchiudete insieme?»

chiese all'improvviso Piton.

Silente sembrava stanco.

«Perché? Non vorrai infliggergli altre punizioni, Piton? Tra poco quel ragazzo passerà più tempo in castigo che fuori».

«È tutto suo padre...»

«Nell'aspetto, forse, ma la sua natura profonda è più simile a quella di sua madre. Trascorro del tempo con Harry perché ho faccende di cui devo parlare con lui, informazioni che gli devo passare prima che sia troppo tardi».

«Informazioni» ripeté Piton. «Ti fidi di lui... e non di me».

«Non è questione di fiducia. Come entrambi sappiamo, ho pochissimo tempo. È fondamentale che trasmetta al ragazzo abbastanza indicazioni perché possa fare quello che deve».

«E perché io non posso avere le stesse indicazioni?»

«Preferisco non affidare tutti i miei segreti a una sola persona, soprattutto non a una che trascorre tanto tempo accanto a Lord Voldemort».

«Lo faccio su tuo ordine!»

«E lo fai molto bene. Non credere che sottovaluti il pericolo costante a cui ti esponi, Severus. Passare a Voldemort quelle che sembrano informazioni preziose nascondendo l'essenziale è un compito che non affiderei a nessun altro che a te».

«Eppure confidi molto di più a un ragazzo incapace in Occlumanzia, la cui magia è mediocre e che ha un legame diretto con la mente del Signore Oscuro!»

«Voldemort teme quel legame» ribatté Silente. «Non molto tempo fa ha avuto un piccolo assaggio di cosa significa per lui condividere la mente di Harry. Un dolore che non aveva mai provato. Non cercherà ancora di possedere Harry, ne sono certo. Non in quel modo».

«Non capisco».

«L'anima di Lord Voldemort, mutilata com'è, non sopporta un contatto stretto con un'anima come quella di Harry. Come una lingua sull'acciaio ghiacciato, come la carne nel fuoco...»

«Anime? Stavamo parlando di menti!»

«Nel caso di Harry e Lord Voldemort, parlare di una è parlare dell'altra». Silente si guardò intorno per controllare che fossero soli. Erano ormai vicini alla Foresta Proibita, ma non c'era nessuno.

«Dopo che mi avrai ucciso, Severus...»

«Tu rifiuti di dirmi tutto, ma ti aspetti da me quel favore da nulla!» sibilò Piton, e il volto scarno si accese di una rabbia palpabile. «Dai molto per scontato, Silente! Forse ho cambiato idea!»

«Mi hai dato la tua parola, Severus. E già che stiamo parlando dei favori che mi devi, mi pareva che tu avessi promesso di tenere d'occhio il tuo giovane amico Serpeverde...»

Piton era furente, astioso. Silente sospirò.

«Vieni nel mio studio stanotte, Severus, alle undici, e non ti lamenterai più che non ho fiducia in te...»

Erano di nuovo nello studio di Silente, le finestre buie, Fanny silenziosa, e Piton sedeva immobile mentre Silente parlava camminando attorno a lui.

«Harry non deve sapere, fino all'ultimo, finché non sarà necessario, altrimenti come potrebbe avere la forza di fare ciò che deve essere fatto?»

«Ma cosa deve fare?»

«Questo resta fra me e lui. Adesso ascoltami bene, Severus. Verrà il momento, dopo la mia morte... non discutere, non interrompermi! Verrà il momento in cui Lord Voldemort temerà per la vita del suo serpente».

«Nagini?» Piton era esterrefatto.

«Precisamente. Se Lord Voldemort cesserà di mandare Nagini a eseguire i suoi ordini, ma la terrà al sicuro accanto a sé, sotto protezione magica, allora credo che sarà bene dirlo a Harry».

«Dirgli cosa?»

Silente trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.

«Dirgli che la notte che Lord Voldemort cercò di ucciderlo e Lily interpose la propria vita tra di loro come uno scudo, l'Anatema che Uccide gli rimbalzò addosso: un frammento dell'anima di Voldemort fu violentemente separato e si agganciò alla sola anima vivente rimasta nella casa che crollava. Parte di Lord Voldemort vive dentro Harry, ed è questa che gli dà

il potere di parlare con i serpenti e un legame con la mente di Voldemort che non ha mai compreso. E finché quel frammento di anima, di cui Voldemort non sente la mancanza, resta aggrappato a Harry e da lui protetto, Lord Voldemort non può morire».

A Harry parve di osservare i due uomini dall'estremità di un lungo tunnel: erano lontanissimi e le loro voci echeggiavano in modo bizzarro nelle sue orecchie.

«Quindi il ragazzo... il ragazzo deve morire?» chiese Piton, tranquillo.

«E deve ucciderlo Voldemort in persona, Severus. Questo è fondamentale». Un altro lungo silenzio. Poi Piton riprese: «Credevo... in tutti questi anni... che lo proteggessimo per lei. Per Lily».

«L'abbiamo protetto perché era essenziale dargli un'istruzione, crescerlo, fargli mettere alla prova le proprie forze» spiegò Silente, sempre a occhi chiusi. «Nel frattempo il legame tra i due diventa sempre più forte, una crescita parassitica: a volte ho pensato che lui stesso lo sospetti. Se lo conosco, avrà fatto di tutto perché, quando deciderà di andare incontro alla morte, questa sia davvero la fine di Voldemort».

Silente aprì gli occhi. Piton era sconvolto.

«L'hai tenuto in vita perché possa morire al momento giusto?»

«Non esserne stupito, Severus. Quanti uomini e donne hai visto morire?»

«Di recente, solo quelli che non sono riuscito a salvare» rispose Piton. Si alzò. «Tu mi hai usato».

«Sarebbe a dire?»

«Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che l'hai allevato come una bestia da macello...»

«Ma è commovente, Severus» osservò Silente, serio. «Ti sei affezionato al ragazzo, dopotutto?»

« A lui? » urlò Piton. « Expecto Patronum! »

Dalla punta della sua bacchetta affiorò la cerva d'argento: atterrò sul pavimento dell'ufficio, fece un balzo e si tuffò fuori dalla finestra. Silente la guardò volar via e quando il suo bagliore argenteo svanì si rivolse a Piton, con gli occhi pieni di lacrime.

«Dopo tutto questo tempo?»

«Sempre» rispose Piton.

E la scena cambiò. Piton parlava col ritratto di Silente appeso dietro la sua scrivania.

«Devi riferire a Voldemort la data esatta della partenza di Harry da casa degli zii» disse Silente. «Non farlo susciterebbe dei sospetti, visto che Voldemort ti crede così bene informato. Tuttavia, devi dare a qualcuno l'idea dei sosia... ritengo che possa garantire a Harry l'incolumità. Prova a Confondere Mundungus Fletcher. E Severus, se sarai costretto a prendere parte all'inseguimento, vedi di recitare la tua parte in modo convincente... Ho bisogno che tu resti nelle grazie di Lord Voldemort il più a lungo possibile, o Hogwarts sarà alla mercé dei Carrow...»

Ed ecco Piton in una taverna sconosciuta a confabulare con Mundungus, il cui volto era curiosamente privo di espressione, mentre quello di Piton era accigliato e concentrato.

«Devi suggerire all'Ordine della Fenice» mormorava «di usare dei sosia. Pozione Polisucco. Dei Potter identici. È l'unica soluzione. Dimenticherai che te l'ho suggerito io. La proporrai come idea tua. Chiaro?»

«Chiaro» ripeté Mundungus, lo sguardo smarrito... E poi Harry volava accanto a Piton su un manico di scopa in una notte limpida: era accompagnato da altri Mangiamorte incappucciati e davanti a loro c'erano Lupin e un Harry che in verità era George... un Mangiamorte alzò la bacchetta e la puntò sulla schiena di Lupin...

« Sectumsempra! » urlò Piton.

Ma l'incantesimo diretto alla mano del Mangiamorte la mancò e colpì

George...

Un attimo dopo, Piton era in ginocchio nella vecchia camera di Sirius. Stava leggendo la lettera di Lily e dalla punta del naso adunco gli colavano lacrime. La seconda pagina recava solo poche parole:

possa mai essere stato amico di Gellert Grindelwald. Personalmente, sono convinta che stia perdendo il senno!

Con tantissimo affetto,

Lily

Piton prese la pagina con la firma di Lily e il suo affetto, e la infilò sotto la veste. Poi strappò in due la foto che aveva in mano e tenne per sé la metà in cui Lily rideva, gettando quella con James e Harry sul pavimento, sotto il cassettone... E Piton era di nuovo nello studio del Preside quando Phineas Nigellus entrò di corsa nel suo ritratto.

«Preside! Sono nella Foresta di Dean! La Nata Babbana...»

«Non usare quella parola!»

«... la Granger, allora, ha nominato il posto quando ha aperto la borsetta e io l'ho sentita!»

«Bene. Molto bene!» gridò il ritratto di Silente dietro la poltrona di Piton. «Ora, Severus, la spada! Non dimenticare che dev'essere presa in condizioni di necessità e valore... e non deve sapere che sei tu a dargliela! Se Voldemort dovesse leggere la mente di Harry e scoprire che lo aiuti...»

«Lo so» rispose Piton asciutto. Si avvicinò al ritratto di Silente e tirò da un lato della cornice. Si aprì, rivelando una cavità nascosta, dalla quale prese la spada di Grifondoro.

«E ancora non mi vuoi dire perché è così importante dare la spada a Potter?» chiese Piton, gettandosi addosso un mantello da viaggio.

«No, non credo» replicò il ritratto di Silente. «Lui saprà cosa farne. Severus, fai molta attenzione, potrebbero non apprezzare la tua comparsa dopo l'incidente a George Weasley...»

Piton si voltò sulla soglia.

«Non preoccuparti, Silente» ribatté, imperturbabile. «Ho un piano...»

E chiuse la porta. Harry uscì dal Pensatoio e qualche istante dopo era disteso sul tappeto di quella stessa stanza: Piton poteva essere appena uscito.

CAPITOLO 34

ANCORA LA FORESTA

Finalmente, la verità. Disteso con la faccia nel tappeto polveroso dello studio dove un tempo aveva creduto di apprendere i segreti della vittoria, Harry capì infine che non doveva sopravvivere. Il suo compito era dirigersi tranquillamente nelle braccia accoglienti della Morte. Sulla strada, doveva distruggere gli ultimi legami di Voldemort con la vita, così che quando finalmente si fosse offerto a lui, senza nemmeno alzare la bacchetta per difendersi, l'epilogo sarebbe stato netto, e ciò che sarebbe dovuto accadere a Godric's Hollow si sarebbe compiuto: nessuno dei due sarebbe vissuto, nessuno dei due poteva sopravvivere.

Sentì il cuore battere forte nel petto. Strano che, nel terrore della morte, pompasse più forte, tenendolo energicamente in vita. Ma doveva fermarsi, e presto. I suoi battiti erano contati. Quanti ne restavano, adesso che stava per alzarsi e attraversare il castello per l'ultima volta, uscire nel parco e andare nella Foresta?

Il terrore gli si rovesciò addosso: disteso a terra, sentiva dentro di sé quel tamburo di marcia funebre. Sarebbe stato doloroso? Tutte le volte che aveva creduto che stesse per succedere ed era scampato, non aveva mai pensato veramente alla cosa in sé: la volontà di vivere era sempre stata più forte della paura della morte. Ma ora non gli venne in mente di fuggire, di correre più veloce di Voldemort. Era finita, lo sapeva, e restava solo la cosa in sé: morire.

Se solo fosse successo quella notte d'estate che era uscito per l'ultima volta dal numero quattro di Privet Drive, quando invece la nobile bacchetta di piuma di fenice l'aveva salvato! Se avesse potuto morire come Edvige, così in fretta da non rendersene conto! Se si fosse potuto gettare davanti a una bacchetta per salvare una persona amata... invidiava perfino la morte dei suoi genitori. Quella passeggiata a sangue freddo verso la propria fine avrebbe richiesto un altro genere di coraggio. Sentì le dita tremare e fece uno sforzo per controllarle, anche se nessuno poteva vederlo; i ritratti alle pareti erano vuoti.

Lentamente, molto lentamente, si alzò a sedere e si sentì più vivo, più

consapevole che mai del suo corpo vivente. Perché non si era mai reso conto del miracolo della propria esistenza, cervello e nervi e cuore pulsante? Tutto finito... o almeno, lui non ci sarebbe stato più. Il suo respiro divenne lento e profondo, aveva la bocca e la gola completamente asciutte, ma anche gli occhi.

Il tradimento di Silente non era quasi nulla. Era ovvio che esisteva un piano più grande; Harry era stato solo troppo stupido per vederlo, ormai lo capiva. Non aveva mai messo in dubbio l'idea che Silente lo volesse vivo. Ora sapeva che la durata della sua vita era sempre stata determinata da quanto tempo sarebbe servito per eliminare tutti gli Horcrux. Silente aveva passato a lui il compito di distruggerli e lui, obbediente, aveva tagliato uno dopo l'altro i legami che univano non solo Voldemort, ma se stesso, alla vita! Che finezza, che eleganza, non sprecare altre vite, ma affidare il pericoloso compito al ragazzo che era già destinato al macello, la cui morte non sarebbe stata una calamità, ma un altro colpo sferrato a Voldemort. E Silente sapeva che Harry non si sarebbe sottratto, che avrebbe continuato sino alla fine, anche se era la sua fine, perché si era preso il disturbo di imparare a conoscerlo. Silente sapeva, come Voldemort, che Harry non avrebbe permesso a nessun altro di morire per lui, una volta scoperto che era in suo potere impedirlo. Le immagini dei cadaveri di Fred, Lupin e Tonks stesi nella Sala Grande gli tornarono prepotenti davanti agli occhi e per un attimo non riuscì quasi a respirare: la Morte scalpitava... Ma Silente l'aveva sopravvalutato. Aveva fallito: il serpente era ancora vivo. Sarebbe rimasto un Horcrux a legare Voldemort alla terra, anche dopo la morte di Harry. Certo, rendeva il compito molto più facile per qualcun altro. Chissà chi... Ron e Hermione sapevano che cosa fare, naturalmente... ecco perché Silente aveva voluto che si confidasse con altre due persone... in modo che, se lui fosse andato incontro al proprio destino un po' troppo presto, loro potessero continuare...

Come la pioggia contro una finestra fredda, questi pensieri tamburellavano sulla dura superficie dell'incontrovertibile verità: doveva morire. Io devo morire. Doveva finire.

Ron e Hermione sembravano molto lontani, in un paese dall'altra parte del mondo; gli parve di averli lasciati da tantissimo tempo. Niente addii, niente spiegazioni, non aveva dubbi. Era un viaggio che non potevano intraprendere insieme e i loro tentativi di fermarlo avrebbero solo sprecato tempo prezioso. Guardò l'orologio d'oro ammaccato che aveva ricevuto in dono per il suo diciassettesimo compleanno. Quasi metà dell'ora concessa da Voldemort per la sua resa era passata.

Si alzò. Il cuore gli sbatteva contro le costole come un uccello agitato. Forse sapeva che gli restava poco tempo, forse era deciso a completare tutti i battiti di una vita prima della fine. Chiuse la porta dell'ufficio senza guardarsi indietro.

Il castello era deserto. Si sentì come uno spettro ad attraversarlo da solo, come se fosse già morto. Le cornici dei ritratti erano ancora vuote; ovunque aleggiava una calma inquietante, come se tutta la linfa vitale rimasta fosse concentrata nella Sala Grande, dove erano radunati i morti e coloro che li piangevano.

Harry si avvolse nel Mantello dell'Invisibilità e scese un piano dopo l'altro, poi la scalinata di marmo fino alla Sala d'Ingresso. Forse una piccola parte di lui sperava che qualcuno avvertisse la sua presenza, che lo vedesse, che lo fermasse, ma il Mantello era come sempre impenetrabile, perfetto, e Harry raggiunse senza difficoltà il portone. Poi Neville per poco non lo urtò. Era con un altro e trasportavano un cadavere. Harry abbassò lo sguardo e avvertì un'altra fitta allo stomaco: Colin Canon, anche se minorenne, doveva essere riuscito a sgattaiolare indietro come Malfoy, Tiger e Goyle. Era piccolissimo da morto.

«Sai cosa? Ce la faccio da solo, Neville» disse Oliver Baston. Si gettò

Colin sulla spalla e lo portò nella Sala Grande.

Neville si appoggiò alla cornice della porta per un attimo e si asciugò la fronte col dorso della mano. Sembrava un vecchio. Poi ridiscese i gradini e avanzò nel buio per recuperare altri corpi.

Harry gettò un'ultima occhiata all'ingresso della Sala Grande. Chi cercava di dare e ricevere conforto, chi beveva, chi s'inginocchiava accanto ai morti. Non vide nessuna delle persone che amava, nessuna traccia di Hermione, Ron, Ginny o degli altri Weasley, o di Luna. Sentì che avrebbe volentieri passato tutto il tempo che gli restava a guardarli un'ultima volta; ma poi avrebbe avuto la forza di distogliere lo sguardo? Meglio così. Scese i gradini e si trovò al buio. Erano quasi le quattro del mattino e l'immobilità mortale del parco dava l'impressione che tutto trattenesse il fiato, in attesa di vedere se lui sarebbe stato capace di fare quello che doveva. Harry si avvicinò a Neville, che era chino sopra un altro cadavere.

«Neville».

«Cavolo, Harry, mi hai fatto prendere un colpo!»

Harry si era tolto il Mantello: l'idea gli era venuta dal nulla, nata dal desiderio di essere assolutamente certo.

«Dove stai andando da solo?» gli chiese Neville, sospettoso.

«Fa parte del piano» rispose Harry. «Devo fare una cosa. Ascolta... Neville...»

«Harry!» Neville si spaventò. «Harry, non starai pensando di consegnarti?»

«No» mentì Harry con disinvoltura. «Certo che no... è un'altra cosa. Ma devo sparire per un po'. Sai il serpente di Voldemort, Neville? Ha un ser-pente enorme... lo chiama Nagini...»

«Ho sentito, sì... allora?»

«Bisogna ucciderlo. Ron e Hermione lo sanno, ma nel caso che non...»

L'orrore di quella ipotesi lo soffocò per un attimo, impedendogli di parlare. Ma si riprese subito: era un punto cruciale, doveva fare come Silente, mantenere il sangue freddo, assicurarsi che ci fossero delle riserve, altri che potessero continuare. Silente era morto sapendo che altre tre persone erano a conoscenza degli Horcrux; ora Neville avrebbe preso il posto di Harry: sarebbero stati ancora in tre a parte del segreto.

«Nel caso che siano... impegnati... e tu riesca...»

«Uccidere il serpente?»

«Uccidere il serpente» ripeté Harry.

«D'accordo, Harry. Tu stai bene, vero?»

«Sto bene. Grazie, Neville».

Ma quando stava per andarsene, Neville lo afferrò per il polso.

«Continueremo tutti a combattere, Harry. Lo sai?»

«Sì, io...»

Il senso di soffocamento inghiottì la fine della frase. Non riuscì a dire altro. Neville non parve trovarlo strano. Gli diede una pacca sulla spalla, lo lasciò andare e si allontanò in cerca di altri cadaveri.

Harry si rimise il Mantello e riprese il cammino. Qualcun altro si muoveva non lontano, chino su una figura distesa a terra. Era a pochi metri quando si rese conto che era Ginny.

Si fermò di botto. Era accanto a una ragazza che chiedeva della madre.

«Va tutto bene» le diceva Ginny. «È tutto a posto. Ora ti portiamo dentro».

«Ma io voglio andare a casa» sussurrò la ragazza. «Non voglio più combattere!»

«Lo so» rispose Ginny, e la sua voce si spezzò. «Andrà tutto bene». Rivoli di freddo gelarono la pelle di Harry. Voleva urlare alla notte, voleva che Ginny sapesse che era lì, che sapesse dove stava andando. Voleva essere fermato, portato indietro, a casa...

Ma era a casa. Hogwarts era la prima e la migliore casa che avesse conosciuto. Lui e Voldemort e Piton, i ragazzi abbandonati, avevano tutti trovato una casa lì... Ginny adesso era in ginocchio accanto alla ragazza ferita e le teneva la mano. Con uno sforzo enorme, Harry si costrinse a proseguire. Gli parve di vedere Ginny voltarsi al suo passaggio: forse aveva avvertito la sua pre-senza? Ma non parlò e non la guardò. La capanna di Hagrid apparve in lontananza nel buio. Niente luci, niente Thor che raspava la porta, né il suo chiassoso latrato di benvenuto. Tutte quelle visite a Hagrid, il riflesso del bollitore di rame sul fuoco, i biscotti duri come sassi e i bruchi giganti, il suo faccione barbuto, Ron che vomitava lumache, Hermione che lo aiutava a salvare Norberto... Raggiunse il limitare della Foresta e si fermò.

Uno sciame di Dissennatori fluttuava tra gli alberi; ne avvertì il gelo e non fu certo di riuscire a oltrepassarli senza conseguenze. Non aveva più la forza per un Patronus. Non riusciva più a controllare il proprio tremito. Non era poi tanto facile morire. Ogni secondo che respirava, l'odore dell'erba, l'aria fresca sul viso, era tutto così prezioso: pensare che altri avevano anni e anni, tempo da perdere, tanto tempo che non passava mai, e lui si aggrappava a ogni singolo istante. Pensò che non sarebbe riuscito a continuare e nello stesso momento seppe che doveva. La lunga partita era finita, il Boccino era stato preso, era ora di lasciare il campo... Il Boccino. Con le dita intorpidite, trafficò per un momento con la saccoccia che portava al collo e lo tirò fuori. Mi apro alla chiusura.

Lo fissò, col respiro affannato. Adesso che voleva che il tempo si muovesse il più lentamente possibile, ecco che accelerava, e l'intuizione sembrò arrivare più veloce del pensiero. Era questa la chiusura. Era questo il momento.

Premette il metallo contro le labbra e sussurrò: «Sto per morire». Il guscio dorato si spezzò. Lui alzò la mano tremante, levò la bacchetta di Draco sotto il Mantello e mormorò: « Lumos».

La pietra nera con la crepa al centro era posata nel Boccino. La Pietra della Resurrezione si era incrinata lungo la linea verticale che rappresentava la Bacchetta di Sambuco. Il triangolo e il cerchio del Mantello e della Pietra erano ancora visibili.

Di nuovo Harry capì senza dover pensare. Non serviva riportarli indietro, perché lui stava per raggiungerli. Non era lui che andava a prendere loro: erano loro che venivano a prendere lui. Chiuse gli occhi e girò la Pietra nella mano, per tre volte. Sapeva che era successo perché sentì dei movimenti lievi, che suggerivano la presenza di corpi delicati sul nudo terreno coperto di rametti, al limitare della Foresta. Aprì gli occhi e si guardò intorno. Non erano fantasmi, né persone di carne e d'ossa, lo vedeva. Assomi-gliavano più che altro al Riddle uscito dal diario tanti anni prima, che era memoria quasi solidificata. Meno concreti di corpi viventi, ma molto più

di fantasmi, venivano verso di lui, e su ciascun volto danzava lo stesso sorriso affettuoso. James era alto esattamente quanto lui. Indossava gli abiti nei quali era morto e aveva i capelli arruffati e gli occhiali un po' storti come quelli del signor Weasley.

Sirius era alto e bello, molto più giovane di come Harry l'aveva conosciuto in vita. Avanzava con elegante disinvoltura, le mani in tasca e un sorriso in volto.

Anche Lupin era più giovane, molto meno trasandato, e aveva i capelli più folti e più scuri. Sembrava felice di essere di nuovo in quel luogo familiare, teatro di tante avventure da adolescente. Il sorriso di Lily era il più largo. Avvicinandosi, spinse indietro i lunghi capelli, e gli occhi verdi, così simili a quelli di Harry, frugavano avidi il suo volto, come se non potesse mai saziarsi di guardarlo.

«Sei stato molto coraggioso».

Lui non riuscì a parlare. I suoi occhi si beavano di lei, e pensò che gli sarebbe piaciuto star lì a guardarla per sempre, che gli sarebbe bastato.

«Ci sei quasi» disse James. «Sei molto vicino. Noi siamo... fieri di te».

«Fa male?»

La domanda infantile gli era affiorata alle labbra prima che potesse fermarla.

«Morire? Niente affatto» rispose Sirius. «È più veloce e più facile che addormentarsi».

«E lui vorrà che sia rapido. Vuole farla finita» aggiunse Lupin.

«Io non volevo che moriste». Harry pronunciò questa frase senza volerlo. «Nessuno di voi. Mi dispiace...»

Si rivolse a Lupin più che agli altri, implorante.

«... avevi appena avuto un figlio... Remus, mi dispiace...»

«Dispiace anche a me. Mi dispiace perché non lo conoscerò mai... ma lui saprà perché sono morto e spero che capirà. Stavo lottando per un mondo in cui lui possa vivere una vita più felice».

Una brezza gelida che sembrava venire dal cuore della Foresta sollevò i capelli dalla fronte di Harry. Sapeva che non gli avrebbero detto di andare, che doveva essere una sua decisione.

«Resterete con me?»

«Fino alla fine» rispose James.

«Non possono vedervi?» chiese Harry.

«Siamo parte di te» spiegò Sirius. «Invisibili a chiunque altro». Harry guardò sua madre.

«Stammi vicino» sussurrò.

E si avviò. Il gelo dei Dissennatori non lo fermò; lo attraversò insieme ai suoi compagni, che agirono per lui come Patroni, e insieme passarono tra i vecchi alberi che crescevano vicini, i rami intrecciati, le radici contorte sotto i piedi. Harry si strinse forte nel Mantello, addentrandosi nella Foresta buia, senza avere idea di dove fosse di preciso Voldemort, ma certo di trovarlo. Accanto a lui, quasi senza rumore, camminavano James, Sirius, Lupin e Lily, e la loro presenza era il suo coraggio, la ragione per cui riusciva a mettere un piede dopo l'altro.

Il suo corpo e la sua mente erano stranamente slegati, gli arti lavoravano senza ricevere istruzioni, come se lui fosse il passeggero, non il conducente, del corpo che stava per lasciare. I morti che camminavano accanto a lui nella Foresta erano molto più reali per lui, ora, dei vivi rimasti al castello: Ron, Hermione, Ginny e tutti gli altri sembravano i fantasmi, adesso che lui inciampava e scivolava verso la fine della sua vita, verso Voldemort... Un rumore sordo e un sussurro: qualche altra creatura vivente si era mossa, lì vicino. Harry si arrestò sotto il Mantello e si guardò intorno, in ascolto, e anche i suoi genitori, Lupin e Sirius si fermarono.

«C'è qualcuno là» sussurrò una voce roca, molto vicino. «Potter ha un Mantello dell'Invisibilità. Possibile che sia...?»

Due figure sbucarono da dietro un albero: le bacchette brillarono e Harry vide Yaxley e Dolohov scrutare nel buio proprio verso il punto dove si trovavano loro. Era chiaro che non vedevano nulla.

«Sono sicuro di aver sentito qualcosa» insisté Yaxley. «Un animale, cosa dici?»

«Quello scemo di Hagrid teneva un sacco di roba qui dentro» rispose Dolohov, sbirciando alle proprie spalle.

Yaxley guardò l'orologio.

«Il tempo è quasi scaduto. Potter ha avuto la sua ora. Non verrà».

«E Lui era certo che sarebbe venuto! Non sarà contento».

«Meglio tornare» suggerì Yaxley. «E scoprire qual è il nuovo piano». Si voltarono e si addentrarono nella Foresta. Harry li seguì, sapendo che l'avrebbero condotto dove voleva. Guardò di lato: sua madre gli sorrise e suo padre gli fece un cenno d'incoraggiamento.

Camminarono ancora qualche minuto, poi Harry vide una luce, e Yaxley e Dolohov entrarono in una radura: Harry riconobbe il posto dove un tempo viveva il mostruoso Aragog. I resti della sua enorme ragnatela erano ancora lì, ma l'orda di discendenti che aveva generato era stata portata via dai Mangiamorte, a combattere per la loro causa.

Un fuoco ardeva al centro della radura e la sua luce guizzante ricadeva su una folla di Mangiamorte vigili e silenziosi. Alcuni erano ancora incappucciati e mascherati, altri a volto scoperto. Due giganti sedevano ai margini del gruppo, gettando ombre enormi sulla scena, i volti feroci, rozzamente sbozzati come nella roccia. Harry vide Fenrir, appiattato nell'ombra, che si rosicchiava le unghie; il grosso, biondo Rowle si tamponava il labbro sanguinante. Vide Lucius Malfoy, sconfitto e spaventato, e Narcissa, gli occhi infossati, colmi di ansia.

Gli sguardi erano tutti puntati su Voldemort, che era in piedi, a capo chino, la Bacchetta di Sambuco davanti a sé, chiusa tra le sue mani bianche. Sembrava che pregasse, o contasse mentalmente, e a Harry, immobile ai margini della scena, venne l'assurdo pensiero di un bambino che gioca a nascondino. Dietro a Voldemort, come una mostruosa aureola, galleggiava la luminosa gabbia incantata dove si muoveva l'enorme serpente Nagini. Quando Dolohov e Yaxley si riunirono al cerchio, Voldemort alzò lo sguardo.

«Nessuna traccia di lui, mio Signore» annunciò Dolohov.

L'espressione di Voldemort non cambiò. Gli occhi rossi sembravano ardere alla luce del fuoco. Lentamente, prese la Bacchetta di Sambuco tra due dita.

«Mio Signore...»

Era stata Bellatrix a parlare: era seduta accanto a Voldemort, scarmigliata, qualche traccia di sangue sul volto, ma altrimenti illesa. Voldemort la zittì alzando la Bacchetta e lei non disse altro, ma lo contemplò adorante.

«Credevo che sarebbe venuto» disse Voldemort con la sua voce acuta e chiara, lo sguardo fisso sulle fiamme danzanti. «Mi aspettavo che venisse». Nessuno fiatò. Sembravano spaventati quanto Harry. Il suo cuore si scagliava contro le costole come se volesse scappare dal corpo che lui stava per gettar via. Si tolse il Mantello dell'Invisibilità con le mani sudate e lo infilò sotto la veste insieme alla bacchetta. Non voleva essere tentato di combattere.

«A quanto pare, mi... sbagliavo» concluse Voldemort.

«No».

Harry lo disse più forte che poté, con tutta la determinazione che riuscì a radunare: non voleva sembrare impaurito. La Pietra della Resurrezione gli scivolò tra le dita insensibili e con la coda dell'occhio vide svanire i suoi genitori, Sirius e Lupin; si fece avanti alla luce del fuoco. In quel momento sentì che nessuno era importante tranne Voldemort. C'erano solo loro due. L'illusione svanì rapida com'era arrivata. I giganti ruggirono, i Mangiamorte si alzarono tutti insieme e si levarono urla, esclamazioni, perfino risate. Voldemort era rimasto immobile, ma i suoi occhi rossi individuarono Harry e lo guardarono venire avanti. Tra loro c'era solo il fuoco. Poi qualcuno urlò:

«HARRY! NO!»

Si voltò: Hagrid era legato a un albero. Il suo corpo massiccio scosse disperatamente i rami.

«NO! NO! HARRY, COS'È CHE...?»

«TACI!» urlò Rowle, e lo zittì con un colpo di bacchetta. Bellatrix, balzata in piedi, spostava lo sguardo avido da Voldemort a Harry, il petto palpitante. Le sole cose che si muovevano erano le fiamme e il serpente, che attorcigliava e distendeva le spire nella gabbia splendente dietro la testa di Voldemort.

Harry sentiva la propria bacchetta contro il torace, ma non fece alcun tentativo per sfoderarla. Sapeva che il serpente era protetto troppo bene, sapeva che se anche fosse riuscito a puntarla contro Nagini, cinquanta maledizioni l'avrebbero colpito. Voldemort e Harry continuavano a guardarsi: Voldemort inclinò appena la testa da un lato, contemplando il ragazzo in piedi davanti a lui, e uno strano sorriso, senza gioia, gli increspò la bocca senza labbra.

«Harry Potter» mormorò. La sua voce era così bassa che avrebbe potuto essere lo scoppiettio del fuoco. «Il Ragazzo Che È Sopravvissuto». Nessuno dei Mangiamorte si mosse. Aspettavano: tutto aspettava. Hagrid si divincolava, Bellatrix ansimava, Harry pensò inspiegabilmente a Ginny, al suo sguardo luminoso, alle loro labbra che si toccavano... Voldemort alzò la Bacchetta. Aveva ancora la testa piegata da un lato, come un bambino curioso che si chiede che cosa succederà. Harry guardò

dentro quegli occhi rossi e sperò che accadesse subito, in fretta, quando ancora riusciva a stare in piedi, prima di perdere il controllo, prima di tradire la paura... Vide la bocca muoversi e un lampo di luce verde, e tutto svanì.

CAPITOLO 35

KING'S CROSS

Era disteso a faccia in giù, ascoltando il silenzio. Era perfettamente solo. Nessuno lo guardava. Non c'era nessun altro. Non era del tutto sicuro di esserci nemmeno lui.

Dopo molto tempo, o forse nessun tempo, capì che doveva esistere, doveva essere più che pensiero disincarnato, perché era disteso, certamente disteso su una superficie. Quindi possedeva il senso del tatto, e anche la cosa sulla quale giaceva esisteva.

Non appena fu giunto a questa conclusione, Harry si rese conto di essere nudo. Convinto com'era della propria totale solitudine, la cosa non lo preoccupò, ma lo incuriosì. Si chiese se, così come era in grado di sentire, sarebbe riuscito a vedere. Aprendoli, scoprì di avere gli occhi. Era circondato da una nebbiolina luminosa, diversa da ogni nebbia mai vista prima. Intorno a lui non c'erano cose nascoste dal vapore; era più come se il vapore non avesse ancora preso una forma definita. Il pavimento sul quale giaceva era bianco, né caldo né freddo, semplicemente un piatto, vuoto qualcosa sul quale stare.

Si mise a sedere. Il suo corpo sembrava intatto. Si toccò il viso. Non aveva più gli occhiali. Poi un rumore lo raggiunse dal nulla che lo circondava: i piccoli, morbidi colpi di qualcosa che sbatteva, si agitava e lottava. Era un rumore pietoso, ma anche un po' indecente. Ebbe la spiacevole sensazione di origliare qualcosa di nascosto, di vergognoso.

Per la prima volta, desiderò di essere vestito.

Il pensiero gli si era appena formato nella mente che degli abiti apparvero poco lontano. Li indossò: erano morbidi, caldi e puliti. Era straordinario, com'erano apparsi, così, nel momento in cui li aveva desiderati... Si alzò e si guardò intorno. Si trovava in un'enorme Stanza delle Necessità? Più guardava, più c'era da vedere. Una grande cupola di vetro scintillava alta su di lui alla luce del sole. Forse era un palazzo. Tutto era ovattato e immobile, tranne che per quegli strani colpi, quei piagnucolii lì vicino, nella foschia...

Harry si girò lentamente sul posto e ciò che lo circondava parve inventarsi davanti ai suoi occhi. Un ampio spazio aperto, luminoso e pulito, una sala molto più grande della Sala Grande, con quel limpido soffitto di vetro a cupola. Era vuota. C'era solo lui, a parte...

Indietreggiò. Aveva individuato la cosa che faceva quei rumori. Aveva le sembianze di un bambino piccolo, nudo, rannicchiato a terra, la pelle ruvida e rossa, come scorticato, e giaceva sotto una sedia dove l'avevano abbandonato: non voluto, nascosto, si sforzava di respirare. Gli faceva paura. Nonostante fosse piccolo e fragile e ferito, non desiderava avvicinarsi. Tuttavia si mosse lentamente verso di lui, pronto a balzare indietro all'istante. Ben presto fu abbastanza vicino da toccarlo, ma non riusciva a farlo. Si sentì un codardo. Avrebbe dovuto consolarlo, ma lo disgustava.

«Non puoi fare niente per lui».

Si voltò di scatto. Albus Silente gli veniva incontro, svelto e diritto, con una veste fluttuante blu notte.

«Harry». Spalancò le braccia e le sue mani erano tutte due intere, bianche e sane. «Meraviglioso ragazzo. Uomo di enorme coraggio. Camminiamo». Sbigottito, Harry lo seguì, allontanandosi dal bambino scorticato che piagnucolava, verso due sedie che prima non aveva notato, non molto distanti sotto il soffitto alto e luminoso. Silente sedette su una e Harry si lasciò cadere sull'altra, guardando il suo vecchio Preside in faccia. I lunghi capelli e la barba d'argento, gli occhi azzurri e penetranti dietro gli occhiali a mezzaluna, il naso rotto: tutto come lo ricordava. Eppure...

«Ma lei è morto» osservò Harry.

«Oh, sì» rispose Silente in tono pratico.

«Allora... sono morto anch'io?»

«Ah» fece Silente, con un sorriso ancora più grande. «Questo è il problema, vero? Tutto sommato, caro ragazzo, credo di no». Si guardarono. Il vecchio continuava a sorridere.

«No?»

«No» ripeté Silente.

«Ma...» Harry sollevò d'istinto la mano alla cicatrice a forma di saetta. Non c'era. «Ma avrei dovuto morire... non mi sono difeso! Volevo che mi uccidesse!»

«E questo deve aver fatto, credo, tutta la differenza».

La felicità sprizzava da Silente come luce, come fuoco; Harry non l'aveva mai visto così profondamente, così evidentemente contento.

«Mi spieghi» gli domandò Harry.

«Ma tu sai già» rispose Silente. Fece girare i pollici.

«Ho lasciato che mi uccidesse» cominciò Harry. «Giusto?»

«Giusto» convenne Silente, annuendo. «Vai avanti!»

«Quindi la parte della sua anima che era in me...»

Silente annuì con ancora più entusiasmo e un gran sorriso d'incoraggiamento.

«... è morta?»

«Oh, sì!» esclamò Silente. «Sì, l'ha distrutta. La tua anima è intera, e interamente tua, Harry».

«Ma allora...»

Harry si guardò alle spalle, dove la piccola creatura rattrappita tremava sotto la sedia.

«Che cos'è quello, professore?»

«Qualcosa che né tu né io possiamo aiutare».

«Ma se Voldemort ha usato l'Anatema che Uccide» riprese Harry, «e questa volta nessuno è morto per me... come posso essere vivo?»

«Secondo me lo sai. Pensaci. Ricorda che cos'ha fatto, nella sua ignoranza, nella sua avidità e nella sua ferocia». Harry rifletté. Lasciò vagare lo sguardo. Se quello era davvero un palazzo, era strano, con brevi file di sedie e tratti di inferriate qua e là, e solo lui, Silente e la creatura rachitica sotto la sedia presenti. Poi la risposta gli salì

alle labbra da sola.

«Ha preso il mio sangue».

«Esatto!» esclamò Silente. «Ha preso il tuo sangue per far rinascere il suo corpo! Il tuo sangue nelle sue vene, Harry, la protezione di Lily dentro di te e dentro di lui! Ti ha legato alla vita finché lui vive!»

«Io vivo... finché lui vive? Ma io pensavo... io pensavo che fosse il contrario! Pensavo che dovessimo morire tutti e due! O è la stessa cosa?»

Fu distratto dal piagnucolio e dai colpi della creatura tormentata alle loro spalle e tornò a guardarla.

«È sicuro che non possiamo fare niente?»

«Niente».

«Allora mi spieghi... il resto» disse Harry, e Silente sorrise.

«Tu eri il settimo Horcrux, Harry, l'Horcrux che non ha mai avuto l'intenzione di creare. La sua anima era così instabile che si spezzò quando commise quegli atti di ineffabile malvagità, l'assassinio dei tuoi genitori, il tentato omicidio di un bambino. Ma quello che fuggì da quella stanza era ancora meno di quello che credeva. Si lasciò dietro più del suo corpo. Lasciò parte di se stesso legata a te, la vittima designata che era sopravvissu-ta.

«E la sua conoscenza è rimasta terribilmente lacunosa, Harry! Ciò che Voldemort non ritiene importante, non si dà la pena di comprenderlo. Di elfi domestici e storie per bambini, di amore, fedeltà e innocenza Voldemort non sa e non capisce niente. Niente. Che tutti hanno un potere che va oltre il suo, oltre la portata di qualunque magia, è una verità che non ha mai afferrato.

«Ha preso il tuo sangue convinto che l'avrebbe rafforzato. Ha accolto nel suo corpo una minuscola parte dell'incantesimo che tua madre aveva imposto su di te quando morì per te. Il suo corpo tiene vivo il sacrificio di Lily, e finché quell'incantesimo sopravvive, sopravvivi anche tu, e sopravvive l'ultima speranza di Voldemort per se stesso».

Silente sorrise a Harry, che lo fissò.

«E lei lo sapeva? L'ha... sempre saputo?»

«Lo supponevo. Ma le mie supposizioni di solito sono buone» rispose Silente allegro, e rimasero in silenzio per quella che parve un'eternità, mentre la creatura dietro di loro continuava a gemere e a tremare.

«C'è dell'altro» riprese Harry. «C'è dell'altro. Perché la mia bacchetta ha spezzato quella che lui aveva preso in prestito?»

«Di questo non posso essere sicuro».

«Faccia una supposizione, allora» suggerì Harry, e Silente rise.

«Devi capire, Harry, che tu e Lord Voldemort avete viaggiato insieme in regni della magia finora ignoti e mai sperimentati. Ma credo che sia successa una cosa senza precedenti e nessun fabbricante di bacchette avrebbe mai potuto prevederla o spiegarla a Voldemort.

«Senza volerlo, come ora sai, Lord Voldemort raddoppiò il legame tra voi quando tornò ad assumere sembianze umane. Una parte della sua anima era ancora legata alla tua e, pensando di rafforzarsi, accolse in sé una parte del sacrificio di tua madre. Se solo fosse riuscito a comprendere il preciso, enorme potere di quel sacrificio, forse non avrebbe osato toccare il tuo sangue... ma se l'avesse compreso, non sarebbe Lord Voldemort e forse non avrebbe mai ucciso.

«Dopo aver assicurato questa doppia connessione, legato i vostri destini più saldamente di quanto due maghi siano mai stati uniti nella storia, Voldemort ti attaccò con una bacchetta che aveva lo stesso nucleo della tua. E

qui accadde qualcosa di molto strano, come sappiamo. I nuclei reagirono in un modo che Lord Voldemort, il quale non sapeva che la tua bacchetta era gemella della sua, non si aspettava.

«Quella notte si spaventò più di te, Harry. Tu avevi accettato, addirittura abbracciato la possibilità della morte, cosa che Lord Voldemort non è mai stato in grado di fare. Il tuo coraggio vinse, la tua bacchetta sconfisse la sua. E in quel momento, accadde qualcosa tra quelle bacchette, qualcosa che rifletteva la relazione tra i loro padroni.

«Penso che la tua bacchetta abbia assorbito alcuni poteri e qualità di quella di Voldemort, come dire che conteneva un po' di Voldemort stesso. Perciò quando lui ti stava inseguendo, la tua bacchetta riconobbe un uomo che era insieme fratello e nemico mortale, e rigurgitò parte della sua stessa magia contro di lui, una magia molto più potente di quanto la bacchetta di Lucius avesse mai compiuto. La tua bacchetta ormai conteneva il potere del tuo enorme coraggio e dell'abilità mortifera di Voldemort: che speranze aveva quel povero bastoncino di Lucius Malfoy?»

«Ma se la mia bacchetta era così potente, come mai Hermione è riuscita a spezzarla?»

«Mio caro ragazzo, i suoi notevoli effetti valevano solo contro Voldemort, che aveva manipolato così sconsideratamente le più profonde leggi della magia. Solo verso di lui quella bacchetta possedeva un potere anomalo. Per il resto era come tutte le altre... anche se buona, ne sono certo» concluse Silente con cortesia. Harry rimase immerso nei suoi pensieri a lungo, o forse per pochi secondi. Era molto difficile avere certezze su cose come il tempo, lì.

«Mi ha ucciso con la bacchetta che era appartenuta a lei».

« Non ti ha ucciso con la mia bacchetta» lo corresse Silente. «Credo che possiamo convenire che tu non sei morto... anche se naturalmente» aggiunse, come temendo di essere stato poco gentile, «non sottovaluto le tue sofferenze, che di sicuro sono state terribili».

«Adesso però mi sento benissimo». Harry osservò le proprie mani pulite e perfette. «Dove siamo di preciso?»

«Be', stavo per chiedertelo io» replicò Silente, guardandosi intorno. «Secondo te dove siamo?»

Fino a quando Silente non lo chiese, Harry non lo sapeva. Ora, tuttavia, scoprì di avere una risposta pronta.

«Assomiglia alla stazione di King's Cross. Solo che è molto più pulita e vuota, e non mi pare di vedere treni».

«La stazione di King's Cross!» Silente ridacchiò senza ritegno. «Santo cielo, sul serio?»

«Be', secondo lei dove siamo?» chiese Harry, un po' sulla difensiva.

«Mio caro ragazzo, non ne ho idea. Questa, come si suol dire, è la tua festa».

Harry non capiva cosa volesse dire; Silente era esasperante. Lo scrutò

torvo, poi ricordò una questione molto più urgente della loro attuale posizione.

«I Doni della Morte» disse, e fu contento di vedere che quelle parole avevano cancellato il sorriso dal volto di Silente.

«Ah, sì» mormorò. Era perfino un po' preoccupato.

«Allora?»

Per la prima volta da quando Harry lo conosceva, Silente sembrava meno che vecchio, molto meno. Parve per un istante un bambino piccolo sorpreso con le mani nella marmellata.

«Potrai perdonarmi?» domandò. «Potrai perdonarmi per non essermi fidato di te? Per non avertelo detto? Harry, temevo che avresti fallito come me. Temevo che avresti commesso i miei stessi errori. Ti chiedo perdono con tutto il cuore, Harry. Adesso ho capito, da qualche tempo, che tu sei migliore di me».

«Cosa sta dicendo?» chiese Harry, stupito dal tono di Silente, dalle lacrime improvvise nei suoi occhi.

«I Doni, i Doni» mormorò Silente. «Il sogno di un uomo disperato!»

«Ma sono veri!»

«Veri, e pericolosi, e un'esca per gli stolti. E io sono stato stolto. Ma tu lo sai, vero? Non ho più segreti per te. Tu lo sai».

«Cos'è che so?»

Silente si voltò con tutto il corpo verso Harry e le lacrime brillarono ancora nei luminosi occhi azzurri.

«Padrone della Morte, Harry, padrone della Morte! Sono stato migliore di Voldemort, dopotutto?»

«Ma certo» rispose Harry. «Ma certo... come può fare una domanda del genere? Lei non ha mai ucciso se poteva evitarlo!»

«Vero, vero» convenne Silente, come un bambino bisognoso di rassicurazioni. «Ma anch'io ho cercato un modo per vincere la morte, Harry».

«Non come lui». Dopo tutta la rabbia che aveva provato a causa di Silente, gli pareva strano essere lì, sotto l'alto soffitto a volta, a difenderlo da se stesso. «Doni, non Horcrux».

«Doni» ripeté Silente, «non Horcrux. È vero».

Una pausa. La creatura dietro di loro piagnucolò, ma Harry non si voltò

più.

«Anche Grindelwald li cercava?» chiese.

Silente chiuse gli occhi per un attimo e annuì.

«Fu la cosa che ci unì» sussurrò. «Due ragazzi intelligenti e arroganti con un'ossessione in comune. Lui voleva venire a Godric's Hollow, l'avrai capito, per la tomba di Ignotus Peverell. Voleva esplorare il luogo in cui era morto il terzo fratello».

«Quindi è vero?» chiese Harry. «Tutto? I fratelli Peverell...»

«... erano i tre fratelli della storia» confermò Silente, annuendo. «Oh, sì, credo di sì. Che poi abbiano incontrato la Morte lungo una strada solitaria... Mi sembra più probabile che i fratelli Peverell fossero semplicemente maghi dotati e pericolosi che crearono quei potenti oggetti. La storia che fossero i Doni della Morte stessa mi pare il genere di leggenda che può

sorgere attorno a simili invenzioni.

«Il Mantello, come ora sai, ha viaggiato nel tempo, di padre in figlio, di madre in figlia, fino all'ultimo discendente di Ignotus, che, come Ignotus, è

nato nel villaggio di Godric's Hollow».

Silente sorrise a Harry.

«Io?»

«Tu. Hai capito, immagino, perché avevo il Mantello la notte che i tuoi genitori sono morti. James me l'aveva mostrato solo qualche giorno prima. Spiegava molte delle sue malefatte mai scoperte a scuola! Quasi non ci credevo. Gli chiesi di prestarmelo. Avevo ormai rinunciato da tempo al sogno di riunire i Doni, ma non resistetti, non potei fare a meno di esaminarlo... era un mantello del quale non ho mai visto l'uguale, antichissimo, perfetto in ogni senso... poi tuo padre morì e finalmente io avevo due Doni tutti per me!»

Il suo tono era di un'amarezza insopportabile.

«Il Mantello non li avrebbe comunque salvati» osservò immediatamente Harry. «Voldemort sapeva dov'erano. Il Mantello non li avrebbe protetti dalle maledizioni».

«Vero» sospirò Silente. «Vero».

Harry attese, ma Silente non parlò, allora lo incoraggiò.

«Quindi quando vide il Mantello aveva già rinunciato a cercare i Doni?»

«Oh, sì» rispose Silente con voce flebile. Si costrinse a sostenere lo sguardo di Harry. «Sai che cosa accadde. Lo sai. Non puoi disprezzarmi più di quanto io disprezzi me stesso».

«Ma io non la disprezzo...»

«E invece dovresti». Silente trasse un profondo respiro. «Conosci il se-greto di mia sorella, che cosa le fecero quei Babbani, che cosa diventò. Sai che il mio povero padre cercò vendetta e ne pagò il prezzo, morendo ad Azkaban. Sai come mia madre rinunciò alla propria vita per prendersi cura di Ariana.

«Mi seccava, Harry».

Lo disse apertamente, con freddezza. Ora guardava sopra la testa di Harry, in lontananza.

«Ero dotato, ero intelligente. Volevo fuggire. Volevo risplendere. Volevo la gloria.

«Non fraintendermi» aggiunse, e il dolore gli attraversò il viso, rendendolo di nuovo vecchio. «Li amavo. Amavo i miei genitori, amavo mio fratello e mia sorella, ma ero egoista, Harry, più egoista di quanto tu, che sei una persona tanto disinteressata, possa mai immaginare.

«Così, quando mia madre morì e rimase a me la responsabilità di una sorella menomata e di un fratello ribelle, tornai al mio paese carico di rabbia e di amarezza. In trappola e sprecato, pensai! E poi, arrivò lui...»

Silente tornò a guardare Harry dritto negli occhi.

«Grindelwald. Non puoi immaginare come le sue idee mi convinsero, Harry, quanto mi infiammarono. Babbani costretti all'obbedienza. Noi maghi trionfatori. Io e Grindelwald, i gloriosi, giovani capi della rivoluzione.

«Oh, avevo qualche scrupolo. Misi a tacere la coscienza con parole vuote. Era tutto per il bene superiore, e qualunque danno sarebbe stato ripagato cento volte in vantaggi per i maghi. Sapevo, nel profondo del cuore, chi era Gellert Grindelwald? Credo di sì, ma chiusi gli occhi. Se i nostri piani fossero andati in porto, tutti i miei sogni sarebbero diventati realtà.

«E al centro dei nostri progetti c'erano i Doni della Morte! Quanto lo affascinavano, quanto ci affascinavano! La Bacchetta invincibile, l'arma che ci avrebbe condotti al potere! La Pietra della Resurrezione... per lui, anche se fingevo di non saperlo, voleva dire un esercito di Inferi! Per me, lo confesso, significava il ritorno dei miei genitori, la fine di ogni responsabilità.

«E il Mantello... non parlammo mai molto del Mantello. Entrambi sapevamo nasconderci benissimo anche senza il Mantello, la vera magia del quale, ovviamente, è che può essere usato per proteggere e riparare altri, oltre che il proprietario. Pensavo che se l'avessimo trovato, sarebbe stato utile per nascondere Ariana, ma il Mantello ci interessava soprattutto perché completava la triade, perché la leggenda dice che l'uomo che unisce i tre oggetti sarà il vero padrone della Morte, che per noi era sinonimo di invincibile.

«Grindelwald e Silente invincibili padroni della Morte! Due mesi di follia, di sogni crudeli, trascurando i soli due membri della famiglia che mi erano rimasti.

«E poi... sai com'è andata. La realtà tornò nella forma del mio rude, ignorante e infinitamente più ammirevole fratello. Io non volli ascoltare le verità che mi urlava. Non volli sentirmi dire che non potevo andare alla ricerca dei Doni con una sorella fragile e instabile di cui occuparmi.

«Il litigio divenne una lotta. Grindelwald perse il controllo. La sua vera natura, che avevo sempre intuito, anche se avevo fatto finta di no, si rivelò

all'improvviso, terribile. E Ariana... dopo tutte le cure e le attenzioni di mia madre... era a terra, morta».

Silente trattenne il respiro e scoppiò in lacrime. Harry si protese verso di lui e fu felice di scoprire che poteva toccarlo; gli strinse forte il braccio e Silente piano piano riprese il controllo.

«Be', Grindelwald fuggì, come chiunque tranne me avrebbe potuto prevedere. Sparì, con i suoi piani per impadronirsi del potere, i suoi progetti di torture sui Babbani, i suoi sogni dei Doni della Morte, sogni che avevo incoraggiato e sostenuto. Fuggì e io rimasi a seppellire mia sorella e a imparare a convivere con la mia colpa e il mio terribile dolore, il prezzo del mio errore.

«Passarono gli anni. Corsero voci su di lui. Dissero che si era procurato una bacchetta di immensa forza. A me nel frattempo fu offerto il posto di Ministro della Magia, e non una sola volta. Naturalmente rifiutai. Avevo imparato che non ero adatto al potere».

«Ma lei sarebbe stato molto, molto meglio di Caramell o Scrimgeour!»

sbottò Harry.

«Pensi?» chiese Silente in tono grave. «Non ne sono così sicuro. Da giovane avevo dimostrato che il potere era la mia debolezza e la mia tentazione. È curioso, Harry, ma forse i governanti migliori sono quelli che non l'hanno mai desiderato. Quelli che, come te, si vedono affidare la guida e raccolgono lo scettro perché devono, e scoprono con loro sorpresa di impugnarlo bene.

«Io stavo meglio a Hogwarts. Credo di essere stato un buon insegnante...»

«Il migliore...»

«Sei molto gentile, Harry. Ma mentre io mi occupavo di istruire giovani maghi, Grindelwald radunava un esercito. Dicono che mi temesse e forse è

così, ma meno, credo, di quanto io temevo lui.

«Oh, non la morte» aggiunse in risposta allo sguardo interrogativo di Harry. «Non quello che poteva farmi con la magia. Sapevo che eravamo pari, forse io ero persino un po' più abile. Era la verità che temevo. Capisci, non avevo mai saputo chi di noi, in quell'ultimo, tremendo duello, avesse scagliato la maledizione che uccise mia sorella. Potresti chiamarmi codardo: avresti ragione. Harry, io temevo più di ogni altra cosa la consapevolezza di essere stato io a provocare la sua morte, non solo con la mia arroganza e stupidità, ma di aver fisicamente sferrato il colpo che spense la sua vita.

«Credo che lui lo sapesse, credo che lui sapesse che cosa mi spaventava. Rimandai l'incontro fino al momento in cui sarebbe stato troppo disonorevole resistere ancora. La gente moriva e lui sembrava inarrestabile, e io dovetti fare quello che potevo.

«Be', sai che cosa accadde. Io vinsi il duello. Io conquistai la Bacchetta». Un'altra pausa. Harry non gli chiese se avesse mai scoperto chi aveva ucciso Ariana. Non voleva saperlo e ancora meno voleva costringere Silente a dirglielo. Finalmente capì che cosa vedeva Silente quando guardava nello Specchio delle Brame e perché aveva mostrato tanta comprensione per il fascino che esercitava su di lui.

Rimasero a lungo in silenzio. I gemiti della creatura alle loro spalle erano quasi impercettibili. Alla fine Harry riprese: «Grindelwald ha cercato di impedire che Voldemort trovasse la Bacchetta. Ha mentito, lo sa? Ha fatto finta di non averla mai posseduta». Silente annuì, guardandosi in grembo. Nuove lacrime luccicavano lungo il naso rotto.

«Dicono che nei suoi ultimi anni sia stato preso dal rimorso, nella sua cella a Nurmengard. Spero che sia vero. Mi piacerebbe pensare che abbia compreso l'orrore e l'indegnità di ciò che ha fatto. Forse quella bugia detta a Voldemort è stata il suo tentativo di fare ammenda... di evitare che Voldemort si impossessasse del Dono...»

« ... o forse che violasse la sua tomba?» suggerì Harry, e Silente si asciugò gli occhi. Dopo un'altra breve pausa, Harry continuò: «Lei ha provato a usare la Pietra della Resurrezione» .

Silente annuì.

«Quando la trovai, dopo tutti quegli anni, sepolta nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più avevo bramato - anche se in gioventù l'a-vevo desiderato per tutt'altre ragioni - persi la testa, Harry. Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l'anello certamente conteneva una maledizione. Lo presi e me lo infilai e per un attimo immaginai che avrei visto Ariana, mia madre, mio padre, e che avrei detto loro quanto mi dispiaceva...

«Fui uno sciocco, Harry. Dopo tutti quegli anni, non avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della Morte, l'avevo dimostrato più e più volte, e questa era la conferma».

«Perché?» chiese Harry. «Era naturale! Voleva rivederli. Che cosa c'è di sbagliato?»

«Forse un uomo su un milione potrebbe riunire i Doni, Harry. Io sono stato capace solo di possedere il più crudele, il meno straordinario. Sono stato in grado di possedere la Bacchetta e di non vantarmene e non usarla per uccidere. Mi è stato concesso di dominarla e usarla, perché l'avevo presa non per mio tornaconto, ma per salvare altri da lei.

«Ma il Mantello l'ho preso solo per futile curiosità, e quindi non avrebbe mai potuto funzionare per me come per te che ne sei il legittimo proprietario. Avrei usato la Pietra per richiamare indietro coloro che sono in pace, invece che per consentire il sacrificio di me stesso, come hai fatto tu. Tu sei il degno possessore dei Doni».

Silente batté sulla mano di Harry, che alzò lo sguardo sul vecchio e sorrise; non riuscì a trattenersi. Come faceva a essere ancora arrabbiato con lui?

«Perché ha dovuto rendere tutto così complicato?»

Il sorriso di Silente era incerto.

«Temo di aver sperato che la signorina Granger ti frenasse, Harry. Avevo paura che la tua testa calda potesse avere la meglio sul tuo buon cuore, che se tu avessi saputo tutto fin da subito su quegli oggetti tentatori avresti potuto gettarti sui Doni come feci io, al momento sbagliato, per le ragioni sbagliate. Se dovevi metterci le mani sopra, volevo che li possedessi senza rischi. Tu sei il vero padrone della Morte, perché il vero padrone non cerca di sfuggirle. Accetta di dover morire e comprende che vi sono cose assai peggiori nel mondo dei vivi che morire».

«E Voldemort non ha mai saputo dei Doni?»

«Non credo, perché non riconobbe la Pietra della Resurrezione che trasformò in un Horcrux. Ma anche se ne fosse stato a conoscenza, Harry, credo che gli sarebbe interessato solo il primo. Non avrebbe pensato di avere bisogno del Mantello e quanto alla Pietra, chi poteva desiderare di ri-chiamare dai morti? Lui ha paura dei morti. Lui non ama».

«Ma lei si aspettava che cercasse la Bacchetta?»

«Ero sicuro che ci avrebbe provato, da quando la tua bacchetta sconfisse la sua nel cimitero di Little Hangleton. All'inizio temeva che l'avessi battuto per la tua abilità superiore. Dopo aver rapito Olivander, tuttavia, scoprì

l'esistenza dei nuclei gemelli. Pensò che questo spiegasse tutto. Ma la bacchetta presa in prestito non si comportò meglio! E Voldemort, invece di chiedersi quale tua caratteristica avesse reso la tua bacchetta così forte, quale dono tu possedessi che a lui mancava, si mise a cercare l'unica bacchetta che secondo la leggenda avrebbe sconfitto tutte le altre. L'ossessione per la Bacchetta di Sambuco era diventata feroce quasi quanto quella per te. È convinto che la Bacchetta di Sambuco elimini il suo ultimo punto debole e lo renda veramente invincibile. Povero Piton...»

«Quando ha chiesto a Piton di ucciderla, voleva che la Bacchetta di Sambuco diventasse sua, vero?»

«Ammetto che quella era la mia intenzione» rispose Silente, «ma non è

andata come speravo, vero?»

«No» convenne Harry. «Quella parte non ha funzionato».

La creatura dietro di loro si agitava e gemeva, e Harry e Silente rimasero zitti ancora più a lungo. La comprensione di quanto doveva succedere scese a poco a poco su Harry in quei lunghi minuti, come neve che cade lenta e leggera.

«Devo tornare indietro, vero?»

«Dipende da te».

«Posso scegliere?»

«Ah, certo». Silente gli sorrise. «Sei a King's Cross, no? Credo che se decidessi di non tornare, potresti... diciamo... prendere un treno».

«E dove mi porterebbe?»

«Avanti».

Di nuovo silenzio.

«Voldemort ha la Bacchetta di Sambuco».

«Sì. Voldemort ha la Bacchetta di Sambuco».

«Ma lei vuole che io torni indietro?»

«Ritengo» rispose Silente «che se tu scegliessi di tornare, ci sarebbe la possibilità che lui venga battuto per sempre. Non posso garantirlo. Ma so questo, Harry: che se dovessi tornare qui avresti meno da temere di lui». Harry guardò di nuovo la cosa scorticata che tremava e tossiva sotto la sedia lontana.

«Non provare pietà per i morti, Harry. Prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore. Tornando, potresti fare in modo che meno anime vengano mutilate, meno famiglie distrutte. Se questo ti sembra uno scopo degno, allora per il momento diciamoci addio». Harry annuì e sospirò. Lasciare quel luogo non era neanche lontanamente difficile quanto era stato entrare nella Foresta, ma lì c'era caldo, luce e pace, e sapeva di dover tornare al dolore e alla paura di altre perdite. Si alzò e Silente fece lo stesso, e per un lungo istante si guardarono.

«Mi dica un'ultima cosa» chiese Harry. «È vero? O sta succedendo dentro la mia testa?»

Silente gli sorrise e la sua voce risuonò alta e forte nelle orecchie di Harry anche se la nebbiolina luminosa stava calando di nuovo e nascondeva la sua sagoma.

«Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?»

CAPITOLO 36

LA FALLA NEL PIANO

Era di nuovo per terra a faccia in giù. L'odore della Foresta gli riempiva le narici. Sentiva il suolo freddo e duro sotto la guancia e la cerniera degli occhiali, spostati di lato dalla caduta, che gli penetrava nella tempia. Gli faceva male ogni centimetro del corpo, e il punto in cui l'Anatema che Uccide l'aveva colpito era come il livido lasciato da un pugno di ferro. Non si mosse, ma rimase dov'era, con il braccio sinistro piegato a una strana angolatura e la bocca aperta. Si era aspettato di sentire urla di trionfo e giubilo per la sua morte, invece passi frettolosi, sussurri e mormorii preoccupati riempivano l'aria.

«Mio Signore... mio Signore... »

Era la voce di Bellatrix, e parlava come chi si rivolge a un amante. Harry non osò aprire gli occhi, ma lasciò che gli altri sensi esplorassero la situazione. Sapeva che la sua bacchetta era ancora riposta sotto gli abiti perché

la sentiva tra il petto e il suolo. Una lieve imbottitura dalle parti dello stomaco gli disse che anche il Mantello dell'Invisibilità era lì.

« Mio Signore... »

«Basta» replicò la voce di Voldemort.

Altri passi: varie persone indietreggiavano dallo stesso punto. Consumato dalla voglia di vedere che cosa stava succedendo e perché, Harry aprì gli occhi di un millimetro.

Voldemort si stava alzando. Molti Mangiamorte si allontanavano da lui, tornando tra la folla che circondava la radura. Solo Bellatrix era rimasta inginocchiata accanto a lui.

Harry chiuse di nuovo gli occhi e considerò ciò che aveva visto. I Mangiamorte si erano affollati attorno a Voldemort, che doveva essere caduto a terra. Era successo qualcosa quando aveva colpito Harry con l'Anatema che Uccide. Anche lui era crollato? Evidentemente sì. Ed entrambi erano rimasti privi di sensi per un po', ed entrambi adesso erano tornati in sé...

«Mio Signore, permettetemi...»

«Non ho bisogno di aiuto» rispose Voldemort gelido, e pur non potendo vedere la scena, Harry immaginò Bellatrix che ritraeva la mano tesa per aiutarlo. «Il ragazzo... è morto?»

Nella radura il silenzio era totale. Nessuno si avvicinò a Harry, ma lui avvertì i loro sguardi concentrati, che parevano schiacciarlo ancora più forte a terra, e temette che il movimento di un dito o di una palpebra potesse tradirlo.

«Tu» fece Voldemort, e si udirono un'esplosione e un piccolo strillo di dolore. «Controlla. Dimmi se è morto».

Harry non sapeva a chi si era rivolto. Non poteva far altro che restare lì

disteso, col cuore che martellava, traditore, e aspettare di essere esaminato, ma nello stesso tempo capiva, per quanto gli fosse di magra consolazione, che Voldemort non si azzardava ad avvicinarsi, sospettando che non tutto fosse andato secondo i piani...

Mani più delicate di quanto si aspettasse gli toccarono la faccia, gli aprirono una palpebra, s'insinuarono sotto la camicia fino al petto, a sentirgli il cuore. Udì il respiro affannoso della donna, i suoi lunghi capelli gli solleticarono il viso. Sapeva che aveva sentito il battito regolare della vita contro le sue costole.

« Draco è vivo? È nel castello? »

Il sussurro era appena percettibile; le labbra di lei erano a un centimetro dal suo orecchio, il capo abbassato così che i lunghi capelli nascondevano il volto di Harry ai presenti.

« » bisbigliò lui in risposta.

Sentì la mano di lei contrarsi sul suo petto e le unghie conficcarsi nella pelle. Poi la mano fu ritratta. Narcissa Malfoy si rimise a sedere.

«È morto!» annunciò.

E adesso urlarono, trionfanti, e pestarono i piedi, e attraverso le palpebre Harry vide volare schizzi di luce rossa e d'argento per celebrare l'evento. Continuò a fingersi morto e capì. Narcissa sapeva che il solo modo per entrare a Hogwarts e trovare suo figlio era insieme all'esercito vittorioso. Non le importava più che Voldemort trionfasse.

«Visto?» strillò Voldemort sopra il tumulto. «Harry Potter è morto per mano mia e ora nessun uomo vivente può minacciarmi! Guardate! Cru- cio! »

Harry se l'era aspettato: sapeva che il suo corpo non sarebbe stato lasciato in pace sul terreno della Foresta, che doveva essere umiliato per dimostrare la vittoria di Voldemort. Fu sollevato da terra e gli ci volle tutta la sua forza di volontà per restare inerte, ma il dolore che si aspettava non venne. Fu scagliato una, due, tre volte in aria: i suoi occhiali volarono via e sentì la bacchetta scivolare un po' sotto gli abiti, ma restò molle e inanimato, e quando cadde giù per l'ultima volta per la radura risuonarono risate di scherno.

«Ora» proclamò Voldemort «andremo al castello e mostreremo a tutti che fine ha fatto il loro eroe. Chi di voi trascina il corpo? No... un momento...»

Una nuova esplosione di risate e dopo qualche istante Harry sentì il suolo vibrare accanto a sé.

«Lo porterai tu» disse Voldemort. «Lo si vedrà bene tra le tue braccia, no? Raccogli il tuo piccolo amico, Hagrid. E gli occhiali... mettetegli gli occhiali... devono riconoscerlo».

Qualcuno gli sbatté con deliberata malagrazia gli occhiali in faccia, ma le mani enormi che lo sollevarono erano estremamente delicate. Harry sentì le braccia di Hagrid tremare, scosse dai singhiozzi; grandi lacrime lo bagnarono mentre Hagrid lo cullava, ma lui non osava far capire all'amico, con un movimento o con le parole, che non tutto era perduto.

«Muoviti» ordinò Voldemort, e Hagrid barcollò in avanti, aprendosi la strada fra gli alberi fitti, riattraversando la Foresta. I rami si impigliavano ai capelli e agli abiti di Harry, che però rimase immobile, la bocca spalancata, gli occhi chiusi, e al buio, tra i Mangiamorte accalcati attorno a loro e Hagrid che singhiozzava disperato, nessuno guardò se una vena pulsava nel collo scoperto di Harry Potter...

I due giganti seguivano i Mangiamorte; Harry sentì gli alberi scricchiolare e cadere al loro passaggio; facevano tanto rumore che gli uccelli si alzarono in volo strillando e perfino le risate dei Mangiamorte furono coperte. Il corteo vittorioso continuò a marciare verso il terreno aperto e dopo un po' Harry capì dalla penombra, percepibile anche attraverso le palpebre chiuse, che gli alberi cominciavano a diradarsi.

«CASSANDRO!»

Il ruggito inaspettato di Hagrid per poco non gli fece aprire gli occhi.

«Sei contento, eh, che non avete combattuto, branco di ronzini codardi che non siete altro? Siete contenti che Harry Potter è m-morto?»

Hagrid non riuscì a continuare, ma scoppiò di nuovo in lacrime. Harry si chiese quanti centauri assistessero al loro corteo; non osò aprire gli occhi per vedere. Alcuni Mangiamorte li insultarono. Poco dopo Harry capì

dall'aria più fresca che avevano raggiunto il limitare della Foresta.

«Fermi».

Hagrid doveva essere stato costretto a obbedire all'ordine di Voldemort, perché barcollò. Il gelo calò su di loro e Harry udì il respiro rauco dei Dissennatori che pattugliavano la cerchia esterna degli alberi. Ormai non potevano disturbarlo. Il fatto stesso di essere sopravvissuto ardeva in lui, come un talismano contro di loro, come se il cervo di suo padre fosse a guardia del suo cuore. Qualcuno gli passò accanto, e seppe che era Voldemort perché un attimo dopo parlò, la voce magicamente amplificata per diffondersi in tutto il parco, spaccandogli i timpani.

«Harry Potter è morto. È stato ucciso. Stava fuggendo, per mettersi in salvo mentre voi davate la vita per lui. Vi portiamo il suo corpo a dimostrazione che il vostro eroe è caduto.

«Abbiamo vinto la battaglia. Avete perso metà dei vostri combattenti. I miei Mangiamorte vi superano in numero e il Ragazzo Che È Sopravvissuto è morto. La guerra deve finire. Chiunque continui a resistere, uomo, donna o bambino, verrà ucciso insieme a tutti i membri della sua famiglia. Uscite dal castello, ora, inginocchiatevi davanti a me e verrete risparmiati. I vostri genitori e i vostri figli, i vostri fratelli e sorelle vivranno e saranno perdonati, e vi unirete a me nel nuovo mondo che costruiremo insieme». Silenzio nel parco e dal castello. Voldemort era così vicino che Harry non osava aprire gli occhi.

«Andiamo» ordinò Voldemort. Harry sentì che si muoveva e Hagrid fu costretto a seguirlo. Aprì appena gli occhi e lo vide marciare davanti a loro, con l'enorme serpente Nagini sulle spalle, libero dalla gabbia incantata. Ma Harry non poteva estrarre la bacchetta nascosta sotto gli abiti senza farsi vedere dalla scorta di Mangiamorte nel buio che lentamente sbiadiva...

«Harry» singhiozzava Hagrid. «Oh, Harry... Harry...»

Harry richiuse gli occhi. Sapeva che si stavano avvicinando al castello e tese le orecchie per captare, sopra le voci allegre dei Mangiamorte e i loro passi pesanti, segni di vita dall'interno.

«Fermi».

I Mangiamorte si arrestarono: Harry li udì disporsi in fila di fronte al portone aperto della scuola. Anche attraverso le palpebre chiuse riuscì a percepire la luce rossastra che gli pioveva addosso dall'ingresso. Attese. Da un momento all'altro le persone per le quali aveva cercato di morire l'avrebbero visto tra le braccia di Hagrid, apparentemente morto.

«No!»

L'urlo fu ancora più terribile perché non aveva mai immaginato che la professoressa McGranitt potesse emettere un simile suono. Udì un'altra donna ridere vicino a lui e capì che Bellatrix si crogiolava nella disperazione della McGranitt. Sbirciò di nuovo per un solo istante e vide la soglia affollarsi: i sopravvissuti alla battaglia uscivano sui gradini a fronteggiare i vincitori e a vedere con i loro occhi che era vero, che Harry era morto. Vide Voldemort, davanti a lui, accarezzare la testa di Nagini con un solo dito bianco. Richiuse gli occhi.

«No!»

« No! »

«Harry! HARRY!»

Le voci di Ron, Hermione e Ginny erano peggio di quella della McGranitt; Harry non desiderava altro che gridare, rispondere, ma si costrinse a restare in silenzio, e le loro urla furono come un segnale: la folla di sopravvissuti si scatenò, urlando ingiurie contro i Mangiamorte, finché...

«SILENZIO!» gridò Voldemort. Un colpo, un lampo di luce chiara, e il silenzio calò a forza su tutti loro. «È finita! Posalo ai miei piedi, Hagrid, dov'è giusto che stia!»

Harry fu adagiato nell'erba.

«Visto?» disse Voldemort. Harry lo sentì camminare avanti e indietro davanti al punto in cui era stato deposto. «Harry Potter è morto! Lo capite adesso, illusi? Non è mai stato altro che un ragazzo che contava sul sacrificio degli altri!»

«Ti ha sconfitto!» urlò Ron, e l'incantesimo si ruppe: i difensori di Hogwarts urlarono e urlarono di nuovo fino a quando una seconda esplosione più potente li zittì un'altra volta.

«È stato ucciso mentre cercava di scappare di nascosto dal parco del ca-stello» proseguì Voldemort, compiacendosi della menzogna, «ucciso mentre tentava di mettersi in salvo...»

Ma s'interruppe: Harry udì un rumore di passi e un urlo, poi un altro colpo, un lampo di luce e un grugnito di dolore; aprì gli occhi di una frazione infinitesima. Qualcuno si era allontanato dalla folla e si era scagliato su Voldemort; Harry vide la sagoma afflosciarsi a terra, Disarmata. Voldemort gettò via la bacchetta di chi l'aveva sfidato e rise.

«E chi è costui?» domandò, con il suo morbido sibilo di serpente. «Chi si è offerto volontario per dimostrare che cosa accade a coloro che continuano a combattere quando la battaglia è perduta?»

Bellatrix diede in una risata gioiosa.

«È Neville Paciock, mio Signore! Il ragazzo che ha dato tanti grattacapi ai Carrow! Il figlio degli Auror, ricordate?»

«Ah, sì, ricordo» mormorò Voldemort, guardando Neville che cercava di rialzarsi, disarmato e allo scoperto, nella terra di nessuno tra i sopravvissuti e i Mangiamorte. «Ma tu sei un Purosangue, vero, mio coraggioso ragazzo?» gli chiese, e Neville si alzò in piedi davanti a lui, le mani vuote chiuse a pugno.

«E allora?» rispose ad alta voce.

«Mostri spirito e ardimento, e discendi da una nobile stirpe. Sarai un Mangiamorte molto prezioso. Abbiamo bisogno di gente come te, Neville Paciock».

«Mi unirò a te quando l'inferno gelerà» ribatté Neville. «Esercito di Silente!» Dalla folla si levò in risposta un boato che gli incantesimi tacitanti di Voldemort non riuscirono a domare.

«Molto bene» proseguì Voldemort, e Harry avvertì più pericolo in quella voce serica che nella più potente delle maledizioni. «Se questa è la tua scelta, Paciock, torneremo al piano originale. L'hai voluto tu» concluse con calma.

Attraverso gli occhi socchiusi, Harry vide Voldemort agitare la Bacchetta. Qualche istante dopo, da una delle finestre infrante del castello qualcosa di simile a un uccello deforme volò nella mezza luce e atterrò in mano a Voldemort. Lui scrollò l'oggetto muffito tenendolo per la punta e quello penzolò vuoto e lacero: era il Cappello Parlante.

«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò

Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»

Puntò la Bacchetta contro Neville, che s'irrigidì, poi gli ficcò in testa il Cappello, che gli cadde sugli occhi. La folla davanti al castello fu percorsa da un fremito e come un sol uomo i Mangiamorte levarono le bacchette, per tenere a bada i combattenti di Hogwarts.

«Il nostro Neville ora dimostrerà che cosa accade a chiunque sia così

sciocco da continuare a opporsi a me» annunciò Voldemort, e con un guizzo della Bacchetta incendiò il Cappello Parlante. L'alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire...

Poi accaddero molte cose contemporaneamente.

Dai confini del parco si alzò un frastuono: centinaia di persone varcavano le mura sciamando e correvano verso il castello, levando alte grida di guerra. Nello stesso momento, Grop arrivò a passi pesanti da dietro la scuola e chiamò: «HAGGER!» Al suo grido risposero i ruggiti dei giganti di Voldemort, che caricarono Grop come elefanti, facendo tremare la terra. Poi un rumore di zoccoli, il vibrare degli archi, e una pioggia di frecce cadde sui Mangiamorte, che ruppero i ranghi, urlando sorpresi. Harry prese il Mantello dell'Invisibilità, se lo gettò addosso e balzò in piedi. E anche Neville si mosse: con un solo, rapido, fluido gesto si liberò

dell'Incantesimo Petrificus; il Cappello in fiamme gli cadde dalla testa e lui ne estrasse qualcosa di argenteo, con l'impugnatura sfavillante di rubini... Il sibilo della lama d'argento non si sentì sopra il ruggito della folla, il rimbombo dei giganti che cozzavano, la carica dei centauri, eppure attirò a sé gli sguardi di tutti. Con un solo colpo, Neville mozzò la testa dell'enorme serpente, che roteò alta nell'aria, scintillante nella luce che veniva dalla Sala d'Ingresso. La bocca di Voldemort si spalancò in un urlo di rabbia che nessuno riuscì a sentire, e il corpo del serpente cadde con un tonfo ai suoi piedi...

Nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, Harry scagliò un Sortilegio Scudo tra Neville e Voldemort prima che quest'ultimo potesse alzare la Bacchetta. Poi, sopra le grida, i ruggiti, i colpi dei giganti, l'urlo di Hagrid risuonò più forte di tutto.

«HARRY! HARRY... DOV'È HARRY?»

Regnava il caos. I centauri scatenati stavano disperdendo i Mangiamorte, tutti cercavano di scappare dai piedi dei giganti, e sempre più vicini risuonavano i rinforzi arrivati da chissà dove; Harry vide enormi creature alate planare attorno alle teste dei giganti di Voldemort; i Thestral e Fierobecco l'Ippogrifo cercavano di cavar loro gli occhi mentre Grop li riempiva di pugni; tanto i difensori di Hogwarts quanto i Mangiamorte di Voldemort furono costretti a rientrare nel castello. Harry scagliava maledizioni contro tutti i Mangiamorte che gli passavano vicino, tramortendoli senza che sapessero chi o che cosa li aveva colpiti; i loro corpi venivano calpestati dalla folla in ritirata. Sempre nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, Harry fu costretto a entrare nella Sala d'Ingresso: stava cercando Voldemort e lo vide dall'altra parte dell'atrio che scagliava incantesimi a destra e a manca e intanto arretrava nella Sala Grande, senza smettere di urlare ordini ai suoi seguaci; Harry lanciò altri Sortilegi Scudo e salvò Seamus Finnigan e Hannah Abbott dalla sua furia; i due gli sfrecciarono davanti ed entrarono nella Sala Grande per prendere parte alla lotta che già vi divampava. E ce n'erano altri, tanti altri che si lanciavano su per i gradini del castello: Charlie Weasley superò Horace Lumacomo, ancora con il suo pigiama color smeraldo. Erano tornati alla testa di parenti e amici di tutti gli studenti di Hogwarts rimasti a combattere, insieme ai negozianti e agli abitanti di Hogsmeade. I centauri Cassandro, Conan e Magorian galopparono nella Sala in un rombo di zoccoli, e dietro Harry la porta che conduceva alle cucine venne scardinata da un'esplosione. Gli elfi domestici di Hogwarts sciamarono nella Sala d'Ingresso, urlando e brandendo trincianti e mannaie; al loro comando, col medaglione di Regulus Black che gli ballonzolava sul petto, c'era Kreacher, la voce da rana chiara e sonora anche sopra quel baccano. «Lottate! Lottate! Combattete per il mio padrone, difensore degli elfi domestici! Combattete il Signore Oscuro, nel nome del prode Regulus! Lottate!»

Menavano fendenti e pugnalate alle caviglie e agli stinchi dei Mangiamorte, i faccini animosi e cattivi, e i Mangiamorte ripiegavano, schiacciati dalla pura forza dei numeri, sopraffatti dagli incantesimi, strappandosi le frecce dalla carne, colpiti alle gambe dagli elfi, o semplicemente cercando di fuggire ma inghiottiti dall'orda che avanzava.

Ma non era ancora finita: Harry sfrecciò tra i duellanti, oltrepassò i prigionieri che si divincolavano ed entrò nella Sala Grande. Voldemort era nel cuore della battaglia e colpiva tutto ciò che gli capitava a tiro. Harry non poteva mirare con precisione e cercò di avvicinarsi, ancora invisibile, ma la Sala Grande era sempre più affollata, poiché chiunque fosse in grado di camminare tentava di entrare. Vide Yaxley gettato a terra da George e Lee Jordan, vide Dolohov cadere urlando per mano di Vitious; vide Walden Macnair, scagliato attraverso la stanza da Hagrid, colpire la parete di pietra e cadere a terra svenuto. Vide Ron e Neville abbattere Fenrir Greyback, Aberforth Schiantare Rookwood, Arthur e Percy atterrare O'Tusoe, e Lucius e Narcissa Malfoy correre nella folla, senza nemmeno provare a combattere, chiamando a gran voce il figlio.

Voldemort stava duellando con la McGranitt, Lumacorno e Kingsley insieme, e il suo volto era una maschera di freddo odio mentre i tre balzavano e si abbassavano attorno a lui, senza riuscire a finirlo... Anche Bellatrix continuava a combattere, a cinquanta metri da Voldemort, e come il suo padrone lottava contro tre avversari a un tempo: Hermione, Ginny e Luna ce la stavano mettendo tutta, ma Bellatrix le uguagliava, e l'attenzione di Harry fu distratta da un Anatema che Uccide scagliato così vicino a Ginny che la mancò di un soffio... Cambiò obiettivo e si avventò contro Bellatrix invece che contro Voldemort, ma aveva fatto solo pochi passi quando fu spinto da parte.

«MIA FIGLIA NO, CAGNA!»

Di corsa, la signora Weasley gettò via il mantello per avere libertà di movimento. Bellatrix si girò di scatto e scoppiò a ridere alla vista della sua nuova avversaria.

«FUORI DAI PIEDI!» urlò la signora Weasley alle tre ragazze, e con uno svolazzo della bacchetta cominciò a combattere. Harry rimase a guardare terrorizzato ed euforico la bacchetta di Molly Weasley fendere l'aria e vorticare, e il sorriso di Bellatrix Lestrange tremò prima di trasformarsi in un ringhio. Schizzi di luce volarono da entrambe le bacchette, il pavimento attorno alle due streghe era rovente e crivellato di buchi; entrambe combattevano per uccidere.

«No!» gridò la signora Weasley quando alcuni studenti accorsero in suo aiuto. «Indietro! INDIETRO! È mia!»

Centinaia di persone adesso erano allineate lungo le pareti e assistevano alle due battaglie: Voldemort contro i suoi tre avversari, Bellatrix contro Molly. E Harry, invisibile, era combattuto: voleva attaccare ma anche proteggere, e temeva di colpire gli innocenti.

«Cosa sarà dei tuoi figli quando ti avrò ucciso?» la canzonava sprezzante Bellatrix, folle come il suo Signore, schivando le maledizioni di Molly che le danzavano attorno. «Quando mammina sarà morta come Freddie?»

«Tu... non... toccherai... mai... più... i... nostri... figli!» urlò la signora Weasley.

Bellatrix rise, la stessa risata esaltata di suo cugino Sirius prima di cade-re oltre il velo, e Harry seppe in anticipo che cosa stava per succedere. La maledizione di Molly passò sotto il braccio teso di Bellatrix e la colpì

in pieno petto, al cuore.

Il sorriso maligno di Bellatrix si congelò, i suoi occhi si dilatarono: per una frazione di secondo capì che cos'era successo, poi cadde. Dalla folla si levò un boato e Voldemort urlò.

A Harry sembrava di muoversi al rallentatore; vide la McGranitt, Kingsley e Lumacorno contorcersi a mezz'aria, scagliati all'indietro, mentre la furia del Signore Oscuro per la fine della sua ultima, migliore luogotenente esplodeva con la forza di una bomba. Voldemort alzò la Bacchetta e la puntò contro Molly Weasley.

« Protego! » ruggì Harry, e il Sortilegio Scudo si allargò al centro della Sala. Voldemort si guardò intorno cercandone l'origine e finalmente Harry si tolse il Mantello dell'Invisibilità.

L'urlo di sorpresa, le acclamazioni, le grida di «Harry!», «È vivo!» furono subito soffocati. La folla ebbe paura e il silenzio cadde improvviso e totale, quando Voldemort e Harry si guardarono e cominciarono a muoversi in cerchio uno di fronte all'altro.

«Non voglio aiuto» disse Harry, e nel silenzio assoluto la sua voce risuonò come uno squillo di tromba. «Deve andare così. Devo essere io». Voldemort sibilò, gli occhi rossi spalancati.

«Potter non voleva dire questo. Non è così che si comporta, vero? Chi userai come scudo oggi, Potter?»

«Nessuno» rispose Harry semplicemente. «Non ci sono altri Horcrux. Siamo solo tu e io. Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive, e uno di noi sta per andarsene per sempre...»

«Uno di noi?» lo schernì Voldemort. Ogni suo muscolo era teso e i suoi occhi rossi erano immobili: un serpente pronto a colpire. «Pensi che sarai tu, vero, il Ragazzo Che È Sopravvissuto per caso, solo perché Silente tirava i fili?»

«È stato un caso quando mia madre morì per salvarmi?» chiese Harry. Continuavano a spostarsi di lato, tutti e due, disegnando un cerchio perfetto, mantenendo la stessa distanza l'uno dall'altro. Per Harry esisteva solo il volto di Voldemort. «Un caso che io abbia deciso di combattere in quel cimitero? Un caso che io non mi sia difeso questa notte, eppure sia sopravvissuto, e tornato per combattere di nuovo?»

«Casi!» urlò Voldemort, ma ancora non colpì, e la folla era come pietrificata, delle centinaia di persone che riempivano la Sala sembrava che solo loro due respirassero. «Casi e fortuna e il fatto che ti sei rannicchiato a frignare dietro le gonne di uomini e donne più grandi di te, e hai lasciato che io li uccidessi al posto tuo!»

«Non ucciderai nessun altro questa notte» ribatté Harry. Ancora si muovevano in cerchio e si fissavano, occhi verdi dentro occhi rossi. «Non potrai uccidere nessuno di loro, mai più. Non capisci? Ero pronto a morire per impedirti di fare del male a queste persone...»

«Ma non l'hai fatto!»

«... era mia intenzione, ed è questo che importa. Ho fatto quello che ha fatto mia madre. Sono protetti da te. Non hai notato che nessuno dei tuoi incantesimi funziona su di loro? Non puoi torturarli. Non puoi toccarli. Non impari dai tuoi errori, Riddle, vero?»

« Tu osi... »

«Sì, io oso» continuò Harry. «Io so cose che tu non sai, Tom Riddle. Io so molte cose importanti che tu non sai. Vuoi sentirne qualcuna, prima di commettere un altro grosso errore?»

Voldemort non parlò ma continuò a muoversi in cerchio, e Harry seppe di averlo ipnotizzato, per il momento pendeva dalle sue labbra, trattenuto dalla vaghissima possibilità che Harry conoscesse davvero un ultimo segreto.

«È di nuovo l'amore?» ringhiò Voldemort, il volto da serpente contorto in una smorfia di scherno. «La soluzione preferita di Silente, l'amore, che a sentir lui vince la morte. Ma l'amore non gli ha impedito di cadere dalla Torre e andare in pezzi come una vecchia statuina di cera. L'amore non ha impedito a me di schiacciare quella Mezzosangue di tua madre come uno scarafaggio, Potter... e pare che nessuno ti ami abbastanza da farsi avanti, questa volta, a prendersi la mia maledizione. Quindi che cosa ti impedirà

di morire adesso, quando colpirò?»

«Una cosa sola» rispose Harry, e ancora si fronteggiavano, assorti l'uno nell'altro, separati soltanto dall'ultimo segreto.

«Se non è l'amore che ti salverà, questa volta» insisté Voldemort, «devi credere di avere una magia che io non ho, o un'arma più potente della mia».

«Credo entrambe le cose» ribatté Harry, e vide la sorpresa balenare sul volto di serpe e dissiparsi all'istante; Voldemort scoppiò a ridere e il suono fu più spaventoso delle sue urla; folle e privo di gioia, echeggiò nella Sala silenziosa.

«Tu credi di conoscere più magie di me?» chiese. «Di me, di Lord Vol-demort, che ha compiuto magie che Silente stesso non si era nemmeno sognato?»

«Oh, se l'era sognato eccome» rispose Harry, «ma lui ne sapeva più di te, abbastanza da non fare quello che hai fatto tu».

«Vuoi dire che era un debole!» urlò Voldemort. «Troppo debole per osare, troppo debole per prendere ciò che avrebbe potuto essere suo e invece sarà mio!»

«No, era più intelligente di te. Era un mago migliore, un uomo migliore».

«Io ho provocato la morte di Albus Silente!»

«È quello che credi. Ma ti sbagli».

Per la prima volta, la folla che li attorniava si mosse e le centinaia di persone lungo le pareti respirarono come una sola.

« Silente è morto! » Voldemort sputò queste parole contro Harry come se gli potessero provocare un dolore insopportabile. «Il suo corpo marcisce nella tomba di marmo vicino a questo castello, io l'ho visto, Potter, e non tornerà!»

«Certo, Silente è morto» rispose Harry tranquillo, «ma non l'hai fatto uccidere tu. Ha scelto lui come morire, con mesi di anticipo, ha programmato tutto con l'uomo che credevi fosse il tuo servo».

«Che sogno infantile è questo?» chiese Voldemort, ma ancora non colpì, e i suoi occhi rossi non si staccavano da Harry.

«Severus Piton non era tuo» spiegò Harry. «Piton era di Silente, di Silente dal momento in cui hai cominciato a dare la caccia a mia madre. E

non te ne sei mai accorto, per via della cosa che non puoi capire. Non hai mai visto Piton evocare un Patronus, vero, Riddle?»

Voldemort non rispose. Continuavano a girare come lupi pronti a sbranarsi.

«Il Patronus di Piton era una cerva» continuò Harry, «come quello di mia madre, perché lui l'ha amata per tutta la vita, da quando erano bambini. Avresti dovuto capirlo» aggiunse, vedendo le narici di Voldemort vibrare. «Ti aveva chiesto di risparmiarla, no?»

«La desiderava, tutto qui» lo schernì Voldemort, «ma quando lei morì, convenne che esistevano altre donne, di sangue più puro, più degne di lui...»

«Naturale che ti abbia detto questo, ma è stato la spia di Silente dal momento in cui la minacciasti e da allora ha lavorato contro di te! Silente stava già morendo quando Piton l'ha finito!»

«Non ha importanza!» strillò Voldemort. Aveva seguito ogni parola con attenzione rapita, ma ora scoppiò in una risata stridula e folle. «Non ha importanza se Piton fosse mio o di Silente, o quali insignificanti ostacoli abbiano cercato di mettere sul mio cammino! Io li ho schiacciati come ho schiacciato tua madre, il presunto grande amore di Piton! Oh, ma tutto torna, Potter, e in modi che tu non comprendi!

«Silente stava cercando di tenere lontana da me la Bacchetta di Sambuco! Voleva che fosse Piton il vero padrone della Bacchetta! Ma io sono arrivato prima di te, ragazzino... l'ho trovata prima di te, ho capito la verità

prima di te. Ho ucciso Severus Piton tre ore fa e la Bacchetta di Sambuco, la Stecca della Morte, la Bacchetta del Destino è davvero mia! L'ultimo piano di Silente è andato storto, Harry Potter!»

«Sì, è vero» concesse Harry. «Hai ragione. Ma prima che tu provi a uccidermi, ti consiglio di pensare a quello che hai fatto... pensaci, e cerca in te un po' di rimorso, Riddle...»

«Che cosa?»

Di tutte le cose che Harry gli aveva detto, più di ogni rivelazione o insulto, niente sorprese Voldemort come questa. Harry vide le sue pupille ridursi a fessure sottili, la pelle attorno agli occhi sbiancare.

«È la tua ultima possibilità» continuò Harry, «tutto ciò che ti resta... ho visto quello che sarai altrimenti... sii un uomo... cerca... cerca un po' di rimorso...»

«Tu osi...?» ripeté Voldemort.

«Sì, oso» rispose Harry, «perché l'ultimo piano di Silente non si è ritorto contro di me. Si è ritorto contro di te, Riddle».

La mano di Voldemort tremò sulla Bacchetta di Sambuco e Harry strinse forte quella di Draco. Capì che era questione di secondi.

«Quella bacchetta non funziona ancora bene perché hai assassinato la persona sbagliata. Severus Piton non è mai stato il vero padrone della Bacchetta di Sambuco. Non ha mai sconfitto Silente» .

«L'ha ucciso...»

«Non mi ascolti? Piton non ha mai sconfitto Silente! Hanno deciso insieme la sua morte! Silente voleva morire imbattuto, essere l'ultimo vero padrone della Bacchetta! Se tutto fosse andato come previsto, il potere della Bacchetta sarebbe morto con luì, perché non gli sarebbe mai stata vinta!»

«Ma allora, Potter, è come se Silente l'avesse consegnata a me!» La voce di Voldemort era intrisa di piacere malvagio. «Io ho rubato la Bacchetta dalla tomba del suo ultimo padrone! Io l'ho portata via contro il desiderio del suo ultimo padrone! Il suo potere è mio!»

«Ancora non capisci, Riddle? Possedere la Bacchetta non basta! Tenerla, usarla non la rende davvero tua. Non hai sentito Olivander? È la bacchetta che sceglie il mago... la Bacchetta di Sambuco ha riconosciuto un nuovo padrone prima della morte di Silente, qualcuno che non l'ha mai nemmeno sfiorata. Il nuovo padrone ha tolto la Bacchetta a Silente contro la sua volontà, senza mai capire cosa aveva fatto, o che la bacchetta più pericolosa del mondo gli aveva offerto la sua obbedienza...»

Il petto di Voldemort si alzò e si abbassò in fretta, e Harry avvertì la maledizione in arrivo, la sentì crescere dentro la bacchetta puntata contro il suo viso.

«Il vero padrone della Bacchetta di Sambuco era Draco Malfoy». Una vacua sorpresa comparve per un attimo sul viso di Voldemort, poi sparì.

«Ma che importanza ha?» mormorò il Signore Oscuro. «Anche se tu avessi ragione, Potter, non farebbe alcuna differenza per te e per me. Non hai più la bacchetta di fenice: il nostro sarà un duello di pura abilità... e dopo che avrò ucciso te, potrò occuparmi di Draco Malfoy...»

«È troppo tardi» osservò Harry. «Hai perso l'occasione. Sono arrivato prima io. Ho battuto Draco settimane fa. Gli ho portato via questa». Harry agitò la bacchetta di biancospino e sentì gli sguardi di tutti i presenti su di essa.

«Quindi è tutto qui, capisci?» sussurrò. «La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato Disarmato? Perché se lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco».

Un bagliore d'oro rosso divampò all'improvviso nel soffitto incantato sopra di loro e uno spicchio di sole accecante apparve sul davanzale della finestra più vicina. La luce colpì i due volti nello stesso momento e quello di Voldemort divenne una macchia infuocata. Harry udì la voce acuta strillare e urlò anche lui la sua speranza estrema verso il cielo, puntando la bacchetta di Draco.

« Avada Kedavra! »

« Expelliarmus! »

Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che eruppero tra loro, al centro esatto del cerchio che avevano disegnato, segnarono il punto in cui gli incantesimi si scontrarono. Harry vide il lampo verde di Voldemort urtare il proprio incantesimo, vide la Bacchetta di Sambuco vo-lare in alto, scura contro l'alba, roteare come la testa di Nagini contro il soffitto incantato, verso il padrone che non avrebbe ucciso, che finalmente ne entrava in pieno possesso. E Harry, con l'infallibile abilità del Cercatore, la prese al volo con la mano libera mentre Voldemort cadeva all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti che si giravano verso l'alto. Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione, e Harry fissava, con due bacchette in mano, il guscio vuoto del suo nemico.

Un vibrante secondo di silenzio, lo stupore sospeso, poi il tumulto esplose attorno a Harry, le urla, l'esultanza e i ruggiti dei presenti lacerarono l'aria. L'ardente sole nuovo incendiò le finestre mentre tutti avanzavano verso di lui, e i primi a raggiungerlo furono Ron e Hermione, le loro braccia ad avvolgerlo, le loro urla incomprensibili ad assordarlo. Poi Ginny, Neville e Luna, e poi gli altri Weasley e Hagrid, e Kingsley e la McGranitt e Vitious e la Sprite; Harry non riusciva a capire una parola di quello che stavano urlando, né quali mani lo afferravano, lo tiravano, cercavano di abbracciarlo: erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo Che È Sopravvissuto, la ragione per cui era davvero finita... Il sole sorgeva su Hogwarts e la Sala Grande ardeva di vita e di luce. Harry era una parte indispensabile in quelle manifestazioni di giubilo e lutto, dolore ed esultanza mescolati. Volevano che fosse lì con loro, il loro capo e simbolo, il loro salvatore e la loro guida, e che non avesse dormito, che bramasse la compagnia di pochi intimi non passò per la mente a nessuno. Doveva parlare con i famigliari delle vittime, stringere loro le mani, guardare le loro lacrime, ricevere i loro ringraziamenti, ascoltare le notizie che rimbalzavano da ogni dove col procedere del mattino: in tutto il paese quelli che erano stati colpiti da una Maledizione Imperius erano tornati in sé, i Mangiamorte fuggivano o venivano catturati, gli innocenti di Azkaban liberati, e Kinsgley Shacklebolt era stato nominato Ministro della Magia ad interim...

Spostarono il corpo di Voldemort in un'aula accanto alla Sala Grande, lontano dai corpi di Fred, Tonks, Lupin, Colin Canon e degli altri cinquanta che erano morti lottando contro di lui. La McGranitt risistemò i tavoli delle Case al loro posto, ma nessuno era più seduto nell'ordine giusto: erano tutti mescolati, insegnanti e allievi, fantasmi e genitori, centauri ed elfi domestici; Fiorenzo era disteso in un angolo a riprendersi, Grop guardava dentro la Sala da una finestra rotta e la gente lanciava cibo nella sua grande bocca ridente. Dopo un po' Harry, sfinito, si ritrovò seduto su una panca accanto a Luna.

«Se fossi in te, vorrei un po' di tranquillità» commentò lei.

«Mi piacerebbe» rispose lui.

«Li distrarrò io» suggerì Luna. «Tu usa il Mantello».

E prima che lui riuscisse a dire una parola gridò: «Oooh, guardate, un Cannolo Balbuziente!» indicando fuori dalla finestra. Tutti quelli attorno si voltarono e Harry si gettò addosso il Mantello e si alzò. Finalmente poté camminare nella Sala senza essere intercettato. Vide Ginny due tavoli più in là, con la testa posata sulla spalla della madre: ci sarebbe stato tempo per parlare più tardi, ore e giorni e forse anni. Vide Neville, che mangiava con la spada di Grifondoro accanto al piatto, circondato da un manipolo di ammiratori. Passò fra i tavoli e vide i tre Malfoy, stretti come se non sapessero se star lì o no, ma nessuno vi faceva caso. Ovunque guardasse scorgeva famiglie riunite, poi finalmente vide i due che cercava.

«Sono io» mormorò, accovacciandosi tra Ron e Hermione. «Venite con me?»

Si alzarono subito e insieme uscirono dalla Sala Grande. La scalinata di marmo era scheggiata, parte della balconata era sparita, e salendo incontrarono detriti e macchie di sangue. Da qualche parte in lontananza sentirono Pix che sfrecciava nei corridoi intonando un canto di vittoria di propria composizione:

« Abbiam vinto, viva viva Potter,

Vold è mort, con le ossa tutte rotte! »

«Rende l'idea delle dimensioni tragiche dell'avvenimento, no?» commentò Ron, e spinse una porta per lasciar passare Harry e Hermione. La felicità sarebbe arrivata, pensò Harry, ma al momento era attutita dallo sfinimento, e il dolore per la perdita di Fred, Lupin e Tonks lo trapassava a intervalli regolari come una ferita fisica. Provava soprattutto uno straordinario sollievo e una gran voglia di dormire. Ma prima doveva spiegare a Ron e a Hermione, che gli erano rimasti al fianco così a lungo e meritavano la verità. Faticosamente, narrò ciò che aveva visto nel Pensatoio e ciò

che era successo nella Foresta, e non avevano nemmeno cominciato a manifestare tutto il loro sconcerto quando finalmente arrivarono nel posto do-ve erano diretti, anche se nessuno di loro l'aveva nominato. Il gargoyle che sorvegliava l'ingresso dello studio del Preside era stato abbattuto; era lì tutto storto, con l'aria un po' stordita, e Harry si chiese se sarebbe riuscito a riconoscere la parola d'ordine.

«Possiamo salire?» gli chiese.

«Fate pure» gemette la statua.

Lo scavalcarono e montarono sulla scala a chiocciola di pietra che saliva lentamente come una scala mobile. In cima, Harry aprì la porta. Riuscì appena a scorgere il Pensatoio, ancora sulla scrivania dove l'aveva lasciato, e poi un fragore assordante lo fece gridare, pensare a maledizioni e Mangiamorte di ritorno, e alla rinascita di Voldemort... Ma erano applausi. Dalle pareti, i Presidi di Hogwarts in piedi nei loro ritratti gli battevano le mani; agitavano i cappelli e in qualche caso le parrucche, si sporgevano dalle cornici per felicitarsi a vicenda, saltavano sulle poltrone; Dilys Derwent singhiozzava senza pudore, Dexter Fortebraccio sventolava il cornetto acustico; e Phineas Nigellus gridò con la sua voce acuta ed esile: «Vorrei rimarcare che la Casa di Serpeverde ha fatto la sua parte! Che il nostro contributo non sia dimenticato!»

Ma Harry aveva occhi solo per l'uomo in piedi nel ritratto più grande, proprio dietro la poltrona del Preside. Le lacrime cadevano dietro gli occhiali a mezzaluna per finire nella lunga barba d'argento, e l'orgoglio e la gratitudine che emanava colmarono Harry di un balsamo simile al canto della fenice.

Infine Harry alzò le mani e i ritratti caddero in un rispettoso silenzio, sorridendo e asciugandosi gli occhi, aspettando con trepidazione che parlasse. Lui tuttavia si rivolse a Silente e scelse le parole con grande attenzione. Sfinito com'era, con gli occhi gonfi e arrossati, doveva fare un ultimo sforzo, chiedere un ultimo consiglio.

«La cosa che era nascosta nel Boccino» esordì «mi è caduta nella Foresta. Non so dove di preciso, ma non ho intenzione di andare a cercarla. È

d'accordo?»

«Mio caro ragazzo, lo sono» rispose Silente, mentre gli altri ritratti mostravano confusione e curiosità. «Una saggia, coraggiosa decisione, ma è

esattamente quello che mi aspettavo da te. Qualcun altro sa dove è caduta?»

«Nessuno» assicurò Harry, e Silente annuì soddisfatto.

«Però vorrei tenere il regalo di Ignotus» proseguì Harry, e Silente sorrise.

«Ma certo, Harry, è tuo per sempre, finché non lo lascerai a qualcuno!»

«E poi c'è questa» .

Harry mostrò la Bacchetta di Sambuco, e Ron e Hermione la contemplarono con una venerazione che a Harry, pur confuso e sfinito, non piacque affatto.

«Non la voglio» disse.

«Cosa?» esclamò Ron. «Sei pazzo?»

«Lo so che è potente» continuò Harry stancamente. «Ma mi trovavo meglio con la mia. Quindi...»

Frugò nella saccoccia che portava al collo e ne estrasse le due metà di agrifoglio ancora attaccate soltanto per un sottilissimo filo di piuma di fenice. Hermione aveva detto che non poteva essere riparata, che il danno era troppo grave. Lui sapeva solo che se non funzionava questo, non avrebbe funzionato nient'altro. Posò la bacchetta spezzata sulla scrivania del Preside, la toccò appena con la punta della Bacchetta di Sambuco e mormorò: « Reparo» . La sua bacchetta si saldò e dalla punta scaturirono scintille rosse. Harry capì che ce l'aveva fatta. Prese la bacchetta di agrifoglio e di fenice e sentì

un improvviso calore alle dita, come se mano e bacchetta esultassero per essersi ritrovate.

«Rimetterò la Bacchetta di Sambuco» annunciò a Silente, che lo guardava con enorme affetto e ammirazione, «dov'era. Può restarci. Se morirò di morte naturale come Ignotus, il suo potere sarà infranto, vero? L'ultimo padrone non sarà mai stato sconfitto. E sarà la fine della storia». Silente annuì. Si scambiarono un sorriso.

«Ne sei sicuro?» chiese Ron. C'era una debolissima eco di desiderio nella sua voce mentre guardava la Bacchetta di Sambuco.

«Io sono d'accordo con Harry» sussurrò Hermione.

«Quella bacchetta procura più guai di quel che vale» concluse Harry. Poi voltò le spalle ai dipinti. Pensava solo al letto a baldacchino che lo aspettava nella Torre di Grifondoro: chissà se Kreacher gli avrebbe portato un panino lassù. «E sinceramente» aggiunse, «ho passato abbastanza guai per una vita intera».

DICIANNOVE ANNI DOPO

Quell'anno l'autunno arrivò presto. La mattina del primo settembre era croccante e dorata come una mela, e quando la famigliola attraversò la strada rumorosa verso l'enorme stazione fuligginosa, i fumi delle auto e il fiato dei pedoni scintillavano come ragnatele nell'aria fredda. Due grandi gabbie sbattevano in cima ai carrelli stracolmi spinti dai genitori; i gufi all'interno gridavano indignati e la bambina con i capelli rossi si trascinava in lacrime dietro i fratelli, aggrappandosi al braccio del padre.

«Non manca molto, fra poco ci andrai anche tu» tentò di consolarla Harry.

«Fra due anni» protestò Lily tirando su col naso. «Io voglio andarci a- desso

I pendolari fissarono incuriositi i gufi quando la famiglia si aprì la strada verso la barriera tra i binari nove e dieci. Harry udì di nuovo la voce di Albus nel frastuono; i suoi figli avevano ripreso la discussione cominciata in macchina.

«Non voglio! Non voglio essere un Serpeverde!»

«James, piantala!» intervenne Ginny.

«Io ho detto solo che potrebbe» ribatté James, sorridendo al fratello minore. «Non c'è niente di male. Potrebbe essere un Serpe...»

Ma James colse lo sguardo della madre e tacque. I cinque Potter si avvicinarono alla barriera. Con un'occhiata impertinente al fratellino, James prese il carrello dalla madre e cominciò a correre. Un attimo dopo era sparito.

«Mi scriverete, vero?» chiese subito Albus ai genitori, approfittando della temporanea assenza del fratello.

«Tutti i giorni, se vuoi» rispose Ginny.

«Non proprio tutti» si affrettò a ribattere Albus. «James dice che gli altri ricevono lettere da casa una volta al mese».

«L'anno scorso gli scrivevamo tre volte la settimana» precisò Ginny.

«E non devi credere a tutto quello che ti dice su Hogwarts» aggiunse Harry. «A tuo fratello piace scherzare».

Fianco a fianco, spinsero il secondo carrello, prendendo velocità. Quando arrivarono alla barriera, Albus trattenne il fiato, ma non ci fu nessuno scontro. La famiglia emerse sul binario nove e tre quarti, oscurato dal denso vapore bianco che usciva dal rosso Espresso per Hogwarts. Sagome indistinte sciamavano nella nebbiolina che aveva già inghiottito James.

«Dove sono?» chiese Albus preoccupato, scrutando le forme confuse lungo il binario.

«Li troveremo» lo rassicurò Ginny.

Ma il vapore era fitto ed era difficile distinguere i volti. Separate dai proprietari, le voci rimbombavano in modo innaturale. Harry riconobbe Percy impegnato in un'animata discussione sulle norme relative ai manici di scopa, e fu lieto di avere una buona scusa per non fermarsi a salutare...

«Credo che siano loro, Al» disse Ginny a un tratto.

Un gruppo di quattro persone affiorò dalla nebbia accanto all'ultima carrozza. Solo quando Harry, Ginny, Lily e Albus si furono avvicinati, riuscirono a distinguere le loro facce.

«Ciao» li salutò Albus, immensamente sollevato.

Rose, che già indossava la divisa di Hogwarts nuova di zecca, gli sorrise radiosa.

«Tutto bene con il parcheggio?» chiese Ron a Harry. «Io sì. Hermione non credeva che sarei riuscito a superare l'esame di guida Babbano, vero?

Pensava che avrei dovuto Confondere l'esaminatore».

«Non è vero» protestò Hermione. «Avevo assoluta fiducia in te».

«In realtà l'ho Confuso» sussurrò Ron a Harry mentre caricavano insieme il baule e il gufo di Albus sul treno. «Avevo solo dimenticato di guardare nello specchietto retrovisore, e diciamocelo, per quello posso sempre usare un Incanto Supersensor».

Sul marciapiede Lily e Hugo, il fratello minore di Rose, erano immersi in un'animata discussione sulla Casa in cui sarebbero stati Smistati una volta a Hogwarts.

«Se non finisci in Grifondoro ti diserediamo» intervenne Ron, «ma non voglio metterti pressione».

« Ron! »

Lily e Hugo risero, ma Albus e Rose erano serissimi.

«Non dice davvero» li rassicurarono Hermione e Ginny, ma Ron si era distratto. Intercettò lo sguardo di Harry e accennò di nascosto a un punto a una cinquantina di metri da lì. Il vapore per un attimo si diradò e tre persone si stagliarono nitide contro la nebbiolina fluttuante.

«Guarda chi c'è».

Era Draco Malfoy con moglie e figlio, un cappotto scuro abbottonato fino alla gola. Stava cominciando a stempiarsi, il che enfatizzava il mento appuntito. Il ragazzino gli assomigliava quanto Albus assomigliava a Harry. Draco si accorse che Harry, Ron, Hermione e Ginny lo guardavano, fece un brusco cenno di saluto e si voltò.

«E così quello è il piccolo Scorpius» commentò Ron sottovoce. «Cerca di batterlo in tutti gli esami, Rosie. Per fortuna hai il cervello di tua madre».

«Ron, per l'amor del cielo» ribatté Hermione, un po' seria un po' divertita. «Non cercare di metterli contro ancora prima che la scuola sia cominciata!»

«Hai ragione, scusa» concesse Ron, ma non riuscì a trattenersi e aggiunse: «Non dargli troppa confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se sposassi un Purosangue».

«Ehi!»

James era ricomparso; si era liberato di baule, gufo e carrello, e moriva dalla voglia di raccontare qualcosa.

«C'è Teddy laggiù» ansimò, puntando alle sue spalle, verso le nuvole di vapore. «L'ho appena visto! E indovinate cosa sta facendo? Si bacia con Victoire! »

Guardò verso gli adulti, chiaramente deluso dalla mancanza di reazioni.

«Il nostro Teddy! Teddy Lupin! Che si bacia con la nostra Victoire! No- stra cugina! Gli ho chiesto cosa stava facendo...»

«Li hai interrotti?» domandò Ginny. «Sei proprio come Ron...»

«... e lui ha detto che era venuto a salutarla! E poi mi ha detto di andar via. Si stavano baciando!» aggiunse James, come se fosse preoccupato di non essere stato abbastanza chiaro.

«Oh, sarebbe bellissimo se si sposassero!» sussurrò Lily estatica. «Così

Teddy farebbe veramente parte della famiglia!»

«Viene già a cena quattro volte la settimana» osservò Harry. «Perché

non gli diciamo di venire a vivere da noi e la facciamo finita?»

«Sì!» esclamò James entusiasta. «A me non importa di dormire con Al... Teddy può prendere la mia stanza!»

«No» rispose Harry deciso, «tu e Al starete in stanza assieme solo quando vorrò far demolire la casa». Guardò il vecchio orologio ammaccato che era appartenuto a Fabian Prewett.

«Sono quasi le undici, è meglio se salite».

«Non dimenticare di dare un bacio a Neville!» si raccomandò Ginny a James abbracciandolo.

«Mamma! Non posso dare un bacio a un professore!»

«Ma tu sei amico di Neville...»

James alzò gli occhi al cielo.

«Fuori sì, ma a scuola è il professor Paciock, no? Non posso entrare in classe di Erbologia e baciarlo... »

James scosse il capo per le assurdità della madre e si sfogò tirando un calcio ad Albus.

«Ci vediamo dopo, Al. Occhio ai Thestral».

«Pensavo che fossero invisibili. Hai detto che erano invisibili! »

Ma James rise, si lasciò baciare da sua madre, abbracciò in fretta il padre e balzò sul treno che si andava riempiendo. Lo videro agitare il braccio in segno di saluto e correre via lungo il corridoio, a cercare i suoi amici.

«Non devi preoccuparti per i Thestral» spiegò Harry ad Albus. «Sono creature gentili, non c'è niente di spaventoso in loro. E comunque non arriverai a scuola in carrozza, ci andrai in barca». Ginny baciò Albus.

«Ci vediamo a Natale».

«Ciao, Al» disse Harry, mentre il figlio lo abbracciava. «Non dimenticare che Hagrid ti ha invitato a prendere il tè venerdì prossimo. Non perdere tempo con Pix. Non sfidare a duello nessuno finché non avrai imparato. E

non farti prendere in giro da James».

«E se divento un Serpeverde?»

Il sussurro era destinato solo a suo padre, e Harry capì che il momento della partenza aveva spinto Albus a rivelare quanto grande e sincera fosse la sua paura.

Harry si accovacciò in modo che il viso di Albus fosse appena sopra il suo. Era l'unico dei suoi tre figli ad aver ereditato gli occhi di Lily.

«Albus Severus» mormorò, in modo che nessuno sentisse a parte Ginny, e lei, con molto tatto, finse di salutare Rose, già sul treno. «Tu porti il nome di due Presidi di Hogwarts. Uno di loro era un Serpeverde e probabilmente l'uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto».

«Ma se...»

«... vorrà dire che la Casa di Serpeverde avrà guadagnato un ottimo studente, no? A noi non importa, Al. Ma se per te è importante, potrai scegliere Grifondoro invece di Serpeverde. Il Cappello Parlante tiene conto della tua scelta».

«Davvero?»

«Con me l'ha fatto» confermò Harry.

Non l'aveva mai detto a nessuno dei suoi figli e vide la meraviglia sul volto di Albus. Ma ormai gli sportelli sbattevano lungo il treno rosso e le figure sfocate dei genitori si avvicinavano alle carrozze per i baci d'addio e le ultime raccomandazioni. Albus balzò a bordo e Ginny chiuse lo sportello alle sue spalle. Dai finestrini più vicini si sporgevano studenti. Un gran numero di facce, sia sul treno sia sul binario, erano rivolte verso Harry.

«Cos'hanno tutti da guardare?» chiese Albus, mentre lui e Rose allungavano il collo per osservare gli altri studenti.

«Non farci caso» rispose Ron. «È per me. Sono estremamente famoso» . Albus, Rose, Hugo e Lily risero. Il treno cominciò a muoversi e Harry lo seguì camminando, guardando il viso magro del figlio, già infiammato per l'emozione. Continuò a sorridere e a salutare, anche se era come un piccolo lutto vedere suo figlio allontanarsi...

L'ultima traccia di vapore svanì nell'aria autunnale. Il treno svoltò. La mano di Harry era ancora alzata in segno di saluto.

«Non avrà problemi» mormorò Ginny.

Harry la guardò e distrattamente abbassò la mano a sfiorare la cicatrice a forma di saetta sulla fronte.

«Lo so» .

La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.