allora il giovane ladro aveva un'aria familiare?
I rumori del bosco arrivavano smorzati dentro la tenda; Harry udiva solo il respiro di Ron. Dopo un po' quest'ultimo sussurrò: «Non hai visto cos'a-veva in mano il ladro?»
«No... doveva essere una cosa piccola».
«Harry...»
Le doghe di legno del letto di Ron cigolarono.
«Harry, secondo te Tu-Sai-Chi sta cercando qualcosa da trasformare in un altro Horcrux?»
«Non lo so». Harry rifletté. «Forse. Ma non sarebbe pericoloso per lui fabbricarne un altro? Hermione non ha detto che ha già spinto la sua anima al limite?»
«Sì, però forse non lo sa».
«Già... forse».
Fino a poco prima era sicuro che Voldemort stesse cercando un modo per aggirare il problema dei nuclei gemelli, sicuro che dal vecchio fabbricante sperasse di avere la soluzione... invece l'aveva ucciso, e senza fargli una sola domanda sull'arte delle bacchette.
Che cosa voleva Voldemort? Perché, col Ministero e il mondo magico ai suoi piedi, era andato così lontano a cercare un oggetto che una volta era appartenuto a Gregorovich e che era stato rubato dal ladro sconosciuto?
Harry rivide il volto del ragazzo coi capelli biondi, allegro, ribelle; irradiava un alone di trionfale astuzia che gli ricordava Fred e George. Si era gettato dalla finestra come un uccello, e Harry l'aveva già visto, ma non ricordava dove... Con Gregorovich morto, adesso era il ladro dalla faccia allegra a essere in pericolo, e fu su di lui che indugiarono i pensieri di Harry, mentre il russare di Ron cominciava a risuonare dal letto di sotto e anche lui ricadeva nel sonno.
CAPITOLO 15
LA VENDETTA DEL FOLLETTO
La mattina seguente, prima che gli altri due si svegliassero, Harry uscì
dalla tenda e andò a cercare l'albero più vecchio, contorto e robusto del bosco. Alla sua ombra seppellì l'occhio di Malocchio Moody e segnò il posto incidendo con la bacchetta una piccola croce nella corteccia. Non era molto, ma sentiva che Malocchio lo avrebbe di gran lunga preferito a restare incastonato nella porta di Dolores Umbridge. Poi tornò alla tenda e attese di discutere con gli altri sul da farsi.
Harry e Hermione erano dell'idea che fosse meglio non fermarsi lì trop-po a lungo e Ron fu d'accordo, a patto che il prossimo spostamento li portasse a tiro di un panino con la pancetta. Hermione rimosse gli incantesimi che aveva piazzato attorno alla radura mentre Ron e Harry cancellavano tutte le tracce che avrebbero potuto rivelare il loro passaggio. Poi si Smaterializzarono fino ai sobborghi di una cittadina che ospitava un mercato. Dopo che ebbero montato la tenda al riparo di una piccola macchia d'alberi e circondato il luogo di nuovi incantesimi di protezione, Harry si avventurò alla ricerca di cibo, nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità. Ma la spedizione non andò come previsto. Era appena entrato in città quando un gelo innaturale, una foschia opprimente e l'improvviso oscurarsi del cielo lo inchiodarono dov'era.
«Ma sai evocare un Patronus magnifico!» protestò Ron quando Harry tornò a mani vuote, senza fiato, capace di profferire una sola parola:
'Dissennatori'.
«Non ci sono riuscito...» ansimò, massaggiandosi la milza dolorante.
«Non è... venuto».
Le loro espressioni deluse e costernate lo fecero vergognare. Era stata un'esperienza da incubo vedere i Dissennatori scivolar fuori dalla nebbia in lontananza e capire, mentre il freddo paralizzante gli gelava i polmoni e un urlo remoto gli riempiva le orecchie, che non sarebbe riuscito a difendersi. Gli ci era voluta un'enorme forza di volontà per staccarsi da lì e correre via, lasciando i ciechi Dissennatori a veleggiare tra i Babbani che forse non potevano vederli, ma di certo avvertivano la disperazione che diffondevano al loro passaggio.
«E così siamo sempre senza cibo» .
«Taci, Ron» sbottò Hermione. «Harry, com'è successo? Perché non sei riuscito a evocare il tuo Patronus? Ieri ti è venuto benissimo!»
«Non lo so».
Era sprofondato in una delle vecchie poltrone di Perkins e si sentiva ogni istante più umiliato. Temeva che dentro di lui qualcosa si fosse guastato. Ieri sembrava un sacco di tempo fa: oggi gli pareva di essere ancora un tredicenne, l'unico a svenire sull'Espresso per Hogwarts. Ron diede un calcio alla gamba di una sedia.
«Cosa?» ringhiò a Hermione. «Io muoio di fame! Da quando mi sono quasi dissanguato ho mangiato solo un paio di funghi!»
«Allora vai tu a farti largo tra i Dissennatori» ribatté Harry, offeso.
«Ci andrei, ma ho il braccio immobilizzato, se non te ne sei accorto!»
«Molto comodo».
«E con questo cosa vorresti...?»
«Ma certo!» strillò Hermione, battendosi una mano sulla fronte e riducendo gli altri due al silenzio. «Harry, dammi il medaglione! Sbrigati» disse, impaziente, schioccandogli le dita davanti al naso, «l'Horcrux, Harry, ce l'hai ancora addosso!»
Tese le mani e Harry si sfilò dal collo la catena d'oro. Nel momento in cui si staccò dalla sua pelle, si sentì libero e stranamente leggero. Non si era nemmeno accorto di essere sudato, o di avere un peso sullo stomaco, finché entrambe le sensazioni non erano svanite.
«Va meglio?» gli chiese Hermione.
«Sì, molto meglio!»
«Harry» mormorò lei, accovacciandosi davanti a lui e adoperando il tono che si usa quando si visita un ammalato grave, «non credi che ti abbia posseduto, vero?»
«Cosa? No» rispose lui, sulla difensiva. «Ricordo tutto quello che abbiamo fatto da quando me lo sono messo. Se fossi stato posseduto non saprei cos'ho fatto, no? Ginny mi ha detto che a volte non riusciva a ricordare niente» .
«Mmm» fece Hermione, osservando il pesante ciondolo. «Be', forse non dovremmo portarlo. Possiamo tenerlo nella tenda».
«Non lasceremo in giro quell'Horcrux» dichiarò Harry deciso. «Se lo perdiamo, se ce lo rubano...»
«Va bene, va bene» acconsentì Hermione; se lo infilò al collo e lo nascose sotto la camicia. «Ma lo porteremo a turno, in modo che nessuno lo tenga troppo a lungo».
«Grandioso» sbottò Ron, irritato, «e adesso che abbiamo deciso, per favore possiamo andare a prendere da mangiare?»
«D'accordo, ma dovremo andare da un'altra parte» stabilì Hermione con un'occhiata rapida a Harry. «Non ha senso restare dove sappiamo che girano i Dissennatori». Alla fine si sistemarono per la notte in un grande campo vicino a una fattoria solitaria, dove riuscirono a procurarsi uova e pane.
«Non è rubare, vero?» chiese Hermione preoccupata mentre divoravano uova strapazzate e pane tostato. «Ho lasciato i soldi nel pollaio». Ron sgranò gli occhi e disse, con le guance gonfie: «Eh-mo-ne, ti freoccufi troffo. Rilaffati!»
E in verità era molto più facile rilassarsi a pancia piena: la discussione sui Dissennatori fu dimenticata tra le risate e Harry si sentiva allegro, quasi speranzoso, quando cominciò il primo dei tre turni di guardia. Fu il loro primo incontro col fatto che lo stomaco pieno voleva dire buonumore, lo stomaco vuoto battibecchi e depressione. Harry fu il meno sorpreso, perché dai Dursley qualche volta aveva rischiato di morire di fame. Hermione sopportava abbastanza bene le sere in cui non riuscivano a raccattare altro che bacche o biscotti muffiti: diventava solo un po' più impaziente del solito e si chiudeva in silenzi cupi. Ron, invece, era sempre stato abituato a tre deliziosi pasti al giorno, grazie a sua madre o agli elfi domestici di Hogwarts, e la fame lo rendeva irragionevole e irascibile. Ogni volta che la mancanza di cibo coincideva col suo turno di portare l'Horcrux, diventava decisamente sgradevole.
«E adesso dove si va?» era il suo ritornello. Non aveva un'idea che fosse una, ma si aspettava che Harry e Hermione concepissero dei piani mentre lui stava a rimuginare sulla scarsità dei viveri. Da parte loro, Harry e Hermione passavano ore infruttuose a cercare di stabilire dove avrebbero potuto trovare gli altri Horcrux e come distruggere quello che avevano, e le loro conversazioni erano diventate ripetitive, dato che non possedevano nuovi elementi. Secondo quanto Silente aveva detto a Harry, Voldemort aveva nascosto gli Horcrux in luoghi per lui importanti, perciò continuavano a recitare, in una sorta di tetra litania, i posti dove sapevano che Voldemort era vissuto o era stato. L'orfanotrofio in cui era nato e cresciuto; Hogwarts, dove aveva ricevuto un'istruzione; Magie Sinister, dove aveva lavorato dopo la scuola; poi l'Albania, dove aveva trascorso gli anni dell'esilio: queste erano le basi delle loro ipotesi.
«Ma sì, andiamo in Albania. Non ci vorrà più di un pomeriggio per frugare tutto il paese» commentò Ron, sarcastico.
«Non può esserci nulla laggiù. Aveva già creato cinque Horcrux prima dell'esilio e Silente era sicuro che il serpente fosse il sesto» spiegò Hermione. «Sappiamo che il serpente non è in Albania, di solito sta con Voi...»
« Non ti avevo chiesto di non dirlo più? »
«Va bene! Il serpente di solito sta con Tu-Sai-Chi... contento?»
«Non proprio».
«Non ce lo vedo, a nascondere qualcosa da Magie Sinister» osservò
Harry. L'aveva già detto parecchie volte ma lo ripeté solo per rompere quel silenzio carico di tensione. «Sinister e Burke erano esperti di oggetti Oscuri, avrebbero riconosciuto subito un Horcrux». Ron sbadigliò a bella posta. Reprimendo la voglia di tirargli qualcosa, Harry insisté: «Continuo a pensare che possa aver nascosto qualcosa a Hogwarts». Hermione sospirò.
«Ma Silente l'avrebbe trovato, Harry!»
Harry ripeté l'argomento che continuava a portare a favore della propria teoria.
«L'ho sentito con le mie orecchie: Silente ha detto di non aver mai avuto la pretesa di conoscere tutti i segreti di Hogwarts. Vi dico che se c'è un posto dove Vol...»
«Ehi!»
«TU-SAI-CHI, allora!» urlò Harry, esasperato. «Se c'è un posto veramente importante per Tu-Sai-Chi, quello è Hogwarts!»
«Oh, andiamo» ribatté Ron, beffardo. «La sua scuola?»
«Sì, la sua scuola! È stata la sua prima vera casa, il posto che significava che lui era speciale, voleva dire tutto per lui, e anche dopo che andò via...»
«Stai parlando di Tu-Sai-Chi, giusto? Non di te?» domandò Ron. Stava tormentando la catena dell'Horcrux che aveva al collo: Harry fu attraversato dal desiderio di usarla per strangolarlo.
«Ci hai detto che Tu-Sai-Chi chiese a Silente di dargli un incarico dopo che se n'era andato» riprese Hermione.
«Giusto» rispose Harry.
«E Silente ebbe l'impressione che volesse tornare solo per cercare qualcosa, probabilmente un altro oggetto appartenuto a un fondatore, da trasformare in un altro Horcrux?»
«Sì» confermò Harry.
«Ma non ha ottenuto quel posto, no? Quindi non ha mai avuto l'occasione di trovare l'oggetto e di nasconderlo nella scuola!»
«Va bene» concluse Harry, sconfitto. «Lasciamo perdere Hogwarts» . Senza altri indizi, tornarono a Londra e, nascosti sotto il Mantello dell'Invisibilità, cercarono l'orfanotrofio di Voldemort. Hermione entrò di soppiatto in una biblioteca e scoprì dai registri che l'edificio era stato demolito molti anni prima. Andarono a vedere e si trovarono davanti a un palazzo di uffici.
«Potremmo cercare di scavare nelle fondamenta» suggerì Hermione poco convinta.
«Non avrebbe mai nascosto un Horcrux qui» dichiarò Harry. L'aveva sempre saputo: l'orfanotrofio era il posto da cui Voldemort aveva voluto sempre fuggire, non vi avrebbe mai celato una parte della sua anima. Silente gli aveva mostrato che Voldemort cercava magnificenza o nobiltà
mistica nei suoi nascondigli; quello squallido, grigio angolo di Londra era quanto di più lontano da Hogwarts si potesse immaginare, o dal Ministero, o da un edificio come la Gringott, la banca magica, con le sue porte d'oro e i pavimenti di marmo.
Senza nuove idee, continuavano a spostarsi nella campagna, piantando per sicurezza la tenda ogni sera in un posto diverso. Ogni mattina controllavano di aver rimosso tutte le tracce del loro passaggio, poi partivano alla ricerca di un altro luogo solitario e isolato, Materializzandosi in altri boschi, negli anfratti ombrosi delle falesie, in brughiere violette, sulle pendici di monti coperte di ginestre e, una volta, in una cala riparata e sassosa. Ogni dodici ore si passavano l'Horcrux come se stessero giocando una perversa partita di patata bollente al rallentatore, nella quale temevano che la musica si fermasse perché la penitenza erano altre dodici ore di paura e tensione.
La cicatrice di Harry continuava a fargli male. Notò che succedeva più
spesso, quando portava l'Horcrux. A volte non riusciva a nascondere il dolore.
«Cosa? Cos'hai visto?» gli chiedeva Ron tutte le volte che lo vedeva fare una smorfia.
«Una faccia» rispondeva sempre Harry. «La stessa faccia. Il ladro che ha derubato Gregorovich».
E Ron si voltava, senza nascondere la delusione. Harry sapeva che sperava di avere notizie della sua famiglia, o del resto dell'Ordine della Fenice, ma dopotutto lui, Harry, non era un'antenna televisiva; vedeva solo quello che stava pensando Voldemort in quel momento, non poteva sintonizzarsi su quello che gli pareva. Evidentemente Voldemort si soffermava senza posa sul giovane ignoto dalla faccia allegra, e Harry era certo che nemmeno lui ne conoscesse nome e indirizzo. Poiché la cicatrice continuava a bruciare e il gioioso ragazzo biondo galleggiava tentatore nella sua memoria, Harry imparò a reprimere ogni segno di dolore o disagio, perché
gli altri due non mostravano altro che impazienza alla sola menzione del ladro. Non poteva del tutto biasimarli, visto il loro disperato bisogno di un indizio sugli Horcrux.
I giorni diventarono settimane e Harry cominciò a sospettare che Ron e Hermione parlassero di lui alle sue spalle. Spesso tacevano di colpo quando entrava nella tenda e due volte li sorprese rannicchiati vicini, a sussurra-re fitto fitto; tutte e due le volte si zittirono quando lo videro avvicinarsi e si misero frettolosamente a raccogliere legna o a cercare l'acqua. Harry non poteva fare a meno di chiedersi se avessero accettato di seguirlo in quel viaggio, che ora sembrava inutile e inconcludente, solo perché erano convinti che lui avesse un piano segreto, che avrebbero appreso a tempo debito. Ron non provava nemmeno più a nascondere il malumore e Harry cominciava a temere che anche Hermione fosse delusa dalla sua scarsa attitudine al comando. Disperato, cercò di pensare ad altri possibili nascondigli per gli Horcrux, ma gli veniva in mente sempre e solo Hogwarts, e siccome nessuno degli amici lo riteneva un luogo probabile, smise di suggerirlo. L'autunno si distese sulla campagna: ormai montavano la tenda sopra mucchi di foglie cadute. Le foschie naturali si aggiungevano a quelle provocate dai Dissennatori; vento e pioggia moltiplicarono i loro disagi. Il fatto che Hermione fosse sempre più abile nel riconoscere i funghi mangerecci non compensava il protratto isolamento, la mancanza della compagnia di altre persone, e la totale ignoranza di come stava andando la guerra contro Voldemort.
«Mia madre» osservò Ron una sera, sulla riva di un fiume gallese, «sa far apparire del buon cibo dal nulla».
Punzecchiò di malavoglia i grumi di pesce grigio bruciacchiato sul piatto. Harry guardò automaticamente il collo di Ron e, come aveva previsto, vide scintillare la catena d'oro dell'Horcrux. Cercò di reprimere l'impulso di insultarlo, sapendo che il suo atteggiamento sarebbe un po' migliorato al momento di togliersi il medaglione.
«Tua madre non può far apparire il cibo dal nulla» puntualizzò Hermione. «Nessuno può farlo. Il cibo è la prima delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Eleme...»
«Oh, parla la nostra lingua, per favore!» sbottò Ron, sfilandosi una lisca dai denti.
«È impossibile fare del buon cibo dal nulla! Puoi Appellarlo se sai dov'è, puoi trasformarlo, puoi moltiplicare la quantità se ne hai già un po'...»
«... be', non moltiplicare questo, fa schifo» la interruppe Ron.
«Harry ha preso il pesce e io ho fatto del mio meglio! Ho notato che alla fine sono sempre io a occuparmi del cibo; sarà perché sono una femmina, immagino!»
«No, è perché tu dovresti essere la più brava a fare magie!» replicò Ron. Hermione balzò in piedi facendo cadere a terra pezzi di luccio arrostito dal suo piatto di latta.
«Cucina tu, domani, Ron, trova tu gli ingredienti e prova un po' a incantarli in qualcosa di commestibile; intanto io starò qui a fare smorfie e a lamentarmi, e vedrai come...»
«Zitta!» esclamò Harry, alzandosi di scatto e sollevando le mani. Hermione lo guardò offesa.
«Come fai a stare dalla sua parte, non...»
«Hermione, zitta, c'è qualcuno!»
Tese l'orecchio, concentrato, le mani ancora levate per farli tacere. Poi, sopra il gorgoglio del fiume scuro, udì altre voci. Guardò lo Spioscopio. Era immobile.
«Hai fatto l'Incantesimo Muffliato, vero?» sussurrò a Hermione.
«Ho fatto tutto» mormorò lei in risposta. «Muffliato, Respingi-Babbani e Incantesimi di Disillusione, tutti. Non dovrebbero sentirci né vederci, di chiunque si tratti».
Un pesante scalpiccio e il rumore di pietre e rami spostati dissero loro che diverse persone stavano scendendo lungo il ripido pendio boscoso che conduceva alla stretta riva dove avevano montato la tenda. Estrassero le bacchette, in attesa. Gli incantesimi che avevano distribuito tutto attorno sarebbero dovuti bastare, nel buio quasi totale, a nasconderli da Babbani, maghi e streghe ordinari. Se invece si trattava di Mangiamorte, forse le loro difese stavano per essere messe alla prova per la prima volta dalla Magia Oscura. Quando il gruppo raggiunse la riva le voci si fecero più forti ma non più
comprensibili. Harry calcolò che dovevano essere a cinque o sei metri di distanza, ma il fragore del fiume rendeva impossibile dirlo con certezza. Hermione afferrò la borsetta di perline e vi frugò dentro; dopo un attimo ne estrasse tre Orecchie Oblunghe e ne gettò una per ciascuno a Harry e Ron, che s'infilarono in fretta le estremità dei fili color carne nelle orecchie e spinsero gli altri capi fuori dalla tenda.
Dopo qualche istante Harry udì una stanca voce maschile.
«Ci dovrebbero essere dei salmoni qui, o la stagione non è ancora cominciata? Accio salmone! »
Si udirono tonfi e schizzi, poi il rumore di pesci che sbattevano. Qualcuno grugnì soddisfatto. Harry premette più a fondo l'Orecchio Oblungo dentro il proprio; sopra il mormorio del fiume distinse altre voci, ma non parlavano inglese né un'altra lingua umana a lui nota. Era un linguaggio rozzo e dissonante, una sequenza di rumori rauchi e gutturali, e sembrava che fossero in due, uno con la voce un po' più bassa e lenta dell'altro. Un fuoco prese a danzare oltre la tela; grosse ombre passarono tra la tenda e le fiamme. Il profumo delizioso di salmone arrostito si sparse tentatore verso di loro. Poi si udì un tintinnio di posate e piatti, e il primo uomo parlò di nuovo.
«Ecco, Unci-unci, Gonci».
Folletti! scandì in silenzio Hermione a Harry, che annuì.
«Grazie» dissero insieme i folletti in inglese.
«Allora, da quand'è che siete in fuga, voi tre?» chiese una nuova voce, pastosa e piacevole; sembrava vagamente familiare a Harry, che si figurò
un uomo con la pancia tonda e il volto allegro.
«Sei settimane... sette... non ricordo» rispose l'uomo stanco. «Ho incontrato prima Unci-unci e ci siamo uniti a Gonci non molto tempo dopo. È
bello avere un po' di compagnia». Una pausa, mentre i coltelli grattavano sui piatti e i boccali di latta venivano sollevati e posati di nuovo a terra. «E
tu, come mai sei andato via, Ted?» riprese l'uomo.
«Sapevo che sarebbero venuti a prendermi» rispose la voce pastosa di Ted, e Harry lo riconobbe: era il padre di Tonks. «Ho sentito che c'erano dei Mangiamorte in zona la settimana scorsa e ho deciso che era meglio darsela a gambe. Ho rifiutato di registrarmi come Nato Babbano per principio, quindi era solo questione di tempo, sapevo che alla fine avrei dovuto scappare. Mia moglie dovrebbe essere tranquilla, lei è Purosangue. E poi ho incontrato Dean, cos'è stato, qualche giorno fa, ragazzo?»
«Sì» fece un'altra voce. Harry, Ron e Hermione si fissarono, zitti, ma fuori di sé per l'emozione, certi di aver riconosciuto Dean Thomas, il loro compagno di Grifondoro.
«Nato Babbano, eh?» chiese il primo uomo.
«Non lo so» rispose Dean. «Mio padre ha lasciato mia madre quando ero piccolo. Non ho prove che fosse un mago».
Calò il silenzio per un po', rotto solo dal rumore delle mandibole al lavoro; poi Ted parlò di nuovo.
«Devo dire, Dirk, che sono sorpreso di averti incontrato. Mi fa piacere, ma sono sorpreso. Girava voce che ti avessero beccato».
«Infatti» confermò Dirk. «Ero sulla strada di Azkaban ma sono scappato: ho Schiantato Dawlish e gli ho rubato la scopa. È stato più facile del previsto; credo che al momento non sia in gran forma. Forse è Confuso. Se è così, vorrei stringere la mano al mago o alla strega che l'ha fatto: probabilmente mi ha salvato la vita» . Un'altra pausa, riempita dallo scoppiettio del fuoco e dalla voce del fiume. Poi Ted chiese: «E voi due cosa c'entrate? Io, ehm, avevo l'impressione che i folletti stessero dalla parte di Voi-Sapete-Chi, in linea di massima».
«Un'impressione sbagliata» replicò il folletto con la voce più acuta. «Noi non prendiamo partito. Questa è una guerra di maghi».
«E allora perché vi nascondete?»
«L'ho ritenuto prudente» spiegò il folletto con la voce più bassa. «Mi sono rifiutato di assecondare una richiesta che ritenevo fuori luogo e ho capito che la mia sicurezza era a rischio».
«Che cosa ti hanno chiesto di fare?» domandò Ted.
«Compiti inappropriati alla dignità della mia razza» rispose il folletto, la voce più rozza e meno umana nel dirlo. «Io non sono un elfo domestico».
«E tu, Unci-unci?»
«Ragioni simili» disse l'altro folletto. «La Gringott non è più sotto l'esclusivo controllo della mia razza. Io non riconosco alcun padrone mago». Aggiunse qualcosa sottovoce in Goblinese e Gonci rise.
«Cos'ha detto?» chiese Dean.
«Ha detto» spiegò Dirk «che ci sono cose che anche i maghi non riconoscono». Una breve pausa.
«Non capisco» disse Dean.
«Mi sono preso la mia piccola rivincita prima di andarmene» rispose Unci-unci in inglese.
«Bravo ragazzo... scusa, folletto» si corresse Ted in fretta. «Non è che hai rinchiuso un Mangiamorte in una delle vecchie camere ad alta sicurezza, eh?»
«Se anche l'avessi fatto, la spada non l'avrebbe aiutato a uscirne» ribatté
Unci-unci. Gonci rise di nuovo e perfino Dirk fece una risatina secca.
«A me e a Dean continua a sfuggire qualcosa» osservò Ted.
«Anche a Severus Piton, però lui non lo sa» ribadì Unci-unci, e i due folletti scoppiarono in una risata maligna. Dentro la tenda, Harry stava con il fiato sospeso per l'emozione: lui e Hermione si guardarono e ascoltarono più concentrati che mai.
«Non hai sentito, Ted?» chiese Dirk. «Dei ragazzi che hanno cercato di rubare la spada di Grifondoro dallo studio di Piton a Hogwarts?»
Una corrente elettrica attraversò Harry, facendogli formicolare ogni singolo nervo.
«Neanche una parola» rispose Ted. «Non era sul Profeta, no?»
«Non credo proprio» ridacchiò Dirk. «A me l'ha raccontato Unci-unci: l'ha saputo da Bill Weasley, che lavora per la banca. Tra i ragazzi che hanno tentato il colpo c'era sua sorella». Harry scoccò uno sguardo a Hermione e Ron, che stavano aggrappati alle Orecchie Oblunghe come ad ancore di salvezza.
«Lei e un paio di suoi amici sono entrati nello studio di Piton e hanno fracassato la teca dove teneva la spada. Piton li ha sorpresi mentre cercavano di portarla di nascosto giù dalle scale» .
«Ah, il cielo li benedica» sospirò Ted. «Cosa credevano, di poterla usare contro Voi-Sapete-Chi? O contro Piton, magari?»
«Be', qualunque cosa avessero in mente, Piton ha deciso che la spada non era al sicuro lì dove stava» continuò Dirk. «Passano un paio di giorni, il tempo di avere il parere di Voi-Sapete-Chi, immagino, e la manda a Londra perché venga custodita alla Gringott».
I folletti ricominciarono a ridere.
«Continuo a non capire lo scherzo» insisté Ted.
«È un falso» rispose Unci-unci con voce roca.
«La spada di Grifondoro!»
«Eh, già. È una copia - un'ottima copia, è vero - ma è opera di maghi. L'originale fu forgiato secoli fa dai folletti e aveva alcune caratteristiche che solo le armi fatte dai folletti possiedono. Ovunque si trovi la vera spada di Grifondoro, non è alla Gringott».
«Capisco» fece Ted. «Immagino che tu non ti sia preso la briga di dirlo ai Mangiamorte».
«Non c'era motivo di turbarli con questa informazione» ribatté Unciunci compiaciuto, e stavolta Ted e Dean si unirono alle risate di Gonci e Dirk.
Dentro la tenda, Harry chiuse gli occhi, sperando che qualcuno facesse la domanda di cui desiderava conoscere la risposta, e dopo un minuto che ne sembrava dieci, Dean la fece: anche lui (Harry ricordò con uno spasimo) era un ex fidanzato di Ginny.
«Cos'è successo a Ginny e agli altri? Quelli che hanno cercato di rubarla?»
«Oh, sono stati puniti, e molto duramente» rispose Unci-unci con noncuranza.
«Ma stanno bene?» s'inserì Ted. «Voglio dire, ci manca solo che i Weasley abbiano un altro figlio ferito!»
«Non hanno subito lesioni gravi, per quello che so» rispose Unci-unci.
«Meno male» commentò Ted. «Con il curriculum di Piton, dobbiamo essere contenti se sono ancora vivi».
«Tu credi a quella storia, Ted?» chiese Dirk. «Credi che sia stato Piton a uccidere Silente?»
«Ma certo» rispose Ted. «Non dirmi che credi che Potter c'entri qualcosa!»
«Difficile sapere a cosa credere, di questi tempi» borbottò Dirk.
«Io conosco Harry Potter» intervenne Dean. «E penso che lui lo sia davvero... il Prescelto, o come preferite chiamarlo».
«Sì, c'è un sacco di gente che vorrebbe crederlo, figliolo» ribatté Dirk,
«me compreso. Ma dov'è? È scappato, a quanto pare. Insomma, se sapesse qualcosa che noi non sappiamo o avesse in mente qualcosa di speciale, sarebbe a combattere, a organizzare la resistenza, invece di nascondersi. E il Profeta è stato piuttosto convincente contro di lui...»
«Il Profeta?» esclamò Ted, sarcastico. «Se leggi ancora quelle schifezze meriti solo bugie, Dirk. Se vuoi i fatti, prova Il Cavillo» . Un'improvvisa esplosione di tosse e conati, accompagnati da un bel po'
di colpi: Dirk doveva aver ingoiato una lisca. Infine riuscì a farfugliare: « Il Cavillo? Quel fogliaccio pazzoide di Xeno Lovegood?»
«Non è poi tanto pazzoide di questi tempi» ribatté Ted. «Dovresti dargli un'occhiata. Xeno pubblica tutta la roba che il Profeta ignora, nell'ultimo numero non c'era nemmeno una riga sui Ricciocorni Schiattosi. Per quanto tempo glielo lasceranno fare, non lo so. Ma Xeno dice, in prima pagina su ogni singolo numero, che qualunque mago sia contro Voi-Sapete-Chi dovrebbe cercare di aiutare Harry Potter».
«Difficile aiutare un ragazzo che è sparito dalla faccia della terra» osservò Dirk.
«Senti, il fatto che non l'abbiano ancora preso è già un risultato eccezionale» replicò Ted. «Vorrei che mi desse qualche dritta. È quello che stiamo cercando di fare, restare in libertà, no?»
«Sì, be', su questo hai ragione» ammise Dirk in tono grave. «Fra tutto il Ministero e i suoi informatori sulle sue tracce, pensavo che l'avessero già
preso. Ma chi ci dice che non l'abbiano già catturato e ucciso senza diffondere la notizia?»
«Ah, non dire così, Dirk» mormorò Ted.
Per un lungo periodo si udì soltanto il tintinnio dei coltelli e delle forchette. Quando ripresero a parlare, fu per stabilire se dormire sulla riva o risalire l'argine. Decisero che gli alberi li avrebbero riparati di più, spensero il fuoco e si arrampicarono su per il pendio. Le loro voci svanirono in lontananza.
Harry, Ron e Hermione riavvolsero le Orecchie Oblunghe. Harry, che origliando aveva fatto molta fatica a restare zitto, ora non riusciva a dire altro che «Ginny... la spada...»
«Ci sono!» esclamò Hermione.
Afferrò la borsetta di perline e questa volta vi infilò il braccio fino all'ascella.
«Ecco... qui» mormorò a denti stretti tirando fuori qualcosa che evidentemente si trovava sul fondo. Sbucò il bordo di un'elaborata cornice. Harry si affrettò ad aiutarla. Liberarono il ritratto vuoto di Phineas Nigellus; Hermione teneva la bacchetta puntata contro il quadro, pronta a scagliare un incantesimo.
«Se qualcuno ha scambiato la spada vera con quella falsa quando si trovava nello studio di Silente» ansimò, mentre appoggiavano il dipinto alla parete della tenda, «Phineas Nigellus dovrebbe averlo visto, è appeso proprio accanto alla teca!»
«A meno che non stesse dormendo» obiettò Harry, ma trattenne il respiro quando Hermione s'inginocchiò davanti alla tela vuota, la bacchetta puntata sul centro, si schiarì la voce e chiamò: «Ehm... Phineas? Phineas Nigellus?»
Non successe nulla.
«Phineas Nigellus?» ripeté Hermione. «Professor Black? Possiamo parlarle, per favore? Per favore?»
«Un 'per favore' apre mille porte» sentenziò una voce fredda e sprezzante, e Phineas Nigellus scivolò dentro il ritratto. Hermione gridò subito:
« Obscuro! »
Una benda nera coprì gli occhi scuri e intelligenti di Phineas Nigellus, facendolo cozzare contro la cornice e strillare di dolore.
«Cosa... come osate... che cosa...?»
«Mi spiace molto, professor Black» si scusò Hermione, «ma è una precauzione necessaria!»
«Togliete subito questa sudicia aggiunta! Toglietela, vi dico! State rovinando una grande opera d'arte! Dove sono? Che cosa succede?»
«Non importa dove siamo» intervenne Harry, e Phineas Nigellus s'immobilizzò, cessando ogni tentativo di togliersi la benda.
«Odo forse la voce dell'elusivo signor Potter?»
«Può darsi» rispose Harry, sapendo che così avrebbe mantenuto vivo l'interesse di Nigellus. «Abbiamo un paio di domande da farle... sulla spada di Grifondoro».
«Ah» fece Phineas Nigellus, girando la testa da un lato e dall'altro sperando di scorgerlo, «sì. Quella sciocca ragazza si è comportata in modo assai dissennato...»
«Non parli così di mia sorella» lo interruppe Ron in tono rude. Phineas Nigellus inarcò le sopracciglia, sprezzante.
«Chi altri è qui?» chiese, voltando ancora la testa. «Il tuo tono mi irrita!
La ragazza e i suoi amici sono stati estremamente sconsiderati. Rubare al Preside!»
«Non stavano rubando» precisò Harry. «Quella spada non è di Piton».
«Appartiene alla scuola del professor Piton» ribatté Phineas Nigellus.
«Quale diritto può vantare su di essa quella Weasley, di grazia? Si è meritata la punizione, come quel gonzo di Paciock e quella svitata della Lovegood!»
«Neville non è un gonzo e Luna non è una svitata!» protestò Hermione.
«Dove mi trovo?» ripeté Phineas Nigellus, ricominciando ad armeggiare con la benda. «Dove mi avete portato? Perché mi avete rimosso dalla casa dei miei antenati?»
«Non ha importanza! Che punizione ha scelto Piton per Ginny, Neville e Luna?»
«Il professor Piton li ha spediti nella Foresta Proibita a fare del lavoro per l'idiota, Hagrid».
«Hagrid non è un idiota!» strillò Hermione.
«E Piton avrà pensato che fosse una punizione» aggiunse Harry, «ma Ginny, Neville e Luna probabilmente si sono fatti quattro risate con Hagrid. La Foresta Proibita... hanno affrontato cose ben peggiori della Foresta Proibita, sai che roba!»
Era sollevato; si era immaginato una sfilza di orrori, la Maledizione Cruciatus come minimo.
«Quello che volevamo davvero sapere, professor Black, è se qualcun altro ha, ehm, mai preso la spada. Magari per pulirla, o... una cosa così?»
Phineas Nigellus smise di nuovo di contorcersi e sogghignò.
«Questi figli di Babbani...» commentò. «Le armi forgiate dai folletti non hanno bisogno di manutenzione, sciocca ragazza. L'argento dei folletti respinge il volgare sporco, assorbe solo ciò che lo fortifica» .
«Non dia della sciocca a Hermione» intervenne Harry.
«Tutte queste contestazioni mi stancano» osservò Phineas Nigellus.
«Forse è ora che torni nello studio del Preside».
Ancora bendato, tastò il lato della cornice, cercando l'uscita dal quadro per tornare in quello appeso a Hogwarts. Harry ebbe un'ispirazione improvvisa.
«Silente! Non può portarci Silente?»
«Prego?» fece Phineas Nigellus.
«Il ritratto del professor Silente... non può portarlo qui, dentro il suo?»
Phineas Nigellus rivolse il viso verso la voce di Harry.
«Evidentemente non solo i figli dei Babbani sono ignoranti, Potter. I ritratti di Hogwarts possono comunicare l'uno con l'altro, ma non possono uscire dal castello se non per far visita a un ritratto gemello appeso in un altro luogo. Silente non può venire qui con me e, dopo il trattamento che mi avete riservato, posso garantirvi che nemmeno io tornerò a farvi visita!»
Mortificato, Harry osservò Phineas raddoppiare gli sforzi per abbandonare la cornice.
«Professor Black» tentò Hermione, «potrebbe dirci soltanto, per favore, quando è stata l'ultima volta che la spada è stata tolta dalla sua teca? Prima che la prendesse Ginny, cioè?»
Phineas sbuffò d'impazienza.
«Credo che l'ultima volta che ho visto la spada di Grifondoro uscire dalla sua teca sia stato quando il professor Silente l'ha usata per spezzare un anello».
Hermione si voltò di scatto verso Harry. Nessuno dei due osò aggiungere nulla davanti a Phineas Nigellus, che finalmente aveva trovato l'uscita.
«Be', buonanotte a voi» concluse, un po' stizzito, e si avviò. Solo l'orlo della tesa del suo cappello era ancora in vista quando Harry urlò.
«Aspetti! Ha detto a Piton quello che ha visto?»
La faccia bendata di Phineas Nigellus fece di nuovo capolino nel quadro.
«Il professor Piton ha cose più importanti a cui pensare che alle molte stravaganze di Albus Silente. Addio, Potter!»
E con questo sparì, lasciandosi alle spalle solo lo sfondo color fango.
«Harry!» gridò Hermione.
«Lo so!» urlò lui in risposta. Incapace di trattenersi, prese a pugni l'aria: era più di quanto avesse osato sperare. Si mise a camminare su e giù per la tenda: sentiva che avrebbe potuto correre per un chilometro; non aveva nemmeno più fame. Hermione stava pigiando di nuovo il ritratto nella bor-sa di perline; chiuso il fermaglio, la gettò di lato e alzò il volto radioso verso Harry.
«La spada può distruggere gli Horcrux! Le lame forgiate dai folletti assorbono solo ciò che le fortifica... Harry, quella spada è impregnata di veleno di Basilisco!»
«E Silente non me l'ha data perché ne aveva ancora bisogno, voleva usarla per aprire il medaglione...»
«... e deve aver capito che non te l'avrebbero lasciata se l'avesse messa nel testamento...»
«... così ha fatto una copia...»
«... e ha messo quella falsa nella teca...»
«... e quella vera... dove?»
Si guardarono; Harry sentiva che la risposta penzolava invisibile sopra di loro, tentatrice e vicina. Perché Silente non gliel'aveva detto? O invece gliel'aveva detto, ma Harry non aveva capito?
«Rifletti!» sussurrò Hermione. «Rifletti! Dove avrebbe potuto lasciarla?»
«Non a Hogwarts» rispose Harry, riprendendo la marcia.
«Da qualche parte a Hogsmeade?» suggerì Hermione.
«Nella Stamberga Strillante?» propose Harry. «Non ci entra mai nessuno».
«Ma Piton sa come fare, non sarebbe rischioso?»
«Silente si fidava di Piton» le ricordò Harry.
«Non abbastanza da dirgli che aveva scambiato le spade».
«Hai ragione!» esclamò Harry; e si sentì ancora più lieto al pensiero che Silente avesse qualche riserva, per quanto labile, su Piton. «Allora avrà nascosto la spada ben lontano da Hogsmeade! Cosa ne dici, Ron? Ron!»
Harry si guardò intorno. Per uno sconcertante momento pensò che Ron fosse uscito dalla tenda, poi si accorse che era disteso nell'ombra nel letto in basso, impietrito.
«Ah, ti sei ricordato di me, vedo» disse.
«Cosa?»
Ron sbuffò e fissò il lato inferiore del letto sopra di lui.
«Continuate pure, voi due. Non vorrei rovinarvi il piacere». Sbalordito, Harry fissò Hermione in cerca di aiuto, ma lei scosse il capo, evidentemente perplessa quanto lui.
«Che problema c'è?» chiese Harry.
«Problema? Nessun problema» rispose Ron, evitando ancora il suo sguardo. «Non secondo te, almeno».
Sulla tela sopra le loro teste si udirono delle gocce. Era cominciato a piovere.
«Be', mi pare evidente che tu hai un problema» riprese Harry. «Spara, dai».
Ron gettò le lunghe gambe giù dal letto e si mise a sedere. Aveva un'espressione cattiva, non da lui.
«D'accordo, sparo. Non aspettarti che io salti su e giù per la tenda perché
abbiamo un'altra maledetta cosa da cercare. Aggiungila alla lista delle cose che non sai, e falla finita».
«Che non so?» ripeté Harry. «Che non so?»
Plunc, plunc, plunc: la pioggia cadeva più fitta e pesante sul terreno coperto di foglie intorno a loro e dentro il fiume, battendo nel buio. La paura spense l'esultanza di Harry: Ron stava dicendo proprio quello che lui aveva sospettato e temuto che pensasse.
«Non è che non mi stia divertendo da pazzi, qui» continuò Ron, «sai, tra il braccio maciullato, niente da mangiare, e il sedere gelato tutte le notti. Speravo solo, ecco, che dopo settimane che giriamo in tondo magari avremmo ottenuto qualche risultato».
«Ron» mormorò Hermione, ma così piano che Ron poté far finta di non averla sentita sopra il tambureggiare della pioggia sulla tenda.
«Credevo che sapessi a che cosa andavi incontro» rispose Harry.
«Sì, lo credevo anch'io».
«Allora che cosa non è all'altezza delle tue aspettative?» domandò
Harry. La rabbia lo stava caricando. «Credevi che avremmo dormito in alberghi a cinque stelle? Che avremmo trovato un Horcrux ogni due giorni?
Credevi che saresti tornato da mammina per Natale?»
«Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!» gridò Ron, alzandosi, e le sue parole trafissero Harry come pugnali roventi. «Pensavamo che Silente ti avesse dato delle istruzioni, pensavamo che avessi un vero piano!»
«Ron!» La voce di Hermione questa volta si udì forte e chiara sopra la pioggia; ma lui la ignorò di nuovo.
«Be', mi spiace di avervi deluso» ribatté Harry con voce calma, anche se si sentiva vuoto, inadeguato. «Sono stato sincero con voi fin dall'inizio, vi ho detto tutto quello che mi aveva detto Silente. E nel caso non te ne sia accorto, abbiamo trovato un Horcrux...»
«Certo, e da un momento all'altro ce ne sbarazzeremo e troveremo gli altri... aspetta e spera!»
«Togliti il medaglione, Ron» disse Hermione a voce insolitamente acuta.
«Per favore, toglilo. Non parleresti così se non l'avessi tenuto addosso tutto il giorno».
«Sì che lo farebbe» intervenne Harry, che non voleva accettare attenuanti per Ron. «Credi che non mi sia accorto che mi parlate dietro le spalle?
Credi che non abbia capito che lo pensate davvero?»
«Harry, noi non...»
«Non mentire!» la aggredì Ron. «L'hai detto anche tu, hai detto che eri delusa, hai detto che pensavi che avesse qualche idea in più...»
«Non ho detto questo... Harry, non l'ho detto!» strillò lei. La pioggia martellava sulla tela, le lacrime cadevano sul volto di Hermione, e l'entusiasmo di qualche momento prima era svanito come se non ci fosse mai stato, un effimero fuoco d'artificio che era esploso e si era spento, lasciando tutto buio, freddo e bagnato. La spada di Grifondoro era nascosta chissà dove, loro erano solo tre ragazzi in una tenda e l'unico risultato che avevano ottenuto era di non essere morti, per ora.
«E perché sei ancora qui?» chiese Harry a Ron.
«Non ne ho idea» rispose Ron.
«Allora vattene a casa».
«Sì, forse ci vado!» urlò Ron, facendo qualche passo verso Harry, che non arretrò. «Non hai sentito che cosa hanno detto di mia sorella? Ma per te conta come un peto di topo, vero, è solo la Foresta Proibita, Harry Ne- ho-Viste-di-Peggio Potter se ne frega di cosa le succede là dentro, be', a me invece importa, va bene, ragni giganti e altre pazzie...»
«Stavo solo dicendo... era con gli altri, erano con Hagrid...»
«... sì, ho capito, te ne sbatti! E il resto della mia famiglia? 'Ci manca solo che i Weasley abbiano un altro figlio ferito', hai sentito?»
«Sì, io...»
«Non ti sei chiesto cosa significava, vero?»
«Ron!» intervenne Hermione. «Secondo me non significa che è successo qualcosa di nuovo che non sappiamo; pensa, Ron: Bill è già stato sfregiato, un sacco di gente avrà visto George senza un orecchio, ormai, e tu in teoria stai morendo di spruzzolosi, sono sicura che intendeva questo...»
«Ah, sei sicura, eh? Bene, allora non ci penso più. Voi due siete tranquilli, coi genitori al sicuro...»
«I miei genitori sono morti!» tuonò Harry.
«E i miei potrebbero finire allo stesso modo!» gridò Ron.
«Allora VAI!» ruggì Harry. «Torna da loro, fai finta di guarire dalla spruzzolosi e mammina potrà rimpinzarti e...»
Ron fece un gesto improvviso; Harry reagì, ma prima che sfoderassero le bacchette Hermione levò la sua.
« Protego! » gridò, e uno scudo invisibile si dilatò tra lei e Harry da una parte e Ron dall'altra; tutti e tre furono costretti a indietreggiare dalla forza dell'incantesimo e Harry e Ron si scambiarono sguardi feroci dai due lati della barriera trasparente, come se per la prima volta si vedessero davvero. Harry provava un odio bruciante per Ron: qualcosa si era rotto tra loro.
«Lascia qui l'Horcrux» ordinò Harry.
Ron si tolse la catena e gettò il medaglione su una sedia. Si rivolse a Hermione.
«Tu cosa fai?»
«Cosa vuoi dire?»
«Resti o cosa?»
«Io...» Era a pezzi. «Sì... sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l'avremmo aiutato...»
«Capito. Scegli lui».
«Ron, no... ti prego... torna indietro, torna indietro!»
Era bloccata dal suo stesso Sortilegio Scudo; quando l'ebbe rimosso, Ron era già corso via nella notte. Harry rimase immobile, in silenzio, ad ascoltarla singhiozzare e chiamare Ron tra gli alberi.
Dopo un po' lei tornò, i capelli zuppi incollati al volto.
«È... an-an-andato! Si è Smaterializzato!»
Si gettò su una sedia, si raggomitolò e pianse.
Harry era stordito. Si chinò, raccolse l'Horcrux e se lo mise al collo. Prese una coperta dal letto di Ron e la gettò su Hermione. Poi si arrampicò al suo posto e rimase a fissare lo scuro tetto di tela, ascoltando il ticchettio della pioggia.
CAPITOLO 16
GODRIC'S HOLLOW
Al risveglio, passarono alcuni istanti prima che Harry ricordasse l'accaduto. Poi nutrì la speranza infantile che fosse stato un sogno, che Ron fosse ancora lì e non se ne fosse mai andato. Ma voltando la testa sul cuscino vide il letto vuoto. Attirava il suo sguardo come l'avrebbe fatto un cadavere: balzò giù dal letto, cercando di non guardarlo. Hermione, che era già
affaccendata in cucina, non gli diede il buongiorno, ma distolse il viso in fretta.
Se n'è andato, pensò Harry. Se n'è andato. Dovette continuare a pensarlo mentre si lavava e si vestiva, come se la ripetizione potesse attutire il colpo. Se n'è andato e non tornerà. Era la pura verità, lo sapeva, perché una volta partiti di lì gli incantesimi protettivi avrebbero reso impossibile a Ron ritrovarli.
Fecero colazione in silenzio. Hermione aveva gli occhi gonfi e rossi e la faccia di chi non ha dormito. Fecero i bagagli, e lei ci mise molto tempo. Harry sapeva perché; diverse volte la vide alzare lo sguardo speranzosa e capì che si era illusa di aver sentito dei passi nella pioggia, ma tra gli alberi non apparve nessuna figura con i capelli rossi. Ogni volta Harry faceva come lei: si girava (perché non poteva evitare di nutrire qualche piccola speranza anche lui) e non vedeva altro che boschi spazzati dall'acqua e sentiva dentro un'altra piccola esplosione di rabbia. Udiva di nuovo Ron:
'Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!' e riprendeva a fare i bagagli con un nodo nello stomaco. Il fiume fangoso accanto a loro montava in fretta: ben presto avrebbe inondato la riva. Avevano indugiato una buona ora più del solito. Infine, dopo aver vuotato e riempito la borsetta di perline per ben tre volte, Hermione non riuscì a trovare altre scuse per trattenersi: lei e Harry si presero per mano e si Smaterializzarono per riapparire su un colle frustato dal vento e coperto d'erica. Appena arrivati, Hermione lasciò la mano di Harry e si allontanò per sedersi su un grosso masso, il volto sulle ginocchia, scossa dai singhiozzi. Lui la guardò, pensando che avrebbe dovuto andare a consolarla, ma qualcosa lo teneva inchiodato dov'era. Dentro si sentiva tutto freddo e teso: vide di nuovo la faccia sprezzante di Ron. Prese a camminare nell'erica, tracciando un ampio cerchio intorno a Hermione, recitando gli incantesimi che di solito formulava lei per proteggerli.
Non parlarono di Ron nei giorni che seguirono. Harry era deciso a non nominarlo mai più e Hermione evidentemente capiva che era inutile insistere, anche se a volte, di notte, quando era convinta che lui dormisse, Harry la sentiva piangere. Intanto lui aveva preso l'abitudine di aprire la Mappa del Malandrino e di esaminarla alla luce della bacchetta. Aspettava il momento in cui il puntino con il cartiglio che diceva 'Ron' fosse ricomparso nei corridoi di Hogwarts, dimostrando che era tornato al sicuro nel castello, protetto dal suo Stato di Purosangue. Ma Ron non apparve, e dopo un po' Harry si ritrovò ad aprire la Mappa solo per guardare il nome di Ginny nel dormitorio delle ragazze, chiedendosi se l'intensità con cui lo fissava riuscisse a insinuarsi nel suo sonno, se lei in qualche modo poteva sapere che lui la pensava e sperava che stesse bene.
Di giorno, si dedicavano a ipotizzare dove potesse trovarsi la spada di Grifondoro, ma più parlavano di dove Silente poteva averla nascosta, più
le loro teorie si facevano disperate e azzardate. Per quanto si spremesse le meningi, Harry non riusciva a ricordare che Silente avesse mai parlato di posti dove nascondere qualcosa. In certi momenti non sapeva se essere più
arrabbiato con Ron o con Silente. Pensavamo che tu sapessi cosa stavi fa- cendo... pensavamo che Silente ti avesse dato delle istruzioni... pensavamo che avessi un vero piano!
A se stesso non poteva negarlo: Ron aveva ragione. Silente l'aveva lasciato praticamente senza nulla. Avevano scoperto un Horcrux, ma non avevano modo di distruggerlo; gli altri restavano irraggiungibili. La disperazione minacciava di soffocarlo. Non si capacitava, ora, della propria arroganza nell'accettare che gli amici lo accompagnassero in quel viaggio errabondo e inutile. Non sapeva nulla, non aveva idee, e adesso stava costantemente, dolorosamente all'erta, temendo che anche Hermione da un momento all'altro gli dicesse che era stufa, che se ne andava. Passarono molte serate quasi in totale silenzio e Hermione incominciò a tirar fuori il ritratto di Phineas Nigellus e appoggiarlo su una sedia, come se potesse in qualche modo riempire il vuoto lasciato da Ron. Pur avendo dichiarato che non sarebbe mai tornato a trovarli, Phineas Nigellus non riusciva a resistere alla tentazione di scoprire i piani di Harry e acconsentiva a ricomparire, bendato, ogni due o tre giorni. Harry era quasi lieto di vederlo, perché era una compagnia, sebbene sprezzante e sarcastica. Erano avidi di qualsiasi notizia su Hogwarts, ma Phineas Nigellus non era un informatore ideale. Venerava Piton, il primo Preside di Serpeverde da quando lui stesso aveva diretto la scuola, e dovevano stare attenti a non criticarlo o fare troppe domande impertinenti, se no Phineas Nigellus andava via all'istante.
Tuttavia lasciò trapelare qualche dettaglio. Piton era alle prese con la costante ribellione sotterranea di uno zoccolo duro di studenti. A Ginny erano state proibite le visite a Hogsmeade. Piton aveva reintegrato il vecchio decreto della Umbridge che proibiva i raduni di tre o più studenti o qualunque organizzazione studentesca non ufficiale. Da tutto questo Harry dedusse che Ginny, e probabilmente Neville e Luna con lei, facevano del loro meglio per tenere in vita l'Esercito di Silente. Queste scarse notizie gli suscitavano un desiderio di rivederla così intenso che gli sembrava di avere il mal di stomaco; ma lo costringevano anche a ripensare a Ron, a Silente, e alla stessa Hogwarts, che gli mancavano quasi quanto la sua ex fidanzata. Una volta, mentre Phineas Nigellus raccontava delle misure restrittive di Piton, in un istante di pura follia Harry immaginò
di tornare a scuola per unirsi alla resistenza contro il nuovo Preside: essere nutrito, avere un letto morbido, e che il peso della responsabilità gravasse su altre spalle era la prospettiva più straordinaria del mondo, in quel momento. Ma poi ricordò di essere l'Indesiderabile Numero Uno, con una taglia di diecimila galeoni sulla testa, e Hogwarts in quei tempi era pericolosa quanto il Ministero della Magia. Ed era proprio Phineas Nigellus a sottolinearlo involontariamente, buttando lì domande insidiose sul luogo in cui si trovavano Harry e Hermione. Lei lo ricacciava nella borsetta ogni volta, dopodiché Phineas Nigellus si rifiutava invariabilmente di riapparire per diversi giorni.
Faceva sempre più freddo. Non osavano restare a lungo nello stesso posto, quindi invece di fermarsi nel Sud dell'Inghilterra, dove una bella gelata era il peggiore dei mali, continuarono a vagare su e giù per il paese, affrontando una montagna dove la tenda fu sferzata dal nevischio, una vasta palude in cui fu inondata da acqua gelida, e un'isoletta al centro di un lago scozzese, dove durante la notte fu mezza seppellita dalla neve. Avevano già visto alberi di Natale scintillare alle finestre di molti salotti, quando venne una sera in cui Harry decise di proporre, di nuovo, quella che gli sembrava l'unica strada rimasta inesplorata. Avevano appena consumato una cena insolitamente piacevole: Hermione era andata al supermercato sotto il Mantello dell'Invisibilità (lasciando cadere scrupolosamente il denaro in una cassa aperta prima di uscire) e Harry pensò che forse sarebbe stato più facile convincerla con la pancia piena di spaghetti alla bolognese e pere sciroppate. Aveva avuto anche l'accortezza di suggerire che per qualche ora nessuno dei due portasse al collo l'Horcrux, che era appeso in fondo al letto accanto a lui.
«Hermione».
«Mmm?» Era rannicchiata in una delle poltrone sfondate a leggere Le Fiabe di Beda il Bardo. Lui non riusciva a immaginare cos'altro potesse cavare da quel libro, che non era nemmeno molto lungo, ma evidentemente stava ancora decifrando qualcosa, perché teneva il Sillabario dei Sortilegi aperto sul bracciolo della poltrona.
Harry si schiarì la voce. Si sentiva esattamente come molti anni prima, quando aveva chiesto alla professoressa McGranitt se poteva andare a Hogsmeade anche senza il permesso scritto dei Dursley.
«Hermione, ho riflettuto e...»
«Harry, puoi aiutarmi?»
Era chiaro che non lo stava ascoltando. Si protese verso di lui e mostrò
Le Fiabe di Beda il Bardo.
«Guarda quel simbolo» disse, indicando in cima a una pagina. Sopra quello che Harry dedusse essere il titolo della storia (non sapendo leggere le rune, non ne era sicuro) c'era un simbolo che sembrava un occhio triangolare, la pupilla attraversata da una riga verticale.
«Non ho mai studiato Antiche Rune, Hermione».
«Lo so, ma questa non è una runa, nel sillabario non c'è. Finora pensavo che fosse un occhio, ma non credo! È stato fatto dopo, guarda, qualcuno l'ha disegnato, non fa parte del libro. Pensaci: non l'hai mai visto prima?»
«No... ehi, aspetta un momento». Harry guardò meglio. «Non è il simbolo che il padre di Luna portava appeso al collo?»
«È quello che pensavo anch'io!»
«Allora è il marchio di Grindelwald».
Lei lo guardò a bocca aperta.
« Cosa? »
«Me l'ha detto Krum...»
E ripeté la storia che gli aveva raccontato Viktor Krum al matrimonio. Hermione era esterrefatta.
«Il marchio di Grindelwald?»
Guardò Harry, lo strano simbolo e poi di nuovo Harry.
«Non mi risulta che Grindelwald avesse un marchio. Non se ne fa cenno in nessuno dei libri che ho letto su di lui».
«Be', come ti ho detto, secondo Krum quel disegno è inciso su un muro di Durmstrang e l'ha fatto Grindelwald».
Lei ricadde nella vecchia poltrona, accigliata.
«È molto strano. Se è un simbolo di Magia Oscura, che cosa ci fa in un libro di storie per bambini?»
«Sì, è curioso» convenne Harry. «E Scrimgeour avrebbe dovuto riconoscerlo. Era il Ministro, doveva essere esperto in cose Oscure».
«Lo so... forse ha pensato che fosse solo un occhio, come me. Tutte le altre storie hanno un disegnino sopra il titolo».
Tacque, senza smettere di studiare lo strano segno. Harry ritentò.
«Hermione».
«Mmm?»
«Ci ho riflettuto. Io... voglio andare a Godric's Hollow». Lei alzò gli occhi su di lui, ma non sembrava vederlo: Harry pensò che fosse ancora concentrata sul marchio misterioso.
«Sì» disse. «Sì, ci ho pensato anch'io. Credo proprio che dovremmo».
«Hai sentito bene?» chiese lui.
«Ma certo. Vuoi andare a Godric's Hollow. Sono d'accordo. Credo che dovremmo. Insomma, non riesco a pensare a un altro posto dove potrebbe essere. Sarà rischioso, ma più ci penso, più mi sembra probabile che si trovi là».
«Ehm... che cosa?»
Lei lo guardò, sembrava sconcertata quanto lui.
«Ma la spada, Harry! Silente avrà immaginato che avresti voluto tornare laggiù, e insomma, Godric's Hollow è il paese dov'è nato Godric Grifondoro...»
«Sul serio? Grifondoro era di Godric's Hollow?»
«Harry, hai mai aperto Storia della Magia?»
«Ehm». Harry sorrise per quella che gli parve la prima volta dopo mesi: i muscoli del volto erano stranamente irrigiditi. «Forse l'ho aperta, sai, quando l'ho comprata... solo quella volta...»
«Be', siccome il villaggio prende il nome da lui, pensavo che avessi fatto il collegamento» puntualizzò Hermione, molto più simile a se stessa di quanto lo fosse stata di recente; Harry quasi si aspettava che annunciasse di voler andare in biblioteca. «Nel libro c'è un brano sul villaggio... un momento...»
Frugò nella borsetta, estrasse il suo vecchio libro di scuola, Storia della Magia di Bathilda Bath, e lo sfogliò fino alla pagina che cercava.
« 'Alla firma dello Statuto Internazionale di Segretezza nel 1689, i maghi entrarono in clandestinità per sempre. Fu perciò una conseguenza natura- le il formarsi di piccole comunità all'interno di altre comunità. Molti pic- coli villaggi e borghi attirarono svariate famiglie magiche, che si unirono a reciproco sostegno e protezione. I villaggi di Tinworth in Cornovaglia, Upper Flagley nello Yorkshire e Ottery St Catchpole sulla costa meridio- nale dell'Inghilterra furono celebri dimore di gruppi di famiglie magiche che vissero fianco a fianco con tolleranti e qualche volta Confusi Babbani. Il più celebrato di questi luoghi semimagici è probabilmente Godric's Hol- low, il villaggio nel West Country dove nacque il grande mago Godric Grifondoro e dove Bowman Wright, fabbro magico, forgiò il primo Bocci- no d'Oro. Il cimitero pullula di nomi di antiche famiglie magiche, il che spiega senza dubbio le storie di spiriti che da secoli sono associate alla piccola chiesa'.
«Non parla di te e dei tuoi genitori» disse Hermione chiudendo il libro
«perché arriva solo fino alla fine del Diciannovesimo secolo. Ma hai capito? Godric's Hollow, Godric Grifondoro, la spada di Grifondoro: non credi che Silente si aspettasse che facessi il collegamento?»
«Be', certo...»
Harry non voleva ammettere di non avere affatto pensato alla spada quando aveva suggerito di andare a Godric's Hollow. Per lui il richiamo del villaggio stava nella tomba dei genitori, nella casa dove era sfuggito per un soffio alla morte e in Bathilda Bath.
«Ricordi cos'ha detto Muriel?» chiese infine.
«Chi?»
«Sai...» ed esitò: non voleva pronunciare il nome di Ron. «La prozia di Ginny. Al matrimonio. Quella che ha detto che hai le caviglie secche».
«Oh» fece Hermione.
Fu un momento difficile: Harry sapeva che lei aveva captato nell'aria il nome di Ron. Si affrettò a continuare: «Ha detto che Bathilda Bath abita ancora a Godric's Hollow».
«Bathilda Bath» mormorò Hermione, passando l'indice sul nome della strega stampato in rilievo sulla copertina di Storia della Magia. «Be', immagino che...»
Trattenne il respiro con un'enfasi tale che Harry ebbe un tuffo al cuore: sfoderò la bacchetta e si voltò a fronteggiare l'ingresso della tenda, aspettandosi quasi di vedere una mano infilarsi nell'apertura, ma non c'era nulla.
«Cosa?» chiese, un po' arrabbiato un po' sollevato. «Credevo che come minimo avessi visto un Mangiamorte che apriva la tenda...»
«Harry, e se Bathilda avesse la spada? E se Silente l'avesse affidata a lei?»
Harry considerò l'ipotesi. Bathilda era ormai molto vecchia e secondo Muriel 'rimbambita'. Possibile che Silente avesse nascosto proprio da lei la spada di Grifondoro? Se così era, Silente aveva lasciato molto al caso: non aveva mai rivelato di aver sostituito la spada con una copia, né accennato all'amicizia con Bathilda. Ma non era il momento di dubitare della teoria di Hermione, visto che era così inaspettatamente disposta ad assecondare il più grande desiderio di Harry.
«Già, è possibile! Allora, andiamo a Godric's Hollow?»
«Sì, ma dobbiamo rifletterci bene, Harry». Si raddrizzò e Harry si accorse che la prospettiva di avere di nuovo un piano aveva rinfrancato anche lei. «Dovremo allenarci a Smaterializzarci insieme sotto il Mantello dell'Invisibilità, per cominciare, e forse anche gli Incantesimi di Disillusione ci possono servire, o pensi di andare fino in fondo e usare la Pozione Polisucco? In questo caso dobbiamo rubare dei capelli a qualcuno. Pensandoci bene, credo che sia meglio, Harry: meno siamo riconoscibili e meglio è...»
Harry la lasciò parlare, annuendo a ogni pausa, ma la sua mente era altrove. Per la prima volta da quando aveva scoperto che la spada alla Gringott era falsa, era emozionato. Stava per tornare a casa, nel luogo dove aveva avuto una famiglia. Era a Godric's Hollow che, se non fosse stato per Voldemort, sarebbe cresciuto e avrebbe trascorso le vacanze scolastiche. Avrebbe potuto invitare degli amici a casa... forse avrebbe avuto fratelli e sorelle... sarebbe stata sua madre a preparargli la torta per i diciassette anni. La vita che aveva perduto non gli era mai sembrata reale come adesso che stava per vedere il posto nel quale gli era stata sottratta. Dopo che Hermione fu andata a dormire, Harry sfilò piano il suo zaino dalla borsetta e prese l'album di fotografie che Hagrid gli aveva regalato tanto tempo prima. Da mesi non guardava i ritratti dei genitori, che gli sorridevano e lo salutavano con la mano dalle foto: di loro non gli restava altro.
Harry sarebbe voluto partire per Godric's Hollow il giorno dopo, ma Hermione era di un altro avviso. Convinta com'era che Voldemort si aspettasse di veder tornare Harry nel luogo dov'erano morti i suoi genitori, era decisa ad andare solo dopo aver trovato il migliore travestimento possibile. Fu dunque un'intera settimana dopo, sottratti di nascosto i capelli necessari da Babbani ignari impegnati negli acquisti di Natale, fatte molte prove per Materializzarsi e Smaterializzarsi in due sotto il Mantello dell'Invisibilità, che Hermione acconsentì a intraprendere il viaggio.
Dovevano Materializzarsi nel villaggio di Godric's Hollow col favore dell'oscurità, perciò era tardo pomeriggio quando bevvero la Pozione Polisucco; Harry si trasformò in un Babbano stempiato di mezza età, Hermione nella sua piccola moglie con la faccia da topo. La borsetta di perline che conteneva tutti i loro beni (a parte l'Horcrux, al collo di Harry) era infilata in una tasca interna del cappotto abbottonato di Hermione. Harry calò il Mantello dell'Invisibilità su entrambi, poi presero a vorticare un'altra volta nell'oscurità soffocante.
Con il cuore in gola, Harry aprì gli occhi. Erano mano nella mano in un vicolo innevato sotto un cielo blu scuro in cui le prime stelle della notte stavano già debolmente luccicando. Da una parte e dall'altra della stradina, c'erano villette con le finestre illuminate dalle decorazioni natalizie. Poco più avanti, un bagliore di lampioni dorati indicava il centro del villaggio.
«La neve!» sussurrò Hermione da sotto il Mantello. «Perché non abbiamo pensato alla neve? Con tutte le precauzioni che abbiamo preso, lasceremo le impronte! Dovremo cancellarle: tu stai davanti, io...»
Ma Harry non voleva entrare nel villaggio come il cavallo di una pantomima, cercando di stare nascosti e intanto di cancellare le tracce con la magia.
«Togliamoci il Mantello» disse, e vedendo l'aria spaventata di Hermione continuò: «Oh, dai, non abbiamo il nostro vero aspetto e qui non c'è nessuno». Ripose il Mantello sotto il giaccone e proseguirono senza intralcio; passarono davanti ad altre villette, l'aria gelida in volto: ognuna di quelle case avrebbe potuto essere quella in cui erano vissuti una volta James e Lily, o quella in cui adesso viveva Bathilda. Harry osservò i portoni, i tetti carichi di neve e i portici, nella speranza di ricordarsene uno, ma sapendo che era impossibile, che aveva poco più di un anno quando aveva lasciato quel posto per sempre. Non era nemmeno sicuro di riuscire a vedere la villetta; non sapeva che cosa succedeva quando i soggetti di un Incanto Fidelius morivano. Poi il vicolo che stavano percorrendo curvò a sinistra e il cuore del villaggio, una piccola piazza, si presentò davanti a loro. Al centro, adorno di luci colorate, c'era un monumento ai Caduti, parzialmente nascosto da un albero di Natale scosso dal vento. C'erano diversi negozi, un ufficio postale, un pub e una chiesetta le cui vetrate rilucevano come gioielli.
La neve era più compatta: era dura e scivolosa dove la gente aveva camminato tutto il giorno. Davanti a loro, alcuni abitanti del villaggio attraversavano la piazza, brevemente illuminati dai lampioni. Udirono uno scoppio di risa e musica pop quando la porta del pub si aprì e si richiuse; poi sentirono intonare una carola dentro la chiesa.
«Harry, dev'essere la vigilia di Natale!»
«Dici davvero?»
Aveva perso la nozione del tempo; non vedevano un giornale da settimane.
«Ne sono sicura» rispose Hermione, gli occhi sulla chiesa. «Saranno... saranno là, no? Tuo papà e tua mamma? Vedo il cimitero là dietro». Harry avvertì un brivido di qualcosa che andava oltre l'eccitazione, più
simile alla paura. Adesso che era così vicino, si chiedeva se volesse veramente vedere, dopotutto. Forse Hermione capì come si sentiva, perché lo prese per mano e per la prima volta si mise davanti, tirandoselo dietro. A metà della piazza, però, si fermò di botto.
«Harry! Guarda!»
Stava indicando il monumento ai Caduti. Non appena lo avevano oltrepassato, si era trasformato. Invece di un obelisco coperto di nomi, c'era una statua che raffigurava tre persone: un uomo spettinato e con gli occhiali, una donna con i capelli lunghi e un viso bello e gentile che teneva in braccio un bambino piccolo. La neve copriva le tre teste, come se indossassero dei cappellini soffici e bianchi.
Harry si avvicinò, per guardare le facce dei suoi genitori. Non aveva immaginato di trovare una statua... che strano vedersi rappresentato in pietra, un bambino felice senza cicatrice in fronte...
«Andiamo» disse, dopo aver guardato a sufficienza, e s'incamminarono verso la chiesa. Quando ebbero traversato la strada, Harry si voltò e vide che la statua era ridiventata un monumento ai Caduti.
Il canto aumentava di volume man mano che si avvicinavano. Harry sentì un nodo alla gola, gli ricordava Hogwarts, Pix che ululava versioni volgari delle carole da dentro le armature, i dodici alberi di Natale nella Sala Grande, Silente che indossava un cappello che aveva trovato in un petardo magico, Ron col suo golf fatto a maglia...
C'era un cancello all'entrata del cimitero. Hermione lo aprì il più silenziosamente possibile e s'infilarono dentro. Ai due lati del sentiero scivoloso che portava alla chiesa, la neve era alta e intatta. Girarono attorno all'edificio, scavando profondi solchi e rimanendo nell'ombra sotto le finestre illuminate.
Dietro la chiesa, file dopo file di pietre tombali emergevano da una coltre azzurro pallido screziata di rosso, oro e verde brillanti dove le vetrate si riflettevano sulla neve. Con la mano stretta attorno alla bacchetta nella tasca del cappotto, Harry si avvicinò alla prima lapide.
«Guarda qui, è un Abbott, potrebbe essere un antenato di Hannah!»
«Parla piano» lo supplicò Hermione.
S'inoltrarono nel cimitero, lasciandosi dietro tracce scure nella neve, fermandosi a leggere parole incise su vecchie pietre tombali, e di tanto in tanto guardandosi attorno nelle tenebre per essere sicuri di essere soli.
«Harry, qui!»
Hermione era rimasta due file di tombe più in là; Harry tornò faticosamente indietro nella neve, col cuore che gli esplodeva in petto.
«È la...?»
«No, ma guarda!»
Indicò la pietra scura. Harry si chinò e vide sul granito ghiacciato e macchiettato di lichene le parole 'Kendra Silente' e, poco sotto le date di nascita e di morte, 'e la figlia Ariana'. C'era anche una frase:
Dove si trova il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore.
Dunque Rita Skeeter e Muriel avevano detto almeno una porzione di verità. La famiglia Silente aveva vissuto lì e una parte di essa ci era morta. Vedere la tomba era quasi peggio che sentirne parlare. Harry non poteva fare a meno di pensare che lui e Silente avevano entrambi radici in quel cimitero e che Silente avrebbe dovuto dirglielo; e invece non aveva mai voluto condividere quella cosa. Avrebbero potuto andarci insieme; per un attimo Harry s'immaginò di visitare il cimitero con Silente... che legame sarebbe stato, quanto avrebbe significato per lui. Ma sembrava che per Silente il fatto che le loro famiglie giacessero l'una accanto all'altra nello stesso cimitero fosse una coincidenza priva d'importanza, irrilevante, forse, per il compito assegnato a Harry.
Hermione lo stava guardando, e lui fu lieto che il proprio volto fosse nascosto dal buio. Lesse di nuovo le parole sulla lapide. 'Dove si trova il tuo tesoro, li sarà anche il tuo cuore'. Non ne capiva il significato. Di certo le aveva scelte Silente, in qualità di membro più anziano della famiglia dopo la morte della madre.
«Sei sicuro che non ti abbia mai accennato...?» cominciò Hermione.
«Sicuro» tagliò corto Harry, poi aggiunse: «Continuiamo a cercare» e si voltò, desiderando di non aver mai visto quella tomba. Non voleva che la sua trepidazione fosse sciupata dal rancore.
«Qui!» gridò di nuovo Hermione dal buio qualche momento dopo. «Oh, no, scusami. Pensavo che ci fosse scritto 'Potter'».
Stava grattando la superficie di una pietra sgretolata e ricoperta di muschio, e la guardava con la fronte aggrottata.
«Harry, torna qui un momento».
Harry non voleva essere ancora distratto e tornò indietro da Hermione malvolentieri.
«Cosa c'è?»
«Guarda».
La tomba era molto antica, tanto consunta dal tempo che si riusciva a malapena a leggere il nome. Hermione gli indicò un simbolo.
«È il marchio che c'è nel libro».
Harry lo osservò: la pietra era talmente rovinata che era difficile capire cosa ci fosse inciso, ma sembrava in effetti che ci fosse un triangolo sotto il nome quasi illeggibile.
«Sì... potrebbe...»
Hermione accese la bacchetta e la puntò sulla lapide.
«C'è scritto Ig-Ignotus, mi pare».
«Io continuo a cercare i miei genitori, d'accordo?» disse Harry, con una punta di fastidio nella voce, e si rimise in moto, lasciandola accovacciata accanto alla tomba.
Ogni tanto riconosceva un cognome che, come Abbott, aveva incontrato a Hogwarts. A volte ritrovava diverse generazioni della stessa famiglia di maghi: dalle date Harry arguiva che doveva essersi estinta o trasferita altrove. Man mano che s'inoltrava fra le tombe, ogni volta che raggiungeva una nuova lapide avvertiva un piccolo sussulto di apprensione e attesa. Di colpo il buio e il silenzio sembrarono farsi più profondi. Harry si guardò in giro, preoccupato, pensando ai Dissennatori, poi si rese conto che le carole erano terminate, il chiacchiericcio e il tramestio dei fedeli che ritornavano verso la piazza stavano svanendo. Qualcuno aveva spento le luci della chiesa.
Poco dopo la voce di Hermione emerse dalle tenebre per la terza volta, chiara e nitida pochi metri più in là.
«Harry, sono qui... eccoli».
Harry capì dal tono della voce che questa volta si trattava di sua madre e suo padre: si mosse verso di lei avvertendo qualcosa di pesante premergli sul petto, la stessa sensazione che aveva provato subito dopo la morte di Silente, un dolore che gli aveva fisicamente schiacciato il cuore e i polmoni. La lapide era a sole due file da quella di Kendra e Ariana. Era di marmo bianco, come la tomba di Silente, il che la rendeva facile da leggere, perché sembrava quasi brillare nel buio. Harry non dovette inginocchiarsi e nemmeno avvicinarsi tanto per distinguere le parole che vi erano incise:
James Potter, nato il 27 marzo 1960, morto il 31 ottobre 1981
Lily Potter, nata il 30 gennaio 1960, morta il 31 ottobre 1981
L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte
Harry lesse le parole lentamente, come se avesse un'unica possibilità di comprenderne il significato, e lesse l'ultima frase ad alta voce.
« 'L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte'... » Un terribile pensiero gli attraversò la mente e con esso una specie di panico. «Non è un'idea da Mangiamorte? Che ci fa, lì?»
«Non vuol dire sconfiggere la morte nel senso dei Mangiamorte, Harry»
rispose Hermione con dolcezza. «Vuol dire... capisci... vivere oltre la morte. Dopo la morte». Ma non erano vivi, pensò Harry: erano morti. Quelle parole vuote non potevano nascondere il fatto che i resti dei suoi genitori giacevano sotto la neve e la pietra, indifferenti, ignari di tutto. Le lacrime gli sgorgarono prima che potesse trattenerle, bollenti e poi immediatamente gelate sul suo volto, e a cosa serviva asciugarle o fingere? Le lasciò cadere, le labbra strette, guardando la spessa neve che copriva il posto dove i resti di Lily e James, ormai ossa o polvere, giacevano senza sapere, o senza curarsene, che il loro figlio era così vicino, col cuore che ancora batteva, ancora vivo grazie al loro sacrificio e prossimo ad augurarsi, in quel momento, di dormire invece sotto la neve insieme a loro. Hermione gli aveva preso di nuovo la mano e la stringeva forte. Harry non riusciva a guardarla, ma restituì la stretta, e inspirò profondamente l'aria della notte, cercando di calmarsi, di riprendere il controllo. Avrebbe dovuto portare qualcosa da offrire ai suoi genitori, non ci aveva pensato, e ogni pianta nel cimitero era gelata e senza foglie. Ma Hermione alzò la bacchetta, disegnò un cerchio nell'aria e una corona di elleboro sbocciò
davanti a loro. Harry la prese e la posò sulla tomba.
Non appena si alzò, ebbe il desiderio di andarsene: non riusciva a stare lì
un momento di più. Cinse le spalle di Hermione, lei gli passò il braccio attorno alla vita, si girarono in silenzio e sì allontanarono attraverso la neve, oltre la tomba della madre e della sorella di Silente, verso la chiesa buia e il cancello del cimitero.
CAPITOLO 17
IL SEGRETO DI BATHILDA
«Harry, fermati».
«Cosa c'è?»
Avevano appena raggiunto la tomba dello sconosciuto Abbott.
«C'è qualcuno laggiù. Ci sta guardando. Lo sento. Là, vicino ai cespugli». Rimasero immobili, stretti l'uno all'altra, scrutando la cinta nera del cimitero. Harry non vedeva nulla.
«Sei sicura?»
«Ho visto qualcosa muoversi, potrei giurarlo...»
Si separò da lui per avere il braccio della bacchetta libero.
«Sembriamo Babbani» osservò Harry.
«Babbani che hanno appena deposto fiori sulla tomba dei tuoi genitori!
Harry, sono sicura che c'è qualcuno laggiù!»
Harry pensò a Storia della Magia; diceva che il cimitero era infestato di spettri: e se...? Ma poi udì un fruscio e vide un mucchietto di neve smossa nel cespuglio indicato da Hermione. I fantasmi non spostano la neve.
«È un gatto» disse Harry dopo qualche istante, «o un uccello. Se fosse un Mangiamorte, saremmo già stecchiti. Ma andiamo fuori di qui e rimettiamoci il Mantello». Uscendo dal cimitero si guardarono più volte alle spalle. Harry, che non era affatto tranquillo come aveva finto per rassicurare Hermione, fu felice di raggiungere il cancello e il marciapiede scivoloso. Si infilarono di nuovo sotto il Mantello dell'Invisibilità. Il pub adesso era più affollato: molte voci stavano cantando la carola che avevano sentito avvicinandosi alla chiesa. Harry stava per suggerire di rifugiarsi lì dentro, ma prima che potesse parlare, Hermione mormorò «Da questa parte» e lo condusse lungo la strada buia che portava fuori dal villaggio nella direzione opposta rispetto a quella del loro arrivo. Harry vedeva il punto in cui terminavano le villette e la stradina finiva in aperta campagna. Camminavano quanto più veloci osavano, oltrepassando altre finestre scintillanti di luci colorate, i profili degli alberi di Natale scuri dietro le tende.
«Come faremo a trovare la casa di Bathilda?» chiese Hermione, rabbrividendo e continuando a voltarsi indietro. «Harry? Cosa ne dici? Harry?»
Gli strattonò il braccio, ma lui era distratto. Stava osservando la massa scura alla fine di quella fila di case. Un attimo dopo si era messo a correre, trascinando con sé Hermione, che per poco non scivolò sul ghiaccio.
«Harry...»
«Guarda... guarda, Hermione...»
«Io non... oh!»
La vedeva: l'Incanto Fidelius doveva essere morto con James e Lily. La siepe si era inselvatichita nei sedici anni passati da quando Hagrid aveva raccolto Harry fra i detriti, che ora giacevano sparsi tra l'erba alta fino alla vita. Gran parte della casa era ancora in piedi, interamente coperta di edera scura e neve, ma il lato destro del piano superiore era esploso; quello era senz'altro il punto in cui la maledizione era rimbalzata indietro. Si fermarono al cancello, contemplando la rovina di quella che un tempo doveva essere stata una villetta uguale a tutte le altre lì vicino.
«Chissà perché nessuno l'ha ricostruita» sussurrò Hermione.
«Forse non si può» suggerì Harry. «Come per le ferite causate dalla Magia Oscura, non si può riparare il danno». Fece scivolare una mano fuori dal Mantello e la posò sul cancello coperto dalla neve e dalla ruggine, non per aprirlo, ma solo per toccare una parte della casa.
«Non vorrai entrare. Mi sembra pericoloso, potrebbe... oh, Harry, guarda!»
Doveva essere stato il contatto della mano sul cancello. Davanti a loro, dal groviglio di rovi ed erbacce era emerso un cartello, come un bizzarro fiore dalla crescita accelerata. A lettere d'oro impresse sul legno c'era scritto:
Qui, la notte del 31 ottobre 1981,
persero la vita Lily e James Potter.
Il figlio Harry è l'unico mago
mai sopravvissuto all'Anatema che Uccide.
La casa, invisibile ai Babbani, è stata lasciata intatta nel suo stato di rovina come monumento ai Potter
e in ricordo della violenza
che distrusse la loro famiglia.
Tutto intorno a queste lettere incise con cura, i maghi e le streghe venuti in pellegrinaggio al luogo in cui il Ragazzo Che È Sopravvissuto era sfuggito alla morte avevano aggiunto le loro scritte. Alcuni avevano semplicemente firmato in Inchiostro Sempiterno; altri avevano scolpito le loro iniziali nel legno; altri ancora avevano lasciato messaggi. I più recenti spiccavano sopra sedici anni di graffiti magici e dicevano tutti cose simili.
'Buona fortuna, Harry, ovunque tu sia'. 'Se leggi queste righe, Harry, siamo tutti con te!' 'Lunga vita a Harry Potter'.
«Non dovevano scrivere sul cartello!» protestò Hermione, indignata. Ma Harry le rivolse un gran sorriso.
«È straordinario, sono felice che l'abbiano fatto. Io...»
S'interruppe. Una figura imbacuccata zoppicava lungo il viottolo verso di loro, stagliandosi contro le luci della piazza lontana. Harry pensò, anche se era difficile a dirsi, che fosse una donna. Avanzava lentamente, forse per timore di scivolare sulla neve. La schiena curva, la stazza, il passo incerto suggerivano un'età molto avanzata. In silenzio la guardarono avvicinarsi. Harry attese di vedere se entrava in una delle villette, ma sapeva d'istinto che non l'avrebbe fatto. Alla fine la figura si fermò a pochi metri da loro e rimase lì al centro della strada ghiacciata.
Non c'era bisogno che Hermione gli pizzicasse il braccio. Era praticamente impossibile che quella donna fosse una Babbana: stava fissando una casa che avrebbe dovuto esserle del tutto invisibile. Anche per una strega, tuttavia, era strano uscire in una notte così fredda solo per contemplare una vecchia rovina. Secondo tutte le leggi della magia ordinaria, inoltre, non avrebbe dovuto vedere Harry e Hermione. Eppure a lui sembrava proprio che sapesse che erano lì, e anche chi erano. Aveva appena raggiunto questa inquietante conclusione quando lei alzò una mano guantata e fece loro cenno di avvicinarsi.
Hermione si strinse a lui sotto il Mantello, il braccio premuto contro il suo.
«Come fa a saperlo?»
Lui scosse il capo. La donna ripeté il gesto, più vigorosamente. Harry avrebbe potuto elencare una lunga serie di ragioni per non obbedirle, ma la sensazione di sapere chi fosse cresceva a ogni secondo che passavano l'uno di fronte all'altra nella strada deserta.
Possibile che li avesse aspettati per tutti quei mesi? Che Silente le avesse detto di aspettare, che alla fine Harry sarebbe arrivato? Non era probabile che fosse stata lei a muoversi tra le ombre del cimitero e che li avesse seguiti fin lì? Persino la sua capacità di avvertire la loro presenza suggeriva un potere simile a quello di Silente che lui non aveva mai incontrato in nessun altro.
Infine Harry parlò, facendo sussultare Hermione.
«Sei Bathilda?»
La figura infagottata annuì e ripeté il suo gesto.
Sotto il Mantello, Harry e Hermione si guardarono. Harry alzò le so-pracciglia; Hermione annuì con un piccolo cenno nervoso. Avanzarono verso la donna, che immediatamente si voltò e si avviò un po' zoppicante nella direzione da cui erano venuti. Oltrepassate numerose case, entrò in un cancello. La seguirono lungo il vialetto attraverso un giardino incolto quasi quanto quello che avevano appena lasciato. Trafficò
per un momento con una chiave davanti alla porta, la aprì e si fece da parte per lasciarli entrare.
Aveva un cattivo odore, o forse era la casa: Harry arricciò il naso passandole davanti e si tolse il Mantello. Ora che le stava accanto, si rese conto di quanto era bassa; incurvata dall'età, gli arrivava a stento al petto. Chiuse la porta, le nocche bluastre e chiazzate contro la vernice che si sfaldava, poi si voltò e guardò Harry in volto. Aveva gli occhi offuscati dalle cataratte e sprofondati in pieghe di pelle trasparente, tutta la faccia coperta di capillari rotti e macchie brune. Harry si domandò se riuscisse a vederlo; ma comunque avrebbe visto un Babbano stempiato.
L'odore di vecchiaia, di polvere, di abiti non lavati e di cibo stantio si fece più intenso quando lei si tolse dalla testa uno scialle nero tutto tarmato, rivelando una rada chioma bianca che lasciava intravedere il cuoio capelluto.
«Bathilda?» ripeté Harry.
Lei annuì di nuovo. Harry percepì il medaglione contro la pelle; la cosa al suo interno che a volte ticchettava o batteva si era risvegliata; la sentì
pulsare attraverso l'oro freddo. Sapeva, sentiva che ciò che l'avrebbe distrutta era vicino?
Bathilda passò alle loro spalle strascicando i piedi, spinse da parte Hermione come se non l'avesse vista e sparì in quello che doveva essere un salotto.
«Harry, non sono sicura» bisbigliò Hermione.
«Guarda com'è piccola; non dovremmo avere problemi a sopraffarla se fosse necessario» rispose Harry. «Senti, avrei dovuto dirtelo, lo sapevo che non era proprio sana di mente. Muriel ha detto che era 'rimbambita'».
«Di qua!» chiamò Bathilda dalla stanza accanto.
Hermione sussultò e afferrò Harry per il braccio.
«Va tutto bene» la rassicurò Harry, ed entrò in salotto per primo. Bathilda si muoveva a passo incerto accendendo le candele, ma era ancora molto buio, per non parlare dello sporco. Uno spesso strato di polvere scricchiolava sotto i loro piedi e il naso di Harry colse sotto l'odore di umido e muffa qualcosa di peggio, come di carne andata a male. Chissà da quanto tempo nessuno entrava in casa di Bathilda a vedere come stava. Sembrava che si fosse dimenticata anche di saper praticare la magia, perché stava accendendo le candele a mano, goffamente, rischiando più volte di appiccare il fuoco al polsino di pizzo penzolante.
«Lasci fare a me» si offrì Harry, prendendole i fiammiferi di mano. Lei rimase a guardarlo finché non ebbe acceso tutti i mozziconi di candela fissati su piattini in giro per la stanza, pericolosamente in bilico su pile di libri e su tavolini carichi di tazze incrinate e muffite. L'ultima candela che Harry individuò stava in mezzo a molte fotografie, sopra un cassettone panciuto. Quando la fiamma prese vita, il suo riflesso danzò sui vetri polverosi e sulle cornici d'argento. Harry scorse piccoli movimenti nelle foto. Mentre Bathilda armeggiava con la legna davanti al camino, lui borbottò: « Tergeo» . La polvere svanì e Harry si accorse subito che alcune delle comici più grandi e decorate erano vuote. Si chiese se era stata Bathilda o qualcun altro a togliere le immagini. Poi una foto sul fondo attirò la sua attenzione e lui la afferrò. Era il ladro con i capelli d'oro e la faccia allegra, il giovane appollaiato sul davanzale di Gregorovich, che sorrideva indolente dalla cornice d'argento. Harry si ricordò all'istante dove l'aveva già visto: in Vita e Menzo- gne di Albus Silente, a braccetto con Silente ragazzino, ed ecco dove dovevano essere finite tutte le foto mancanti: nel libro di Rita.
«Signora... signorina... Bath» cominciò con voce tremante. «Chi è questo?»
Bathilda era al centro della stanza e guardava Hermione che le accendeva il fuoco.
«Signorina Bath?» ripeté Harry, e si fece avanti, con il ritratto in mano. Il camino si animò di fiamme. Bathilda alzò gli occhi alla sua voce e l'Horcrux batté più rapido contro il suo petto.
«Chi è questo?» le chiese Harry.
Lei scrutò con aria solenne prima la foto, poi Harry.
«Lo sa chi è questo?» ripeté lui, più lentamente e più forte. «Quest'uomo? Lo conosce? Come si chiama?»
Bathilda sembrava assente. Harry si sentì molto frustrato. Come aveva fatto Rita Skeeter ad aprire lo scrigno dei suoi ricordi?
«Chi è quest'uomo?» Stava quasi urlando.
«Harry, che cosa stai facendo?» gli chiese Hermione.
«Questa foto, Hermione, è il ladro, il ladro di Gregorovich! La prego!»
disse a Bathilda. «Chi è?»
Ma la vecchia si limitò a fissarlo.
«Perché ci ha chiesto di venire con lei, signora... signorina... Bath?» le chiese Hermione, alzando a sua volta la voce. «C'è qualcosa che ci vuole dire?»
Senza dar segno di averla sentita, Bathilda si avvicinò a Harry. Con un cenno del capo, tornò a guardare l'ingresso.
«Vuole che ce ne andiamo?» le chiese Harry.
Lei ripeté il gesto, questa volta indicando prima lui, poi se stessa, poi il soffitto.
«Oh, be'... Hermione, vuole che io vada di sopra con lei, credo» .
«Va bene» acconsentì Hermione. «Andiamo».
Ma quando Hermione si mosse, Bathilda scosse il capo con sorprendente energia e indicò di nuovo prima Harry, poi se stessa.
«Vuole che io vada con lei da solo».
«Perché?» chiese Hermione, e la sua voce rimbombò chiara e squillante nella stanza illuminata dalle candele; a quel suono così forte, la vecchia signora scosse il capo.
«Forse Silente le ha detto di dare la spada a me, e a me soltanto».
«Credi davvero che sappia chi sei?»
«Sì» rispose Harry, guardando dentro gli occhi lattiginosi fissi nei suoi,
«credo di sì».
«Be', d'accordo allora, ma fai presto».
«Mi faccia strada» disse Harry a Bathilda.
Lei parve capire, perché lo oltrepassò e si diresse strascicando i piedi verso la porta. Harry guardò Hermione con un sorriso rassicurante, ma non era certo che lei lo avesse visto; stava nel mezzo di quello squallore illuminato dalle candele, le braccia strette attorno al petto, a guardare la libreria. Uscendo dalla stanza, senza farsi vedere né da Hermione né da Bathilda, Harry si fece scivolare la foto del ladro ignoto sotto il cappotto. Le scale erano ripide e strette: Harry fu quasi tentato di appoggiare le mani sul largo fondoschiena di Bathilda per assicurarsi che non gli cadesse addosso, cosa che pareva alquanto probabile. Lentamente, ansimando un po', la vecchia salì fino al pianerottolo, voltò subito a destra e lo condusse in una camera da letto dal soffitto basso.
Era buio pesto e l'odore era terribile: Harry aveva appena scorto un vaso da notte che spuntava da sotto il letto quando Bathilda chiuse la porta e anche quello fu inghiottito dall'oscurità.
« Lumos» . Harry accese la bacchetta e sussultò: in quei pochi istanti di tenebra, Bathilda si era avvicinata, e lui non l'aveva sentita.
«Sei Potter?» gli sussurrò.
«Sì».
Lei annuì piano, solenne. Harry sentì l'Horcrux battere forte, più forte del proprio cuore: era una sensazione sgradevole, inquietante.
«Ha qualcosa per me?» le chiese Harry, ma lei sembrava distratta dalla luce della bacchetta.
«Ha qualcosa per me?» ripeté lui.
Poi lei chiuse gli occhi e accaddero molte cose contemporaneamente: la cicatrice di Harry cominciò a bruciare; l'Horcrux batté così forte da muovere il maglione; la buia stanza fetida svanì per un attimo. Harry provò un moto di gioia ed esclamò, con voce acuta e fredda: « Tienilo! »
Harry barcollò: la buia stanza maleodorante era di nuovo attorno a lui; non sapeva cosa fosse successo.
«Ha qualcosa per me?» chiese per la terza volta, molto più forte.
«Qui». Bathilda indicò l'angolo. Harry sollevò la bacchetta e vide il profilo di una toeletta ingombra sotto la finestra schermata da una tenda. Questa volta la donna non gli fece strada. Harry s'infilò tra lei e il letto disfatto, impugnando la bacchetta. Non voleva perderla d'occhio.
«Che cos'è?» chiese avvicinandosi al tavolino, occupato da quel che aveva l'aspetto e l'odore di una pila di biancheria sporca.
«Là» disse lei, indicando la massa informe.
Harry distolse un attimo lo sguardo per cercare l'elsa di una spada, o un rubino, in mezzo a quel groviglio, ma vide con la coda dell'occhio un movimento strano; il panico lo costrinse a voltarsi e il terrore lo paralizzò, perché il vecchio corpo di Bathilda si stava afflosciando e un enorme serpente sbucava dal punto in cui un attimo prima c'era il collo. Il serpente colpì mentre lui alzava la bacchetta: la forza del morso sull'avambraccio la fece volare verso il soffitto; la sua luce roteò accecante nella stanza e si spense; poi un potente colpo di coda al diaframma gli mozzò il fiato: cadde all'indietro sulla toeletta, nel mucchio di abiti sudici... Rotolò di lato, evitando per un soffio la coda del serpente, che si abbatté
sul tavolino dove lui si trovava un secondo prima: i frammenti del piano di vetro gli piovvero addosso mentre rovinava a terra. Da sotto, sentì Hermione gridare: «Harry?»
Non riuscì a prendere abbastanza fiato per rispondere: una pesante massa liscia lo schiacciò al suolo e strisciò su di lui, possente, muscolosa...
«No!» ansimò, inchiodato al pavimento.
«Sì» sussurrò la voce. « Sssssì... ti tengo... ti tengo... »
« Accio... Accio bacchetta... »
Ma non accadde nulla e Harry aveva bisogno delle mani per cercare di allontanare il serpente che gli si attorcigliava attorno al torace, gli strizzava l'aria fuori dai polmoni, gli premeva l'Horcrux sul petto, un cerchio di ghiaccio che pulsava di vita, a pochi centimetri dal suo cuore frenetico, e una fredda luce bianca gli inondò il cervello, gli cancellò ogni pensiero, gli annegò il respiro, passi distanti, tutto diventava...
Un cuore di metallo gli batteva fuori dal petto, e adesso volava, volava trionfante senza aver bisogno di scope o Thestral...
Si svegliò bruscamente nel buio maleodorante; Nagini l'aveva lasciato andare. Si alzò a fatica e contro la luce del pianerottolo vide il serpente attaccare e Hermione gettarsi di lato con uno strillo: la sua maledizione, deviata, colpì la finestra che andò in frantumi. L'aria gelida invase la stanza, Harry si abbassò per evitare un'altra pioggia di vetri rotti e il suo piede scivolò su qualcosa di simile a una matita... la sua bacchetta... Si chinò ad afferrarla, ma il serpente sembrava riempire tutta la stanza e la sua coda frustava l'aria; Hermione non si vedeva e per un attimo Harry pensò il peggio, ma poi sentì il fragore di un'esplosione e vide un lampo di luce rossa: il serpente volò in aria, schiaffeggiandolo forte sul volto mentre una spira dopo l'altra saliva verso il soffitto. Harry sollevò la bacchetta, ma la cicatrice bruciò ancora più forte, più forte di quanto avesse fatto in anni.
«Sta arrivando! Hermione, sta arrivando! »
Il serpente cadde a terra sibilando ferocemente. Tutto era caos: la bestia aveva divelto scaffali dal muro e schegge di ceramica volavano ovunque. Harry balzò sul letto e afferrò la forma scura di Hermione... La tirò via dal letto e lei strillò di dolore; il serpente si alzò di nuovo, ma Harry sapeva che stava arrivando di peggio, forse era già al cancello, la sua testa si sarebbe spaccata a metà per il dolore alla cicatrice... Corse via, trascinando Hermione con sé, e il serpente si gettò di nuovo su di loro; quando colpì, Hermione gridò « Confringo! » e il suo incantesimo volò per la stanza, facendo esplodere lo specchio dell'armadio e rimbalzando indietro, dal soffitto al pavimento; Harry sentì il calore scottargli il dorso della mano. Un vetro gli tagliò la guancia quando, sempre avvinghiato a Hermione, saltò dal letto al tavolino infranto e poi fuori dalla finestra, nel nulla; l'urlo di Hermione echeggiò nella notte, mentre roteavano a mezz'aria...
E poi la cicatrice si aprì e lui era Voldemort, attraversava di corsa la stanza fetida, le lunghe dita bianche stringevano il davanzale, scrutava l'uomo stempiato e la donnina contorcersi e sparire. Urlò di rabbia, un urlo che si mescolò con quello della ragazza, attraverso i giardini bui, sopra il suono delle campane che annunciavano il Natale...
E il suo urlo era l'urlo di Harry, il suo dolore il dolore di Harry... che potesse succedere lì, dove era già successo in passato... lì, a poca distanza da quella casa in cui era stato così vicino a scoprire che cos'era morire... morire... il dolore era terribile... strappato dal proprio corpo... ma se non aveva più un corpo, perché la testa gli faceva tanto male, se era morto, come mai soffriva così, il dolore non cessava con la morte, non andava via... La notte umida e ventosa, due bambini vestiti da zucche che caracolla- vano nella piazza, e le vetrine dei negozi decorate con ragni di carta, tutte le pacchiane imitazioni Babbane di un mondo al quale non credevano... e lui avanzava, con quel senso di decisione e potere e giustizia che provava sempre in queste circostanze... niente rabbia... quella era per anime più
deboli della sua... trionfo, quello sì... aveva atteso quel momento, l'aveva desiderato...
«Bel costume, signore!»
Quando fu abbastanza vicino perché il bambino potesse guardare sotto il suo cappuccio, vide il sorriso spegnersi e la paura oscurare il volto truccato; poi il bambino si voltò e corse via... sotto la veste tastò il manico della bacchetta... un solo gesto e il bambino non sarebbe mai tornato dalla madre... ma era inutile, decisamente inutile...
Proseguì lungo un'altra via più buia e finalmente comparve la sua meta, l'Incanto Fidelius infranto, ma loro non lo sapevano ancora... si avvicinò
alla siepe scura, facendo meno rumore delle foglie morte che frusciavano sul marciapiede, e guardò al di là...
Non avevano tirato le tende, li vide distintamente nel piccolo salotto: l'uomo alto e bruno con gli occhiali faceva uscire sbuffi di fumo colorato dalla punta della bacchetta per divertire il piccolo con i capelli neri nel suo pigiama azzurro. Il bambino rideva e cercava di afferrare il fumo, di acchiapparlo con la manina...
Si aprì una porta ed entrò la madre, dicendo parole che lui non poteva sentire, i lunghi capelli rosso scuro che le incorniciavano il viso. Il padre prese in braccio il figlio e lo passò alla madre. Gettò la bacchetta sul di- vano e si stiracchiò, sbadigliando...
Il cancello cigolò appena quando lo apri, ma James Potter non lo senti. La sua mano bianca sfilò la bacchetta da sotto il mantello e la puntò verso la porta, che si spalancò.
Aveva varcato la soglia quando James arrivò di corsa nell'ingresso. Fa- cile, troppo facile, non aveva nemmeno preso la bacchetta...
«Lily, prendi Harry e corri! È lui! Vai! Scappa! Io lo trattengo...»
Trattenerlo, senza una bacchetta in mano!... Rise prima di scagliare la maledizione...
« Avada Kedavra! »
La luce verde riempi l'angusto ingresso, illuminò la carrozzina contro la parete, fece scintillare le sbarre della balaustra come parafulmini. James Potter cadde come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili... La senti urlare dal piano di sopra, in trappola, ma se non faceva scioc- chezze lei, almeno, non aveva nulla da temere... Salì le scale, ascoltando divertito i suoi tentativi di barricarsi dentro... nemmeno lei aveva la bac- chetta... quanto erano stupidi, e fiduciosi a riporre la loro salvezza negli amici, ad abbandonare le armi anche solo per qualche istante... Forzò la porta, gettò da un lato la sedia e le scatole frettolosamente ac- catastate con un pigro gesto della bacchetta... lei era in piedi, il bambino in braccio. Nel vederlo, depose il piccolo nel lettino alle sue spalle e apri le braccia, come se potesse servire a qualcosa, come se nascondendolo sperasse di poter essere scelta al suo posto...
«No! Harry no, ti prego!»
«Spostati, stupida... spostati...»
«Harry no. Prendi me piuttosto, uccidi me, ma non Harry...»
«È il mio ultimo avvertimento...»
«Non Harry! Ti prego... Per favore... lui no! Harry no! Per favore... farò
qualunque cosa...»
«Spostati... spostati, ragazza...»
Avrebbe potuto allontanarla dal lettino con la forza, ma pensò che fosse più prudente finirli tutti...
La luce verde lampeggiò nella stanza e lei cadde come il marito. In tutto questo tempo il bambino non aveva mai pianto: stava in piedi, aggrappato alle sbarre del lettino, e guardava l'intruso in faccia con una sorta di vivo interesse, come se pensasse che sotto il mantello fosse nascosto suo padre, pronto a fare altre lucine divertenti, e che sua madre sarebbe tornata su da un momento all'altro, ridendo...
Puntò la bacchetta attentamente contro il volto del bambino: voleva ve- derla bene, la distruzione di questo unico, inesplicabile pericolo. Il bam- bino scoppiò a piangere: si era accorto che non era James. Non gli piace- va che piangesse, non aveva mai sopportato i bambini che frignavano all'orfanotrofio...
« Avada Kedavra! »
E poi esplose: non era più nulla, null'altro che dolore e terrore, e dove- va nascondersi, non lì tra le macerie della casa distrutta, dove il bambino era intrappolato e urlava, ma lontano... lontano...
«No» gemette.
Il serpente avanzò sul pavimento sudicio e ingombro, e lui aveva ucciso il ragazzo, eppure era il ragazzo...
«No...»
E adesso era appoggiato alla finestra infranta della casa di Bathilda, immerso nei ricordi della sua sconfitta più grande, e ai suoi piedi l'enorme serpente strisciava sui cocci di vetro e porcellana... guardò in basso e vide qualcosa... qualcosa di incredibile...
«No...»
«Harry, va tutto bene, sei salvo!»
Si chinò a raccogliere la cornice rotta. Eccolo, il ladro ignoto, il ladro che stava cercando...
«No... me caduta... m'è caduta...»
«Harry, va tutto bene, svegliati, svegliati!»
Lui era Harry... Harry, non Voldemort... e la cosa che frusciava non era un serpente...
Aprì gli occhi.
«Harry» sussurrò Hermione. «Ti senti... bene?»
«Sì» mentì.
Era nella tenda, disteso su uno dei letti in basso, sotto un mucchio di coperte. Dal silenzio e dalla luce piatta e fredda oltre il soffitto di tela capì
che era quasi l'alba. Era zuppo di sudore; lo sentiva sulle lenzuola e sulle coperte.
«Ce l'abbiamo fatta».
«Sì» disse Hermione. «Ho dovuto usare un Incantesimo di Librazione per metterti a letto, non riuscivo a sollevarti. Eri... be', non eri proprio...»
Aveva ombre viola sotto gli occhi castani e in mano una piccola spugna: gli aveva sciacquato il viso.
«Sei stato male» concluse. «Molto male».
«Quanto tempo è passato?»
«Ore. È quasi mattina».
«E io ero... cosa, svenuto?»
«Non proprio» rispose Hermione, a disagio. «Urlavi e gemevi e... altro»
aggiunse, in un tono che lo inquietò. Che cos'aveva fatto? Aveva urlato maledizioni come Voldemort? Aveva pianto come il piccolo nel lettino?
«Non riuscivo a toglierti l'Horcrux» aggiunse Hermione, e lui capì che era per cambiare discorso. «Era incollato, incollato al tuo petto. Hai un segno; mi dispiace, ho dovuto usare un Incantesimo Tagliuzzante per levartelo. E il serpente ti ha morso, ma ho ripulito la ferita e ci ho messo sopra del dittamo...»
Harry scostò la maglietta umida e guardò. C'era un ovale scarlatto sul suo cuore, dove il medaglione l'aveva scottato. Vide anche i segni del morso quasi cicatrizzati sull'avambraccio.
«Dove hai messo l'Horcrux?»
«Nella borsa. Credo che faremo meglio a non tenerlo addosso per un po'».
Harry ricadde sui cuscini e guardò il volto sciupato e grigio di lei.
«Non dovevamo andare a Godric's Hollow. È colpa mia, è tutta colpa mia, Hermione, scusami».
«Non è colpa tua. Anch'io volevo andare; ero convinta che Silente ti avesse lasciato là la spada».
«Già, be'... ci siamo sbagliati, eh?»
«Cosa è successo, Harry? Cosa è successo quando ti ha portato di sopra?
Il serpente era nascosto da qualche parte? È venuto fuori, l'ha uccisa e ti ha aggredito?»
«No» rispose lui. «Lei era il serpente... o il serpente era lei... per tutto il tempo».
«C-cosa?»
Chiuse gli occhi. Aveva ancora addosso l'odore della casa di Bathilda, che rendeva il ricordo spaventosamente nitido.
«Bathilda dev'essere morta da un pezzo. Il serpente era... era dentro di lei. Tu-Sai-Chi l'ha lasciato a Godric's Hollow, ad aspettare. Avevi ragione. Sapeva che sarei tornato».
«Il serpente era dentro di lei?»
Lui riaprì gli occhi: Hermione era disgustata.
«Lupin aveva detto che ci sarebbe stata magia che non potevamo nemmeno immaginare» proseguì Harry. «Lei non voleva parlare davanti a te, perché era Serpentese, tutto Serpentese, e non me ne sono reso conto, ma è
chiaro, io riuscivo a capirla. Quando siamo saliti nella sua stanza, il serpente ha mandato un messaggio a Tu-Sai-Chi, l'ho sentito dentro la testa, ho avvertito la sua eccitazione, le ha detto di tenermi lì... e poi...»
Ricordò il serpente che scivolava fuori dal collo di Bathilda: non c'era bisogno di scendere nei particolari con Hermione.
«... lei si è trasformata, trasformata nel serpente, e ha attaccato». Guardò i segni del morso.
«Non doveva uccidermi, solo trattenermi fino all'arrivo di Tu-Sai-Chi». Se solo fosse riuscito ad ammazzare il serpente, ne sarebbe valsa la pena, almeno... Nauseato, si alzò a sedere e gettò via le coperte.
«Harry, no, devi riposarti!»
«Sei tu che hai bisogno di dormire. Senza offesa, hai un aspetto orribile. Io sto bene. Farò la guardia per un po'. Dov'è la mia bacchetta?»
Lei non rispose, si limitò a guardarlo.
«Dov'è la mia bacchetta, Hermione?»
Lei si morse il labbro, gli occhi pieni di lacrime.
«Harry...»
« Dov'è la mia bacchetta? »
Lei si chinò accanto al letto per prenderla e gliela porse. La bacchetta di agrifoglio e fenice era quasi spezzata in due. Un fragile filamento di piuma di fenice teneva insieme i due pezzi. Il legno si era tranciato. Harry la prese fra le mani come se fosse una cosa viva che ha subito una terribile ferita. Non riusciva a riflettere: tutto era una macchia di panico e terrore. Poi la diede a Hermione.
«Aggiustala. Ti prego».
«Harry, io non credo, quando si rompe così...»
«Per favore, Hermione, provaci!»
« R-Reparo».
La metà penzolante della bacchetta si saldò. Harry la brandì.
« Lumos! »
La bacchetta emise una flebile luce, poi si spense. Harry la puntò contro Hermione.
« Expelliarmus! »
La bacchetta di Hermione sussultò lievemente, ma non le volò via dalla mano. Il debole tentativo di magia fu troppo per quella di Harry, che si spezzò di nuovo in due. Lui la fissò, stupefatto, incapace di accettare quello che vedeva... la bacchetta che era sopravvissuta a tanto...
«Harry» sussurrò Hermione, così piano che lui quasi non la sentì. «Scusami. Credo di essere stata io. Quando stavamo scappando, sai, il serpente ci attaccava, e così ho scagliato un Incanto Esplosivo, ed è rimbalzato o-vunque, e deve aver... aver colpito...»
«È stato un incidente» rispose Harry meccanicamente. Si sentiva vuoto, stordito. «Tro-troveremo il modo di ripararla».
«Harry, non credo» ribatté Hermione, il volto coperto di lacrime. «Ricordi... ricordi Ron? Quando ha rotto la sua, cadendo con l'auto? Non è più
stata la stessa, ha dovuto procurarsene una nuova».
Harry pensò a Olivander, rapito e prigioniero di Voldemort, a Gregorovich, che era morto. Come avrebbe fatto a trovare una nuova bacchetta?
«Va bene» disse, in tono falsamente neutro, «per ora prendo in prestito la tua, allora. Per montare la guardia».
Il volto umido di lacrime, Hermione gli porse la propria bacchetta, e lui uscì dalla tenda, lasciandola seduta accanto al letto, non desiderando altro che allontanarsi da lei.
CAPITOLO 18
VITA E MENZOGNE DI ALBUS SILENTE
Il sole stava sorgendo: la pura, incolore vastità del cielo si stendeva lassù, indifferente a lui e alle sue sofferenze. Harry si sedette all'ingresso della tenda e inspirò a fondo l'aria pulita. Il solo fatto di essere vivo e vedere il sole sorgere sulla collina candida di neve scintillante avrebbe dovuto essere il tesoro più grande della terra, ma non riusciva ad apprezzarlo: aveva i sensi storditi dalla catastrofe di aver perso la bacchetta. Guardò la valle innevata; campane lontane rintoccavano nel silenzio luminoso. Senza rendersene conto, aveva affondato le dita nelle braccia come se cercasse di resistere a un dolore fisico. Aveva versato il proprio sangue più
volte di quante ne potesse contare; una volta aveva perso tutte le ossa del braccio destro; quel viaggio gli aveva già regalato cicatrici sul petto e sull'avambraccio, in aggiunta a quelle sulla mano e sulla fronte; eppure mai, fino a quel momento, si era sentito così fatalmente indebolito, vulnerabile e nudo, come se la parte migliore del suo potere magico gli fosse stata strappata via. Sapeva benissimo che cosa gli avrebbe detto Hermione: la bacchetta vale quanto il mago che la adopera. Ma aveva torto, il suo caso era diverso. Lei non aveva sentito la bacchetta girare come l'ago di una bussola e scagliare fiamme dorate contro il suo nemico. Aveva perso la protezione dei nuclei gemelli e solo adesso che era svanita capiva quanto ci aveva fatto conto.
Tirò fuori dalla tasca i pezzi della bacchetta spezzata e senza guardarli li infilò nella saccoccia di Hagrid appesa al collo. Non ne poteva più di metterci oggetti rotti e inutili. La sua mano sfiorò il vecchio Boccino attraverso il Mokessino e per un attimo Harry dovette lottare contro la tentazione di prenderlo e buttarlo via. Impenetrabile, inutile come tutte le cose lasciate da Silente... E la rabbia eruttò in lui come lava, bruciandolo dentro, spazzando via ogni altro sentimento. Per pura disperazione si erano convinti che Godric's Hollow avesse delle risposte e di doverci andare, che facesse tutto parte di un percorso segreto tracciato per loro da Silente; ma non c'erano mappe, non c'erano piani. Silente li aveva lasciati avanzare a tentoni nel buio, lottare con orrori sconosciuti e inimmaginati, soli e senza aiuto: nessuna spiegazione, nessuna concessione, non avevano la spada e ora Harry non aveva nemmeno la bacchetta. E aveva perso la fotografia del ladro, adesso sarebbe stato facile per Voldemort scoprire chi era... adesso Voldemort aveva tutte le informazioni...
«Harry».
Sul viso di Hermione si leggeva la paura che lui potesse scagliarle addosso una maledizione con la sua stessa bacchetta. Il volto rigato dalle lacrime, si accovacciò accanto a lui, con due tazze di tè che le tremavano fra le mani e qualcosa di voluminoso sotto il braccio.
«Grazie» disse lui, e prese una tazza.
«Ti spiace se parliamo?»
«No» rispose, perché non voleva ferirla.
«Harry, volevi sapere chi è l'uomo della foto. Be'... ho il libro». Glielo spinse timidamente in grembo: una copia nuova di zecca di Vita e Menzogne di Albus Silente.
«Dove... come...?»
«Era lì, nel salotto di Bathilda... e dalle pagine spuntava questo biglietto». Hermione lesse ad alta voce le poche righe scritte con una grafia puntuta verde acido.
« 'Cara Batty, grazie per il tuo aiuto. Ecco una copia del libro, spero che ti piaccia. Hai detto tutto, anche se non te lo ricordi. Rita'. Immagino che sia arrivato quando la vera Bathilda era ancora viva, ma forse non era in grado di leggerlo».
«Probabilmente no».
Harry guardò il volto di Silente e sentì un'ondata di selvaggio piacere: ora avrebbe saputo tutte le cose che lui non aveva mai ritenuto di raccon-targli, che lo volesse o no.
«Sei ancora arrabbiato con me, vero?» chiese Hermione; lui alzò lo sguardo, vide nuove lacrime spuntarle negli occhi e capì che la sua rabbia doveva essere evidente.
«No» rispose con calma. «No, Hermione, lo so che è stato un incidente. Stavi cercando di farci uscire di lì vivi e sei stata incredibile. Sarei morto se non ci fossi stata tu ad aiutarmi».
Cercò di ricambiare il suo sorriso lacrimoso, poi si concentrò sul libro. Il dorso era rigido; chiaramente non era mai stato aperto. Lo sfogliò, in cerca di fotografie. Trovò quasi subito quella che cercava, il giovane Silente e il suo bel compagno squassati dalle risate per una battuta da tempo dimenticata. Harry lesse la didascalia. Albus Silente, poco dopo la morte della madre, con l'amico Gellert Grindelwald.
L'ultima parola lasciò Harry a bocca aperta per alcuni istanti. Grindelwald. L'amico Grindelwald. Sbirciò Hermione, che stava ancora contemplando il nome come se non credesse ai suoi occhi. Lentamente, lei alzò
gli occhi su Harry.
«Grindelwald?»
Ignorando le altre foto, Harry percorse con lo sguardo le pagine in cerca del nome fatale. Ben presto lo scoprì, e lesse avidamente, ma si smarrì: dovette tornare indietro per capire, finché si ritrovò all'inizio di un capitolo intitolato 'Il Bene Superiore'. Insieme, lui e Hermione cominciarono a leggere.
In prossimità del suo diciottesimo compleanno, Silente lasciò Hogwarts circonfuso da un alone di gloria: Caposcuola, Prefetto, Vincitore del Pre- mio Barnabus Finkley per Incantamenti Eccezionali, Rappresentante Gio- vanile Britannico al Wizengamot, Vincitore della Medaglia d'Oro per il Contributo Innovativo alla Conferenza Alchemica Internazionale del Cai- ro. Silente aveva intenzione di intraprendere un Grand Tour con l'amico Elphias 'Fiatodicane' Doge, l'ottuso ma devoto scherano che si era scelto a scuola.
I due giovani erano al Paiolo Magico a Londra, pronti a partire per la Grecia la mattina dopo, quando un gufo portò la notizia della morte della madre di Silente. 'Fiatodicane' Doge, che si è rifiutato di rilasciare inter- viste per questo libro, ha fornito al pubblico la propria sentimentale ver- sione di ciò che accadde. Egli dipinge la morte di Kendra come un tragico colpo e la decisione di Silente di rinunciare al suo viaggio come un atto di nobile sacrificio.
È vero, Silente fece subito ritorno a Godric's Hollow, presumibilmente per 'prendersi cura' del fratello e della sorella minori. Ma quanta cura ef- fettivamente si prese di loro?
«Era fuori di zucca, quell'Aberforth» dichiara Enid Smeek, che a quell'epoca abitava con la famiglia ai margini di Godric's Hollow. «Era scatenato. Certo, senza più mamma e papà faceva anche pena, solo che continuava a tirarmi cacche di capra in testa. Non credo che Silente ci an- dasse matto, io di sicuro non li ho mai visti insieme». E allora che cosa faceva Albus, se non consolava il giovane fratello sca- tenato? La risposta, a quanto pare, è che si assicurava di continuare a te- nere segregata la sorella. Perché, sebbene la sua prima carceriera fosse morta, non vi furono mutamenti nella penosa condizione di Ariana Silente. La sua stessa esistenza rimase nota solo ai pochi estranei che, come
'Fiatodicane' Doge, credevano ciecamente alla storia della sua 'cattiva sa- lute'.
Un'altra amica di famiglia credulona era Bathilda Bath, la celebre sto- rica della magia che vive da molti anni a Godric's Hollow. Kendra, come sappiamo, aveva respinto il suo tentativo di dare il benvenuto alla famiglia appena arrivata. Parecchi anni dopo, tuttavia, la nota storica spedi un gu- fo ad Albus a Hogwarts, per complimentarsi per il suo articolo sulla Tra- sformazione Transpecie pubblicato su Trasfigurazione Oggi. Questo con- tatto iniziale la portò a conoscere l'intera famiglia Silente. All'epoca della morte di Kendra, Bathilda era l'unica abitante di Godric's Hollow a intrat- tenere rapporti con lei.
Purtroppo l'intelligenza che Bathilda dimostrò negli anni passati si è
oggi offuscata. «Il fuoco è acceso, ma il calderone è vuoto» mi ha detto Ivor Dillonsby o, per porla nei termini lievemente più rozzi di Enid Smeek,
«è fuori come il sedere di un babbuino». Tuttavia, una sapiente combina- zione di rodate tecniche giornalistiche mi ha consentito di estrarre pepite di verità sufficienti per mettere insieme l'intera storia. Come il resto del mondo magico, Bathilda attribuisce la prematura mor- te di Kendra al 'ritorno di fiamma di un incantesimo', spiegazione ribadita più volte da Albus e Aberforth. Bathilda ripete a pappagallo anche la ver- sione di famiglia sulla salute di Ariana, definendola 'cagionevole' e
'delicata'. Per un argomento in particolare, tuttavia, è davvero valsa la pena di procurarmi il Veritaserum che ho somministrato a Bathilda, per- ché lei sola conosce tutta la verità sul segreto meglio conservato della vita di Albus Silente. Rivelato ora per la prima volta, esso pone in dubbio tutto ciò che i suoi ammiratori hanno sempre creduto: il suo presunto odio per le Arti Oscure, la sua lotta contro l'oppressione dei Babbani, perfino la sua devozione alla sua stessa famiglia.
La stessa estate che Silente fece ritorno a Godric's Hollow, ormai orfa- no e capofamiglia, Bathilda Bath accettò di ospitare il bisnipote Gellert Grindelwald.
Il nome di Grindelwald è giustamente famoso: in un'eventuale classifica dei Maghi Oscuri più pericolosi di tutti i tempi non occuperebbe il primo posto solo perché Voi-Sapete-Chi giunse, una generazione dopo, a sot- trargli il primato. Poiché Grindelwald non estese mai la sua campagna di terrore alla Gran Bretagna, tuttavia, i dettagli della sua ascesa al potere da noi non sono noti al grande pubblico.
Istruito a Durmstrang, scuola già al tempo celebre per la sua inoppor- tuna tolleranza delle Arti Oscure, Grindelwald rivelò un talento precoce quanto quello di Silente. Invece di rivolgere le proprie capacità alla con- quista di premi e riconoscimenti, tuttavia, si dedicò ad altre imprese. Quando ebbe sedici anni, perfino a Durmstrang si resero conto di non po- ter continuare a chiudere un occhio sui suoi perversi esperimenti e lo e- spulsero.
Fino a oggi, dei suoi successivi movimenti si sapeva soltanto che 'viag- giò all'estero per qualche mese'. Siamo ora in grado di rivelare che Grin- delwald fece visita alla prozia a Godric's Hollow e che là, per quanto la notizia possa a molti risultare scioccante, strinse una salda amicizia col nostro Albus Silente.
«A me era sembrato un ragazzo incantevole» racconta Bathilda, «qua- lunque cosa sia divenuto dopo. Naturalmente lo presentai al povero Albus, che sentiva la mancanza di compagni della sua età. I due giovani andaro- no subito d'accordo».
E questo è poco ma sicuro. Bathilda mi ha mostrato una lettera, da lei conservata, che Albus Silente spedi a Gellert Grindelwald nel cuore della notte.
«Si, anche dopo aver passato tutta la giornata a discutere - due ragazzi così intelligenti si intendevano come un calderone col fuoco - a volte sen- tivo un gufo beccare alla finestra della camera da letto di Gellert per con- segnare una lettera di Albus! Gli era venuta un'idea e doveva farlo sapere subito a Gellert!»
E che idee. I fans di Albus Silente potranno forse trovarli spaventosi, ma questi sono i pensieri del loro eroe diciassettenne così come furono comu- nicati al suo nuovo migliore amico da copia della lettera originale si trova a pagina 463):
Gellert,
La tua idea che la dominazione magica è PER IL BENE STESSO DEI BABBANI... credo che questo sia il punto cruciale. Certo, ci è stato dato un potere e certo, questo potere ci dà il diritto di governare, ma ci dà an- che delle responsabilità sui governati. Dobbiamo porre l'accento su questo punto, sarà la pietra angolare sulla quale costruiremo. Là dove incontre- remo opposizioni, come certo accadrà, questa dev'essere la base di tutte le nostre controargomentazioni. Noi prendiamo il controllo PER IL BENE
SUPERIORE. E da ciò discende che dove incontriamo resistenza, dobbia- mo usare solo la forza necessaria e non di più. (Questo è stato il tuo erro- re a Durmstrang! Ma non me ne dolgo, perché se non fossi stato espulso non ci saremmo mai incontrati.)
Albus
Per quanto sconvolti e orripilati potranno essere i suoi molti ammirato- ri, questa lettera costituisce la prova che Albus Silente un tempo sognò di rovesciare lo Statuto di Segretezza e di stabilire il dominio dei maghi sui Babbani. Che colpo, per chi ha sempre ritratto Silente come il più strenuo difensore dei Nati Babbani! Quanto paiono vuoti quei discorsi a favore dei diritti Babbani, alla luce di questo nuovo inoppugnabile documento!
Quanto appare spregevole Albus Silente, impegnato a tramare per il pote- re quando avrebbe dovuto piangere la madre e occuparsi della sorella!
Senza alcun dubbio, chi è deciso a tenerlo sul suo sempre più fragile pie- distallo protesterà che dopotutto egli non mise mai in pratica i suoi piani, che evidentemente cambiò idea, che tornò in sé. Tuttavia la verità appare nel complesso più sorprendente.
Dopo soli due mesi dall'inizio di questa grande amicizia, Silente e Grin- delwald si separarono e non si rividero fino al momento del loro leggen- dario duello (vedi capitolo 22). Che cosa provocò questa brusca rottura?
Silente era venuto a più miti consigli? Aveva detto a Grindelwald che non condivideva più i suoi progetti? Ahimè, no.
«Fu la morte della povera piccola Ariana a separarli» racconta Bathil- da. «Fu un colpo tremendo. Gellert era dai Silente quando accadde, e tor- nò da me tutto agitato, mi disse che voleva partire il giorno dopo. Era an- gosciatissimo. Così predisposi una Passaporta e non l'ho mai più visto da allora.
«Albus era fuori di sé per la morte di Ariana. Fu terribile per i due fra- telli. Avevano perso tutti, restavano solo loro due. Non c'è da stupirsi che ci fosse tensione. Aberforth accusò Albus, come può succedere in circo- stanze così tragiche. Ma Aberforth era sempre un po' sopra le righe, pove- ro ragazzo. Però, spaccare il naso di Albus al funerale non era una cosa da fare. Avrebbe distrutto Kendra vedere i suoi figli accapigliarsi sul ca- davere della sorella. Peccato che Gellert non fosse potuto restare per il funerale... sarebbe stato di conforto a Silente, almeno...»
Questa terribile zuffa davanti alla bara, nota solo ai pochi presenti al funerale di Ariana Silente, solleva parecchi interrogativi. Perché, esatta- mente, Aberforth Silente accusò Albus della morte della sorella? Fu, come sostiene 'Batty', un puro sfogo di dolore? O c'erano ragioni più concrete per la sua rabbia? Grindelwald, già espulso da Durmstrang per le aggres- sioni quasi mortali ai compagni di scuola, fuggi dall'Inghilterra poche ore dopo la morte della ragazzina e Albus (per vergogna, o per paura?) non lo rivide mai più, finché non fu costretto dalle richieste del mondo magico. Né Silente né Grindelwald hanno mai parlato di questa breve amicizia giovanile. Tuttavia non v'è alcun dubbio che Silente procrastinò, per al- meno cinque anni di tumulti, lutti e sparizioni, il suo attacco a Gellert Grindelwald. Fu l'affetto residuo per la persona o il timore che fosse sco- perta la loro vecchia amicizia a far esitare Silente? Fu con riluttanza che Silente si decise a catturare l'uomo che un tempo era stato così lieto di a- ver conosciuto?
E come morì la misteriosa Ariana? Fu la vittima involontaria di un qualche rito Oscuro? Incappò in qualcosa che non doveva vedere, mentre i due uomini si esercitavano a raggiungere la gloria e il dominio? È pos- sibile che Ariana Silente sia stata la prima persona a morire 'per il bene superiore'?
Qui il capitolo finiva e Harry alzò lo sguardo. Hermione aveva concluso la lettura prima di lui. Osservò preoccupata l'espressione di Harry e gli strappò il libro dalle mani, poi lo chiuse senza guardarlo, come se stesse nascondendo qualcosa di osceno.
«Harry...»
Ma lui scosse il capo. Un'intima certezza si era infranta dentro di lui; era la stessa sensazione provata quando Ron se n'era andato. Si era fidato di Silente, l'aveva creduto l'incarnazione della bontà e della saggezza. Tutto era cenere: quanto ancora poteva perdere? Ron, Silente, la bacchetta di fenice...
«Harry». Pareva che avesse udito i suoi pensieri. «Ascoltami. Non... non è una bella lettura...»
«Puoi dirlo forte...»
«Ma non dimenticare, Harry, che è opera di Rita Skeeter».
«Hai letto la lettera a Grindelwald, vero?»
«Sì, io... sì». Esitò, turbata, cullando la tazza di tè nelle mani fredde. «È
la parte peggiore. Lo so che Bathilda credeva che fossero solo parole, ma
'Per il Bene Superiore' è diventato il motto di Grindelwald, il suo alibi per tutte le atrocità che ha commesso in seguito. E... dalla lettera... sembra che sia stato Silente a dargli l'idea. Dicono che 'Per il Bene Superiore' fosse inciso anche all'ingresso di Nurmengard».
«Cos'è Nurmengard?»
«La prigione che Grindelwald aveva costruito per rinchiudervi gli oppositori. Ci finì anche lui, quando Silente lo catturò. Comunque è... è un pensiero orribile che le idee di Silente abbiano aiutato Grindelwald a salire al potere. Ma nemmeno Rita può sostenere che si siano frequentati per più di qualche mese di una sola estate, quando erano tutti e due molto giovani e...»
«Sapevo che l'avresti detto». Harry non voleva sfogare la sua rabbia contro di lei, ma dovette fare uno sforzo per controllare il tono di voce. «Sapevo che avresti detto 'erano giovani'. Avevano la nostra stessa età. Noi siamo qui a rischiare la vita per combattere le Arti Oscure e lui era pappa e ciccia col suo nuovo migliore amico, a tramare l'ascesa al potere sui Babbani». Non sarebbe riuscito a dominarsi ancora a lungo; si alzò e camminò in tondo, nel tentativo di calmare i nervi.
«Non sto cercando di difendere Silente e quello che ha scritto» replicò
Hermione. «Tutte quelle idiozie sul 'diritto di governare', è la stessa idea di
'la Magia è Potere'. Ma, Harry, sua madre era appena morta, era chiuso in casa da solo...»
«Da solo? Non era solo! Aveva il fratello e la sorella, la sorella Maganò
che teneva rinchiusa...»
«Io non ci credo» lo interruppe Hermione. Si alzò anche lei. «Qualunque cosa non andasse in quella ragazzina, non penso che fosse una Maganò. Il Silente che abbiamo conosciuto non avrebbe mai, mai permesso...»
«Il Silente che credevamo di conoscere non voleva sottomettere i Babbani con la forza!» gridò Harry, e la sua voce echeggiò attraverso la cima della collina deserta, e un gruppo di merli si alzò in volo strillando e disegnando spirali nel cielo perlaceo.
«È cambiato, Harry, è cambiato! È così semplice! Forse credeva a quelle cose quando aveva diciassette anni, ma ha dedicato il resto della vita a combattere le Arti Oscure! È stato Silente a fermare Grindelwald, a votare sempre per la protezione dei Babbani e i diritti dei Nati Babbani, a combattere Tu-Sai-Chi fin dall'inizio e a morire nel tentativo di sconfiggerlo!»
Il libro di Rita era posato per terra tra loro e dalla copertina Albus Silente sorrideva malinconico.
«Harry, mi dispiace, ma secondo me quello che ti fa rabbia è che Silente non ti ha mai raccontato nulla di tutto questo».
«Può darsi!» urlò Harry, e alzò le braccia sopra la testa. Non sapeva se stava cercando di trattenere l'ira o di proteggersi dal peso della propria delusione. «Guarda cosa mi ha chiesto, Hermione! Rischia la vita, Harry! E
ancora! E ancora! E non aspettarti che ti spieghi tutto, credimi ciecamente, credi che io sappia quello che faccio, fidati anche se io non mi fido di te!
Mai la pura verità! Mai!»
La sua voce si spezzò per la tensione e rimasero lì a guardarsi nel bianco e nel vuoto, e Harry pensò che erano insignificanti come insetti sotto quel cielo immenso.
«Lui ti voleva bene» sussurrò Hermione. «So che ti voleva bene». Harry lasciò cadere le braccia.
«Non so a chi voleva bene, Hermione, ma non a me. Questo non è affetto, il caos in cui mi ha lasciato. Ha condiviso i suoi veri pensieri molto di più con Gellert Grindelwald che con me».
Harry raccolse la bacchetta di Hermione, che aveva lasciato cadere nella neve, e tornò a sedersi all'ingresso della tenda.
«Grazie per il tè. Finisco il mio turno. Tu torna dentro al caldo» . Lei esitò, ma capì che era un congedo. Raccolse il libro e passandogli accanto gli accarezzò la testa con la mano. Lui chiuse gli occhi a quel tocco e si odiò per aver desiderato che le parole di lei fossero vere: che Silente gli avesse davvero voluto bene.
CAPITOLO 19
LA CERVA D'ARGENTO
Nevicava quando Hermione cominciò il suo turno di veglia, a mezzanotte. I sogni di Harry furono confusi e tormentati: Nagini vi scivolava dentro e fuori, prima attraverso un gigantesco anello spezzato, poi attraverso una corona di elleboro. Si svegliò più volte, nel panico, convinto che qualcuno l'avesse chiamato in lontananza, scambiando il vento che frustava la tenda per il suono di passi o di voci.
Finalmente si alzò che era ancora buio e raggiunse Hermione, rannicchiata all'ingresso della tenda a leggere Storia della Magia alla luce della bacchetta. La neve continuava a cadere fitta e lei accolse con sollievo la proposta di fare i bagagli al più presto e partire.
«Andremo in un posto più riparato» convenne, e tremando infilò una felpa sopra il pigiama. «Mi sembrava sempre di sentire dei movimenti, là
fuori. Ho persino creduto di vedere qualcuno, un paio di volte». Harry, che si stava mettendo un golf, si bloccò a metà e guardò lo Spioscopio sul tavolo: era silenzioso e immobile.
«Sono sicura di averlo solo immaginato» riprese Hermione, nervosa, «la neve nel buio gioca strani scherzi... ma forse è meglio se ci Smaterializziamo sotto il Mantello dell'Invisibilità, per sicurezza...»
Mezz'ora dopo, ripiegata la tenda, partirono: Harry portava l'Horcrux e Hermione stringeva la borsetta di perline. La consueta morsa li inghiottì; i piedi di Harry si staccarono dal suolo innevato per urtare con forza su quella che sembrava terra ghiacciata coperta di foglie.
«Dove siamo?» chiese, guardando una nuova massa di alberi intanto che Hermione cominciava a sfilare i picchetti della tenda dalla borsetta.
«Nella Foresta di Dean» rispose lei. «Una volta sono venuta qui in campeggio con i miei». Anche lì la neve pesava sugli alberi e il freddo era pungente, ma almeno erano protetti dal vento. Passarono quasi tutta la giornata dentro la tenda, rannicchiati a scaldarsi vicino alle utili fiamme azzurre che Hermione era così abile a produrre e che si potevano raccogliere e portare con sé in un barattolo. Harry si sentiva come in convalescenza dopo una malattia breve ma grave, impressione rafforzata dalle premure di Hermione. Quel pomeriggio nuovi fiocchi cominciarono a cadere e ben presto anche la loro radura riparata fu ricoperta da una spruzzata di neve polverosa. Dopo due notti di poco sonno, i sensi di Harry erano più all'erta del solito. A Godric's Hollow se l'erano cavata veramente per un soffio e forse per questo Voldemort sembrava più vicino di prima, più minaccioso. Al calare dell'oscurità, Harry rifiutò l'offerta di Hermione di vegliare al suo posto e la mandò a dormire.
Spostò un vecchio cuscino all'ingresso della tenda e si sedette. Indossava tutti i maglioni che poteva ma aveva lo stesso i brividi. Il buio s'infittì col passare delle ore, fino a diventare quasi impenetrabile. Harry stava per prendere la Mappa del Malandrino e contemplare per un po' il puntino di Ginny, ma poi si ricordò che erano le vacanze di Natale e che doveva essere tornata alla Tana. Ogni minimo movimento sembrava amplificato dalla vastità della foresta. Harry sapeva che doveva pullulare di creature, ma avrebbe voluto che restassero tutte silenziose e immobili in modo da poter distinguere i loro innocui tramestii da eventuali altri rumori, forieri di sinistri movimenti. Ricordava il fruscio di un mantello sulle foglie secche, anni prima, e subito si convinse di averlo udito di nuovo, prima di riscuotersi. I loro incantesimi di protezione funzionavano da settimane, perché avrebbero dovuto rompersi proprio adesso? Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che quella notte ci fosse qualcosa di diverso. Si rizzò a sedere parecchie volte, il collo dolorante perché si era addormentato in una strana posizione contro la parete della tenda. La notte raggiunse una profondità così nera e vellutata che avrebbe anche potuto trovarsi nel limbo tra la Smaterializzazione e la Materializzazione. Aveva appena sollevato una mano davanti agli occhi per vedere se riusciva a distinguere le dita quando accadde. Una luce argentea apparve davanti a lui, muovendosi tra gli alberi. Qualunque cosa ne fosse la fonte, si spostava senza alcun rumore. La luce sembrava galleggiare a mezz'aria verso di lui.
Balzò in piedi, la voce paralizzata in gola, e alzò la bacchetta di Hermione. Strizzò gli occhi perché la luce divenne accecante, gli alberi le si stagliavano davanti neri come la pece, qualunque cosa fosse si avvicinava... Poi la fonte di luce uscì da dietro una quercia. Era una cerva bianco argento, splendente come la luna e abbagliante, che avanzava, sempre in silenzio, senza lasciare tracce di zoccoli nella fine neve fresca. Veniva verso di lui con la bella testa eretta e i grandi occhi orlati di lunghe ciglia. Harry fissò la creatura, colmo di stupore non per la sua stranezza, ma per la sua inspiegabile familiarità. Gli sembrava di aver atteso il suo arrivo, ma di aver dimenticato che si erano dati appuntamento. L'impulso di gridare e chiamare Hermione, che un attimo prima era stato fortissimo, svanì. Sapeva, ci avrebbe scommesso la vita, che era venuta per lui e lui soltanto. Si guardarono intensamente per alcuni istanti, poi lei si voltò e se ne andò.
«No» esclamò lui, la voce incrinata, tanto a lungo era rimasto in silenzio. «Torna indietro!»
Lei continuò ad avanzare con calma tra gli alberi e presto il suo splendore fu rigato dai loro spessi tronchi neri. Per un secondo lui esitò, tremante. La cautela gli sussurrava: può essere un trucco, un'esca, una trappola. Ma l'istinto, un istinto prepotente, gli disse che quella non era Magia Oscura. Si lanciò all'inseguimento.
La neve scricchiolava sotto i suoi piedi, ma la cerva non faceva alcun rumore passando tra gli alberi, perché era pura luce. Lo guidò nel folto della foresta, e lui camminava veloce, sicuro che quando si fosse fermata gli avrebbe consentito di avvicinarsi. E allora avrebbe parlato e la sua voce gli avrebbe detto quello che gli occorreva sapere.
Infine lei si fermò. Girò un'altra volta la bella testa verso di lui, che si mise a correre, con una domanda che gli bruciava dentro, ma quando aprì
le labbra per formularla, lei svanì.
L'oscurità l'aveva inghiottita, però la sua immagine luminosa era ancora impressa sulla retina di Harry; gli oscurava la vista, accendendosi quando lui abbassava le palpebre, disorientandolo. Ora aveva paura: la presenza della cerva aveva significato sicurezza.
« Lumos! » sussurrò, e la punta della bacchetta si accese. La sagoma della cerva sbiadiva a ogni battito di ciglia e lui ascoltava i rumori della foresta, lontani scricchiolii di rami, morbidi fruscii di neve. Stava per essere aggredito? Era stato attirato in un'imboscata? Stava solo immaginando che ci fosse qualcuno oltre la luce della bacchetta, che lo guardava?
Levò la bacchetta più in alto. Nessuno gli si precipitò addosso, nessun lampo di luce verde esplose da dietro un albero. Perché, allora, l'aveva portato lì?
Qualcosa brillò alla luce della bacchetta e Harry si voltò di scatto, ma non vide altro che una pozza ghiacciata; la sua superficie nera e incrinata scintillò quando lui alzò ancora la bacchetta per osservarla. Si avvicinò cauto e guardò in basso. Il ghiaccio rifletteva la sua ombra distorta e il raggio di luce della bacchetta, ma in fondo, sotto la densa, nebulosa scorza grigia scintillava qualcos'altro. Una grande croce d'argento... Il cuore gli balzò in gola: cadde in ginocchio sul bordo della pozza e diresse la bacchetta in modo da illuminare il più possibile il fondo. Un brillio rosso cupo... era una spada con l'elsa incrostata di rubini... la spada di Grifondoro giaceva sott'acqua, nella foresta. La fissò, senza quasi respirare. Com'era possibile? Com'era finita in una pozza nel bosco, così vicino a dove si erano accampati? Qualche ignota magia aveva attratto Hermione in quel luogo, o la cerva, che lui aveva preso per un Patronus, era una sorta di guardiana del laghetto? O la spada era stata messa lì dopo il loro arrivo, proprio perché c'erano loro? In tal caso, dov'era la persona che aveva voluto consegnarla a Harry? Di nuovo puntò
la bacchetta verso gli alberi e i cespugli, in cerca di una figura umana, del brillio di uno sguardo, ma non vide nessuno. Tuttavia, quando tornò a concentrarsi sulla spada che riposava sul fondo della pozza ghiacciata, la sua esaltazione era alimentata anche dalla paura.
Puntò la bacchetta verso la sagoma argentata e mormorò: « Accio spa- da» .
Non si mosse. Non si era aspettato che lo facesse. Se fosse stato così facile, la spada sarebbe stata a terra, pronta per essere raccolta, non nelle profondità di un laghetto gelato. Si mise a camminare lungo il cerchio di ghiaccio, pensando alla volta che la spada gli si era consegnata. Si era trovato in un terribile pericolo, allora, e aveva chiesto aiuto.
«Aiuto» mormorò, ma la spada rimase nel fondo della pozza, indifferente, immobile. Che cosa gli aveva detto Silente, pensò Harry riprendendo a camminare, l'altra volta che aveva recuperato la spada? 'Soltanto un vero Grifondoro avrebbe potuto estrarla dal cappello'. E quali erano le qualità che definivano un Grifondoro? Una vocina dentro la sua testa gli rispose: audacia, fegato, cavalleria.
Harry si fermò ed emise un lungo sospiro; il fumo del suo fiato si disperse in fretta nell'aria gelata. Sapeva che cosa doveva fare. A essere sincero con se stesso, l'aveva saputo fin dal momento in cui aveva visto la spada sotto il ghiaccio.
Guardò di nuovo gli alberi, ma ormai era convinto che nessuno l'avrebbe attaccato. L'avrebbero potuto fare mentre avanzava solo nella foresta, avevano avuto tutte le occasioni possibili quando stava osservando il laghetto. A questo punto la sola ragione per attardarsi era che la prospettiva era enormemente sgradevole. Con dita incerte Harry prese a sfilarsi i vestiti, strato dopo strato. Cosa c'entrasse la cavalleria, si disse mestamente, non lo sapeva proprio, a meno di non considerare cavalleresco non chiedere a Hermione di farlo al suo posto.
Un gufo stridette e lui pensò con una stretta al cuore a Edvige. Tremava, i denti gli battevano orribilmente, eppure continuò a togliersi gli abiti finché non rimase in maglietta e mutande, scalzo nella neve. Posò in cima ai vestiti la saccoccia che conteneva la sua bacchetta, la lettera di sua madre, il frammento di specchio di Sirius e il vecchio Boccino; poi puntò la bacchetta di Hermione contro il ghiaccio.
« Diffindo» .
Il rumore sembrò quello di una pallottola nel silenzio: la superficie della pozza s'infranse e frammenti di ghiaccio scuro dondolarono sull'acqua increspata. Non sembrava profonda, ma per prendere la spada avrebbe dovuto immergersi completamente. Rimuginare sul compito che lo attendeva non l'avrebbe reso più semplice né avrebbe scaldato l'acqua. Si avvicinò al bordo e posò a terra la bacchetta di Hermione ancora accesa. Poi, cercando di non pensare a quanto più freddo avrebbe avuto o ai brividi che l'avrebbero scosso, si tuffò. Tutti i pori della sua pelle urlarono la loro protesta: persino l'aria nei polmoni parve congelarsi quando Harry s'immerse fino alle spalle nell'acqua ghiacciata. Respirava a fatica; tremando così violentemente da far traboccare l'acqua oltre i bordi, cercò la lama con i piedi intirizziti. Voleva immergersi una volta sola.
Rimandò più volte il momento dell'immersione totale, di secondo in secondo, ansimante e tremante, finché non si disse che doveva comunque farlo, chiamò a raccolta il coraggio e andò sotto.
Il freddo era un'agonia: lo aggrediva come fuoco. Pensò che gli si fosse ghiacciato anche il cervello quando penetrò nell'acqua scura, arrivò sul fondo e allungò la mano, cercando la spada. Le sue dita si chiusero attorno all'elsa; la sollevò.
Poi qualcosa gli si strinse al collo. Forse erano alghe, anche se nell'immergersi nulla l'aveva sfiorato, e alzò l'altra mano per liberarsi. Non erano alghe: la catena dell'Horcrux si era tesa e gli schiacciava la trachea. Harry scalciò con forza, cercando di tornare in superficie, ma riuscì solo a spingersi contro il margine roccioso del laghetto. Divincolandosi, soffocando, tirò la catena che lo strangolava, le dita gelate incapaci di allentarla, adesso piccole luci gli esplodevano dentro la testa, sarebbe affogato, non c'era nulla, nulla che potesse fare, le braccia che si chiudevano attorno al suo petto erano certamente quelle della Morte...
Tossendo, in preda ai conati, più zuppo e gelato di quanto non fosse mai stato in vita sua, rinvenne, a faccia in giù nella neve. Da qualche parte accanto a lui qualcun altro ansimava e tossiva e barcollava. Era arrivata di nuovo Hermione, come quando il serpente l'aveva aggredito... eppure non sembrava lei, i colpi di tosse erano troppo profondi, i passi troppo pesanti... Harry non ebbe la forza di alzare la testa e scoprire l'identità del suo salvatore. Riuscì solo a portare una mano tremante alla gola e a tastare il punto in cui il medaglione gli aveva inciso un taglio netto nella carne. Era sparito: qualcuno l'aveva liberato. Poi una voce affannata parlò sopra la sua testa.
«Ma... sei... scemo?»
Solo la sorpresa di sentire quella voce riuscì a dargli la forza di alzarsi. Tremando violentemente, si rimise in piedi. Davanti a lui c'era Ron, vestito da capo a piedi ma bagnato fradicio, i capelli incollati al viso, la spada di Grifondoro in una mano e l'Horcrux che penzolava dalla catena spezzata nell'altra.
«Perché cavolo» ansimò, sollevando l'Horcrux che dondolava avanti e indietro in una parodia d'ipnosi, «non ti sei tolto questa roba prima di tuffarti?»
Harry non seppe rispondere. La cerva d'argento non era nulla, nulla a confronto del ritorno di Ron; non riusciva a crederci. Tremante, raccolse la pila di vestiti che lo aspettavano sulla riva e cominciò a infilarseli. Passandosi sopra la testa un maglione dopo l'altro fissava Ron, come se si aspettasse di vederlo sparire ogni volta che lo perdeva di vista, eppure doveva essere vero: si era appena tuffato nel laghetto, gli aveva salvato la vita.
«Sei stato t-tu?» chiese infine Harry battendo i denti, la voce più debole del solito: in fondo era stato quasi strangolato.
«Be'. Sì» rispose Ron, un po' confuso.
«Tu ha-hai evocato quella cerva?»
«Cosa? No, certo che no! Pensavo che fossi stato tu!»
«Il mio Patronus è un cervo. Maschio».
«Già. Mi pareva che fosse un po' diversa. Niente corna».
Harry si riappese al collo la saccoccia di Hagrid, infilò un ultimo golf, si chinò a raccogliere la bacchetta di Hermione e si rialzò davanti a Ron.
«Perché sei qui?»
Evidentemente Ron sperava che la domanda arrivasse più in là, o mai.
«Be', io sono... insomma... sono tornato. Se...» Si schiarì la voce. «Insomma. Se mi vuoi ancora». Ci fu una pausa, durante la quale la questione della sua partenza si erse fra loro come un muro. Però adesso Ron era lì. Era tornato. Gli aveva appena salvato la vita. Ron si guardò le mani. Per un attimo fu sorpreso nel vedere le cose che stringevano.
«Ah, già, l'ho presa» osservò, piuttosto inutilmente, alzando la spada perché Harry la vedesse bene. «È per questa che ti sei buttato dentro, vero?»
«Sì» rispose Harry. «Ma non capisco. Come hai fatto ad arrivare qui?
Come sei riuscito a trovarci?»
«È una lunga storia» rispose Ron. «Vi cercavo da ore, è una foresta grande, eh? E stavo pensando che la cosa migliore era farmi un sonnellino sotto un albero e aspettare il mattino, quando ho visto la cerva e te che la seguivi».
«Non hai visto nessun altro?»
«No. Io...»
Ma esitò, scoccando uno sguardo a due alberi a qualche metro di distanza.
«... credo di aver visto qualcosa muoversi laggiù, ma stavo correndo verso la pozza, perché tu eri andato sotto e non tornavi su, quindi non potevo perdere tempo a... ehi!»
Harry stava già correndo verso il punto indicato da Ron. Le due querce crescevano vicine; in mezzo ai tronchi, ad altezza d'occhio, c'era uno spazio di pochi centimetri, una posizione ideale per vedere senza essere visti. Il terreno attorno alle radici, tuttavia, era sgombro di neve e Harry non vide impronte. Tornò da Ron, che aveva ancora in mano la spada e l'Horcrux.
«Trovato qualcosa?» chiese Ron.
«No» rispose Harry.
«Allora come c'è entrata la spada nel laghetto?»
«Chiunque abbia evocato quel Patronus deve avercela messa dentro». Fissarono entrambi l'elaborata spada d'argento; l'elsa coperta di rubini scintillava fioca alla luce della bacchetta di Hermione.
«Pensi che sia quella vera?»
«C'è un modo per scoprirlo, no?» replicò Harry.
L'Horcrux penzolava ancora dalla mano di Ron. Il medaglione si muoveva. Harry sapeva che la cosa all'interno era di nuovo agitata. Aveva avvertito la presenza della spada e aveva cercato di uccidere Harry per evitare che la prendesse. Non era più il momento di lunghi discorsi: bisognava distruggere il medaglione una volta per tutte. Harry si guardò intorno, tenendo alta la bacchetta di Hermione, e individuò il posto adatto: una pietra piatta all'ombra di un platano.
«Vieni». Fece strada a Ron, spazzò via la neve dalla superficie della roccia e tese la mano per prendere l'Horcrux. Ma quando Ron gli offrì la spada scosse il capo.
«No, devi farlo tu».
«Io?» esclamò Ron, spaventato. «Perché?»
«Perché sei tu che hai preso la spada dalla pozza. Credo che debba farlo tu».
Non era un atto di gentilezza o di generosità. Con la stessa certezza con cui aveva capito che la cerva era amica, sapeva che era Ron a dover usare la spada. Se non altro, Silente gli aveva insegnato qualcosa su certi tipi di magia, sul potere incalcolabile di certi gesti.
«Io lo apro» continuò Harry «e tu lo colpisci. Subito, d'accordo? Perché
qualunque cosa ci sia dentro, lotterà. Il pezzo di Riddle nel diario ha cercato di uccidermi».
«Come farai ad aprirlo?» domandò Ron. Sembrava terrorizzato.
«Gli chiederò di aprirsi, in Serpentese» rispose Harry. La soluzione gli salì così spontanea alle labbra che pensò di averla sempre saputa, nel profondo: forse c'era voluto il recente incontro con Nagini per farglielo capire. Guardò la 'S' tempestata di lucenti pietre verdi: era facile immaginarla come un minuscolo serpente curvo sulla pietra fredda.
«No!» gridò Ron. «No, non aprirlo! Dico sul serio!»
«Perché no?» chiese Harry. «Liberiamoci di quell'affare, sono mesi...»
«Non posso, Harry, davvero... fallo tu...»
«Ma perché?»
«Perché quella cosa mi fa male!» sbottò Ron, allontanandosi dal medaglione sulla pietra. «Non posso toccarlo! Harry, non cerco scuse per come mi sono comportato, ma su di me ha più effetto che su di te e Hermione, mi ha messo in testa delle cose, cose che pensavo comunque, ma le ha peggiorate, non riesco a spiegarlo, poi me lo toglievo e ritornavo in me, ma poi dovevo rimettermelo addosso... non posso farlo, Harry!»
Arretrò, trascinando la spada al suo fianco, e scosse il capo.
«Sì che puoi» insisté Harry. «Puoi! Hai preso la spada, so che devi essere tu a usarla. Per favore, fallo fuori, Ron». Sentir pronunciare il suo nome funzionò come un eccitante. Ron deglutì, poi, inspirando forte dal lungo naso, si avvicinò di nuovo alla pietra.
«Dimmi quando» gracchiò.
«Al tre» rispose Harry. Guardò di nuovo il medaglione e strizzò le palpebre, concentrandosi sulla lettera 'S', immaginando un serpente, mentre il contenuto del ciondolo si agitava come uno scarafaggio in trappola. Sarebbe stato facile provar pena per lui, ma il taglio sul collo di Harry bruciava ancora.
«Uno... due... tre... apriti» .
L'ultima parola suonò come un sibilo e un ringhio e le porticine d'oro del medaglione si spalancarono con un piccolo scatto.
Dietro le finestrelle di vetro palpitavano due occhi vivi, scuri e belli come lo erano stati quelli di Tom Riddle prima di diventare scarlatti e con le pupille a fessura.
«Colpisci» ordinò Harry, tenendo fermo il medaglione sulla pietra. Ron sollevò la spada con le mani tremanti: la punta rimase sospesa sugli occhi che roteavano frenetici e Harry strinse forte il ciondolo, preparandosi, immaginando già il sangue che sarebbe colato dalle finestrelle vuote. Poi una voce si alzò sibilando dall'Horcrux.
« Ho visto il tuo cuore, ed è mio» .
«Non ascoltarlo!» esclamò Harry, rauco. «Colpisci!»
« Ho visto i tuoi sogni, Ronald Weasley, e ho visto le tue paure. Tutto ciò
che desideri è possibile, ma tutto ciò che temi è altrettanto possibile... »
«Colpisci!» urlò Harry; la sua voce echeggiò tra gli alberi, la punta della spada tremò e Ron guardò dentro gli occhi di Riddle.
« Il meno amato, sempre, dalla madre che voleva tanto una femmina... il meno amato, ora, dalla ragazza che preferisce il tuo amico... l'eterno se- condo, sempre eclissato... »
«Ron, colpiscilo adesso!» tuonò Harry: sentiva il medaglione vibrare nella sua presa e aveva paura di quello che poteva succedere. Ron levò ancora più alta la spada e in quel momento gli occhi di Riddle s'incendiarono di rosso.
Dalle due finestrelle del ciondolo, dagli occhi, sbocciarono, come due grottesche bolle, le teste di Harry e Hermione, bizzarramente deformate. Ron urlò di spavento e indietreggiò mentre le sagome si dilatavano uscendo dal medaglione, prima il petto, poi la vita, poi le gambe, finché non si ersero fianco a fianco come alberi con una sola radice, oscillando sopra Ron e il vero Harry, che aveva mollato il ciondolo, perché era diventato all'improvviso incandescente.
«Ron!» gridò, ma il Riddle-Harry parlò con la voce di Voldemort e Ron lo fissava, ipnotizzato.
« Perché sei tornato? Stavamo meglio senza di te, eravamo più felici senza di te, lieti della tua assenza... abbiamo riso della tua stupidità, della tua vigliaccheria, della tua presunzione... »
« Presunzione! » ripeté Riddle-Hermione, che era più bella eppure più
terribile di quella vera; oscillò, ridacchiando, davanti a Ron, terrorizzato ma stregato, la spada inutile abbandonata lungo il fianco. « Chi potrebbe guardarti, chi mai vorrebbe guardarti, accanto a Harry Potter? Che cos'hai fatto mai, in confronto al Prescelto? Che cosa sei, paragonato al Ragazzo Che È Sopravvissuto? »
«Ron, colpisci, COLPISCI!» lo esortò Harry, ma Ron non si mosse: aveva gli occhi dilatati, in cui si riflettevano Riddle-Harry e RiddleHermione, i capelli turbinanti come fiamme, gli occhi rosso acceso, le voci levate in un malvagio duetto.
« Tua madre ha confessato» continuò beffardo Riddle-Harry, mentre Riddle-Hermione rideva « che avrebbe preferito me come figlio, che sareb- be stata felice di fare cambio... »
« Chi non preferirebbe lui, quale donna sceglierebbe te? Non sei nulla, nulla, nulla a suo confronto» canticchiò Riddle-Hermione, e si allungò
come un serpente per allacciarsi a Riddle-Harry, avvolgendolo in un abbraccio: le loro labbra si incontrarono. In basso, davanti a loro, il volto di Ron era pervaso dal dolore: alzò la spada, le braccia tremanti.
«Fallo, Ron!» urlò Harry.
Ron guardò verso di lui e a Harry parve di vedere una traccia di scarlatto nei suoi occhi.
«Ron...?»
La spada lampeggiò, affondò: Harry balzò di lato; si udirono un clangore metallico e un lungo urlo. Harry si rigirò, scivolando nella neve, la bacchetta pronta, ma non c'era nulla contro cui combattere. Le versioni mostruose di lui e Hermione erano svanite: c'era solo Ron, in piedi con la spada in mano, che guardava i resti infranti del medaglione sulla pietra piatta.
Lentamente, Harry tornò da lui, senza sapere che cosa dire o fare. Ron aveva il respiro affannato. I suoi occhi non erano più rossi, ma dell'azzurro consueto; erano umidi, anche.
Harry si chinò, fingendo di non averlo notato, e raccolse l'Horcrux spezzato. Ron aveva trafitto il vetro di entrambe le finestrelle: gli occhi di Rid-dle erano spariti e la fodera di seta macchiata fumava. La cosa che era vissuta nell'Horcrux era scomparsa; torturare Ron era stato il suo ultimo atto. La spada produsse un suono metallico quando Ron la lasciò cadere a terra. Era in ginocchio, la testa fra le braccia. Tremava, ma Harry capì che non era per il freddo. Si ficcò in tasca il medaglione rotto, s'inginocchiò
accanto a Ron e gli posò cautamente una mano sulla spalla. Interpretò come un buon segno che l'amico non la allontanasse.
«Dopo che te ne sei andato» mormorò, grato del fatto che il volto di Ron fosse nascosto, «ha pianto per una settimana. Forse anche di più, ma non voleva farsi vedere. Per molte notti non ci siamo nemmeno rivolti la parola. Senza di te...»
Non riuscì a finire; solo adesso che Ron era di nuovo lì capiva davvero quanto fosse costata loro la sua assenza.
«È come una sorella per me» riprese. «Le voglio bene come a una sorella e immagino che per lei sia la stessa cosa. È sempre stato così. Credevo che lo sapessi».
Ron non rispose, ma distolse il volto e si asciugò rumorosamente il naso nella manica. Harry si rialzò e si avvicinò all'enorme zaino, qualche metro più in là, che Ron aveva gettato via per correre verso la pozza a salvarlo. Se lo caricò in spalla e tornò vicino all'amico, che si mise in piedi a fatica, gli occhi arrossati, ma ormai calmo.
«Mi dispiace» disse Ron con voce velata. «Mi dispiace di essere andato via. Lo so che sono stato un... un...»
Si guardò intorno nel buio, come se sperasse che una parola abbastanza brutta gli piombasse addosso e se lo portasse via.
«Direi che questa notte ti sei fatto perdonare» ribatté Harry. «Hai preso la spada. Hai distrutto l'Horcrux. Mi hai salvato la vita».
«Detto così, mi fa sembrare molto più figo di quello che sono stato»
borbottò Ron.
«Questo genere di cose sembra sempre più figo di quello che è stato»
replicò Harry. «Sono anni che cerco di dirtelo».
Si mossero simultaneamente l'uno verso l'altro e si abbracciarono. Harry si aggrappò al dorso ancora zuppo della giacca di Ron.
«E ora» concluse quando si separarono «dobbiamo solo ritrovare la tenda». Ma non fu difficile. Anche se l'inseguimento della cerva nella foresta gli era sembrato lungo, con Ron al fianco il ritorno fu sorprendentemente breve. Harry non vedeva l'ora di svegliare Hermione e fremeva d'impazienza quando entrò nella tenda; Ron rimase un passo indietro.
C'era un tepore magnifico, dopo la pozza e la foresta; l'unica luce veniva dalle fiamme color pervinca che scintillavano ancora in una ciotola sul pavimento. Hermione dormiva profondamente, rannicchiata sotto le coperte, e non si mosse finché Harry non ebbe chiamato più volte il suo nome.
« Hermione! »
Lei si ridestò e si mise subito a sedere, scostandosi i capelli dal viso.
«Cosa c'è che non va? Harry, stai bene?»
«È tutto a posto, va tutto bene. Più che bene. Sto benissimo. C'è qualcuno».
«Cosa vuoi dire? Chi...?»
Vide Ron, in piedi con la spada in mano, che sgocciolava sul tappeto liso. Harry si ritrasse in un angolo buio, fece scivolare a terra lo zaino di Ron e cercò di confondersi con la tela.
Hermione scese dal letto e avanzò come una sonnambula verso Ron, gli occhi fissi sul suo volto pallido. Si fermò davanti a lui, le labbra socchiuse, gli occhi sgranati. Ron tentò un debole sorriso speranzoso e fece per alzare le braccia.
Hermione si scagliò in avanti e cominciò a prendere a pugni ogni centimetro di lui che riusciva a raggiungere.
«Ahia... ahi... smettila! Ma che...? Hermione... AHIA!»
«Tu... enorme... stronzo... Ronald... Weasley!»
Sottolineava ogni parola con un colpo: Ron arretrò, riparandosi la testa.
«Tu... torni... dopo... settimane... e... settimane... oh, dov'è la mia bac- chetta? »
Sembrava sul punto di strapparla di mano a Harry, che reagì d'istinto.
« Protego! »
Lo scudo invisibile si dilatò tra Ron e Hermione: la sua forza la fece cadere a terra. Sputando via i capelli di bocca, balzò di nuovo in piedi.