«Certo, Harry Potter» sussurrò il piccolo elfo. Corse dal signor Olivander, quasi privo di sensi. Gli prese una mano con la sua, poi tese l'altra a Luna e Dean. Nessuno dei due si mosse.
«Harry, noi vogliamo aiutarti!» bisbigliò Luna.
«Non possiamo lasciarti qui» aggiunse Dean.
«Andate, tutti e due! Ci vediamo da Bill e Fleur».
Mentre parlava, la cicatrice gli bruciò più forte che mai, e per qualche istante volse gli occhi in basso, non sul fabbricante di bacchette, ma su un uomo altrettanto vecchio, altrettanto magro, che però rideva sprezzante.
« Allora uccidimi, Voldemort, io accetto volentieri la morte! Ma la mia morte non ti darà quello che cerchi... ci sono tante cose che non capisci... »
Provò la rabbia di Voldemort, ma quando Hermione urlò nuovamente la chiuse fuori e tornò nella cantina, all'orrore del suo presente.
«Andate!» implorò Luna e Dean. «Andate! Noi arriveremo dopo, ma voi andate!»
Afferrarono le dita tese dell'elfo. Con un altro sonoro crac Dobby, Luna, Dean e Olivander sparirono.
«Cos'è stato?» urlò Lucius Malfoy sopra di loro. «Avete sentito? Cos'è
stato quel rumore di sotto?»
Harry e Ron si fissarono.
«Draco... no, chiama Codaliscia! Digli di andare a controllare!»
Nuovi passi attraversarono la stanza di sopra, poi il silenzio. Harry capì
che erano in ascolto.
«Dobbiamo cercare di bloccarlo» sussurrò a Ron. Non avevano scelta; non appena qualcuno fosse entrato e si fosse reso conto dell'assenza di tre prigionieri, erano perduti. «Lascia le luci accese» aggiunse, e sentendo qualcuno scendere si appiattirono contro le pareti ai lati della porta.
«State indietro» disse la voce di Codaliscia. «State lontani dalla porta. Adesso entro».
La porta si spalancò. Per una frazione di secondo Codaliscia guardò la cella apparentemente vuota, illuminata dai tre soli in miniatura che galleggiavano nell'aria. Poi Harry e Ron si lanciarono su di lui. Ron gli afferrò la mano che teneva la bacchetta e lo costrinse ad alzarla; Harry gli coprì la bocca con una mano, soffocando la sua voce. Lottarono in silenzio: la bacchetta di Codaliscia emise qualche scintilla; la sua mano d'argento si chiuse attorno alla gola di Harry.
«Cosa succede, Codaliscia?» chiese Lucius Malfoy dall'alto.
«Niente!» gridò in risposta Ron, in una passabile imitazione di Minus.
«Tutto a posto!»
Harry non riusciva quasi a respirare.
«Mi vuoi uccidere, Codaliscia?» rantolò, cercando di aprire le dita di metallo. «Dopo che ti ho salvato la vita? Sei in debito con me!»
Le dita d'argento mollarono la presa. Harry non se l'era aspettato: si liberò, esterrefatto, tenendo la mano sulla bocca di Codaliscia. Vide i suoi occhietti acquosi da topo dilatarsi per la paura e lo stupore: sembrava sorpreso quanto lui per quello che la sua mano aveva fatto, per il minuscolo moto di umanità che aveva avuto, e continuò a lottare con più energia, come per annullare quell'attimo di debolezza.
«Questa la teniamo noi, grazie» bisbigliò Ron, sfilandogli la bacchetta dall'altra mano.
Disarmato, impotente, Minus aveva le pupille dilatate dal terrore. Il suo sguardo era scivolato dal volto di Harry a qualcos'altro. Le dita d'argento avanzavano inesorabili verso la sua stessa gola.
«No...»
Senza riflettere, Harry cercò di allontanare la mano, ma non ci fu modo di fermarla. Lo strumento d'argento che Voldemort aveva donato al suo servo più codardo si era rivoltato contro il proprietario inerme e inutile; Minus veniva punito per la sua esitazione, il suo attimo di pietà: strangolato davanti a loro.
«No!»
Anche Ron aveva lasciato andare Codaliscia e insieme a Harry tentava di staccare le dita di metallo serrate attorno alla gola; ma fu inutile. Minus stava diventando blu.
« Relascio! » tentò Ron, puntando la bacchetta sulla mano d'argento, ma non successe nulla; Minus cadde in ginocchio e nello stesso istante Hermione di sopra cacciò un urlo spaventoso. Gli occhi di Codaliscia si rovesciarono nel volto paonazzo; l'uomo ebbe un ultimo sussulto, poi rimase immobile.
Harry e Ron si guardarono, poi, abbandonato il corpo di Codaliscia sul pavimento, si precipitarono su per le scale. Percorsero cauti il corridoio buio che conduceva al salotto, strisciando, fino alla porta socchiusa. Da lì
videro Bellatrix china su Unci-unci, che reggeva tra le lunghe dita la spada di Grifondoro. Hermione era sdraiata ai piedi di Bellatrix, immobile.
«Allora?» chiese Bellatrix a Unci-unci. «È quella vera?»
Harry attese, trattenendo il fiato, lottando contro il dolore alla cicatrice.
«No» rispose Unci-unci. «È una copia».
«Sei sicuro?» ansimò Bellatrix. «Sicurissimo?»
«Sì» rispose il folletto.
Il sollievo si disegnò sul volto della strega, la tensione svanì.
«Bene» disse, e con un noncurante colpetto di bacchetta inferse un altro taglio profondo sul volto del folletto, che cadde urlando ai suoi piedi. Lei lo calciò via. «E ora» annunciò trionfante, «chiamiamo il Signore Oscuro!»
Si tirò su la manica e posò l'indice sul Marchio Nero.
Immediatamente, la cicatrice di Harry parve aprirsi di nuovo. Tutto ciò
che lo circondava sparì: era Voldemort, e il mago scheletrico davanti a lui rideva con la bocca sdentata, rideva di lui; fu irritato dal richiamo... li aveva avvertiti, aveva detto di convocarlo solo per Potter. Se si erano sbagliati...
« Uccidimi, allora! » rise il vecchio. « Tu non vincerai, non puoi vincere!
Quella bacchetta non sarà mai, mai tua... »
E la furia di Voldemort esplose: un lampo di luce verde riempì la cella e il fragile vecchio corpo fu sollevato dal duro giaciglio e poi ricadde, privo di vita. Voldemort tornò alla finestra, in preda a un'ira ormai incontrollabile... la sua punizione era pronta ad abbattersi su di loro, se l'avevano richiamato senza una buona ragione...
«E ora» continuò la voce di Bellatrix «credo che possiamo sbarazzarci della Mezzosangue. Greyback, prendila, se la vuoi».
«Noooooooooooo!»
Ron si precipitò nel salotto; Bellatrix si girò, spaventata, e puntò la bacchetta su di lui...
« Expelliarmus! » ruggì Ron, puntando la bacchetta di Codaliscia contro Bellatrix, la cui bacchetta schizzò nell'aria e fu presa al volo da Harry, che l'aveva seguito. Lucius, Narcissa, Draco e Greyback si voltarono; Harry urlò « Stupeficium! » e Lucius Malfoy crollò davanti al camino. Fiotti di luce volarono dalle bacchette di Draco, Narcissa e Greyback; Harry si gettò a terra e rotolò dietro un divano per evitarli.
«FERMI O LEI MUORE!»
Ansimando, Harry spiò oltre il bordo del divano. Bellatrix sorreggeva Hermione, svenuta, e le puntava il corto pugnale d'argento alla gola.
«Giù le bacchette» sussurrò. «A terra, o scopriremo quanto è sporco il suo sangue!»
Ron rimase immobile, stringendo la bacchetta di Codaliscia. Harry si rialzò, brandendo ancora quella di Bellatrix.
«Ho detto giù!» strillò lei, premendo la lama nel collo di Hermione: Harry vide spuntare alcune gocce di sangue.
«Va bene!» urlò, e lasciò cadere la bacchetta di Bellatrix ai propri piedi. Ron fece lo stesso con quella di Codaliscia. Entrambi alzarono le mani.
«Bene!» ghignò lei. «Draco, raccoglile! Il Signore Oscuro sta arrivando, Harry Potter! La tua morte si avvicina!»
Harry lo sapeva; la cicatrice stava scoppiando di dolore, percepiva Voldemort volare nel cielo, lontano, sopra un mare cupo e tempestoso. Presto sarebbe stato abbastanza vicino da potersi Materializzare e Harry non vedeva via d'uscita.
«Ora, Cissy» disse Bellatrix dolcemente, quando Draco tornò di corsa con le bacchette, «credo che dovremmo legare di nuovo questi piccoli eroi, mentre Greyback si occupa della signorina Mezzosangue. Sono sicura che il Signore Oscuro non ti negherà la ragazza, Greyback, dopo quello che hai fatto stanotte».
Con l'ultima parola, si sentì un curioso stridio venire dall'alto. Tutti guardarono in su appena in tempo per vedere il lampadario di cristallo che vibrava; poi, con un cigolio e un minaccioso tintinnio, cominciò a cadere. Bellatrix era proprio sotto; lasciò Hermione e si gettò di lato con un urlo. Il lampadario si fracassò sul pavimento in un'esplosione di cristallo e catene, sopra Hermione e il folletto che ancora stringeva la spada di Grifondoro. Schegge scintillanti di cristallo volarono ovunque; Draco si piegò in due, coprendosi con le mani il volto insanguinato.
Mentre Ron correva a estrarre Hermione dai detriti, Harry colse l'occasione: saltò sopra una poltrona e strappò le tre bacchette dalla presa di Draco, le puntò tutte contro Greyback e urlò: « Stupeficium! » Il lupo mannaro fu sollevato dal triplo incantesimo, volò fino al soffitto e poi rovinò a terra.
Narcissa trascinò Draco lontano dal pericolo; Bellatrix balzò in piedi, i capelli svolazzanti, e brandì il pugnale d'argento; ma Narcissa aveva diretto la bacchetta verso la porta.
«Dobby!» urlò, e anche Bellatrix si immobilizzò. «Tu! Tu hai fatto cadere il lampadario...?»
Il minuscolo elfo trotterellò nella stanza, il dito tremante contro la sua ex padrona.
«Non deve fare male a Harry Potter» squittì.
«Uccidilo, Cissy!» strillò Bellatrix, ma si udì un altro sonoro crac, e anche la bacchetta di Narcissa volò via per atterrare all'altro capo della stanza.
«Piccolo sudicio scimmiotto!» abbaiò Bellatrix. «Come osi togliere la bacchetta a una strega, come osi sfidare le tue padrone?»
«Dobby non ha padroni!» strillò l'elfo. «Dobby è un elfo libero, Dobby è
venuto a salvare Harry Potter e i suoi amici!»
Il dolore alla cicatrice era accecante. Harry sapeva, indistintamente, che mancava pochissimo, pochi secondi, all'arrivo di Voldemort.
«Ron, prendi... e VAI!» urlò, lanciandogli una bacchetta; poi si chinò a estrarre Unci-unci da sotto il lampadario. Issatosi su una spalla il folletto gemente, ancora aggrappato alla spada, Harry afferrò la mano di Dobby e girò sul posto per Smaterializzarsi.
Mentre vorticava nel buio, ebbe un'ultima visione del salotto: le pallide figure raggelate di Narcissa e Draco, la striscia rossa dei capelli di Ron, una macchia d'argento in volo, il pugnale di Bellatrix che sfrecciava per la stanza verso il punto in cui lui si stava Smaterializzando... Bill e Fleur... a Villa Conchiglia... Bill e Fleur... Era sparito nell'ignoto; non poteva che ripetere il nome della destinazione e sperare che bastasse per arrivarci. Il dolore alla fronte lo trafiggeva e il peso del folletto lo opprimeva; sentiva la lama della spada di Grifondoro urtargli la schiena; la mano di Dobby si contrasse nella sua; si chiese se l'elfo stava cercando di assumere la guida, di trascinarli nella giusta direzione, e tentò, stringendogli le dita, di fargli capire che per lui andava bene... E poi colpirono il suolo e inalarono aria salata. Harry cadde in ginocchio, lasciò la mano di Dobby e depose dolcemente a terra Unci-unci.
«Stai bene?» chiese al folletto che si muoveva appena, ma Unci-unci si limitò a piagnucolare.
Harry si guardò attorno nel buio. C'era una villetta non lontana, sotto l'immenso cielo stellato, e gli parve di vedere qualcuno muoversi all'esterno.
«Dobby, quella è Villa Conchiglia?» sussurrò, stringendo le due bacchette che aveva tolto ai Malfoy, pronto a combattere. «Siamo arrivati nel posto giusto? Dobby?»
Il piccolo elfo era a un metro da lui.
«DOBBY!»
L'elfo barcollò, le stelle riflesse negli occhioni lucenti. Insieme, lui e Harry abbassarono lo sguardo all'impugnatura d'argento del pugnale che spuntava dal petto pulsante della piccola creatura.
«Dobby... no... AIUTO!» urlò Harry verso la villa, verso la gente che si muoveva laggiù. «AIUTO!»
Non sapeva e non gli importava se fossero maghi o Babbani, amici o nemici; gli importava solo della macchia scura che si allargava sul petto di Dobby. L'elfo tese le braccine verso di lui con aria di supplica. Harry lo prese e lo distese su un fianco sopra l'erba fresca.
«Dobby, no, non morire, non morire...»
Lo sguardo dell'elfo si posò su di lui, e le sue labbra tremarono per lo sforzo di formare delle parole.
«Harry... Potter...»
E poi con un piccolo fremito l'elfo restò immobile, e i suoi occhi furono solo grandi globi vitrei, sui quali brillava la luce di stelle che non potevano più vedere.
CAPITOLO 24
IL FABBRICANTE DI BACCHETTE
Fu come sprofondare in un vecchio incubo; per un attimo si ritrovò inginocchiato accanto al corpo di Silente ai piedi della torre più alta di Hogwarts, ma in realtà stava fissando un corpo minuscolo rannicchiato sull'erba, trafitto dal pugnale d'argento di Bellatrix. Harry continuava a ripetere «Dobby... Dobby...» pur sapendo che l'elfo era in un luogo da cui non poteva essere richiamato.
Dopo qualche minuto si rese conto che erano arrivati nel posto giusto, perché Bill e Fleur, Dean e Luna erano raccolti attorno a lui.
«Hermione» disse all'improvviso. «Dov'è?»
«Ron l'ha portata dentro» rispose Bill. «Guarirà».
Harry guardò di nuovo Dobby. Sfilò la lama appuntita dal corpo dell'elfo, poi si tolse il giaccone e lo coprì. Sentì il mare che si frangeva sulle rocce lì vicino, mentre gli altri parlavano, discutendo argomenti che non lo interessavano, prendendo decisioni. Dean portò in casa Unci-unci ferito, Fleur corse con loro; Bill stava suggerendo dove seppellire l'elfo. Harry disse di sì senza badarci. Guardò il piccolo corpo e la cicatrice pizzicò e bruciò, e in una parte della sua mente, visto come dal lato sbagliato di un lungo telescopio, Voldemort stava punendo coloro che erano rimasti a Villa Malfoy. La sua rabbia era terribile, eppure il dolore di Harry per Dobby parve attenuarla, come fosse una tempesta lontana, all'orizzonte di un vasto oceano silenzioso.
«Voglio farlo come si deve» furono le prime parole che si rese conto di pronunciare. «Non con la magia. Hai una vanga?»
E poco dopo si mise al lavoro da solo, per scavare la tomba dove gli aveva mostrato Bill, in fondo al giardino, tra i cespugli. Scavava con una sorta di furia, godendo del lavoro manuale, crogiolandosi nella sua nonmagia, perche ogni goccia di sudore e ogni vescica erano un tributo all'elfo che aveva salvato le loro vite.
La cicatrice bruciava, ma lui dominava il dolore; lo provava, ma ne era distaccato. Aveva finalmente imparato a controllarlo, a chiudere la mente a Voldemort, proprio come Silente aveva voluto che apprendesse da Piton. Voldemort non era riuscito a possedere Harry quando era divorato dal dolore per Sirius, e adesso i suoi pensieri non potevano penetrarlo mentre piangeva Dobby. Il dolore, sembrava, scacciava Voldemort... anche se Silente avrebbe detto che era l'amore... Harry continuò a scavare, sempre più a fondo nella terra fredda e dura, avvolgendo la sofferenza nel sudore, negando il male alla fronte. Nel buio, null'altro che il suono del proprio respiro e il mare impetuoso a tenergli compagnia, gli tornò in mente cos'era accaduto a Villa Malfoy, cos'aveva sentito, e la comprensione sbocciò nell'oscurità.
Il ritmo regolare delle braccia scandiva il tempo dei pensieri. I Doni... gli Horcrux... eppure non ardeva più di quello strano desiderio ossessivo. La perdita e la paura l'avevano spento: era come se fosse stato risvegliato da un ceffone.
Sprofondò sempre di più nella tomba e capì dov'era stato Voldemort e chi aveva ucciso nella cella più alta di Nurmengard e perché... Pensò a Codaliscia, morto a causa di un solo minimo, istintivo moto di pietà... Silente l'aveva previsto... di quante altre cose era già a conoscenza?
Harry perse la nozione del tempo. Sapeva solo che il buio si era un po'
schiarito quando Ron e Dean si unirono a lui.
«Come sta Hermione?»
«Meglio» rispose Ron. «Fleur si sta occupando di lei».
Se gli avessero chiesto perché non aveva semplicemente creato una tomba a regola d'arte con la bacchetta, Harry avrebbe avuto la risposta pronta, ma non ne ebbe bisogno. I due saltarono nella buca, armati di pale, e insieme lavorarono in silenzio finché lo scavo fu abbastanza profondo. Harry avvolse l'elfo più stretto nel suo giaccone. Ron si sedette sul bordo della tomba e si tolse calze e scarpe, che infilò sui piedi nudi di Dobby. Dean offrì un berretto di lana, che Harry gli calzò con cautela sulla testa, coprendogli le orecchie da pipistrello.
«Gli dovremmo chiudere gli occhi».
Harry non aveva sentito gli altri avvicinarsi nel buio. Bill indossava un mantello da viaggio; Fleur un grembiulone bianco, dalla tasca del quale spuntava una bottiglia che Harry riconobbe come Ossofast. Hermione, pallida e incerta sulle gambe, era avvolta in una vestaglia che le avevano prestato; Ron le passò un braccio attorno alle spalle quando lei lo raggiunse. Luna, infagottata in un cappotto di Fleur, si accovacciò e posò con dolcezza le dita sulle palpebre dell'elfo, facendole scivolare sul suo sguardo vitreo.
«Ecco» mormorò. «Ora è come se dormisse».
Harry appoggiò l'elfo nella tomba, dispose le minuscole membra in modo che sembrasse riposare, poi risalì e guardò per l'ultima volta il piccolo corpo. Si sforzò di non crollare al ricordo del funerale di Silente, le file e file di sedie d'oro e il Ministro della Magia davanti a tutti, la litania dei successi di Silente, la maestosità della tomba di marmo bianco. Sentiva che Dobby meritava un funerale altrettanto grandioso, e invece giaceva lì
in una rozza buca tra i cespugli.
«Credo che dovremmo dire qualcosa» intervenne Luna. «Comincio io, va bene?»
Mentre tutti la guardavano, si rivolse all'elfo morto in fondo alla tomba.
«Grazie infinite, Dobby, per avermi salvato da quel sotterraneo. È ingiusto che tu sia morto, eri tanto buono e coraggioso. Ricorderò sempre ciò
che hai fatto per noi. Spero che ora tu sia felice» .
Si voltò e guardò trepidante Ron, che si schiarì la gola e disse con voce roca: «Sì... grazie, Dobby».
«Grazie» borbottò Dean.
Harry deglutì.
«Addio, Dobby». Non riuscì ad aggiungere altro, ma Luna aveva già
detto tutto. Bill alzò la bacchetta e la pila di terra accanto alla tomba si levò e ricadde con precisione nello scavo, un piccolo cumulo rossastro.
«Vi spiace se resto qui un momento?» chiese Harry agli altri. Mormorarono parole che non comprese; sentì pacche affettuose sulla schiena e poi tornarono tutti verso la villa, lasciandolo solo accanto all'elfo. Si guardò intorno: c'erano delle grosse pietre bianche, levigate dal mare, a segnare il bordo delle aiuole. Ne prese una delle più grandi, s'inginocchiò
e la depose, come un cuscino sulla terra, in corrispondenza della testa di Dobby. Poi si frugò la tasca in cerca della bacchetta.
Ne aveva due. Se n'era dimenticato, e adesso non ricordava di chi fossero; gli pareva di averle strappate dalla mano di qualcuno. Scelse la più corta, che gli parve più comoda in mano, e la puntò verso la pietra. Lentamente, seguendo le istruzioni che mormorava, apparvero incisioni profonde sulla superficie della pietra. Sapeva che Hermione l'avrebbe fatto meglio e forse più in fretta, ma voleva segnare quel punto così come aveva voluto scavare la tomba. Quando si rialzò, la pietra recitava:
Qui giace Dobby, un Elfo Libero.
Guardò la sua opera per qualche istante, poi si allontanò, la cicatrice che pizzicava, la mente occupata dalle rivelazioni che gli erano giunte mentre scavava, idee che avevano preso forma nel buio, a un tempo affascinanti e terribili.
Quando entrò nel piccolo ingresso, li vide tutti seduti in salotto, ad ascoltare Bill. La stanza era graziosa, chiara, con un piccolo fuoco di legna portata a riva dal mare che scoppiettava nel camino. Harry non voleva infangare il tappeto, quindi rimase sulla soglia ad ascoltare.
«... per fortuna Ginny è in vacanza. Se fosse stata a Hogwarts, sarebbero riusciti a portarla via prima che la raggiungessimo. Ora sappiamo che anche lei è al sicuro». Bill si guardò intorno e scorse Harry.
«Li ho portati via tutti dalla Tana» spiegò. «Li ho trasferiti da zia Muriel. I Mangiamorte adesso sanno che Ron è con te, quindi prenderanno di mira la famiglia... non scusarti» lo anticipò vedendo la sua espressione.
«Era solo questione di tempo, papà lo diceva da mesi. Siamo la più grande famiglia di traditori del sangue che esista».
«Come sono protetti?» chiese Harry.
«Con un Incanto Fidelius. Papà è il Custode Segreto. L'abbiamo posto anche su questa casa; qui il Custode Segreto sono io. Nessuno di noi può
andare al lavoro, ma al momento non è la cosa più grave. Quando Olivander e Unci-unci si saranno ristabiliti, trasferiremo anche loro da Muriel. Qui non c'è molto posto, ma da lei sì. Le gambe di Unci-unci stanno guarendo, Fleur gli ha dato l'Ossofast: probabilmente li potremo trasferire fra un'ora o...»
«No» lo interruppe Harry, e Ron lo guardò allarmato. «Mi servono tutti e due qui. Devo parlare con loro. È importante».
Sentì l'autorità nella propria voce, la convinzione, il senso di decisione che avevano preso possesso di lui quando scavava la tomba di Dobby. Lo stavano fissando tutti, perplessi.
«Vado a lavarmi» disse a Bill, guardandosi le mani ancora coperte di fango e del sangue di Dobby. «Poi devo vederli subito».
Entrò in cucina e si avvicinò al lavandino, sotto una piccola finestra affacciata sul mare. L'alba colorava l'orizzonte, rosa conchiglia e oro chiaro, mentre lui si sciacquava e seguiva il corso dei pensieri che gli erano venuti alla mente nel giardino buio...
Dobby non avrebbe più potuto dire loro chi l'aveva mandato nel sotterraneo, ma Harry sapeva che cosa aveva visto. Un penetrante occhio azzurro l'aveva guardato dal frammento di specchio e l'aiuto era arrivato. 'A Ho- gwarts chi chiede aiuto lo trova sempre'. Si asciugò le mani, indifferente alla bellezza della scena fuori dalla finestra e al mormorio degli altri in salotto. Guardò l'oceano e, in quell'alba, si sentì più vicino di quanto non fosse mai stato al cuore di tutto quanto.
La cicatrice bruciava ancora, e seppe che anche Voldemort era vicino alla soluzione. Harry capiva e non capiva. L'istinto gli diceva una cosa, il cervello un'altra. Il Silente nella testa di Harry sorrideva, contemplandolo sopra le dita unite come in preghiera.
Hai dato a Ron il Deluminatore. L'avevi capito... gli hai dato un modo per tornare...
E avevi capito anche Codaliscia... sapevi che c'era un briciolo di rim- pianto da qualche parte dentro di lui...
E se conoscevi loro... cosa sapevi di me, Silente?
Il mio destino è sapere, ma non cercare? Sapevi quanto mi sarebbe stato difficile? È per questo che l'hai reso così complicato? In modo che avessi il tempo di capirlo?
Harry rimase immobile, lo sguardo vitreo, a fissare il punto in cui il contorno oro vivo del sole accecante sorgeva dall'orizzonte. Poi si guardò le mani pulite e si stupì nel vedere che reggevano uno strofinaccio. Lo posò e tornò nell'ingresso, dove avvertì la cicatrice pulsare rabbiosa; rapido come il riflesso di una libellula sull'acqua, nella sua mente balenò il profilo di un edificio che conosceva molto bene.
Bill e Fleur erano ai piedi delle scale.
«Devo parlare con Unci-unci e Olivander» disse Harry.
«No» rispose Fleur. «Dovrai aspettare, Arrì. Sono tutti e due malati, stonchi...»
«Mi spiace» insisté lui, senza fervore, «ma non posso aspettare. Ho bisogno di parlare con loro adesso. In privato... e uno alla volta. È urgente».
«Harry, cosa diavolo succede?» domandò Bill. «Arrivi qui con un elfo domestico morto e un folletto privo di sensi, Hermione sembra essere stata torturata e Ron si rifiuta di dirmi qualsiasi cosa...»
«Non possiamo dirti cosa stiamo facendo» spiegò Harry con calma. «Fai parte dell'Ordine, Bill, sai che Silente ci ha lasciato una missione. Non ne possiamo parlare con nessun altro».
Fleur sbuffò d'impazienza, ma Bill non la guardò; stava fissando Harry. Il suo volto solcato da profonde cicatrici era indecifrabile. Infine rispose:
«Va bene. Con chi vuoi parlare per primo?»
Harry esitò. Sapeva che cosa dipendeva dalla sua decisione. Non c'era tempo da perdere, era il momento di scegliere: Horcrux o Doni?
«Con Unci-unci» rispose. «Parlerò prima con Unci-unci».
Il cuore gli batteva forte, come se avesse fatto una corsa e superato un enorme ostacolo.
«Su di qui, allora». Bill gli fece strada.
Harry era già salito di alcuni gradini quando si fermò e si voltò.
«Ho bisogno anche di voi due!» gridò a Ron e Hermione, seminascosti sulla soglia del salotto.
Si spostarono tutti e due alla luce, curiosamente sollevati.
«Come ti senti?» chiese a Hermione. «Sei stata straordinaria... a inventarti quella storia mentre ti torturava...»
Hermione abbozzò un sorrisetto e Ron la strinse a sé.
«Adesso che cosa facciamo, Harry?»
«Vedrete. Andiamo».
Harry, Ron e Hermione seguirono Bill su per le strette scale fino a un piccolo pianerottolo dove si affacciavano tre porte.
«Qui dentro» fece Bill, aprendo la porta della camera sua e di Fleur. Anche quella guardava sul mare, macchiato d'oro al sorgere del sole. Harry andò alla finestra, voltò le spalle alla vista spettacolare e attese, le braccia incrociate, la cicatrice in fiamme. Hermione prese la sedia vicino al tavolino da toeletta; Ron si sedette sul bracciolo. Bill riapparve, portando in braccio il piccolo folletto, che posò cautamente sul materasso. Unci-unci grugnì un grazie e Bill uscì chiudendo la porta.
«Mi dispiace di averti fatto alzare» cominciò Harry. «Come vanno le gambe?»
«Fanno male» rispose il folletto. «Ma si stanno aggiustando». Reggeva ancora la spada di Grifondoro e aveva una strana espressione, metà aggressiva metà interessata. Harry osservò la pelle giallastra, le dita affusolate, gli occhi neri. Fleur gli aveva tolto le scarpe: i lunghi piedi era-no sporchi. Era più grande di un elfo domestico, ma non di molto. La sua testa a cupola era molto più grossa di quella di un uomo.
«Probabilmente non ricordi...» cominciò Harry.
«... che sono stato io a mostrarti la tua camera blindata la prima volta che sei venuto alla Gringott?» finì la frase Unci-unci. «Mi ricordo, Harry Potter. Anche tra i folletti, sei molto famoso». Harry e il folletto si guardarono, misurandosi. La cicatrice bruciava ancora. Harry voleva concludere in fretta la conversazione con Unci-unci, ma allo stesso tempo aveva paura di fare una mossa falsa. Stava cercando il modo migliore di formulare la sua richiesta, quando il folletto parlò.
«Hai seppellito l'elfo» osservò, con un tono sorprendentemente astioso.
«Ti ho guardato dalla finestra della camera qui accanto».
«Sì» replicò Harry.
Unci-unci lo guardò dagli angoli dei suoi occhi neri a mandorla.
«Sei uno strano mago, Harry Potter».
«In che senso?» chiese Harry, stropicciandosi distrattamente la cicatrice.
«Hai scavato la tomba».
«E allora?»
Unci-unci non rispose. Harry pensò che lo stesse canzonando perché si era comportato come un Babbano, ma non gl'importava che il folletto approvasse la faccenda della tomba di Dobby. Si preparò per il suo attacco.
«Unci-unci, devo chiederti...»
«Hai anche salvato un folletto».
«Cosa?»
«Mi hai portato qui. Mi hai salvato».
«Be', spero che non ti dispiaccia» ribatté Harry, un po' impaziente.
«No, Harry Potter» rispose Unci-unci, tormentandosi la barbetta nera con un dito, «ma sei un mago molto strano».
«Va bene» tagliò corto Harry. «Be', ho bisogno di aiuto, Unci-unci, e tu puoi darmelo».
Il folletto non fece cenni di incoraggiamento, ma continuò a scrutare Harry torvo, come se non avesse mai visto nulla di simile.
«Devo penetrare in una camera blindata della Gringott».
Harry non aveva intenzione di dirlo in modo così diretto; le parole gli uscirono a forza mentre il dolore gli incendiava la cicatrice e vedeva di nuovo il profilo di Hogwarts. Chiuse la mente, deciso. Prima doveva trattare con Unci-unci. Ron e Hermione lo fissavano come se fosse impazzito.
«Harry...» cominciò Hermione, ma Unci-unci la interruppe.
«Penetrare in una camera blindata della Gringott?» ripeté, mentre cambiava posizione con una smorfia di dolore. «È impossibile».
«Non è vero» lo contraddisse Ron. «È successo».
«Sì» confermò Harry. «Lo stesso giorno che ti ho conosciuto, Unci-unci. Il giorno del mio compleanno, sette anni fa».
«La camera blindata in questione a quell'epoca era vuota» ribatté il folletto, e Harry capì che, anche se aveva lasciato la Gringott, era offeso dall'idea che qualcuno avesse superato le sue difese. «La protezione era minima».
«Be', quella in cui abbiamo bisogno di entrare non è vuota, e suppongo che la protezione sia molto potente» continuò Harry. «Appartiene ai Lestrange». Vide Hermione e Ron guardarsi esterrefatti, ma ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni dopo la risposta di Unci-unci.
«Non avete alcuna possibilità» dichiarò il folletto in tono piatto. «Nessuna. 'Quindi se cerchi nel sotterraneo / Un tesoro che ti è estraneo...' »
« '... ladro avvisato mezzo salvato'. Sì, lo so, mi ricordo. Ma io non sto cercando di rubare tesori, non ho intenzione di prendere nulla per mio interesse personale. Mi credi?»
Il folletto osservò Harry; la cicatrice bruciava, ma lui la ignorò, rifiutandosi di accettare il suo dolore o il suo invito.
«Se c'è un mago di cui posso credere che non è interessato al proprio tornaconto» rispose infine Unci-unci, «quello sei tu, Harry Potter. Folletti ed elfi non sono abituati alla protezione e al rispetto che hai mostrato questa notte. Non da parte dei portatori di bacchette».
«Portatori di bacchette» ripeté Harry: l'espressione gli suonò curiosa, e intanto la cicatrice bruciava, Voldemort volgeva i suoi pensieri verso nord e Harry non vedeva l'ora di interrogare Olivander, nella stanza accanto.
«Il diritto di portare una bacchetta» mormorò Unci-unci «è stato a lungo conteso tra maghi e folletti».
«Be', i folletti possono fare magie senza bacchetta» osservò Ron.
«È irrilevante! I maghi si rifiutano di condividere i segreti dell'arte delle bacchette con altre creature magiche, ci negano la possibilità di estendere i nostri poteri!»
«Nemmeno i folletti vogliono condividere la loro magia» ribatté Ron.
«Non ci volete dire come si fabbricano le spade e le armature alla vostra maniera. I folletti sanno lavorare il metallo in un modo che i maghi non hanno mai...»
«Non importa» intervenne Harry, notando il rossore crescente di Unciunci. «Non stiamo parlando di maghi contro folletti o qualunque altra creatura magica...»
Unci-unci sbottò in una risata cattiva.
«Oh, sì, è proprio di questo che stiamo parlando! Il Signore Oscuro diventa sempre più potente e la vostra razza s'impone sempre di più sulla mia! La Gringott ricade sotto la legge magica, gli elfi domestici vengono assassinati, e chi protesta tra i portatori di bacchette?»
«Noi!» rispose Hermione. Raddrizzò la schiena, gli occhi ardenti. «Noi protestiamo! E io sono perseguitata quanto un folletto o un elfo, Unciunci! Io sono una sporca Mezzosangue!»
«Non dire...» borbottò Ron.
«Perché non dovrei?» ribatté Hermione. «Sporca Mezzosangue e fiera di esserlo! Con questo nuovo governo non mi trovo in una posizione migliore della tua, Unci-unci! È me che hanno scelto di torturare, dai Malfoy!»
Scostò il colletto della vestaglia per mostrare il taglio sottile inciso da Bellatrix, scarlatto sulla sua gola.
«Lo sapevi che è stato Harry a liberare Dobby?» chiese. «Lo sapevi che sono anni che lottiamo per la liberazione degli elfi?» Ron si agitò sul bracciolo. «Non puoi desiderare la sconfitta di Tu-Sai-Chi più di quanto la desideriamo noi, Unci-unci!»
Il folletto fissò Hermione con la stessa curiosità che aveva manifestato nei confronti di Harry.
«Cosa cercate nella camera blindata dei Lestrange?» chiese all'improvviso. «La spada che c'è là dentro è una copia. Questa è quella vera». Li guardò uno dopo l'altro. «Credo che tu lo sappia già. Mi hai chiesto di mentire per te, laggiù».
«Ma nella camera blindata non c'è solo la spada falsa, vero?» chiese Harry. «Forse tu hai visto le altre cose che ci sono là dentro». Il cuore gli batteva fortissimo. Raddoppiò gli sforzi per ignorare il pulsare della cicatrice. Il folletto arricciò di nuovo la barbetta con il dito.
«È contro la nostra legge parlare dei segreti della Gringott. Noi siamo i custodi di favolosi tesori. Abbiamo degli obblighi verso gli oggetti che ci sono stati affidati e che furono, spesso, modellati dalle nostre stesse mani». Il folletto accarezzò la spada e i suoi occhi neri vagarono da Harry a Hermione a Ron per tornare su Harry.
«Così giovane» commentò infine, «per lottare contro tanti».
«Ci aiuterai?» gli chiese Harry. «Non abbiamo speranza di entrare senza l'aiuto di un folletto. Sei la nostra unica possibilità».
«Io... ci penserò» fu l'esasperante risposta di Unci-unci.
«Ma...» cominciò Ron adirato; Hermione gli diede un colpetto nelle costole.
«Grazie» disse Harry.
Il folletto chinò il testone a cupola per ringraziare a sua volta, poi piegò
le gambe corte.
«Penso» bofonchiò, sistemandosi con ostentazione sul letto di Bill e Fleur, «che l'Ossofast abbia finito la sua azione. Finalmente potrò dormire. Perdonatemi...»
«Sì, certo» mormorò Harry, ma prima di uscire si sporse a prendere la spada di Grifondoro che giaceva accanto al folletto. Unci-unci non protestò, ma mentre chiudeva la porta Harry pensò di aver scorto un lampo di rancore nei suoi occhi.
«Piccolo idiota» bisbigliò Ron. «Si diverte a tenerci in sospeso».
«Harry» sussurrò Hermione, allontanandoli dalla porta, «stai dicendo quello che penso? Stai dicendo che c'è un Horcrux nella camera blindata dei Lestrange?»
«Sì» rispose Harry. «Bellatrix era terrorizzata quando credeva che ci fossimo entrati, era fuori di sé. Perché? Cosa pensava che avessimo visto, cos'altro temeva che avessimo portato via? Era agghiacciata all'idea che Voi-Sapete-Chi lo scoprisse».
«Ma noi non cercavamo i posti dove è stato Voi-Sapete-Chi, i posti dove ha fatto qualcosa di importante?» obiettò Ron, sconcertato. «Lui è mai entrato nella camera blindata dei Lestrange?»
«Non so se è mai stato alla Gringott» rifletté Harry. «Non ci ha mai tenuto dell'oro da giovane, perché nessuno gli aveva lasciato nulla. Però avrà
visto la banca da fuori la prima volta che è andato in Diagon Alley». La cicatrice pulsava, ma lui la ignorò; voleva che Ron e Hermione capissero la storia della Gringott prima di parlare con Olivander.
«Secondo me invidiava chiunque possedesse la chiave di una camera blindata alla Gringott. Credo che la considerasse un vero simbolo di appartenenza al mondo magico. E si fidava di Bellatrix e di suo marito. Erano i suoi servitori più devoti prima che cadesse, quelli che andarono a cercarlo quando sparì. L'ha detto la notte che è tornato, l'ho sentito io». Si grattò la cicatrice.
«Secondo me, però, non ha rivelato a Bellatrix che si trattava di un Hor-crux. Non ha mai detto la verità sul diario a Lucius Malfoy. Probabilmente le ha detto soltanto che era un oggetto molto prezioso e le ha chiesto di custodirlo nella sua camera blindata. Il posto più sicuro del mondo se vuoi nascondere qualcosa, mi ha detto Hagrid... a parte Hogwarts». Harry tacque. Ron scosse il capo.
«Tu lo capisci proprio bene».
«A pezzi» rispose Harry. «Pezzi... vorrei solo aver capito altrettanto bene Silente. Ma vedremo. Andiamo... tocca a Olivander». Ron e Hermione, confusi ma impressionati, lo seguirono attraverso il piccolo pianerottolo e bussarono alla porta di fronte a quella di Bill e Fleur. Un debole «Entrate!» fu la risposta.
Il fabbricante di bacchette era disteso sul letto più lontano dalla finestra. Era rimasto prigioniero nel sotterraneo per più di un anno ed era stato torturato, Harry lo sapeva, almeno in una circostanza. Era emaciato, le ossa del suo volto sporgevano affilate contro la pelle giallastra. Gli occhi color argento sembravano enormi nelle orbite incavate. Le mani che posava sulla coperta avrebbero potuto appartenere a uno scheletro. Harry sedette sul letto vuoto, vicino a Ron e Hermione. Da lì il sole dell'alba non si vedeva: la stanza dava sul giardino in cima alla scogliera e sulla tomba scavata di fresco.
«Signor Olivander, mi dispiace disturbarla» cominciò Harry.
«Mio caro ragazzo». La voce di Olivander era flebile. «Ci hai salvato. Credevo che saremmo morti in quel posto. Non potrò mai, mai ringraziarti abbastanza».
«Siamo stati contenti di farlo».
La cicatrice di Harry pulsava. Sapeva per certo che non c'era quasi più
tempo per arrivare prima di Voldemort al suo obiettivo o per cercare di deviarlo. Provò uno spasimo di panico... ma aveva fatto la sua scelta quando aveva deciso di parlare prima con Unci-unci. Simulando una calma che non provava, prese dalla saccoccia che portava al collo le due metà della bacchetta spezzata.
«Signor Olivander, ho bisogno di aiuto».
«Qualunque cosa. Qualunque cosa» rispose debolmente il fabbricante di bacchette.
«Può ripararla? È possibile?»
Olivander tese una mano tremante e Harry posò sul suo palmo le due metà a stento ancora attaccate.
«Agrifoglio e piuma di fenice» commentò Olivander con voce tremula.
«Undici pollici. Molto flessibile».
«Già» annuì Harry. «Lei può...?»
«No» mormorò Olivander. «Mi spiace, mi spiace tanto, ma una bacchetta che ha subito un danno del genere non può essere riparata con alcun mezzo che io conosca».
Harry si era preparato, ma fu ugualmente un colpo. Riprese le due metà
della bacchetta e le ripose nella saccoccia. Olivander fissò il punto in cui la bacchetta infranta era sparita e non distolse lo sguardo finché Harry non tirò fuori le due bacchette che aveva recuperato a Villa Malfoy.
«Può identificare queste?» chiese.
Olivander prese la prima e la avvicinò agli occhi miopi, rigirandola tra le dita nodose, flettendola leggermente.
«Noce e corda di cuore di drago» sentenziò. «Dodici pollici e tre quarti. Rigida. Questa bacchetta apparteneva a Bellatrix Lestrange».
«E questa?»
Olivander ripeté l'esame.
«Biancospino e crine di unicorno. Dieci pollici esatti. Sufficientemente elastica. Questa era la bacchetta di Draco Malfoy».
«Era?» ripeté Harry. «Non è più sua?»
«Forse no. Se tu l'hai presa...»
«... sì, l'ho presa...»
«... allora potrebbe essere tua. Naturalmente il modo in cui la si prende è
importante. Molto dipende anche dalla bacchetta stessa. In generale, comunque, quando una bacchetta è stata vinta, la sua fedeltà cambia». Nella stanza calò il silenzio, disturbato solo dal fragore lontano del mare.
«Parla delle bacchette come se provassero dei sentimenti» osservò
Harry, «come se potessero pensare da sole».
«È la bacchetta che sceglie il mago» rispose Olivander. «Almeno questo è sempre stato chiaro a chi ha studiato l'arte delle bacchette».
«Ma si può comunque usare una bacchetta da cui non si è stati scelti?»
chiese Harry.
«Oh, sì, un mago che si rispetti è in grado di incanalare i propri poteri in quasi tutti gli strumenti. I migliori risultati, tuttavia, si ottengono sempre dove esiste la più forte affinità tra mago e bacchetta. Sono legami complessi. Un'attrazione iniziale e poi un reciproco desiderio di apprendimento, la bacchetta che impara dal mago e il mago dalla bacchetta». Il mare sciabordava; era un suono dolente.
«Ho preso questa bacchetta a Draco Malfoy con la forza» proseguì
Harry. «Posso usarla senza correre rischi?»
«Credo di sì. Leggi inafferrabili governano la proprietà delle bacchette, ma la bacchetta conquistata solitamente piega il proprio volere al nuovo padrone».
«Quindi io dovrei usare questa?» chiese Ron. Si sfilò dalla tasca la bacchetta di Codaliscia e la diede a Olivander.
«Ippocastano e corda di cuore di drago. Nove pollici e un quarto. Fragile. Fui costretto a fabbricarla, poco dopo essere stato rapito, per Peter Minus. Sì, se l'hai conquistata, è più probabile che esegua i tuoi ordini, e meglio, di un'altra bacchetta».
«E questo vale per tutte le bacchette, vero?» domandò Harry.
«Ritengo di sì» rispose Olivander, gli occhi sporgenti fissi sul volto di Harry. «Poni interrogativi profondi, signor Potter. L'arte delle bacchette è
una branca complicata e misteriosa della magia».
«Quindi non è necessario uccidere il proprietario precedente per impadronirsi veramente di una bacchetta?»
Olivander deglutì.
«Necessario? No, non direi che è necessario uccidere».
«Ma ci sono leggende» insisté Harry, e il suo battito accelerò, il dolore alla cicatrice si fece più intenso; era sicuro che Voldemort avesse deciso di mettere in atto la sua idea. «Leggende che parlano di una bacchetta - o certe bacchette - passate di mano in mano tramite omicidi». Olivander impallidì. Contro il candido cuscino il suo volto era grigiastro, gli occhi enormi, arrossati e gonfi di quella che sembrava paura.
«Solo una, credo» mormorò.
«E Lei-Sa-Chi è molto interessato a questa bacchetta, vero?» chiese Harry.
«Io... come?» gracchiò Olivander, guardando supplichevole Ron e Hermione. «Come fai a saperlo?»
«Voleva che lei gli dicesse come superare la connessione tra le nostre bacchette» disse Harry.
Olivander era terrorizzato.
«Mi ha torturato, devi capirlo! La Maledizione Cruciatus, io... io non ho avuto scelta, ho dovuto dirgli quello che sapevo, quello che sospettavo!»
«Lo capisco» rispose Harry. «Gli ha detto dei nuclei gemelli? Gli ha detto che doveva prendere in prestito la bacchetta di un altro mago?»
Olivander era agghiacciato, paralizzato, da quanto Harry sapeva. Annuì
lentamente.
«Ma non ha funzionato» continuò Harry. «La mia ha comunque battuto la bacchetta presa in prestito. Lei sa perché?»
Olivander scosse il capo, lentamente come aveva appena annuito.
«Io non... avevo mai sentito una cosa del genere. La tua bacchetta ha compiuto qualcosa di unico quella notte. La connessione tra i nuclei gemelli è incredibilmente rara, ma perché la tua bacchetta abbia spezzato quella presa in prestito non lo so...»
«Tornando all'altra bacchetta, quella che cambia proprietario attraverso un omicidio. Quando Lei-Sa-Chi ha capito che la mia bacchetta aveva fatto qualcosa di strano, è venuto a chiederle di quell'altra, vero?»
«Come fai a saperlo?»
Harry non rispose.
«Sì, me l'ha chiesto» bisbigliò Olivander. «Voleva sapere tutto quello che potevo dirgli sulla bacchetta nota sotto vari nomi, Stecca della Morte, Bacchetta del Destino o Bacchetta di Sambuco».
Harry sbirciò Hermione. Sembrava sbalordita.
«Il Signore Oscuro» riprese Olivander in tono frettoloso e spaventato «era sempre stato soddisfatto della bacchetta che gli avevo fabbricato io stesso - tasso e piuma di fenice, tredici pollici e mezzo - finché non ha scoperto la connessione dei nuclei gemelli. Ora cerca un'altra bacchetta più potente, il solo modo per sconfiggere la tua».
«Ma presto scoprirà, se non lo sa già, che la mia si è spezzata e non si può riparare» mormorò Harry.
«No!» esclamò Hermione sgomenta. «Non può saperlo, Harry, come potrebbe...?»
« Prior Incantatio» spiegò Harry. «Abbiamo lasciato la tua bacchetta e quella di prugnolo dai Malfoy, Hermione. Se le esaminano con cura, se le inducono a ripetere gli incantesimi che hanno scagliato di recente, scopriranno che la tua ha spezzato la mia, scopriranno che hai cercato invano di ripararla e capiranno che da allora ho usato quella di prugnolo». Il poco colorito che Hermione aveva riguadagnato se ne andò. Ron guardò Harry con aria di rimprovero e disse: «Non pensiamoci adesso...»
Ma il signor Olivander intervenne.
«Il Signore Oscuro non cerca più la Bacchetta di Sambuco solo per distruggere te, Harry Potter. È deciso a impadronirsene perché è convinto che lo renderà davvero invulnerabile».
«Ed è vero?»
«Il proprietario della Bacchetta di Sambuco deve sempre temere gli at-tacchi» precisò Olivander, «ma devo ammettere che l'idea che il Signore Oscuro sia in possesso della Stecca della Morte è... formidabile». All'improvviso Harry ricordò di non essere stato sicuro che Olivander gli piacesse, quando l'aveva conosciuto. Anche adesso che era stato imprigionato e torturato da Voldemort, l'idea che il Mago Oscuro fosse in possesso di quella Bacchetta lo ammaliava tanto quanto lo inorridiva.
«Lei... lei pensa che questa Bacchetta esista davvero, dunque, signor Olivander?» chiese Hermione.
«Oh, sì. È perfettamente possibile rintracciare il percorso della Bacchetta nella storia. Ci sono dei vuoti, naturalmente, periodi anche lunghi, nei quali la si è persa di vista, temporaneamente perduta o nascosta; ma riaffiora sempre. Possiede alcune caratteristiche peculiari che gli eruditi nell'arte delle bacchette sanno riconoscere. Esistono resoconti scritti, alcuni oscuri, che io e altri fabbricanti ci siamo impegnati a studiare. E parrebbero autentici» .
«Quindi lei... lei non crede che sia una fiaba, o un mito?» domandò
Hermione speranzosa.
«No» rispose Olivander. «Se debba essere trasmessa mediante un omicidio, questo lo ignoro. La sua storia è insanguinata, ma questo può essere dovuto semplicemente al fatto che è un oggetto molto desiderabile e suscita nei maghi passioni irresistibili. Immensamente potente, pericolosa nelle mani sbagliate, possiede un fascino incredibile per noi che studiamo il potere delle bacchette».
«Signor Olivander» continuò Harry, «ha detto a Lei-Sa-Chi che Gregorovich aveva la Bacchetta di Sambuco, vero?»
Olivander diventò se possibile ancora più pallido. Era spettrale. Deglutì.
«Ma come... come fai...?»
«Come lo so non ha importanza» ribatté Harry, chiudendo per un attimo gli occhi. La cicatrice ardeva, e per qualche istante ebbe la visione della strada principale di Hogsmeade, ancora buia, perché si trovava molto più a nord. «Ha detto a Lei-Sa-Chi che Gregorovich aveva la Bacchetta?»
«Era una voce» sussurrò Olivander. «Una diceria, anni e anni fa, molto prima che tu nascessi! Io credo che l'abbia messa in circolazione lo stesso Gregorovich. Capisci, era un'ottima pubblicità per i suoi affari, che stesse studiando, e duplicando, le qualità della Bacchetta di Sambuco!»
«Sì, lo capisco» convenne Harry. Si alzo. «Signor Olivander, un'ultima cosa, poi la lasceremo riposare. Cosa sa dei Doni della Morte?»
«I... i cosa?» chiese il fabbricante di bacchette, profondamente sconcer-tato.
«I Doni della Morte».
«Temo di non sapere di cosa stai parlando. Ha a che fare con le bacchette?»
Harry guardò il suo volto incavato e capì che non stava recitando. Non aveva mai sentito parlare dei Doni.
«Grazie» concluse. «Grazie infinite. Ora potrà riposare». Olivander era addolorato.
«Mi ha torturato!» ansimò. «La Maledizione Cruciatus... non hai idea...»
«Ce l'ho» mormorò Harry. «Davvero ce l'ho. La prego, si riposi. Grazie per avermi detto queste cose».
Guidò Ron e Hermione giù per le scale. Vide Bill, Fleur, Luna e Dean seduti al tavolo in cucina con le loro tazze di tè. Lo fissarono tutti quando si affacciò sulla soglia, ma lui rivolse loro solo un cenno del capo e uscì
nel giardino, con i due amici alle spalle. Harry tornò al tumulo rossiccio che copriva Dobby. Il dolore dentro la testa diventava sempre più intenso e gli costò una grande fatica chiudere fuori le visioni che lo assediavano, ma sapeva di dover resistere solo un altro poco. Avrebbe ceduto molto presto, perché aveva bisogno di verificare la sua teoria. Adesso doveva fare solo un ultimo piccolo sforzo, per spiegarla a Ron e Hermione.
«Gregorovich aveva la Bacchetta di Sambuco, molto tempo fa» cominciò. «Ho visto Voi-Sapete-Chi che lo cercava. Quando l'ha rintracciato, ha scoperto che non l'aveva più: gli era stata rubata da Grindelwald. Non so come aveva fatto Grindelwald a sapere che l'aveva Gregorovich, ma se Gregorovich era stato così sciocco da diffondere la voce, non deve essere stato molto difficile».
Voldemort era in piedi davanti ai cancelli di Hogwarts; Harry lo vide, e vedeva anche la lampada che ondeggiava nella primissima luce dell'alba, sempre più vicina.
«Grindelwald usò la Bacchetta di Sambuco per diventare potente. E
quando fu all'apice del suo potere, Silente, che sapeva di essere l'unico in grado di fermarlo, lo sfidò a duello e lo sconfisse, e gli prese la Bacchetta».
« Silente aveva la Bacchetta di Sambuco?» chiese Ron. «Ma allora... adesso dov'è?»
«A Hogwarts» rispose Harry, sforzandosi di restare con loro nel giardino in cima alla scogliera.
«Ma allora andiamo!» incalzò Ron. «Harry, andiamo a prenderla prima di lui!»
«È troppo tardi» ribatté Harry. Non ne poté fare a meno: si afferrò la testa, per aiutarsi a resistere. «Sa dove si trova. È là in questo momento».
«Harry!» esclamò Ron, furente. «Da quanto lo sai... perché abbiamo perso tempo? Perché hai parlato prima con Unci-unci? Potevamo andarci... possiamo ancora...»
«No». Harry cadde in ginocchio nell'erba. «È come dice Hermione. Silente non voleva che l'avessi io. Non voleva che la prendessi. Voleva che cercassi gli Horcrux».
«La Bacchetta invincibile, Harry!» gemette Ron.
«Io non devo... io devo prendere gli Horcrux...»
E tutto si fece freddo e buio: il sole era appena comparso sopra l'orizzonte e lui scivolava al fianco di Piton, su per i prati verso il lago.
«Ti raggiungerò tra breve nel castello» disse con la sua voce acuta e fredda. «Adesso lasciami solo».
Piton s'inchinò e tornò indietro lungo il sentiero, il mantello nero svolazzante. Harry avanzò lento, in attesa che la sagoma di Piton sparisse. Non era bene che Piton o chiunque altro vedesse dove stava andando. Ma non c'erano luci alle finestre del castello e lui sapeva come nascondersi... in un istante impose su se stesso un Incantesimo di Disillusione che lo celò anche ai propri occhi. Continuò a camminare attorno alla riva del lago, contemplando il profilo dell'adorato castello, il suo primo regno, il suo diritto di nascita... Ed eccola, vicino al lago, riflessa nelle acque scure. La tomba di marmo bianco, una macchia superflua nel paesaggio familiare. Provò di nuovo quell'empito di euforia misurata, quell'inebriante proposito distruttivo. Levò la vecchia bacchetta di tasso: era giusto che quello fosse il suo ultimo grande gesto.
La tomba si spaccò da un capo all'altro. La figura avvolta nel sudario era lunga e sottile come lo era stata in vita. Alzò di nuovo la bacchetta. Le bende si squarciarono. Il viso era traslucido, pallido, incavato, ma quasi perfettamente conservato. Avevano lasciato gli occhiali sul naso adunco: nel guardarli provò un divertito disprezzo. Le mani di Silente erano intrecciate sul petto, ed eccola lì, stretta fra le dita, sepolta con lui. Quel vecchio pazzo aveva davvero pensato che il marmo o la morte avrebbero protetto la Bacchetta? Aveva creduto che il Signore Oscuro non avrebbe osato violare la sua tomba? La mano simile a un ragno scese e sfilò la Bacchetta dalla presa di Silente. Quando la afferrò, una pioggia di scintille cadde dalla punta, brillando sul cadavere dell'ultimo proprietario: era pronta a servire un nuovo padrone.
CAPITOLO 25
VILLA CONCHIGLIA
La villa di Bill e Fleur si ergeva solitaria su una collina che guardava il mare. Aveva i muri incrostati di conchiglie e imbiancati a calce. Era un luogo bello e solitario. Quando Harry entrava in casa o nel minuscolo giardino, udiva la risacca del mare, come il respiro di un'enorme creatura addormentata. Per la gran parte dei giorni seguenti continuò a trovare scuse per sfuggire alla villetta affollata, avido della vista dalla scogliera sul cielo aperto e sull'immenso mare deserto, e della sensazione del vento freddo e salato sul viso.
L'enormità della sua decisione di non competere con Voldemort per il possesso della Bacchetta ancora lo spaventava. Non ricordava di aver mai scelto, in vita sua, di non agire. Era pieno di dubbi, dubbi che Ron non poteva fare a meno di tradurre in parole tutte le volte che erano insieme.
«E se invece Silente voleva che noi capissimo il simbolo in tempo per prendere la Bacchetta?» «E se scoprire il significato del simbolo ti avesse reso 'degno' di prendere i Doni?» «Harry, se quella è davvero la Bacchetta di Sambuco, come cavolo facciamo a battere Tu-Sai-Chi?»
Harry non aveva risposte: c'erano momenti in cui si chiedeva se era stata pura follia non cercare di impedire a Voldemort di aprire la tomba. Non riusciva nemmeno a spiegare in maniera soddisfacente perché l'avesse deciso: ogni volta che cercava di ricostruire gli argomenti che l'avevano condotto a quella scelta, gli sembravano sempre più deboli. Stranamente il sostegno di Hermione lo confondeva tanto quanto i dubbi di Ron. Costretta ad accettare che la Bacchetta di Sambuco esisteva davvero, ripeteva che era un oggetto malvagio e che il modo in cui Voldemort se n'era impossessato era disgustoso, da non prendere nemmeno in considerazione.
«Tu non avresti mai potuto farlo, Harry» diceva ogni volta. «Tu non avresti potuto violare la tomba di Silente». Ma l'idea del cadavere di Silente spaventava Harry molto meno della possibilità di aver frainteso le sue intenzioni da vivo. Brancolava ancora nel buio; aveva scelto la sua strada ma continuava a guardarsi indietro, chiedendosi se aveva male interpretato i segnali, se non avrebbe dovuto prendere l'altra direzione. Ogni tanto la rabbia nei confronti di Silente gli rovinava di nuovo addosso, violenta come le onde che s'infrangevano sulla scogliera: perché non si era spiegato prima di morire?
«Ma è morto davvero?» tentò Ron tre giorni dopo il loro arrivo alla villa. Harry stava fissando un punto oltre il muro che separava il giardino dalla scogliera, quando Ron e Hermione lo trovarono; avrebbe preferito restare solo, non aveva voglia di essere coinvolto nella loro discussione.
«Sì, Ron. Per favore, non ricominciare!»
«Considera i fatti, Hermione» insisté Ron. Harry, in mezzo a loro, continuava a guardare l'orizzonte. «La cerva d'argento. La spada. L'occhio che ha visto Harry nello specchio...»
«Harry ha ammesso che forse se l'è immaginato! Vero, Harry?»
«Può darsi» convenne lui senza guardarla.
«Ma non credi che sia andata così, vero?» chiese Ron.
«No» rispose Harry.
«Ecco!» esclamò Ron in fretta, prima che Hermione potesse ribattere.
«Se non era Silente, spiegami come mai Dobby sapeva che eravamo in quel sotterraneo!»
«Non lo so... ma tu puoi spiegare come ha fatto Silente a mandarlo da noi se giace in una tomba a Hogwarts?»
«Non so, forse era il suo fantasma!»
«Silente non tornerebbe mai sotto forma di fantasma» intervenne Harry. C'erano poche cose di cui era sicuro a proposito del Preside, ma questo lo sapeva. «Lui voleva andare avanti».
«Cosa vuol dire 'andare avanti'?» domandò Ron, ma prima che Harry potesse spiegarsi, una voce alle loro spalle chiamò: «Arrì?»
Fleur era uscita dalla villa. I suoi lunghi capelli argentei svolazzavano nella brezza.
«Arrì, Unscì-unscì vorrebbe parlarvi. È nella stonsa più piccola, disce che non vuole che li altri sontano».
Il suo fastidio per essere stata usata dal folletto come messaggera era evidente; tornò dentro, corrucciata. Unci-unci li aspettava, come aveva detto Fleur, nella più piccola delle tre camere da letto, dove dormivano Hermione e Luna. Aveva tirato le tende rosse di cotone contro il cielo nuvoloso e splendente, e la stanza riluceva di un colore infuocato che contrastava con la luce chiara che dominava il resto della villa.
«Ho preso la mia decisione, Harry Potter» annunciò il folletto. Era sedu-to a gambe incrociate su una sedia bassa e si tamburellava sulle braccia con le dita affusolate. «Anche se i folletti della Gringott lo riterranno un vile tradimento, ho scelto di aiutarvi...»
«Fantastico!» esclamò Harry, con un gran senso di sollievo. «Unci-unci, grazie, siamo davvero...»
«... dietro» lo interruppe il folletto con fermezza «pagamento». Sorpreso, Harry esitò.
«Quanto vuoi? Ho dell'oro».
«Niente oro» rispose Unci-unci. «L'oro ce l'ho già».
I suoi occhi neri brillavano; i suoi occhi erano privi di bianco.
«Voglio la spada. La spada di Godric Grifondoro».
L'umore di Harry precipitò.
«Non puoi averla» disse. «Mi dispiace».
«Allora» mormorò il folletto «abbiamo un problema».
«Possiamo darti qualcos'altro» propose Ron, impaziente. «Scommetto che i Lestrange hanno un mucchio di roba, puoi scegliere quello che vuoi quando saremo entrati nella camera blindata».
Aveva detto la cosa sbagliata. Unci-unci avvampò di rabbia.
«Non sono un ladro, ragazzo! Non sto cercando di procurarmi tesori ai quali non ho diritto!»
«La spada è nostra...»
«Non è vero» ribatté il folletto.
«Noi siamo Grifondoro ed era di Godric Grifondoro...»
«E prima di essere di Godric Grifondoro, a chi apparteneva?» chiese il folletto, raddrizzando la schiena.
«A nessuno» rispose Ron, «è stata fatta per lui, no?»
«No!» gridò il folletto furioso, puntandogli addosso un lungo dito. «La solita arroganza dei maghi! Quella spada era di Ranci il Primo, e gli fu portata via da Godric Grifondoro! È un tesoro perduto, un capolavoro di arte folletta! Appartiene ai folletti! La spada è il prezzo dei miei servigi, prendere o lasciare!»
Unci-unci li fissò torvo. Harry guardò gli amici, poi disse: «Dobbiamo discuterne tra noi, Unci-unci, se sei d'accordo. Puoi concederci qualche minuto?»
Il folletto annuì, inacidito.
Di sotto, nel soggiorno vuoto, Harry si avvicinò al camino, la fronte aggrottata, cercando di riflettere. Alle sue spalle Ron cominciò: «Sta scherzando. Non possiamo lasciargli quella spada».
«È vero?» chiese Harry a Hermione. «La spada è stata rubata da Grifondoro?»
«Non lo so» rispose lei desolata. «La storia magica spesso glissa su quello che i maghi hanno fatto alle altre razze, ma io non conosco nessun resoconto che dica che Grifondoro rubò la spada».
«Sarà una di quelle storie di folletti» commentò Ron «sui maghi che cercano sempre di fregarli. Dobbiamo ritenerci fortunati perché non ci ha chiesto le nostre bacchette».
«I folletti hanno buone ragioni per non stimare i maghi, Ron» osservò
Hermione. «Sono stati trattati in maniera molto brutale nella storia».
«Anche i folletti non sono proprio degli agnellini, però» ribatté Ron.
«Ne hanno ammazzati tanti dei nostri. Anche loro hanno giocato sporco».
«Ma discutere con Unci-unci su quale delle due razze sia più disonesta e violenta non lo renderà più incline ad aiutarci, no?»
Ci fu una pausa, e tutti cercarono di pensare a come aggirare il problema. Harry guardò la tomba di Dobby al di là della finestra. Luna stava sistemando accanto alla lapide un mazzetto di lavanda in un vasetto di marmellata.
«D'accordo» cominciò Ron, e Harry si voltò a guardarlo, «sentite un po': diciamo a Unci-unci che ci serve la spada finché non entriamo nella camera blindata e poi potrà averla. C'è una copia là dentro, no? Le scambiamo e diamo a lui quella falsa».
«Ron, lui noterà la differenza meglio di noi!» obiettò Hermione. «È il solo ad aver capito che c'è stato uno scambio!»
«Sì, ma noi possiamo darcela a gambe prima che lui se ne accorga...»
Si fece piccolo sotto lo sguardo di Hermione.
«Questo» commentò lei «è spregevole. Chiedere aiuto e poi fare il doppio gioco. E poi ti meravigli se ai folletti non piacciono i maghi?»
Le orecchie di Ron erano diventate rosse.
«D'accordo, d'accordo! È l'unica cosa che mi è venuta in mente! Sentiamo un po' la tua proposta, allora!»
«Dobbiamo offrirgli qualcos'altro, qualcosa di altrettanto prezioso».
«Geniale. Vado a prendere un'altra delle nostre antiche spade fatte dai folletti, così gliela puoi incartare».
Il silenzio ridiscese tra loro. Harry era sicuro che il folletto avrebbe accettato solo la spada, anche se avessero avuto qualcosa di altrettanto prezioso da offrirgli. Ma la spada era la loro unica, indispensabile arma contro gli Horcrux.
Chiuse gli occhi per qualche istante e ascoltò il rumore del mare. L'idea che Grifondoro potesse aver rubato la spada era sgradevole; si era sempre sentito fiero di essere un Grifondoro; Grifondoro era stato il difensore dei Mezzosangue, il mago che aveva combattuto i Serpeverde amanti dei Purosangue...
«Forse mente» disse, riaprendo gli occhi. «Unci-unci. Forse Grifondoro non ha rubato quella spada. Come facciamo a sapere che la versione del folletto è quella giusta?»
«Che differenza fa?» chiese Hermione.
«Cambia quello che provo io» rispose Harry.
Prese un profondo respiro.
«Gli diremo che può avere la spada dopo che ci avrà aiutato a entrare nella camera blindata... ma faremo attenzione a evitare di dirgli di preciso quando potrà averla».
Un gran sorriso si allargò sul volto di Ron. Hermione invece sembrava allarmata.
«Harry, non possiamo...»
«Gliela daremo» continuò Harry «dopo che l'avremo usata su tutti gli Horcrux. Mi assicurerò che alla fine torni da lui. Manterrò la parola».
«Ma potrebbero volerci anni!» esclamò Hermione.
Harry incrociò il suo sguardo con un misto di sfida e vergogna. Ricordò
le parole incise all'ingresso di Nurmengard: 'Per il Bene Superiore'. Respinse quel pensiero. Che alternative avevano?
«Non mi piace» disse Hermione.
«Non piace molto nemmeno a me» ammise Harry.
«Be', io penso che sia un'idea geniale» controbatté Ron, rialzandosi.
«Andiamo a dirglielo».
Di ritorno nella camera, Harry fece la sua offerta, attento a formularla in modo da non specificare un tempo preciso per la consegna della spada. Mentre lui parlava, Hermione fissava cupa il pavimento, con grande irritazione di Harry che temeva che potesse tradirli. Ma Unci-unci aveva occhi solo per lui.
«Ho la tua parola, Harry Potter, che mi darai la spada di Grifondoro se vi aiuto?»
«Sì» rispose Harry.
«Allora è fatta» concluse il folletto, e gli tese la mano. Harry la prese e la strinse. Si chiese se quegli occhi neri riuscissero a riconoscere l'ansia nei suoi. Poi Unci-unci lo lasciò andare, batté le mani e disse: «Allora cominciamo!»
Fu di nuovo come progettare di entrare al Ministero. Si misero al lavoro nella stanza da letto, che per far contento Unci-unci veniva tenuta nella penombra.
«Sono stato nella camera blindata dei Lestrange solo una volta» raccontò
loro il folletto, «quando mi fu detto di rinchiudervi la spada falsa. È una delle più antiche. Le famiglie magiche più vecchie depositano i loro tesori nel livello più profondo, dove le camere sono più grandi e meglio protette...»
Rimasero chiusi per ore di fila nella stanza poco più grande di un armadio. Lentamente i giorni divennero settimane. C'era un problema dietro l'altro da superare, non ultimo il fatto che la loro scorta di Pozione Polisucco si era notevolmente ridotta.
«Ce n'è solo per uno di noi» avvertì Hermione, inclinando la pozione densa come melma contro la luce della lampada.
«Basterà» rispose Harry, che stava studiando la mappa dei corridoi sotterranei più profondi disegnata da Unci-unci. Gli altri abitanti di Villa Conchiglia non poterono fare a meno di notare che se Harry, Ron e Hermione si facevano vivi solo alle ore dei pasti ci doveva essere sotto qualcosa. Nessuno faceva domande, ma Harry a tavola sentiva spesso lo sguardo di Bill su di loro, pensieroso, preoccupato. Più tempo passavano insieme, più Harry si rendeva conto che il folletto non gli piaceva granché. Unci-unci si era rivelato inaspettatamente avido di sangue, rideva all'idea di provocare dolore in creature inferiori e l'eventualità di dover aggredire altri maghi per arrivare alla camera blindata dei Lestrange sembrava rallegrarlo. Harry capì che il suo disgusto era condiviso dagli amici, ma non ne parlarono: avevano bisogno di Unci-unci. Il folletto mangiava malvolentieri con tutti loro. Anche dopo che le sue gambe furono guarite, continuò a pretendere che gli portassero vassoi di cibo in camera, come all'ancora convalescente Olivander, finché Bill (in seguito a una scenata di Fleur) non andò di sopra a dirgli che così non si poteva continuare. Dopodiché Unci-unci si sedette alla tavola sovraffollata, ma si rifiutò di mangiare lo stesso cibo, insistendo per avere pezzi di carne cruda, radici e funghi.
Harry si sentiva responsabile: dopotutto era stato lui a chiedere che il folletto restasse a Villa Conchiglia per poterlo interrogare; ed era colpa sua se l'intera famiglia Weasley era entrata in clandestinità, se Bill, Fred, George e il signor Weasley non potevano più lavorare.
«Mi dispiace» disse a Fleur una tempestosa sera di aprile, aiutandola a preparare la cena. «Non era mia intenzione che ti toccasse tutto questo». Lei aveva appena messo al lavoro alcuni coltelli, che stavano affettando bistecche per Unci-unci e Bill, che dopo l'aggressione di Greyback aveva sviluppato una predilezione per la carne cruda. La sua espressione tesa si addolcì.
«Arrì, hai salvato la vita della mia sorella, io non dimontico». Non era del tutto vero, ma Harry preferì non ricordarle che Gabrielle non era mai stata davvero in pericolo.
«E comunque» riprese Fleur puntando la bacchetta verso una pentola di salsa sul fornello, che cominciò subito a sobbollire, «il signor Olivondèr parte stasera, va da zia Murièl. Tutto sarà più somplisce. Il foletto» e s'incupì un po' nel nominarlo «può traslocàr di sotto, e tu, Ron e Dean potete prondere quella stonsa».
«Non ci dà fastidio dormire in salotto» ribatté Harry, sapendo che Unciunci non avrebbe gradito di dover dormire sul divano; tenerlo di buonumore era fondamentale per i loro piani. «Non preoccuparti per noi». E quando lei tentò di protestare aggiunse: «E poi io, Ron e Hermione ce ne andremo presto. Non abbiamo bisogno di restare qui ancora a lungo».
«Ma che disci?» chiese lei, guardandolo accigliata, la bacchetta puntata sul piatto di spezzatino sospeso in aria. «Ma scerto che dovete restàr, qui siete al sicuro!»
Ricordava un po' la signora Weasley, e Harry fu sollevato che qualcuno aprisse la porta del giardino. Erano Luna e Dean, i capelli umidi di pioggia e le braccia cariche di legna.
«... orecchie piccolissime» stava spiegando Luna, «tipo un ippopotamo, dice papà, solo che sono viola e pelose. E se vuoi chiamarli devi cantare a bocca chiusa; amano i valzer, niente di troppo veloce...»
A disagio, Dean si strinse nelle spalle e andò dietro a Luna in sala da pranzo, dove Ron e Hermione stavano apparecchiando per la cena. Cogliendo al volo l'occasione di sfuggire alle domande di Fleur, Harry afferrò
due caraffe di succo di zucca e li seguì.
«... e se vieni a casa nostra ti faccio vedere il corno, papà mi ha scritto ma non l'ho ancora visto, perché i Mangiamorte mi hanno portato via dall'Espresso per Hogwarts e non sono tornata a casa a Natale» continuò
Luna accendendo il fuoco insieme a Dean.
«Luna, te l'abbiamo già detto» esclamò Hermione. «Quel corno è esploso. Era di Erumpent, non di Ricciocorno Schiattoso...»
«No, era per certo di Ricciocorno» ribatté Luna serena, «me l'ha detto papà. Ormai si sarà già riformato, si autoriparano, sai». Hermione scosse il capo e continuò a disporre le forchette. Apparve Bill, che accompagnava il signor Olivander giù per le scale. Il fabbricante di bacchette sembrava ancora molto debole e si aggrappava al braccio di Bill, che con l'altra mano trasportava una grossa valigia.
«Mi mancherà, signor Olivander» disse Luna avvicinandosi al vecchio.
«E tu a me, mia cara» rispose Olivander dandole un buffetto sulla spalla.
«Mi sei stata di ineffabile conforto in quel terribile luogo» .
«Allora, au revoir, signor Olivondèr» lo salutò Fleur, baciandolo su tutte e due le guance. «Potrebbe essere così jontile da portare un pachetto a zia Murièl da parte mia? Non le ho mai restituito la tiara».
«Sarà un onore» replicò Olivander con un piccolo inchino, «è il minimo che possa fare in cambio della vostra generosa ospitalità». Fleur prese una scatola di velluto consunto e la aprì per mostrarla a Olivander. La tiara scintillava alla luce della lampada bassa.
«Pietre di luna e diamanti» osservò Unci-unci, che era entrato nella stanza senza che Harry se ne accorgesse. «Fatta dai folletti, direi».
«E pagata dai maghi» ribatté Bill con calma. Il folletto gli scoccò uno sguardo insieme furtivo e minaccioso.
Un forte vento batteva contro le finestre della villetta quando Bill e Olivander partirono nel buio. Gli altri si strinsero attorno alla tavola: gomito a gomito, quasi senza lo spazio sufficiente a muoversi, cominciarono a mangiare. Il fuoco scoppiettava nel caminetto accanto a loro. Fleur, osservò
Harry, giocherellava col cibo e continuava a guardare la finestra; Bill fu di ritorno alla fine della prima portata, i lunghi capelli scompigliati dal vento.
«Tutto a posto» annunciò. «Olivander è sistemato, mamma e papà vi salutano, Ginny vi manda tutto il suo affetto. Fred e George stanno facendo impazzire zia Muriel, gestiscono un Servizio Ordini via Gufo da una delle sue stanze sul retro. È stata contenta di riavere la sua tiara, però. Ha detto che credeva che l'avessimo rubata».
«Ah, è charmante, tua zia» commentò Fleur seccata, agitando la bacchetta per radunare i piatti sporchi in una pila a mezz'aria. Li prese e uscì a grandi passi.
«Anche papà ha fatto una tiara» intervenne Luna. «Be', è più una corona, veramente».
Ron intercettò lo sguardo di Harry e sorrise; Harry sapeva che gli era venuto in mente il ridicolo copricapo che avevano visto a casa di Xenophi-lius.
«Sì, sta cercando di ricreare il diadema perduto di Corvonero. Pensa di avere ormai individuato gli elementi principali. Aggiungere le ali di Celestino è stato fondamentale...»
Un colpo alla porta. Tutti si voltarono. Fleur arrivò di corsa dalla cucina, spaventata; Bill balzò in piedi, la bacchetta puntata contro la porta: Harry, Ron e Hermione lo imitarono. In silenzio, Unci-unci si nascose sotto il tavolo.
«Chi è?» gridò Bill.
«Sono io, Remus Lupin!» rispose una voce sopra l'ululato del vento. Harry sentì un brivido di paura: che cos'era successo? «Sono un lupo mannaro, marito di Ninfadora Tonks, e tu, il Custode Segreto di Villa Conchiglia, mi hai rivelato l'indirizzo e mi hai detto di venire in caso di emergenza!»
«Lupin» borbottò Bill, corse alla porta e la spalancò.
Lupin inciampò sulla soglia. Era pallido, avvolto in un mantello da viaggio, i capelli grigi spettinati. Raddrizzò le spalle, si guardò intorno per accertarsi di chi era presente, poi gridò: «È un maschio! L'abbiamo chiamato Ted, come il padre di Dora!»
Hermione strillò.
« Co... ? Tonks... Tonks ha avuto il bambino?»
«Sì, sì, è nato!» urlò Lupin. Tutto attorno alla tavola si levarono grida di gioia e sospiri di sollievo: Hermione e Fleur cinguettarono «Congratulazioni!» e Ron esclamò «Cavoli, un maschietto!» come se non avesse mai sentito niente di simile.
«Sì... sì... un maschietto» ripeté Lupin, che pareva stordito dalla felicità. Fece il giro del tavolo e abbracciò Harry; la scenata nel seminterrato di Grimmauld Place sembrava non essere mai accaduta.
«Vuoi essere il suo padrino?» chiese, liberando Harry dalla stretta.
«I-io?» balbettò lui.
«Tu, sì, certo... Dora è d'accordo, nessuno può essere meglio...»
«Io... sì... accidenti...»
Harry era sopraffatto, attonito, felice. Bill stava correndo a prendere il vino e Fleur cercava di convincere Lupin a restare per un brindisi.
«Non posso fermarmi a lungo, devo tornare». Lupin fece un gran sorriso a tutti: sembrava ringiovanito di anni. «Grazie, grazie, Bill». Bill riempì i calici; si alzarono in piedi e li levarono in un brindisi.
«A Teddy Remus Lupin» esclamò Lupin, «che sarà un grande mago!»
«E a chi somilia, il picolino?» chiese Fleur.
«Secondo me a Ninfadora, ma lei dice che assomiglia a me. Ha pochi capelli. Appena nato sembravano neri, ma giuro che sono diventati rossi un'ora dopo. Probabilmente al mio ritorno saranno già biondi. Andromeda dice che i capelli di Tonks hanno cominciato a cambiare colore il giorno che è nata». Vuotò il calice. «Oh, d'accordo, solo un altro» aggiunse raggiante quando Bill fece per riempirglielo. Il vento scuoteva la casa e il fuoco scoppiettava: ben presto Bill stappò
un'altra bottiglia. La notizia portata da Lupin aveva fatto dimenticare a tutti lo stato d'assedio nel quale si trovavano: l'annuncio di una nuova vita li aveva resi euforici. Solo il folletto sembrava insensibile all'improvvisa atmosfera festosa e dopo un po' sgattaiolò su nella camera da letto che ormai occupava da solo. Harry era convinto di essere stato l'unico a notarlo finché non vide che anche lo sguardo di Bill seguiva il folletto su per le scale.
«No... no... devo proprio andare» si risolse infine Lupin, rifiutando un altro calice di vino. Si alzò e si avvolse nel mantello da viaggio. «Arrivederci, arrivederci... cercherò di portarvi delle foto tra qualche giorno... saranno tutti felici di sapere che vi ho visti...»
Si allacciò il mantello e salutò tutti, abbracciando le donne e stringendo la mano agli uomini; poi, senza smettere di sorridere, sparì nella notte tempestosa.
«Padrino, Harry!» esclamò Bill entrando con lui in cucina, entrambi carichi di stoviglie sporche. «Un vero onore! Congratulazioni!»
Mentre Harry posava i calici vuoti, Bill chiuse la porta, escludendo le voci ancora eccitate degli altri, che continuavano a festeggiare anche senza Lupin.
«Volevo scambiare due parole in privato con te, Harry. Non è stato facile trovare l'occasione con la casa così affollata». Bill esitò.
«Harry, tu stai tramando qualcosa con Unci-unci».
Era un'affermazione, non una domanda, e Harry non si diede la pena di negare. Si limitò a guardare Bill, in attesa.
«Conosco i folletti» proseguì questi. «Lavoro alla Gringott da quando ho lasciato Hogwarts. Per quanto sia possibile per maghi e folletti fare amicizia, ho amici folletti... o almeno, folletti che conosco bene e che stimo». Di nuovo, esitò. «Harry, cosa vuoi da Unci-unci e cosa gli hai promesso in cambio?»
«Non posso dirtelo» rispose Harry. «Mi spiace, Bill».
La porta della cucina si aprì e apparve Fleur, carica di altri calici vuoti.
«Aspetta» le chiese Bill. «Solo un momento».
Lei indietreggiò e richiuse la porta.
«Allora ti dirò solo una cosa» riprese Bill. «Se hai stretto un accordo con Unci-unci, e soprattutto se l'accordo riguarda un tesoro, devi essere straordinariamente cauto. I concetti di proprietà, pagamento e ricompensa dei folletti non sono come quelli umani».
Harry sentì una morsa di disagio, come se una piccola serpe si fosse ridestata dentro di lui.
«Cosa vuoi dire?» chiese.
«Stiamo parlando di una razza diversa» spiegò Bill. «I rapporti tra maghi e folletti sono tesi da secoli... ma tutte queste cose le sai, le hai studiate in Storia della Magia. C'è stata colpa da entrambi i lati, non oserei mai affermare che i maghi sono innocenti. Tuttavia alcuni folletti nutrono la convinzione, e quelli della Gringott sono forse i più inclini a crederci, che non ci si possa fidare dei maghi in materia di oro e tesori, che noi non abbiamo rispetto per le proprietà dei folletti».
«Io rispetto...» cominciò Harry, ma Bill scosse il capo.
«Tu non capisci, Harry, nessuno potrebbe capire se non ha vissuto tra loro. Per un folletto, il padrone vero e legittimo di un qualunque oggetto è
l'artefice, non l'acquirente. Secondo loro, tutti gli oggetti fatti dai folletti sono di loro proprietà, a pieno diritto».
«Ma se una cosa è stata comprata...»
«... la considerano noleggiata da chi ha sborsato il denaro. È l'idea che oggetti di fattura folletta si tramandino di mago in mago che non riescono ad accettare. Hai visto la faccia di Unci-unci quando la tiara gli è passata sotto il naso. Disapprova. Credo che sia convinto, come i più animosi della sua specie, che andasse restituita ai folletti alla morte dell'acquirente originario. La nostra abitudine di tenerci gli oggetti fabbricati dai folletti, di trasmetterceli senza ulteriori pagamenti, per loro è poco meno di un furto». Harry avvertì un che di minaccioso; si chiese se Bill sospettava più di quanto lasciava credere.
«Ti sto solo dicendo» continuò Bill, posando la mano sulla maniglia, «di stare molto attento alle promesse che fai a un folletto, Harry. Sarebbe meno pericoloso rubare alla Gringott che venir meno a una promessa fatta a un folletto».
«Bene» rispose Harry, quando Bill aprì la porta, «d'accordo. Grazie. Lo terrò presente».
Mentre seguiva Bill nel salotto, lo attraversò un pensiero assurdo, senza dubbio generato dal vino che aveva bevuto. Sembrava destinato a diventare per Teddy Lupin un padrino sconsiderato quanto Sirius Black lo era stato per lui.
CAPITOLO 26
LA GRINGOTT
Il piano era pronto, i preparativi terminati; nella stanza da letto più piccola c'era un lungo, spesso capello nero (preso dal golfino che Hermione indossava a Villa Malfoy) arrotolato in una piccola fiala di vetro appoggiata sul camino.
«Oltretutto userai la sua bacchetta» disse Harry, accennando alla bacchetta di noce, «quindi sarai piuttosto convincente». Hermione la raccolse spaventata, come se potesse pungerla o morderla.
«La odio» mormorò. «La detesto. La sento sbagliata, non va bene per me... è come un pezzo di lei».
Harry non poté fare a meno di ricordare che, quando la bacchetta di prugnolo non funzionava bene, lei aveva liquidato la sua avversione sostenendo che erano solo fantasie ed esortandolo a esercitarsi. Decise di non ripagarla con il suo stesso consiglio, però: la vigilia del giorno in cui avrebbero cercato di violare la Gringott non era il momento buono per litigare.
«Ti aiuterà a entrare nel personaggio» osservò Ron. «Pensa a cos'ha fatto quella bacchetta!»
«Appunto!» protestò Hermione. «Questa è la bacchetta che ha torturato i genitori di Neville e chissà quanta altra gente. Questa è la bacchetta che ha ucciso Sirius!»
Harry non ci aveva pensato; fu preso dal violento desiderio di spezzarla, di tagliarla a metà con la spada di Grifondoro, che era appoggiata alla parete accanto a lui.
«Mi manca la mia bacchetta» sospirò Hermione, depressa. «Vorrei che il signor Olivander ne avesse fatta una nuova anche a me».
Olivander aveva mandato una bacchetta nuova a Luna proprio quella mattina, e lei era in giardino a provarla nel sole del tardo pomeriggio. Dean, che aveva perso la sua, sottratta dai Ghermidori, osservava la scena corrucciato.
Harry fissò la bacchetta di biancospino che era appartenuta a Draco Malfoy. Aveva scoperto con sorpresa e piacere che per lui funzionava bene almeno quanto quella di Hermione. Ricordando che cosa aveva detto Olivander sulle leggi segrete delle bacchette, credeva di sapere qual era il problema di Hermione: lei non aveva ottenuto l'obbedienza della bacchetta di noce perché non l'aveva sottratta a Bellatrix personalmente. La porta si aprì ed entrò Unci-unci. Istintivamente Harry afferrò la spada e la avvicinò a sé, ma se ne pentì subito: il folletto aveva notato il gesto. Cercando di superare il momento d'imbarazzo disse: «Stavamo controllando gli ultimi particolari, Unci-unci. Abbiamo avvertito Bill e Fleur che ce ne andremo domattina e ci siamo raccomandati che non si alzino per salutarci». Erano stati irremovibili su questo punto, perché Hermione doveva trasformarsi in Bellatrix prima della partenza, e meno Bill e Fleur sapevano o sospettavano del loro progetto meglio era. Avevano anche spiegato che non sarebbero tornati. Siccome avevano perso la tenda di Perkins quando erano stati catturati dai Ghermidori, Bill gliene aveva prestata un'altra. Era piegata dentro la borsetta di perline, che Hermione, Harry scoprì con stupore, aveva salvato dai Ghermidori grazie al semplice espediente di infilarla in una calza. Anche se avrebbe sentito la mancanza di Bill, Fleur, Luna e Dean, per non parlare delle comodità domestiche che si era goduto nelle ultime settimane, Harry era contento di sfuggire alla prigionia di Villa Conchiglia. Era stanco di dover sempre controllare che nessuno origliasse, stanco di restare rinchiuso nella minuscola stanza da letto buia. Soprattutto, non vedeva l'ora di liberarsi di Unci-unci, ma come e quando si sarebbero separati da lui senza consegnargli la spada di Grifondoro era una domanda che restava ancora senza risposta. Non ne avevano potuto discutere, perché il folletto di rado si allontanava da loro per più di cinque minuti di fila. «In confronto mia madre è una novellina» ringhiava Ron, quando vedeva le lunghe dita sbucare sulle cornici delle porte. Memore degli ammonimenti di Bill, Harry non poteva fare a meno di sospettare che Unci-unci stesse all'erta contro possibili imbrogli. Hermione disapprovava così radicalmente il loro doppio gioco che Harry aveva rinunciato a consultarla per trovare il modo migliore di metterlo in atto; Ron, nelle rare occasioni in cui erano riusciti a rimanere soli, non aveva saputo dire altro che «Mi sa che dovremo improvvisare, caro mio». Harry dormì male quella notte. Sveglio già alle prime ore del mattino, ripensò a quello che aveva provato la notte prima di infiltrarsi nel Ministero della Magia e ricordò un senso di determinazione, quasi di eccitazione. Ora provava fitte di ansia, dubbi tormentosi: non riusciva a scrollarsi di dosso il timore che andasse tutto storto. Continuava a ripetersi che il loro era un buon piano, che Unci-unci sapeva che cosa dovevano affrontare, che erano preparati a tutte le difficoltà che avrebbero potuto incontrare; ma ancora non si sentiva sicuro. Un paio di volte udì Ron agitarsi e capì che anche lui era sveglio ma non disse nulla, perché Dean dormiva in salotto con loro.
Fu un sollievo quando arrivarono le sei e poterono uscire dai sacchi a pelo, vestirsi nella semioscurità e sgattaiolare in giardino per incontrare Hermione e Unci-unci. L'alba era gelida, ma c'era poco vento, adesso che era maggio. Harry guardò le stelle che ancora brillavano pallide nel cielo scuro e ascoltò il mare sciaguattare contro la scogliera: gli sarebbe mancato quel rumore. Piccoli germogli verdi spuntavano ormai nella terra rossa della tomba di Dobby; entro un anno il tumulo sarebbe stato coperto di fiori. La pietra bianca col nome dell'elfo era già segnata dalle intemperie. Harry si rese conto che non avrebbero potuto trovare un luogo più bello per far riposare Dobby, ma il pensiero di lasciarlo lì gli faceva male al cuore. Guardando la sua tomba, si chiese di nuovo come aveva fatto a sapere dove andare a salvarli. Portò inconsapevolmente le dita alla saccoccia che teneva ancora al collo e tastò il frammento di specchio dove era certo di aver visto l'occhio di Silente. Poi il rumore di una porta lo fece voltare.
Bellatrix Lestrange, accompagnata da Unci-unci, avanzava sul prato e stava infilando la borsetta di perline nella tasca interna di un vecchio abito preso in Grimmauld Place. Harry sapeva benissimo che era Hermione, ma non poté reprimere un brivido di orrore. Era più alta di lui, i lunghi capelli neri ricadevano sulla schiena, gli occhi dalle palpebre pesanti si posarono alteri su di lui; ma poi parlò, e Harry sentì Hermione nella voce grave di Bellatrix.
«Era disgustosa, peggio della Radigorda! Dai, Ron, vieni qui che ti sistemo...»
«Va bene, ma non farmi la barba troppo lunga...»
«Oh, per l'amor del cielo, non devi essere carino...»
«Non è quello, è che mi dà fastidio! Però mi piaceva il naso un po' più
corto, prova a rifarlo come l'ultima volta».
Hermione sospirò e si mise al lavoro, mormorando per trasformare diversi connotati dell'aspetto di Ron. Lui avrebbe avuto un'identità del tutto fittizia: confidavano che l'aura malevola di Bellatrix l'avrebbe protetto. Harry e Unci-unci si sarebbero nascosti sotto il Mantello dell'Invisibilità.
«Ecco» concluse Hermione. «Che te ne pare, Harry?»
Harry riusciva ancora a scorgere Ron sotto il travestimento, ma solo, si disse, perché lo conosceva molto bene. Aveva i capelli lunghi e mossi, una folta barba e baffi castani, niente lentiggini, il naso corto e largo e le sopracciglia pesanti.
«Be', non è il mio tipo, ma può andare» commentò. «Allora, si parte?»
Tutti e tre salutarono con lo sguardo Villa Conchiglia, buia e silenziosa sotto le stelle pallide, poi si voltarono per raggiungere la zona appena oltre il muretto di cinta dove l'Incanto Fidelius cessava e avrebbero potuto Smaterializzarsi. Varcato il cancello, Unci-unci parlò.
«Dovrei salire adesso, Harry Potter, credo».
Harry si chinò e il folletto gli si arrampicò sulla schiena, intrecciando le mani davanti alla sua gola. Non era pesante, ma a Harry non piaceva sentirselo addosso né la forza sorprendente della sua presa. Hermione sfilò il Mantello dell'Invisibilità dalla borsetta e li coprì.
«Perfetto» sussurrò, e si chinò per controllare i piedi di Harry. «Non si vede niente. Andiamo».
Harry girò sul posto con Unci-unci in spalla, concentrandosi sul Paiolo Magico, la locanda all'ingresso di Diagon Alley. Nell'oscurità opprimente, il folletto si tenne ancora più stretto e qualche attimo dopo Harry sentì il marciapiede sotto le scarpe e aprì gli occhi: erano in Charing Cross Road. I Babbani camminavano veloci, con l'espressione depressa del mattino presto, ignari dell'esistenza del piccolo pub. Il bar del Paiolo Magico era quasi deserto. Tom, il barista curvo e sdentato, lustrava bicchieri dietro al banco; nell'angolo più lontano, due maghi che stavano chiacchierando sottovoce gettarono un'occhiata a Hermione e si ritrassero nell'ombra.
«Signora Lestrange» mormorò Tom al passaggio di Hermione, e chinò il capo ossequioso.
«Buongiorno» gli rispose Hermione. Harry, che le stava dietro, con Unci-unci in spalla sotto il Mantello, notò la sorpresa di Tom.
«Troppo gentile» le sussurrò all'orecchio quando uscirono nel minuscolo cortile sul retro. «Devi trattarli come fossero feccia!»
«Va bene, va bene!»
Hermione prese la bacchetta di Bellatrix e picchiettò contro un mattone dell'anonimo muro davanti a loro. All'istante i mattoni ruotarono: al centro apparve un'apertura che si fece sempre più ampia e infine formò un'arcata sulla stradina lastricata chiamata Diagon Alley. Era tranquilla, molti negozi erano ancora chiusi, e non c'erano clienti in giro. La stradina storta e acciottolata adesso era molto diversa dal luogo brulicante che Harry aveva conosciuto prima di andare a Hogwarts, tanti anni addietro. Moltissimi negozi erano sprangati, ma dalla sua ultima visita ne erano stati aperti di nuovi dedicati alle Arti Oscure. Il suo stesso volto lo scrutava dai manifesti incollati su molte vetrine, sempre corredati dalla didascalia: 'Indesiderabile Numero Uno'.
Nei vani delle porte erano rannicchiate persone coperte di stracci. Le sentì piagnucolare all'indirizzo dei pochi passanti, elemosinando denaro, insistendo che erano veri maghi. Un uomo aveva una benda insanguinata sopra un occhio.
Appena si mossero lungo la strada, i mendicanti avvistarono Hermione e parvero liquefarsi davanti a lei; alcuni si coprirono il volto col cappuccio, altri fuggirono più veloci che poterono. Lei li osservò incuriosita, finché
l'uomo con la benda insanguinata non le tagliò la strada, barcollando.
«I miei figli!» urlò, con voce rotta, acuta, puntandole il dito addosso. Era sconvolto. «Dove sono i miei figli? Cosa gli ha fatto? Tu lo sai, tu lo sai!»
«Io... io veramente...» balbettò Hermione.
L'uomo le si scagliò addosso, cercando di afferrarla alla gola; poi, con un'esplosione e uno schizzo di luce rossa, cadde a terra, privo di sensi. Ron aveva ancora la bacchetta tesa e l'aria spaventata dietro la barba. Da un lato e dall'altro della strada spuntarono volti alle finestre, mentre un gruppetto di passanti dall'aria florida raccoglieva le vesti e trotterellava via in fretta e furia.
Il loro ingresso in Diagon Alley non avrebbe potuto dare più nell'occhio; per un attimo Harry si chiese se non fosse meglio andarsene subito e cambiare piano. Ma prima che potessero muoversi o consultarsi, sentirono un grido alle loro spalle.
«Che sorpresa, signora Lestrange!»
Harry si voltò di scatto e Unci-unci serrò la presa sul suo collo: un mago alto e magro con una criniera di capelli grigi cespugliosi e un lungo naso affilato avanzava verso di loro.
«È Travers» sibilò il folletto all'orecchio di Harry, che però al momento non riusciva a ricordare chi fosse Travers. Hermione si erse in tutta la sua altezza e domandò, con il massimo disprezzo che riuscì a mettere insieme:
«Che cosa vuole?»
Travers si bloccò, chiaramente offeso.
« È un altro Mangiamorte! » sussurrò Unci-unci, e Harry si accostò a Hermione per ripeterglielo all'orecchio.
«Soltanto salutarla» rispose Travers in tono freddo, «ma se la mia presenza non è gradita...»
Harry riconobbe la voce; era uno dei Mangiamorte che erano stati chiamati a casa di Xenophilius.
«No, no, niente affatto, Travers» ribatté in fretta Hermione, cercando di riparare l'errore. «Come sta?»
«Be', confesso che sono sorpreso di vederla in giro, Bellatrix».
«Davvero? Perché?» chiese Hermione.
«Be'». Travers tossicchiò. «Avevo sentito dire che gli abitanti di Villa Malfoy erano stati confinati in casa, dopo la... ehm... fuga». Harry si augurò che Hermione non perdesse la testa. Se era vero e Bellatrix non doveva mostrarsi in pubblico...
«Il Signore Oscuro perdona coloro che l'hanno servito con la massima fedeltà» replicò lei in una splendida imitazione dei modi più sprezzanti di Bellatrix. «Forse il suo credito presso di lui non è pari al mio, Travers». Il Mangiamorte era evidentemente offeso, ma meno sospettoso. Guardò
dall'alto l'uomo che Ron aveva appena Schiantato.
«In che modo l'ha oltraggiata?»
«Non ha importanza, non lo rifarà» tagliò corto Hermione.
«Alcuni di questi Senzabacchetta possono essere fastidiosi» osservò
Travers. «Finché chiedono l'elemosina pazienza, ma una di loro, la settimana scorsa, è arrivata a supplicarmi di perorare la sua causa al Ministero.
'Sono una strega, signore, sono una strega, mi consenta di dimostrarglie- lo!' » squittì, in una querula imitazione. «Come se volessi prestarle la mia bacchetta... a proposito, quale usa al momento, Bellatrix?» chiese, incuriosito. «Ho sentito che la sua è stata...»
«La mia. Eccola» rispose gelida Hermione, mostrando la bacchetta di Bellatrix. «Non so a quali voci lei abbia prestato orecchio, Travers, ma mi sembra assai male informato».
Travers parve disorientato e si rivolse a Ron.
«Chi è il suo amico? Non credo di conoscerlo».
«Dragomir Despard» rispose Hermione; avevano deciso che uno straniero inesistente sarebbe stato la copertura più sicura per Ron. «Parla pochissimo l'inglese, ma è in sintonia con gli scopi del Signore Oscuro. È venuto dalla Transilvania per vedere il nostro nuovo regime».
«Davvero? Molto lieto» .
«'to lieto» replicò Ron, tendendogli la mano.
Travers protese due dita e strinse la mano a Ron come se avesse paura di sporcarsi.
«Allora, che cosa porta lei e il suo - ehm - solidale amico in Diagon Alley così di buonora?» chiese Travers.
«Devo andare alla Gringott» rispose Hermione.
«Anch'io, ahimè» sospirò Travers. «Oro, sudicio oro! Non possiamo farne a meno, eppure deploro la necessità di frequentare i nostri amici dalle lunghe dita».
Harry sentì le mani di Unci-unci contrarsi per un attimo attorno al suo collo.
«Andiamo?» suggerì Travers, facendo cenno a Hermione di precederlo. Lei non poté far altro che avviarsi con lui lungo il tortuoso selciato verso il punto in cui la Gringott, bianca come la neve, torreggiava sui piccoli negozi. Ron si affiancò a loro e Harry e Unci-unci li seguirono. Un Mangiamorte all'erta era l'ultima cosa di cui avevano bisogno, e il peggio era che, con Travers accanto a quella che credeva Bellatrix, Harry non poteva comunicare con Hermione o Ron. Si ritrovarono fin troppo presto ai piedi della scalinata di marmo che saliva alle grandi porte di bronzo. Come aveva detto Unci-unci, i folletti in livrea che di solito stavano ai lati dell'ingresso erano stati sostituiti da due maghi, entrambi forniti di lunghi e sottili bastoni dorati.
«Ah, le Sonde Sensitive» sospirò Travers in modo teatrale, «molto rozze... ma efficaci!»
E salì i gradini, con un cenno di saluto ai due maghi, che alzarono i bastoni d'oro e glieli fecero scorrere su e giù lungo il corpo. Le Sonde, come Harry sapeva, individuavano gli incantesimi dissimulanti e gli oggetti magici nascosti. Conscio di avere solo pochi istanti di tempo, puntò la bacchetta di Draco contro una guardia dopo l'altra e mormorò due volte « Con- fundo» . I due maghi sussultarono lievemente quando l'incantesimo li colpì, ma Travers, che stava guardando l'atrio oltre il portone, non se ne accorse. Hermione salì i gradini con i lunghi capelli neri ondeggianti al vento.
«Un momento, signora» le intimò la guardia, alzando la Sonda.
«Ma l'ha già fatto!» s'indignò Hermione con la voce imperiosa e arrogante di Bellatrix. Travers si voltò, le sopracciglia inarcate. La guardia era perplessa. Guardò la sottile Sonda dorata e poi il compagno, che disse, con voce un po' impastata: «Sì, li hai appena controllati, Marius». Hermione proseguì, con Ron al fianco. Harry e Unci-unci trotterellarono invisibili dietro di loro. Mentre varcavano la soglia, Harry si voltò indietro: le guardie si stavano grattando la testa.
C'erano due folletti in piedi davanti alle porte interne, che erano d'argento e recavano incisa la poesia che minacciava terribili ritorsioni contro gli eventuali ladri. Harry la contemplò, e all'improvviso fu attraversato da un ricordo limpido: se stesso, in quel medesimo punto, il giorno del suo undicesimo compleanno, il compleanno più meraviglioso della sua vita, e Hagrid accanto a lui che tuonava: « Come ho detto, bisognerebbe davvero es- sere matti a cercare di rapinare questa banca» . La Gringott quel giorno gli era parsa un luogo di prodigi, il deposito incantato di un tesoro che non aveva mai saputo di possedere, e nemmeno per un istante avrebbe potuto sognare che ci sarebbe tornato per rubare... Ma nel giro di pochi secondi erano nella vasta sala di marmo.
Il lungo bancone era presidiato da folletti seduti su alte scranne, che servivano i primi clienti della giornata. Hermione, Ron e Travers si avvicinarono a un vecchio folletto che stava osservando una spessa moneta d'oro attraverso un monocolo. Hermione lasciò che Travers la precedesse con la scusa di illustrare a Ron le caratteristiche dell'atrio.
Il folletto gettò via la moneta, borbottò «Lepricani» e poi salutò Travers, che gli passò una minuscola chiave dorata; il folletto la esaminò e la restituì. Hermione fece un passo avanti.
«Signora Lestrange!» trasalì il folletto. «Santo cielo! Cosa... cosa posso fare per lei oggi?»
«Vorrei avere accesso alla mia camera blindata» rispose Hermione. Il vecchio folletto si tirò indietro. Harry si guardò intorno. Non solo Travers era a poca distanza e li osservava, ma altri folletti avevano interrotto le loro occupazioni per fissare Hermione.
«Ha modo di... di provare la sua identità?» chiese il folletto.
«Provare la mia identità? Non... non mi è mai stato chiesto niente di simile!» protestò Hermione.
« Lo sanno! » sussurrò Unci-unci all'orecchio di Harry. « Qualcuno li ha avvertiti che potrebbe esserci un impostore! »
«La sua bacchetta sarà sufficiente, signora» replicò il folletto. Tese una mano tremante e in un terribile lampo di comprensione Harry capì che i folletti della Gringott sapevano che la bacchetta di Bellatrix era stata rubata.
« Presto, presto» mormorò ancora Unci-unci, « la Maledizione Impe- rius! »
Harry sollevò la bacchetta di biancospino sotto il Mantello, la puntò contro il vecchio folletto e sussurrò, per la prima volta in vita sua: « Imperio! »
Una curiosa sensazione percorse il suo braccio, un caldo formicolio che sembrava scorrere dalla sua mente lungo i nervi e le vene, legandolo alla bacchetta e alla maledizione che aveva appena scagliato. Il folletto prese la bacchetta di Bellatrix, la esaminò attentamente e poi disse: «Ah, una bacchetta nuova, signora Lestrange!»
«Cosa?» fece Hermione. «No, no, è la mia...»
«Una bacchetta nuova?» Travers si riavvicinò al bancone; i folletti intorno erano ancora all'erta. «Ma com'è possibile, a che fabbricante si è rivolta?»
Harry agì senza riflettere: puntò la bacchetta contro Travers e borbottò di nuovo: « Imperio».
«Oh, sì, certo» commentò Travers guardando la bacchetta di Bellatrix,
«sì, molto bella. Funziona bene? Io sono convinto che le bacchette abbiano bisogno di un minimo di rodaggio, lei non trova?»
Hermione pareva decisamente sconcertata, ma con enorme sollievo di Harry accettò il bizzarro corso degli eventi senza dire una parola. Il vecchio folletto dietro il banco batté le mani e uno più giovane si avvicinò.
«Mi servono i Sonacci» gli disse il vecchio, e quello sfrecciò via per tornare un secondo dopo con una borsa di cuoio che sembrava piena di metallo sferragliante. La consegnò al suo superiore. «Bene, bene! Allora, se vuole seguirmi, signora Lestrange» proseguì il vecchio folletto. Saltò giù
dalla scranna e scomparve alla vista. «L'accompagno alla sua camera». Riapparve in fondo al bancone e sgambettò lieto verso di loro, facendo tintinnare più che mai la borsa. Travers adesso era immobile, la bocca spalancata, e Ron stava attirando l'attenzione sul suo strano comportamento fissandolo con aria interrogativa.
«Un momento. Bongi!»
Un altro folletto era sbucato da dietro il bancone.
«Abbiamo delle istruzioni» esordì, con un inchino a Hermione. «Mi perdoni, signora, ma ci sono ordini speciali che riguardano la camera Lestrange». Sussurrò frettoloso all'orecchio di Bongi, ma il folletto soggiogato dalla Maledizione Imperius lo liquidò.
«Conosco gli ordini. La signora Lestrange desidera visitare la sua came-ra... una famiglia molto antica... vecchi clienti... da questa parte, prego...»
Sempre accompagnato dal tintinnio della borsa, corse verso una delle molte porte che conducevano fuori dalla sala. Harry si girò verso Travers, ancora inchiodato al suo posto con uno sguardo innaturalmente vacuo, e decise: con un lieve movimento della bacchetta lo costrinse a seguirli, mansueto, mentre varcavano la porta ed entravano in un corridoio di pietra grezza illuminato da torce.
«Siamo nei guai, hanno dei sospetti» disse Harry quando la porta si chiuse alle loro spalle, e si sfilò il Mantello dell'Invisibilità. Unci-unci balzò a terra; né Travers né Bongi mostrarono la minima sorpresa all'improvvisa comparsa di Harry Potter. «La Maledizione Imperius» spiegò lui in risposta alle confuse domande di Hermione e Ron, perché Travers e Bongi stavano fermi, imbambolati. «Credo di non averla fatta abbastanza forte, non so...»
E un altro ricordo gli attraversò la mente, la vera Bellatrix Lestrange che gli strillava addosso la prima volta che aveva tentato di usare una Maledizione Senza Perdono: «Devi volerlo, Potter!»
«Che cosa facciamo?» chiese Ron. «Usciamo finché possiamo?»
« Se possiamo» precisò Hermione, guardando la porta chiusa sull'atrio, al di là della quale chissà cosa stava succedendo.
«Siamo arrivati fin qui, io dico di andare avanti» propose Harry.
«Bene!» approvò Unci-unci. «Allora, abbiamo bisogno di Bongi per guidare il vagone; io non ho più l'autorità. Ma non c'è posto per il mago». Harry puntò la bacchetta contro Travers.
« Imperio! »
Il mago si voltò e si avviò a passo spedito lungo i binari bui.
«Dove l'hai mandato?»
«A nascondersi» rispose Harry puntando la bacchetta contro Bongi: il folletto fischiò e un carrello sbucò dondolando dal buio. Harry fu certo di aver sentito degli urli venire dall'atrio mentre si arrampicavano nel vagoncino, Bongi davanti e gli altri quattro stipati dietro. Partirono con uno strattone e presero subito velocità: sfrecciarono davanti a Travers, appiattito in una fessura della parete, poi il carrello cominciò a curvare per i labirintici passaggi, sempre in discesa. Lo sferragliare delle ruote era assordante: sbandavano tra le stalattiti, sprofondando sempre più sottoterra. Harry, con i capelli che gli volavano all'indietro, continuava a guardarsi alle spalle. Era come se avessero lasciato enormi impronte; più ci pensava, più gli sembrava sciocco aver travestito Hermione da Bellatrix, aver portato la sua bacchetta quando i Mangiamorte sapevano benissimo chi l'aveva rubata...
Harry non era mai disceso così in profondità nella Gringott: presero un tornante a tutta velocità e videro davanti a loro, a pochi secondi di distanza, una cascata d'acqua che si rovesciava sui binari. Harry udì Unci-unci gridare «No!» ma nessuno frenò: la attraversarono di slancio. L'acqua gli riempì occhi e bocca, non vedeva e non respirava; poi, con un terribile sussulto, il carrello si rovesciò e tutti ne furono sbalzati fuori. Harry udì lo schianto del vagone contro il muro del corridoio e Hermione che strillava qualcosa, poi si sentì scivolare a terra come privo di peso e atterrare senza dolore sul suolo di roccia.
«I-Incantesimo Imbottito» farfugliò Hermione, mentre Ron la aiutava ad alzarsi: ma Harry vide con orrore che non era più Bellatrix; era avvolta in abiti troppo grandi, bagnata fradicia e inequivocabilmente se stessa; Ron era di nuovo rosso di capelli e senza barba. Se ne resero conto guardandosi e tastandosi i volti.
«La Cascata del Ladro!» esclamò Unci-unci, rimettendosi in piedi e voltandosi a guardare la cascata che, ormai Harry l'aveva capito, non era solo acqua. «Lava via tutti gli incantesimi e i travestimenti magici! Sanno che ci sono degli impostori nella Gringott, hanno attivato delle difese contro di noi!»
Harry vide Hermione che controllava di avere ancora la borsetta, e s'infilò rapido la mano sotto il giaccone per assicurarsi di non aver perduto il Mantello dell'Invisibilità. Poi si voltò e vide Bongi scuotere il capo, incredulo: la Cascata del Ladro doveva aver cancellato la Maledizione Imperius.
«Ci serve» disse Unci-unci, «non possiamo entrare nella camera blindata senza un folletto della Gringott. E abbiamo bisogno dei Sonacci!»
« Imperio! » urlò di nuovo Harry e quando la sua voce echeggiò lungo il cunicolo di pietra provò ancora quel senso inebriante di controllo scorrere dal cervello alla bacchetta. Bongi si piegò di nuovo alla sua volontà: la sua espressione instupidita si mutò in educata indifferenza, mentre Ron correva a raccogliere la borsa di cuoio piena di strumenti metallici.
«Harry, sento venire gente!» urlò Hermione; puntò la bacchetta di Bellatrix verso la cascata e gridò: « Protego! » Il Sortilegio Scudo bloccò il flusso dell'acqua magica che risalì lungo il cunicolo.
«Bella idea» commentò Harry. «Facci strada, Unci-unci!»
«Come faremo a uscire?» chiese Ron, mentre seguivano di corsa il fol-letto nel buio. Bongi ansimava dietro di loro come un vecchio cane.
«Ce ne preoccuperemo quando sarà il momento» rispose Harry. Tese l'orecchio; gli pareva di sentire qualcosa sferragliare e muoversi nelle vicinanze. «Unci-unci, quanto dobbiamo scendere ancora?»
«Non molto, Harry Potter, non molto...»
Voltarono un angolo e videro quello a cui Harry era stato preparato, ma che li costrinse tutti a fermarsi.
Un drago gigantesco era incatenato al pavimento, in modo da sbarrare l'accesso a quattro o cinque delle camere blindate più profonde. Le squame della bestia erano sbiadite e screpolate per la lunga prigionia nel sottosuolo; i suoi occhi erano di un rosa lattiginoso; entrambe le zampe posteriori erano strette in pesanti ceppi le cui catene erano assicurate alla roccia da enormi picchetti. Teneva le immense ali spinate lungo il corpo, ma se le avesse aperte avrebbero riempito tutta la caverna; girò verso di loro il brutto testone, ruggì con un fragore che fece tremare la roccia e sputò un getto di fuoco che li costrinse ad arretrare di corsa nel cunicolo.
«È semicieco» ansimò Unci-unci, «ma questo lo rende ancora più feroce. Però abbiamo il sistema per controllarlo. Ha un riflesso condizionato al rumore dei Sonacci. Dammeli».
Ron gli passò la borsa: Unci-unci ne estrasse una serie di piccoli strumenti di metallo che quando venivano agitati producevano un rumore forte e squillante, come minuscoli martelli su incudini. Unci-unci li distribuì: Bongi prese docilmente il proprio.
«Sapete cosa fare» proseguì Unci-unci. «Quando sentirà i Sonacci si aspetterà dolore: arretrerà, e Bongi dovrà posare il palmo della mano sulla porta».
Si affacciarono di nuovo oltre l'angolo scuotendo i Sonacci: il fragore, amplificato dalle pareti di roccia, era così forte che Harry si sentì il cranio vibrare. Il drago lanciò un altro ruggito rauco e indietreggiò, e Harry vide che tremava; quando si avvicinarono notò le cicatrici di tagli feroci sul muso e capì che aveva imparato ad associare spade roventi al rumore dei Sonacci.
«Fagli mettere la mano sulla porta!» gridò Unci-unci a Harry, che puntò
la bacchetta su Bongi. Il vecchio folletto obbedì, premette il palmo sul legno e la porta della camera blindata si dissolse rivelando un antro stipato da cima a fondo di monete d'oro, calici, armature d'argento, pelli di strane creature, alcune con lunghi aculei, altre con ali flosce, pozioni in fiaschette incrostate di pietre preziose e un teschio che ancora indossava una corona.
«Cercate, presto!» ordinò Harry entrando di corsa.
Aveva descritto la coppa di Tassorosso a Ron e Hermione, ma nella camera blindata poteva esserci l'altro, sconosciuto Horcrux, di cui ignoravano l'aspetto. Ebbe appena il tempo di guardarsi attorno, tuttavia, prima di sentire un tonfo soffocato alle sue spalle: la porta era ricomparsa, chiudendoli dentro, e si ritrovarono immersi nel buio più totale. Ron urlò per la sorpresa.
«Non importa, Bongi saprà liberarci!» li rassicurò Unci-unci. «Accendete le bacchette, no? E fate presto, abbiamo pochissimo tempo!»
« Lumos! »
Harry illuminò tutto attorno a sé con la bacchetta: il raggio cadde su cumuli di gioielli scintillanti. Vide la falsa spada di Grifondoro appoggiata su un'alta mensola tra un mucchio di catene. Anche Ron e Hermione avevano acceso le bacchette e stavano esaminando le pile di oggetti che li circondavano.
«Harry, potrebbe essere quest...? Aargh!»
Hermione strillò di dolore e Harry puntò la bacchetta in tempo per vedere un calice incastonato di pietre scivolarle di mano: nella caduta si spaccò
e divenne una pioggia di calici, e in un attimo, con un gran baccano, il pavimento fu ricoperto da coppe identiche che rotolavano da tutte le parti. Era impossibile riconoscere l'originale.
«Mi ha bruciato!» gemette Hermione, succhiandosi le dita coperte di bolle.
«Hanno aggiunto le Maledizioni Gemino e Flagrante!» esclamò Unciunci. «Ogni cosa che toccate scotterà e si moltiplicherà, ma le copie sono prive di valore... e se continuate a toccare il tesoro, moriremo sepolti dal peso dell'oro!»
«D'accordo, non toccate nulla!» ordinò Harry disperato, ma Ron senza volerlo urtò col piede uno dei calici caduti e se ne materializzarono altri venti attorno a lui, che prese a saltellare su un piede solo: parte della scarpa gli si era carbonizzata a contatto col metallo incandescente.
«Stai fermo, non muoverti!» urlò Hermione, aggrappandosi a lui.
«Guardatevi intorno e basta!» disse Harry. «Ricordate: la coppa è piccola, d'oro, con due manici, ha inciso sopra un tasso... oppure vedete se trovate da qualche parte il corvo di Corvonero...»
Puntarono le bacchette in tutti gli angoli e le fessure, girando cauti su se stessi. Era impossibile non urtare qualcosa; Harry provocò una cascata di falsi galeoni che si unirono ai calici per terra, e non ci fu più posto dove mettere i piedi, e l'oro splendente avvampava di calore, così che la camera sembrava un forno. La luce della bacchetta di Harry passò su scudi ed elmi di fattura folletta disposti su scaffali alti fino al soffitto. Levò il raggio sempre più su, finché all'improvviso incrociò un oggetto che gli fece sussultare il cuore e tremare la mano.
« È là, è lassù! »
Anche Ron e Hermione puntarono le bacchette, e la piccola coppa d'oro brillò illuminata come da tre riflettori: il calice di Tosca Tassorosso, passato poi nelle mani di Hepzibah Smith, alla quale Tom Riddle l'aveva rubato.
«E come diavolo facciamo ad arrampicarci fin lassù senza toccare nulla?» chiese Ron.
« Accio coppa! » gridò Hermione, che nell'affanno si era evidentemente scordata delle istruzioni impartite da Unci-unci nelle sessioni preparatorie.
«Non funziona, non funziona!» ringhiò il folletto.
«E allora cosa facciamo?» domandò Harry, guardandolo accigliato. «Se vuoi la spada, Unci-unci, dovrai aiutarci più di... un momento! Posso toccare le cose con la spada? Hermione, dammela!»
Hermione si frugò nelle vesti, prese la borsetta di perline, vi rovistò per qualche secondo e ne sfilò la spada scintillante. Harry la afferrò per l'elsa di rubini e toccò con la punta della lama un boccale d'argento, che non si moltiplicò.
«Se solo riuscissi a infilare la spada in un manico... ma come faccio ad arrivare lassù?»
Lo scaffale sul quale era posata la coppa era fuori dalla portata di tutti loro, compreso Ron, che era il più alto. Il calore del tesoro incantato li investiva a ondate e il sudore scorreva sul viso e lungo la schiena di Harry, che cercava con tutte le forze un modo per raggiungere la coppa; poi sentì
il drago ruggire al di là della porta e un rumore metallico sempre più forte. Erano davvero in trappola: non c'era via d'uscita se non dalla porta, e un'orda di folletti stava probabilmente avanzando dall'altra parte. Harry guardò Ron e Hermione e vide il terrore sui loro volti.
«Hermione» disse sopra il fragore crescente, «devo arrivare lassù, dobbiamo prenderla...»
Lei alzò la bacchetta, la puntò contro Harry e sussurrò: « Levicorpus». Appeso a mezz'aria per la caviglia, Harry urtò un'armatura da cui sbucarono doppioni come corpi incandescenti, a riempire la stanza già stipata. Tra urla di dolore, Ron, Hermione e i due folletti furono spinti contro altri oggetti, che presero a loro volta a moltiplicarsi. Semisepolti in una marea crescente di tesori bollenti, lottarono e urlarono mentre Harry infilava la spada nel manico della coppa di Tassorosso e la agganciava alla lama.
« Impervius! » strillò Hermione, nel tentativo di proteggere se stessa, Ron e i due folletti dal metallo rovente.
Poi un urlo più orribile degli altri costrinse Harry a guardare in giù: Ron e Hermione erano sepolti fino alla vita nel tesoro e lottavano per tenere Bongi a galla in quel mare di metallo, ma Unci-unci era finito sotto e ormai se ne vedeva solo la punta delle lunghe dita. Harry le afferrò e tirò. Il folletto coperto di vesciche emerse poco alla volta, ululando.
« Liberacorpus! » gridò Harry: con un gran fracasso lui e Unci-unci atterrarono sulla marea montante del tesoro, e la spada gli sfuggi di mano.
«Prendila!» urlò, cercando di resistere al dolore del metallo infuocato sulla pelle, mentre Unci-unci gli si arrampicava di nuovo sulle spalle, ben deciso a evitare la massa rigonfia di oggetti incandescenti. «Dov'è la spada? C'era agganciata la coppa!»
Il clangore al di là della porta si fece assordante... era troppo tardi...
«Là!»
Fu Unci-unci a vederla e a tuffarsi, e in quel momento Harry capì che il folletto non aveva mai pensato che avrebbero mantenuto la parola. Con una mano stretta attorno a una ciocca di capelli di Harry, per non rischiare di affondare nel mare ondeggiante di oro arroventato, Unci-unci afferrò
l'elsa della spada e la sollevò in alto, fuori dalla sua portata. La minuscola coppa d'oro fu scagliata in aria. Con il folletto ancora sulla schiena, Harry si tuffò e la prese al volo. Sentì che gli ustionava la pelle ma non la lasciò, nemmeno quando innumerevoli coppe di Tassorosso gli esplosero dal pugno e caddero a pioggia su di lui. In quel momento, l'ingresso della camera blindata si riaprì e lui scivolò senza controllo su una valanga di oro e d'argento che trasportò lui, Ron e Hermione fuori dalla camera.
Ignorando il dolore delle scottature su tutto il corpo, e ancora portato dall'onda del tesoro, Harry s'infilò la coppa in tasca e si protese per riprendere la spada, ma Unci-unci era sparito. Era sceso dalle sue spalle appena aveva potuto ed era corso a nascondersi tra i folletti che li circondavano, brandendo la spada e strillando: «Ladri! Ladri! Aiuto! Ladri!» Sparì nella moltitudine di folletti, che avanzavano armati di pugnali e lo accolsero senza fare domande.
Scivolando sul metallo rovente, Harry si rimise in piedi e capì che l'uni-ca via d'uscita era oltre la folla.
« Stupeficium! » urlò, e Ron e Hermione si unirono a lui: getti di luce rossa schizzarono nell'orda di folletti. Alcuni arretrarono, ma altri continuavano a venire avanti, e Harry vide dei maghi guardia sbucare da dietro l'angolo.
Il drago imprigionato ruggì e un getto di fiamme volò al di sopra dei folletti: i maghi tornarono indietro di corsa, a testa bassa, e Harry fu colto da un'ispirazione, o forse dalla follia. Puntò la bacchetta contro i ceppi che incatenavano la bestia al suolo e urlò: « Relascio! »
I ceppi si spezzarono con un colpo secco.
«Da questa parte!» urlò Harry, e senza smettere di scagliare Schiantesimi contro i folletti corse verso il drago cieco. «Harry... Harry... cosa fai?»
urlò Hermione. «Sali, dai, fa' presto...»
Il drago non aveva capito di essere libero. Harry trovò col piede l'articolazione della zampa posteriore e gli montò sul dorso. Le squame erano dure come acciaio: la bestia non sembrava nemmeno essersi accorta di lui. Harry tese un braccio; Hermione si issò a cavalcioni; Ron si arrampicò dietro di loro e un attimo dopo il drago si rese conto di non essere più incatenato. S'impennò con un ruggito; Harry si puntellò con le ginocchia, reggendosi più forte che poteva alle squame frastagliate. Il drago aprì le ali, abbattendo come birilli i folletti urlanti, si alzò in aria e si lanciò nel cunicolo. Harry, Ron e Hermione, appiattiti sul suo dorso, grattavano contro il soffitto mentre i folletti tiravano pugnali che rimbalzavano sui fianchi del drago.
«Non usciremo mai, è troppo grosso!» urlò Hermione, ma il drago spalancò la bocca ed eruttò altre fiamme, facendo esplodere il tunnel: soffitto e pavimento si sbriciolarono. A forza di artigli, la bestia cercò di aprirsi un varco. Harry chiuse gli occhi per ripararsi dal calore e dalla polvere: assordato dal crollo della roccia e dai ruggiti del drago, non poteva far altro che restare aggrappato alla sua schiena, aspettandosi di venire disarcionato da un momento all'altro; poi udì Hermione gridare: « Defodio! »
Stava aiutando il drago ad allargare il passaggio, scavando nella parete superiore intanto che la creatura si arrampicava verso l'aria più fresca, lontano dal rumore e dalle urla dei folletti: Harry e Ron le diedero man forte, facendo esplodere il soffitto con altri incantesimi. Superarono il lago sotterraneo, e l'enorme bestia che arrancava ringhiando sembrava avvertire la libertà e lo spazio davanti a sé. Alle loro spalle, il tunnel era invaso dalla coda aculeata del drago, da cumuli di rocce, da gigantesche stalattiti spez-zate, e il fragore dei folletti era più soffocato, man mano che il drago si apriva la strada col fuoco... Infine, unendo i loro incantesimi alla forza bruta del drago, sbucarono nell'ingresso di marmo. Folletti e maghi corsero a cercare riparo strillando e finalmente il drago ebbe spazio per spiegare le ali: allungò la testa cornuta verso l'aria fresca e libera che sentiva oltre l'ingresso e partì. Con Harry, Ron e Hermione ancora aggrappati sul dorso, divelse le porte di metallo, lasciandole accartocciate a penzolare dai cardini, uscì barcollando in Diagon Alley e si librò nel cielo.
CAPITOLO 27
IL NASCONDIGLIO FINALE
Non c'era modo di sterzare; il drago non vedeva dove stava andando e Harry sapeva che se avesse cambiato bruscamente direzione o se si fosse rigirato a mezz'aria non sarebbero riusciti a restare aggrappati al suo vasto dorso. Eppure, mentre salivano sempre più su e Londra si spiegava sotto di loro come una mappa grigia e verde, il sentimento che riempiva il cuore di Harry era la gratitudine per una fuga che era sembrata impossibile. Schiacciato sul collo della bestia, si reggeva alle squame metalliche e la brezza fresca era un balsamo sulla sua pelle scottata e coperta di bolle. Le ali del drago percuotevano l'aria come le pale di un mulino a vento. Dietro di lui, non sapeva se per la gioia o la paura, Ron imprecava a tutta voce e Hermione singhiozzava. Dopo cinque minuti, il timore iniziale che il drago se li scrollasse di dosso in parte svanì, perché sembrava che il suo unico scopo fosse allontanarsi il più possibile dalla prigione sotterranea. Ma come e quando sarebbero scesi restava un interrogativo abbastanza spaventoso. Harry non aveva idea di quanto potesse volare un drago senza fermarsi, né di come questo drago in particolare, che era semicieco, potesse trovare un buon posto per atterrare. Continuava a guardarsi attorno, immaginando di sentire la cicatrice formicolare...
Quanto tempo sarebbe passato prima che Voldemort sapesse che erano penetrati nella camera blindata dei Lestrange? Quanto ci avrebbero messo i folletti della Gringott ad avvertire Bellatrix? Quanto a capire che cos'era stato rubato? E una volta scoperto che era la coppa d'oro? Voldemort avrebbe saputo, infine, che stavano cercando gli Horcrux... Il drago sembrava avido di aria più fresca: continuò a salire finché si ri-trovarono a volare tra batuffoli di gelide nuvole e Harry non riuscì più a distinguere i puntini colorati delle auto che entravano e uscivano dalla capitale. Volarono ancora, verso nord, sulla campagna divisa in rettangoli verdi e bruni, sopra strade e fiumi che si srotolavano nel paesaggio come nastri opachi e lucidi.
«Secondo te cosa sta cercando?» urlò Ron.
«Non ne ho idea» gridò in risposta Harry. Aveva le mani intirizzite ma non osava spostarle. Da un po' si chiedeva che cos'avrebbero fatto se avessero visto la costa passare sotto di loro, se il drago si fosse diretto verso il mare aperto: era gelato e stordito, oltre che disperatamente affamato e assetato. Quando, si chiese, aveva mangiato la bestia per l'ultima volta? Prima o poi avrebbe avuto bisogno di cibo. E se allora si fosse resa conto di avere sulla schiena tre umani del tutto commestibili?
Il sole scese nel cielo, ormai color indaco; e ancora il drago volava, paesi e città scorrevano sotto di loro e la sua ombra enorme scivolava sulla terra come una grande nuvola scura. Ogni parte del corpo di Harry doleva per lo sforzo di reggersi.
«È un'impressione» urlò Ron dopo un lungo silenzio, «o ci stiamo abbassando?»
Harry guardò giù e scorse monti di un verde intenso e laghi color rame nel tramonto. Strizzò gli occhi per vedere oltre il fianco del drago, e in effetti il paesaggio diventava più grande e dettagliato. Si chiese se la bestia avesse intuito la presenza di acqua fresca dai riflessi del sole. Il drago stava calando in grandi cerchi a spirale e pareva puntare verso uno dei laghi più piccoli.
«Io dico di saltare quando è abbastanza basso!» gridò Harry agli altri.
«Dritto nell'acqua, prima che si accorga di noi!»
Assentirono, Hermione un po' debolmente: Harry vide il ventre ampio e giallo del bestione specchiarsi nella superficie increspata del lago.
«ORA!»
Si lasciò scivolare sul fianco del drago e si tuffò di piedi. Il salto era più
alto di quanto si aspettava: urtò violentemente l'acqua, affondando come una pietra in un mondo gelido, verde, irto di canne. Scalciò per tornare in superficie e quando affiorò, ansimante, vide onde allargarsi in cerchio dai punti in cui erano caduti Ron e Hermione. Il drago non si accorse di nulla: era già cinquanta metri più avanti e volava basso sul lago per raccogliere acqua nel muso segnato dalle cicatrici. Ron e Hermione riemersero, sputacchiando e senza fiato, dalle profondità del lago; il drago continuò a dare gran colpi d'ala e infine atterrò su una riva lontana.
Harry, Ron e Hermione nuotarono verso la sponda opposta. Il lago non sembrava profondo: più che nuotare, ben presto dovettero farsi largo tra le canne e il fango, e infine caddero, zuppi, ansimanti e sfiniti, sull'erba scivolosa. Hermione tossiva e tremava. Harry avrebbe volentieri dormito, invece si alzò barcollando, prese la bacchetta e cominciò a scagliare i soliti incantesimi di protezione tutto attorno. Quando ebbe finito, raggiunse gli altri. Li guardò bene per la prima volta dopo la fuga dalla camera blindata. Avevano tutti e due il volto e le braccia coperti di scottature rosse e gli abiti bruciacchiati qua e là. Si stavano tamponando le numerose piaghe con essenza di dittamo, facendo smorfie di dolore. Hermione passò l'essenza a Harry, poi prese tre bottiglie di succo di zucca che aveva portato da Villa Conchiglia e abiti asciutti per tutti. Si cambiarono e tracannarono il succo.
«Be', il lato positivo» osservò infine Ron, seduto a guardare la pelle ricrescergli sulle mani, «è che abbiamo l'Horcrux. Quello negativo...»
«... è che non abbiamo più la spada» concluse Harry a denti stretti, facendosi colare il dittamo su una scottatura attraverso il buco carbonizzato nei jeans.
«Non abbiamo più la spada» ripeté Ron. «Quel piccolo rognoso doppiogiochista...»
Harry prese l'Horcrux dalla tasca del giaccone bagnato che si era appena tolto e lo posò sull'erba davanti a loro. Scintillò al sole, attirando i loro sguardi mentre sorseggiavano il succo.
«Be', almeno questa volta non possiamo portarlo addosso, sarebbe un po'
strano appeso al collo» commentò Ron, asciugandosi le labbra sul dorso della mano.
Hermione guardò l'altra riva del lago, dove il drago stava ancora bevendo.
«Cosa pensate che gli succederà?» chiese. «Se la caverà?»
«Mi sembri Hagrid» rispose Ron. «È un drago, Hermione, sa badare a se stesso. È di noi che dobbiamo preoccuparci».
«In che senso?»
«Be', non so come dirtelo» continuò Ron, «ma secondo me potrebbero essersi accorti che abbiamo rubato alla Gringott».
Scoppiarono a ridere tutti e tre, e una volta cominciato fu difficile smettere. A Harry facevano male le costole, aveva le vertigini dalla fame, ma si distese sull'erba sotto il cielo infuocato e rise fino ad avere la gola dolorante.
«Che cosa facciamo, allora?» domandò Hermione alla fine, tornando seria. «Lui capirà, vero? Voi-Sapete-Chi capirà che sappiamo dei suoi Horcrux!»
«Forse avranno troppa paura di dirglielo» tentò Ron speranzoso. «Forse faranno finta...»
Il cielo, l'odore dell'acqua di lago, il suono della voce di Ron si spensero: il dolore spaccò la testa di Harry come un colpo di spada. Si trovava in una stanza male illuminata, davanti ad alcuni maghi disposti a semicerchio, e ai suoi piedi era inginocchiata una piccola creatura scossa dai brividi.
«Che cosa hai detto?» La sua voce era acuta e fredda, ma dentro bruciava di rabbia e di paura. L'unica cosa che aveva temuto... ma non poteva essere vero, non capiva come... Il folletto tremava, incapace di incrociare lo sguardo rosso sopra di lui.
«Ripetilo!» mormorò Voldemort. « Ripetilo! »
«M-mio Signore» balbettò il folletto, gli occhi neri dilatati dal terrore,
«m-mio Signore... noi a-abbiamo cercato d-di fermarli... im-impostori, mio Signore... si sono... si sono ins-sinuati n-nella c-camera Lestrange...»
«Impostori? Che impostori? Credevo che alla Gringott sapeste come smascherare gli impostori. Chi erano?»
«Erano... erano... il r-ragazzo P-Potter e d-due c-c-complici...»
«E cos'hanno preso?» domandò, alzando la voce, mentre un terrore tremendo s'impadroniva di lui. «Dimmelo. Che cos'hanno portato via? »
«U-una p-piccola c-coppa... d-d'oro, m-mio Signore...»
L'urlo di rabbia, di rifiuto, uscì da lui come da un estraneo: era pazzo, fuori di sé, non poteva essere vero, era impossibile, nessuno aveva mai saputo: com'era possibile che quel ragazzo avesse scoperto il suo segreto?
La Bacchetta di Sambuco tagliò l'aria e una luce verde schizzò nella stanza. Il folletto inginocchiato cadde, morto, e i maghi si dispersero terrorizzati: Bellatrix e Lucius Malfoy ne travolsero alcuni nella loro fuga verso la porta, e la sua bacchetta calò di nuovo, e coloro che erano rimasti furono trucidati, tutti, per avergli portato quella notizia, per aver saputo della coppa d'oro... Solo tra i cadaveri, marciava avanti e indietro, e gli passarono davanti come in una visione: i suoi tesori, le sue difese, le sue ancore all'immortalità. Il diario era stato distrutto, la coppa rubata: e se, se il ragazzo sapeva anche degli altri? Poteva sapere, aveva già agito, ne aveva trovati altri?
C'era Silente, dietro tutto questo? Silente, che aveva sempre sospettato di lui, Silente, morto per ordine suo, Silente, di cui ora possedeva la bacchetta e che si protendeva ancora dall'ignominia della morte attraverso il ragazzo, il ragazzo...
Ma di certo se il ragazzo avesse distrutto alcuni dei suoi Horcrux lui, Voldemort, l'avrebbe saputo, l'avrebbe sentito. Lui, il mago più grande di tutti, il più potente, lui, che aveva ucciso Silente e chissà quanti altri uomini senza nome né valore: come poteva Lord Voldemort non sapere se la sua stessa anima, importante e preziosa, era stata attaccata, mutilata?
Vero, non aveva provato niente quando il diario era stato distrutto, ma era perché non aveva un corpo con cui percepire sensazioni, allora era meno di un fantasma... no, gli altri erano al sicuro... gli altri Horcrux dovevano essere intatti... Ma doveva sapere, doveva esserne certo... Misurò la stanza a grandi passi, scalciando via il corpo del folletto, e le immagini si confusero e bruciarono nel suo cervello ribollente: il lago, la baracca, Hogwarts... Un briciolo di calma raffreddò la sua rabbia: come poteva sapere il ragazzo che aveva nascosto l'anello nella baracca dei Gaunt? Nessuno aveva mai saputo della sua parentela con i Gaunt, l'aveva tenuta nascosta, gli omicidi non erano mai stati attribuiti a lui: l'anello era al sicuro. E come avrebbe potuto il ragazzo, o chiunque altro, sapere della caverna o infrangerne le protezioni? La sola idea che il medaglione venisse rubato era assurda...
Quanto alla scuola, lui solo sapeva dove aveva nascosto l'Horcrux a Hogwarts, perché lui solo aveva scandagliato i suoi più profondi segreti... E c'era ancora Nagini, che doveva restargli vicina, ora, non andare più a eseguire i suoi ordini, restare sotto la sua protezione... Ma per esserne certo, del tutto certo, doveva tornare ai nascondigli, raddoppiare le difese attorno a ciascuno dei suoi Horcrux... un compito, come la ricerca della Bacchetta di Sambuco, che doveva affrontare da solo... Quale avrebbe dovuto visitare per primo, qual era in maggiore pericolo?
Un'antica inquietudine guizzò dentro di lui. Silente conosceva il suo secondo nome... Silente poteva aver fatto il collegamento con i Gaunt... la loro casa abbandonata era forse il nascondiglio meno sicuro, era là che sarebbe andato subito... Il lago, impossibile... anche se c'era una minima eventualità che Silente avesse scoperto alcuni dei suoi misfatti passati, attraverso l'orfanotrofio. E Hogwarts... ma sapeva che il suo Horcrux là era al sicuro, era impos-sibile che Potter andasse a Hogsmeade senza essere intercettato, men che meno a scuola. Tuttavia era più prudente avvertire Piton che il ragazzo avrebbe potuto cercare di tornare al castello... spiegargli il perché, ovviamente, sarebbe stato sciocco; era stato un grave errore fidarsi di Bellatrix e di Malfoy; la loro stupidità e negligenza non avevano dimostrato quanto è
incauto, sempre, fidarsi?
Sarebbe andato prima alla baracca dei Gaunt, allora, portando Nagini con sé; non si sarebbe più separato dal serpente... Lasciò la stanza, attraversò l'atrio e uscì nel giardino buio dove mormorava la fontana; chiamò in Serpentese il rettile che arrivò scivolando come una lunga ombra... Harry spalancò gli occhi, costringendosi a tornare al presente: era disteso sulla riva del lago, al tramonto, e Ron e Hermione erano chini su di lui. A giudicare dalla loro aria preoccupata e dal continuo pulsare della cicatrice, la sua improvvisa escursione nella mente di Voldemort non era passata inosservata. Si mise faticosamente a sedere, tremante, un po' sorpreso di essere ancora completamente zuppo, e vide la coppa che giaceva innocente nell'erba davanti a lui, e il lago, blu scuro, macchiato d'oro dal sole calante.
«Lo sa». La sua voce era stranamente bassa dopo le urla acute di Voldemort. «Lo sa e andrà a controllare gli altri, e l'ultimo» era già in piedi «è
a Hogwarts. Lo sapevo. Lo sapevo» .
«Cosa?»
Ron lo guardava a bocca aperta; Hermione s'inginocchiò, preoccupata.
«Ma cos'hai visto? Come fai a saperlo?»
«Ho visto che gli dicevano della coppa, ero... ero dentro la sua testa, lui è...» Harry ricordò tutti quei morti «è davvero arrabbiato, e anche spaventato, non capisce come abbiamo fatto a saperlo e adesso andrà a controllare che gli altri siano al sicuro, prima di tutti l'anello. Crede che quello nascosto a Hogwarts sia più al sicuro degli altri, perché c'è Piton, perché sarà
quasi impossibile non farci prendere se ci torniamo, credo che quello lo controllerà per ultimo, ma potrebbe comunque arrivare entro poche ore...»
«Hai visto dov'è, a Hogwarts?» chiese Ron, alzandosi.
«No, stava pensando ad avvertire Piton, non si è concentrato sul posto...»
«Un momento, un momento!» gridò Hermione, quando Ron raccolse l'Horcrux e Harry tirò di nuovo fuori il Mantello dell'Invisibilità. «Non possiamo andare e basta, non abbiamo un piano, dobbiamo...»
«Dobbiamo muoverci» ribatté Harry deciso. Aveva sperato di dormire, desiderato di entrare nella nuova tenda, ma al momento era impossibile.
«Ve lo immaginate cosa farà quando scoprirà che l'anello e il medaglione sono spariti? E se sposta l'Horcrux da Hogwarts, se decide che non è abbastanza al sicuro?»
«Ma come faremo a entrare?»
«Andremo a Hogsmeade» rispose Harry «e cercheremo di inventarci qualcosa quando avremo scoperto quali protezioni circondano la scuola. Vieni sotto il Mantello, Hermione, questa volta dobbiamo restare uniti».
«Ma non ci stiamo...»
«Sarà buio, nessuno noterà i nostri piedi».
Un battito di ali enormi echeggiò attraverso l'acqua scura: il drago aveva finito di bere e si era alzato in volo. Si fermarono per guardarlo salire sempre più in alto, nero contro il cielo che si abbuiava rapidamente, finché non sparì oltre una montagna vicina. Poi Hermione fece un passo avanti e si sistemò tra i due amici. Harry cercò di abbassare il più possibile il Mantello, e insieme girarono sul posto, vorticando nella tenebra opprimente.
CAPITOLO 28
LO SPECCHIO MANCANTE
I piedi di Harry toccarono il suolo. Vide High Street di Hogsmeade, dolorosamente familiare: vetrine buie, il profilo delle montagne nere oltre il villaggio, la curva là in fondo che portava a Hogwarts e la luce alle finestre dei Tre Manici di Scopa. Con una stretta al cuore fu trafitto dal ricordo di come fosse arrivato proprio lì, quasi un anno prima, sorreggendo un Silente senza forze; tutto questo nell'istante dell'atterraggio, ma quando ancora stava allentando la stretta sulle braccia di Ron e Hermione, accadde. Un urlo simile a quello di Voldemort quando aveva scoperto il furto della coppa lacerò l'aria: scosse tutti i nervi di Harry, e lui capì immediatamente che a provocarlo era stato il loro arrivo. Guardò gli amici sotto il Mantello e la porta dei Tre Manici di Scopa si spalancò: una decina di Mangiamorte avvolti nei mantelli e incappucciati si riversarono in strada, le bacchette pronte.
Harry afferrò Ron per il polso prima che alzasse la sua. Ce n'erano troppi per Schiantarli e provandoci avrebbero rivelato la loro posizione. Un Mangiamorte agitò la bacchetta e l'urlo cessò. Continuò però a echeggiare tra le montagne in lontananza.
« Accio Mantello! » ruggì un altro Mangiamorte.
Harry lo tenne stretto, ma il Mantello non si mosse: l'Incantesimo di Ap-pello non aveva funzionato.
«Non sei sotto la tua coperta, eh, Potter?» urlò il Mangiamorte che aveva tentato l'incantesimo, e poi, ai suoi compagni: «Sparpagliatevi. È qui». Sei Mangiamorte corsero verso di loro: Harry, Ron e Hermione si infilarono a tutta velocità nella strada laterale più vicina e i Mangiamorte li mancarono per pochi centimetri. Attesero nel buio, ascoltando i passi dei Mangiamorte che correvano avanti e indietro, proiettando con le bacchette raggi di luce lungo la strada.
«Andiamo via!» sussurrò Hermione. «Smaterializziamoci subito!»
«Ottima idea» disse Ron, ma prima che Harry potesse rispondere, un Mangiamorte urlò: «Sappiamo che sei qui, Potter, non hai scampo! Ti troveremo!»
«Ci stavano aspettando» bisbigliò Harry. «Hanno predisposto quell'incantesimo per intercettarci. Avranno anche escogitato qualcos'altro per trattenerci qui, per intrappolarci...»
«E i Dissennatori?» gridò un altro Mangiamorte. «Liberiamoli, lo troveranno subito!»
«Il Signore Oscuro vuole che Potter muoia per mano sua...»
«... ma i Dissennatori non lo uccideranno! Il Signore Oscuro vuole la vita di Potter, non la sua anima. Sarà più facile ucciderlo se prima è stato baciato!»
Voci di assenso. Il terrore s'impadronì di Harry: per respingere i Dissennatori avrebbero dovuto evocare dei Patroni, che li avrebbero traditi all'istante.
«Dobbiamo provare a Smaterializzarci, Harry!» ripeté Hermione in un sussurro.
Lui avvertì il freddo innaturale calare sulla strada. La luce fu risucchiata da tutto fino alle stelle, che sparirono. Nell'oscurità totale, sentì Hermione prenderlo per mano e girarono sul posto insieme.
L'aria attraverso la quale avrebbero dovuto spostarsi sembrava solidificata: non potevano Smaterializzarsi; i Mangiamorte avevano fatto le cose per bene. Il freddo mordeva sempre più a fondo le carni di Harry. Arretrò
ancora con Ron e Hermione lungo la stradina laterale, seguendo i muri a tentoni, cercando di non far rumore. Poi i Dissennatori girarono l'angolo silenziosi: erano dieci o più, visibili perché fatti di un buio più denso di ciò
che li circondava, con i loro mantelli neri e le mani putrefatte. Potevano sentire la paura? Sì, Harry ne era certo: adesso erano più rapidi e traevano quei respiri corti e rochi che detestava, assaporando la disperazione nell'a-ria, sempre più vicini... Alzò la bacchetta: non poteva, non voleva subire il bacio dei Dissennatori, a qualsiasi costo. Fu a Ron e Hermione che pensò quando sussurrò: « E- xpecto Patronum! »
Il cervo d'argento uscì dalla sua bacchetta e caricò: i Dissennatori si dispersero e da un punto nel buio si levò un urlo di trionfo.
«È lui, laggiù, laggiù, ho visto il suo Patronus, è un cervo!»
I Dissennatori si ritirarono, ricomparvero le stelle e i passi dei Mangiamorte divennero più sonori; ma prima che Harry, in preda al panico, riuscisse a decidere che fare, udì un rumore di catenacci, una porta si aprì sulla sinistra della stradina e una voce roca chiamò: «Potter, qui dentro, presto!»
Obbedì senza esitare: i tre si precipitarono oltre la soglia.
«Di sopra, tenete addosso il Mantello, fate piano!» borbottò una figura alta, che li oltrepassò per uscire in strada e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo.
Harry non aveva idea di dove fossero, ma alla luce esitante di una sola candela riconobbe il sudicio pavimento coperto di segatura della Testa di Porco. Corsero dietro il banco, oltre una seconda porta che conduceva a una traballante scala di legno, e salirono più veloci che poterono. Arrivarono in un salotto con un tappeto liso e un piccolo camino, sopra il quale era appeso un grande ritratto a olio di una ragazza bionda che guardava la stanza con una sorta di vacua dolcezza.
Dalla strada giungevano delle urla. Ancora avvolti nel Mantello dell'Invisibilità, i tre strisciarono verso la finestra velata di sporco e guardarono giù. Il loro salvatore, che Harry riconobbe come il barista della Testa di Porco, era l'unico a capo scoperto.
«E allora?» stava urlando contro uno degli incappucciati. «E allora? Se portate i Dissennatori nella mia via, io gli spedisco contro un Patronus!
Non li voglio vicini, ve l'ho detto, non lo tollero!»
«Quello non era il tuo Patronus!» ribatté un Mangiamorte. «Quello era un cervo, era di Potter!»
«Un cervo!» ruggì il barista, ed estrasse la bacchetta. «Un cervo! Idiota... Expecto Patronum! »
Qualcosa di grosso e cornuto eruppe dalla bacchetta: a testa bassa, si avventò verso High Street e sparì.
«Non è quello che ho visto io...» osservò il Mangiamorte, ma non era più tanto sicuro.
«Il coprifuoco è stato violato, hai sentito il segnale» insisté uno dei suoi compagni. «C'era qualcuno per la strada, è contro le regole...»
«Se mi va di far uscire il gatto, lo faccio, e al diavolo il vostro coprifuoco!»
«Sei stato tu a far scattare l'Incanto Gnaulante?»
«E allora? Mi mandate ad Azkaban? Volete uccidermi perché ho messo il naso fuori dalla porta di casa mia? Prego, fate pure! Ma spero per il vostro bene che non abbiate schiacciato i vostri piccoli Marchi Neri per chiamarlo. Non sarà contento di essere stato convocato per me e il mio vecchio gatto, eh?»
«Non preoccuparti per noi» ribatté un Mangiamorte, «bada a te stesso, hai violato il coprifuoco!»
«E dov'è che farete i vostri commerci di pozioni e veleni quando il mio pub sarà chiuso? Che ne sarà dei vostri piccoli traffici?»
«Stai minacciando...?»
«Io tengo la bocca chiusa, è per questo che venite qui, no?»
«Ripeto che ho visto un Patronus cervo!» urlò il primo Mangiamorte.
«Cervo?» tuonò il barista. «È una capra, idiota!»
«D'accordo, ci siamo sbagliati» ammise il secondo Mangiamorte. «Viola ancora il coprifuoco e non saremo così indulgenti!»
I Mangiamorte tornarono verso High Street. Hermione gemette di sollievo, uscì da sotto il Mantello e si lasciò cadere su una sedia traballante. Harry chiuse con cura le tende, poi tirò via il Mantello da sé e Ron. Sentirono il barista sprangare di nuovo la porta di sotto e salire le scale. L'attenzione di Harry fu catturata da qualcosa sulla mensola del camino: un piccolo specchio rettangolare appoggiato sotto il ritratto della fanciulla. Il barista entrò.
«Maledetti imbecilli» mugugnò burbero, guardandoli uno alla volta.
«Come vi è saltato in mente di venire qui?»
«Grazie» replicò Harry, «non potremo mai ringraziarla abbastanza. Ci ha salvato la vita».
Il barista grugnì. Harry si avvicinò e lo osservò, cercando di vedere oltre i lunghi, stopposi capelli grigio ferro e la barba. Portava gli occhiali. Dietro le lenti sudicie, gli occhi erano di un azzurro vivido e penetrante.
«È il suo occhio quello che ho visto nello specchio».
Nella stanza calò il silenzio. Harry e il barista si fissarono.
«Lei ci ha mandato Dobby».
Il barista annuì e si guardò intorno in cerca dell'elfo.
«Pensavo che fosse con voi. Dove l'avete lasciato?»
«È morto» rispose Harry. «L'ha ucciso Bellatrix Lestrange». Il volto del barista rimase impassibile. Dopo qualche istante l'uomo disse: «Mi dispiace. Mi stava simpatico, quell'elfo». Si voltò e accese le lampade a colpi di bacchetta, evitando di guardarli.
«Lei è Aberforth» mormorò Harry rivolto alla schiena dell'uomo. Questi non confermò e non negò, ma si chinò ad accendere il fuoco.
«Come l'ha avuto?» chiese Harry, avvicinandosi allo specchio di Sirius, il gemello di quello che aveva rotto quasi due anni prima.
«L'ho comprato da Mundungus un annetto fa» rispose Aberforth. «Albus mi aveva detto cos'era. Cercavo di tenervi d'occhio».
Ron rimase senza fiato.
«La cerva d'argento!» esclamò, eccitato. «Era sempre lei?»
«Di cosa stai parlando?» chiese Aberforth.
«Qualcuno ci ha mandato un Patronus a forma di cerva!»
«Con un cervello del genere potresti essere un Mangiamorte, ragazzo. Non hai appena visto che il mio Patronus è una capra?»
«Oh» fece Ron. «Sì... be', ho molta fame!» aggiunse a mo' di scusa, mentre il suo stomaco gorgogliava fragoroso.
«Ho del cibo» ribatté Aberforth, e uscì dalla stanza. Riapparve qualche minuto dopo con una grossa pagnotta, del formaggio e una caraffa di peltro colma di idromele, che posò su un tavolino davanti al fuoco. Affamati, mangiarono e bevvero, e per un po' gli unici rumori furono lo scoppiettio del fuoco, il tintinnio dei bicchieri e il rumore delle mascelle.
«Bene» cominciò Aberforth quando si furono saziati; Harry e Ron si erano abbandonati sonnolenti nelle poltrone. «Dobbiamo pensare al modo migliore per tirarvi fuori di qui. Di notte non si può, avete sentito cosa succede se si esce di casa con il buio: parte l'Incanto Gnaulante e vi saltano addosso come Asticelli sulle uova di Doxy. Non credo di poter far passare un cervo per una capra un'altra volta. All'alba, quando cesserà il coprifuoco, potrete rimettervi il Mantello e andarvene a piedi. Uscite subito da Hogsmeade, andate sulle montagne: là potrete Smaterializzarvi. Magari incontrate Hagrid. Si nasconde lassù in una grotta con Grop da quando hanno cercato di arrestarlo».
«Noi non ce ne andiamo» rispose Harry. «Dobbiamo entrare a Hogwarts».
«Non essere stupido, ragazzo» replicò Aberforth.
«Dobbiamo» insisté Harry.
«Quello che dovete fare» osservò Aberforth, chinandosi in avanti, «è
andare il più lontano possibile da qui».
«Lei non capisce. Non c'è molto tempo. Dobbiamo entrare nel castello. Silente... cioè, suo fratello... voleva che noi...»
Per un attimo la luce del fuoco rese le lenti unte degli occhiali di Aberforth opache, di un bianco luminescente e piatto, che a Harry ricordò gli occhi ciechi del ragno gigante, Aragog.
«Mio fratello Albus voleva un sacco di cose» commentò Aberforth, «e di solito la gente aveva il vizio di farsi del male nel corso dei suoi grandiosi piani. Vattene da questa scuola, Potter, e anche dal paese, se puoi. Dimentica mio fratello e i suoi audaci progetti. È andato dove niente di tutto questo può ferirlo e tu non gli devi nulla».
«Lei non capisce» ripeté Harry.
«Oh, davvero?» mormorò Aberforth. «Tu credi che io non capissi mio fratello? Credi di aver conosciuto Albus meglio di me?»
«Non è questo che volevo dire» replicò Harry, un po' inebetito dalla stanchezza e dall'eccesso di cibo e vino. «È che... mi ha lasciato un compito».
«Ma davvero?» fece Aberforth. «Un bel lavoretto, spero. Piacevole? Facile? Il genere di cosa che un qualsiasi maghetto possa eseguire senza troppi sforzi?»
Ron sbottò in una risata cupa. Hermione era tesa.
«Io... non è facile, no» rispose Harry. «Ma devo...»
«'Devi'? Perché 'devi'? È morto, no?» insisté Aberforth senza riguardo.
«Lascia perdere, ragazzo, se non vuoi fare la sua fine! Salvati!»
«Non posso».
«Perché no?»
«Io...» Harry era sopraffatto; non riusciva a spiegarsi, quindi decise di contrattaccare. «Ma anche lei lotta, fa parte dell'Ordine della Fenice...»
«Una volta» lo corresse Aberforth. «L'Ordine della Fenice non c'è più. Tu-Sai-Chi ha vinto, è finita, e chiunque finga di credere il contrario si sbaglia. Qui non sarai mai al sicuro, Potter, lui ti vuole troppo. Vai all'estero, entra in clandestinità, salvati. Meglio se porti questi due con te». E indicò Ron e Hermione col pollice. «Saranno sempre in pericolo, adesso che tutti sanno che lavorano con te».
«Non posso andar via. Ho un compito...»
«Passalo a qualcun altro!»
«Non posso. Devo essere io, Silente mi ha spiegato...»
«Oh, davvero? E ti ha detto tutto, è stato onesto con te?»
Harry avrebbe voluto con tutto il cuore rispondere di sì, ma quel semplice monosillabo non gli salì alle labbra. Aberforth parve capire che cosa stava pensando.
«Conoscevo mio fratello, Potter. Ha succhiato la segretezza con il latte di mia madre. Segreti e bugie, ecco come siamo cresciuti, e Albus... aveva un talento naturale».
Lo sguardo del vecchio si posò sul ritratto della fanciulla sopra il camino. Harry si accorse che era la sola immagine nella stanza. Non c'erano foto di Albus Silente né di altri.
«Signor Silente» intervenne timidamente Hermione. «Quella è sua sorella? Ariana?»
«Sì» rispose subito Aberforth. «Hai letto Rita Skeeter, eh, signorina?»
Anche alla luce rosata del fuoco si notava che Hermione era arrossita.
«Ce ne ha parlato Elphias Doge» spiegò Harry, cercando di difendere Hermione.
«Quel vecchio stupido» borbottò Aberforth, tracannando un'altra sorsata di idromele. «Era convinto che il sole brillasse da tutti i pori di mio fratello. Be', come un sacco di altra gente, voi tre compresi, a quanto pare». Harry rimase in silenzio. Non era il momento di manifestare i dubbi che lo arrovellavano da mesi. Aveva fatto la sua scelta scavando la tomba per Dobby; aveva deciso di proseguire lungo il tortuoso, rischioso sentiero tracciato per lui da Albus Silente, di accettare che non gli fosse stato detto tutto ciò che avrebbe voluto sapere, ma di fidarsi e basta. Non nutriva alcun desiderio di dubitare ancora, non voleva sentir dire nulla che lo distogliesse dal suo scopo. Incrociò lo sguardo di Aberforth, straordinariamente simile a quello del fratello: gli occhi azzurri sembravano passare ai raggi X
l'oggetto del loro esame, proprio allo stesso modo, e Harry pensò che Aberforth sapesse che cosa stava pensando e lo disprezzasse per questo.
«Il professor Silente teneva a Harry, ci teneva molto» mormorò Hermione.
«Ma davvero?» ribatté Aberforth. «È buffo: un sacco di persone a cui mio fratello teneva molto sono finite peggio che se le avesse lasciate in pace».
«Cosa vuol dire?» chiese Hermione trepidante.
«Lascia perdere» rispose Aberforth.
«Ma è una cosa grave da dire!» obiettò Hermione. «Lei... lei si riferisce a sua sorella?»
Aberforth la scrutò accigliato: le sue labbra si mossero come se stessero masticando le parole che tratteneva. Poi sbottò.
«Quando mia sorella aveva sei anni, fu aggredita da tre ragazzi Babbani. L'avevano vista fare magie, spiando attraverso la siepe del giardino: era una bambina, non poteva controllarlo, nessuno ci riesce a quell'età. Erano spaventati, immagino. Attraversarono a forza la siepe, e quando lei non riuscì a spiegare il trucco, esagerarono un po' nel tentativo di fermare la mostriciattola».
Gli occhi di Hermione erano enormi alla luce del fuoco; Ron pareva nauseato. Aberforth si levò in piedi, alto come Silente, improvvisamente terribile nella rabbia e nell'intensità del suo dolore.
«L'hanno distrutta: non si è mai più ripresa. Non voleva usare la magia, ma non poteva sbarazzarsene, si è come rigirata dentro di lei e l'ha fatta impazzire, esplodeva quando lei non riusciva a dominarla, e a volte era strana, pericolosa. Ma la maggior parte del tempo era dolce, spaventata e innocua.
«Mio padre inseguì quei bastardi» continuò Aberforth, «e li aggredì. Lo rinchiusero ad Azkaban. Non disse mai perché l'aveva fatto, perché se il Ministero avesse scoperto cos'era diventata Ariana l'avrebbe fatta rinchiudere per sempre al San Mungo. L'avrebbero considerata una minaccia allo Statuto Internazionale di Segretezza, squilibrata com'era, con la magia che le schizzava fuori quando non riusciva più a controllarla.
«Dovevamo tenerla al sicuro, nascondere le sue condizioni. Abbiamo traslocato, abbiamo messo in giro la voce che era ammalata e mia madre si è occupata di lei, cercava di farla stare tranquilla e serena.
«Ero io il suo preferito» aggiunse, e in quel momento un ragazzino sporco balenò sotto le rughe e la barba arruffata di Aberforth. «Non Albus, lui stava sempre in camera sua quando era a casa, a leggere i suoi libri e contare i suoi premi, a mantenere viva la corrispondenza con 'i maghi più influenti dell'epoca'» rise. «Non aveva tempo da perdere con lei. Lei preferiva me. Io riuscivo a farla mangiare quando non ce la faceva mia madre, io riuscivo a calmarla durante i suoi accessi, e quando era tranquilla mi aiutava a dar da mangiare alle capre.
«Poi, a quattordici anni... be', io non c'ero. Se ci fossi stato, sarei riuscito a calmarla. Ebbe uno dei suoi attacchi, e mia madre non era più giovane come una volta e... fu un incidente. Ariana non riuscì a controllarsi. Ma mia madre rimase uccisa».
Harry provò un orribile misto di pietà e ripugnanza; non voleva sentire altro, ma Aberforth continuò a raccontare e lui si chiese da quanto tempo non ne parlava; o se ne avesse mai parlato.
«E questo mandò a monte il viaggio di Albus attorno al mondo col piccolo Doge. I due tornarono per il funerale di mia madre e poi Doge partì da solo, e Albus diventò il capofamiglia. Ha!»
Aberforth sputò nel fuoco.
«Avrei badato io a lei, glielo dissi, a me non importava della scuola, sarei rimasto a casa volentieri. Mi rispose che dovevo completare la mia istruzione e che avrebbe preso lui il posto di mia madre. Un bel passo indietro per il Signor Genio, non ti danno premi per star dietro a una sorella mezza matta, per impedirle di far saltare in aria la casa un giorno sì e uno no. Ma Albus se la cavò, per qualche settimana... finché non arrivò
quell'altro».
Ora Aberforth aveva un'espressione decisamente minacciosa.
«Grindelwald. Finalmente mio fratello aveva trovato un suo pari con cui parlare, un ragazzo intelligente e dotato quanto lui. E allora Ariana passò
in secondo piano, perché loro avevano i loro progetti per un nuovo ordine magico da ideare, e i Doni da cercare, o quel che era che li interessava tanto. Progetti grandiosi per il bene di tutta la stirpe magica, e se una ragazzina veniva trascurata, che importanza aveva, visto che Albus lavorava per il bene superiore.
«Ma dopo qualche settimana non ne potevo più. Era quasi il momento di tornare a Hogwarts, così gliel'ho detto, a tutti e due, faccia a faccia, così
come adesso sono qui con voi». Aberforth abbassò lo sguardo su Harry e non ci volle molta immaginazione per figurarselo come un adolescente magro e arrabbiato che affrontava il fratello maggiore. «Ho detto: è meglio che lasci perdere, adesso. Non puoi spostarla, non sta abbastanza bene, non te la puoi portare dietro, ovunque tu stia pensando di andare a fare i tuoi discorsi, a cercare di farti un seguito. Non gli è piaciuto» continuò Aberforth, gli occhi schermati per un attimo dalla luce del fuoco sulle lenti, che brillarono di nuovo vuote e bianche. «A Grindelwald non è piaciuto per niente. Si è arrabbiato. Mi ha detto che ero un ragazzino stupido, che cercavo di intralciare lui e quel genio di mio fratello... non capivo che la mia povera sorella non avrebbe più dovuto nascondersi una volta che avessero cambiato il mondo, tirato i maghi fuori dalla clandestinità e messo al loro posto i Babbani?
«Scoppiò una lite... io presi la mia bacchetta e lui la sua, e il migliore amico di mio fratello mi inflisse la Maledizione Cruciatus... Albus cercò di fermarlo e ci ritrovammo tutti e tre a lottare, e i lampi e le esplosioni la facevano impazzire, non riusciva a sopportarlo...»
Il volto di Aberforth impallidì come se avesse subito una ferita mortale.
«... io credo che volesse aiutarmi, ma non sapeva quello che faceva: non so chi di noi sia stato, potrebbe essere stato chiunque... e morì». La voce gli si spezzò sull'ultima parola e lui si lasciò cadere sulla sedia più vicina. Il viso di Hermione era bagnato di lacrime e Ron era pallido quasi quanto lui. Harry non provava altro che disgusto: avrebbe preferito non ascoltare, avrebbe desiderato potersi ripulire la mente da tutto questo.
«Mi... mi spiace tanto» sussurrò Hermione.
«Perduta» mormorò Aberforth. «Perduta per sempre».
Si asciugò il naso sul polsino e si schiarì la gola.
«Naturalmente Grindelwald tagliò la corda. Aveva già collezionato una bella lista di malefatte nel suo paese e non voleva che anche Ariana fosse messa sul suo conto. E così Albus era libero. Libero dal fardello della sorella, libero di diventare il mago più grande del...»
«Non è mai stato libero» lo interruppe Harry.