«Ma Bill ha visto che veniva colpito dall'Anatema che Uccide» osservò
Harry.
«Sì, ma anche Bill stava combattendo» insisté Ron. «Come fa a essere sicuro di quello che ha visto?»
«Anche se l'Anatema l'avesse mancato, è comunque caduto da trecento metri di altezza» fece notare Hermione, soppesando Squadre di Quidditch della Gran Bretagna e dell'Irlanda.
«Forse ha usato un Sortilegio Scudo...»
«Fleur ha visto la bacchetta saltargli via di mano» osservò Harry.
«E va bene, se volete proprio che sia morto» sbottò Ron, scontroso, prendendo a pugni il cuscino per dargli una forma più comoda.
«Ma certo che non vogliamo che sia morto!» esclamò Hermione, esterrefatta. «È terribile che sia morto! Però siamo realisti!»
Per la prima volta, Harry si figurò il cadavere di Malocchio, spezzato come quello di Silente, con l'occhio che gli ronzava ancora nell'orbita. Provò una fitta di disgusto mescolata a un bizzarro desiderio di ridere.
«I Mangiamorte probabilmente hanno ripulito il campo, per questo nessuno l'ha trovato» disse Ron saggiamente.
«Sicuro» convenne Harry. «Come Barty Crouch, trasformato in un osso e sepolto nel giardino di Hagrid. Probabilmente hanno Trasfigurato Moody e l'hanno impagliato...»
«Smettila!» squittì Hermione. Allarmato, Harry alzò lo sguardo e la vide scoppiare in lacrime sulla sua copia del Sillabario dei Sortilegi.
«Oh, no» esclamò, cercando di alzarsi dalla vecchia branda. «Hermione, non volevo turbarti...»
Ma in un gran cigolio di molle rugginose Ron balzò su dal proprio letto e arrivò per primo. Con un braccio attorno alle spalle di Hermione, frugò
nella tasca dei jeans e ne trasse un disgustoso fazzoletto che aveva usato poco prima per ripulire il forno. Sfoderò la bacchetta, la puntò sullo straccio e mormorò: « Tergeo» . La bacchetta risucchiò gran parte dell'unto. Compiaciuto, Ron diede il fazzoletto ancora fumante a Hermione.
«Oh... grazie, Ron... Mi dispiace...» balbettò lei. Si soffiò il naso e singhiozzò. «È orri-bi-le vero? Su-subito dopo Silente... Io n-non avrei mai immaginato che Malocchio potesse morire, era così forte!»
«Sì, lo so» disse Ron, stringendola. «Ma lo sai che cosa ci direbbe se fosse qui?»
«Vi-vigilanza costante» rispose Hermione, asciugandosi gli occhi.
«Giusto» annuì Ron. «Ci direbbe di imparare da quello che è capitato a lui. E io ho imparato che non bisogna fidarsi di quel piccolo verme codardo di Mundungus» . Hermione rise un po' incerta e si chinò a prendere altri due libri. Un attimo dopo, Ron ritrasse il braccio dalle sue spalle perché lei gli aveva fatto cadere sul piede Il Libro Mostro dei Mostri. Il volume, liberatosi della cinghia che lo chiudeva, azzannò la caviglia di Ron.
«Scusa, scusa!» strillò Hermione, mentre Harry strappava il libro dalla gamba dell'amico e lo risigillava.
«Che cosa ci fai con tutti questi libri, comunque?» le chiese Ron, zoppicando verso il suo letto.
«Sto solo cercando di decidere quali portare con noi» rispose Hermione.
«Quando andremo a cercare gli Horcrux».
«Ah, già». Ron si batté una mano sulla fronte. «Mi ero dimenticato che daremo la caccia a Voldemort in una biblioteca ambulante».
«Ah ah» fece Hermione, guardando il Sillabario dei Sortilegi. «Chissà... dovremo tradurre delle rune? È possibile... meglio portarlo, non si sa mai». Lasciò cadere il sillabario sulla pila più alta e prese Storia di Hogwarts.
«Ascoltate» disse Harry.
Si era seduto diritto. Ron e Hermione lo guardarono entrambi con un misto di rassegnazione e sfida.
«Lo so che dopo il funerale di Silente avevate detto che volevate venire con me» cominciò.
«Ci siamo» borbottò Ron a Hermione alzando gli occhi al cielo.
«Come previsto» sospirò lei, tornando ai libri. «Sapete, credo che porterò Storia di Hogwarts. Anche se non ci torneremo, non mi sentirei a posto senza...»
«Ascoltate!» ripeté Harry.
«No, Harry, ascoltaci tu» ribatté Hermione. «Noi veniamo con te. È stato deciso mesi fa... anzi, anni fa».
«Ma...»
«Zitto» gli suggerì Ron.
«... siete sicuri di averci pensato bene?» insisté Harry.
«Vediamo un po'» fece Hermione con espressione feroce, gettando Trekking con i Troll sulla pila dei libri scartati. «Sono giorni che faccio le valigie per essere pronti a partire senza preavviso, il che, per tua informazione, ha implicato l'esercizio di alcune pratiche magiche piuttosto difficili, per non parlare del furto dell'intera scorta di Pozione Polisucco di Malocchio sotto il naso della mamma di Ron.
«Ho anche modificato i ricordi dei miei genitori in modo che siano convinti di chiamarsi Wendell e Monica Wilkins, che il loro desiderio più
grande sia trasferirsi in Australia, cosa che ora hanno fatto. Così sarà più
difficile che Voldemort li rintracci e li interroghi su di me, o su di te, visto che purtroppo avevo raccontato loro qualcosina.
«Se sopravvivo alla ricerca degli Horcrux, ritroverò mamma e papà e dissolverò l'incantesimo. Se non sopravvivo... be', credo di aver fatto un incanto abbastanza forte da lasciarli felici e contenti. Capisci, Wendell e Monica Wilkins non sanno di avere una figlia».
Gli occhi di Hermione erano di nuovo pieni di lacrime. Ron si alzò di nuovo, la riabbracciò e guardò accigliato Harry, come per rimproverargli una certa mancanza di tatto. Harry non riuscì a spiccicare verbo, soprattutto perché era estremamente insolito che Ron desse lezioni di tatto a chicchessia.
«Io... Hermione, mi dispiace... io non...»
«Non hai capito che io e Ron sappiamo benissimo cosa potrebbe succedere se veniamo con te? Be', invece sì. Ron, mostra a Harry quello che hai fatto».
«No, ha appena mangiato» rispose Ron.
«Avanti, deve saperlo!»
«Oh, d'accordo. Harry, vieni qui».
Per la seconda volta, Ron ritrasse il braccio da Hermione e andò alla porta.
«Vieni».
«Perché?» chiese Harry, seguendo Ron sul minuscolo pianerottolo.
« Descendo» borbottò Ron, puntando la bacchetta contro il soffitto basso. Sopra le loro teste si spalancò una botola e una scala scivolò fino ai loro piedi. Dall'apertura quadrata scaturì un suono orrendo, a metà tra un risucchio e un gemito, insieme a uno sgradevole puzzo di fogna a cielo aperto.
«È il vostro demone, vero?» chiese Harry. Non aveva mai incontrato la creatura che ogni tanto disturbava il silenzio notturno.
«Sì» rispose Ron, e salì per la scala. «Vieni a dargli un'occhiata». Harry lo seguì su per i pochi bassi scalini fino all'angusto solaio. Entrò
con testa e spalle e scorse la creatura rannicchiata a pochi centimetri da lui, addormentata nel buio, la gran bocca socchiusa.
«Ma... sembra... di solito i demoni si mettono il pigiama?»
«No. E di solito non hanno i capelli rossi e nemmeno tutte quelle pustole». Harry contemplò la creatura, un po' disgustato. Era umana per forma e taglia, e quello che indossava era chiaramente, ora che la sua vista si era adattata all'oscurità, un vecchio pigiama di Ron. Harry era anche sicuro che i demoni in genere fossero viscidi e calvi, non pelosi e coperti di bolle viola acceso.
«È me, capisci?» disse Ron.
«No» rispose Harry. «Non capisco».
«Torniamo in camera e ti spiego, la puzza mi dà fastidio». Ridiscesero la scala, che Ron fece rientrare nel soffitto, e raggiunsero Hermione che stava ancora scegliendo i libri.
«Quando ce ne saremo andati, il demone verrà qui nella mia stanza»
spiegò Ron. «Non vede l'ora - be', è difficile essere sicuri, non fa che gemere e sbavare - ma quando glielo dico fa sì con la testa. Comunque sarà
me malato di spruzzolosi. Forte, eh?»
Harry era decisamente confuso.
«Ma sì!» esclamò Ron, deluso perché Harry non aveva colto l'acume del suo piano. «Senti, quando noi tre non torneremo a Hogwarts, tutti penseranno che io e Hermione siamo con te, giusto? Il che vuol dire che i Mangiamorte andranno dritti dalle nostre famiglie per vedere se sanno dove sei».
«Ma se tutto fila liscio sembrerà che io sia partita con mamma e papà; un sacco di figli di Babbani parlano di entrare in clandestinità, in questo momento» spiegò Hermione.
«Non possiamo nascondere tutta la mia famiglia, sarebbe troppo sospetto, e poi non possono lasciare tutti il lavoro» continuò Ron. «Così diremo in giro che io sono gravemente malato di spruzzolosi, e per questo non torno a scuola. Se qualcuno viene a indagare, mamma e papà possono mostrargli il demone nel mio letto, coperto di pustole. La spruzzolosi è molto contagiosa, quindi nessuno vorrà avvicinarsi. Non importa se non sa parlare, perché pare che non ci si riesca più, se il fungo si diffonde fino all'ugola».
«E i tuoi sono d'accordo?» chiese Harry.
«Papà sì. Ha aiutato Fred e George a trasformare il demone. La mamma... be', hai visto com'è. Non accetterà la nostra partenza finché non ce ne saremo andati».
Nella stanza calò il silenzio, interrotto solo dai tonfi soffici dei libri che Hermione gettava sull'una o sull'altra pila. Ron rimase seduto a contemplarla e Harry spostò lo sguardo da lui a lei, incapace di aprire bocca. Le misure per proteggere le loro famiglie, più di qualunque altra cosa, gli fecero capire che sarebbero veramente andati con lui e che sapevano benissimo quanto sarebbe stato pericoloso. Voleva dir loro quanto significava tutto questo per lui, ma non riuscì a trovare parole abbastanza importanti. Nel silenzio si levò il suono soffocato della signora Weasley che urlava quattro piani più giù.
«Ginny avrà lasciato una briciola di polvere su uno di quei portatova-glioli del cavolo» commentò Ron. «Non so proprio perché i Delacour devono venire due giorni prima del matrimonio».
«La sorella di Fleur è una delle damigelle, dev'essere qui per le prove ed è troppo piccola per viaggiare da sola» spiegò Hermione, soppesando indecisa A Merenda con la Morte.
«Be', gli ospiti non faranno bene al livello di stress della mamma» commentò Ron. Hermione gettò senza esitare Teoria della Magia Difensiva nel cestino e prese Compendio sull'Istruzione Magica in Europa. «Quello che dobbiamo decidere» disse «è dove andremo. So che vorresti andare subito a Godric's Hollow, Harry, e capisco perché, ma... be'... non dovremmo dare la precedenza agli Horcrux?»
«Se sapessimo dove sono, sarei d'accordo con te» le rispose Harry, convinto che Hermione non comprendesse fino in fondo il suo desiderio di tornare a Godric's Hollow. La tomba dei suoi genitori era solo parte del richiamo: aveva la forte quanto inspiegabile sensazione che quel posto avesse in serbo delle risposte. Forse era solo perché laggiù era sopravvissuto all'Anatema che Uccide di Voldemort; ora, davanti all'idea di dover replicare l'impresa, Harry era attratto dal luogo dove era avvenuta, voleva capire.
«Non credi che Voldemort stia tenendo d'occhio Godric's Hollow?»
chiese Hermione. «Forse si immagina che tu vada a vedere la tomba dei tuoi genitori, una volta libero di andare dove vuoi».
A questo Harry non aveva pensato. Mentre cercava una replica adeguata, Ron intervenne, seguendo un suo filo di pensieri.
«Questo R.A.B. Sapete, quello che ha rubato il vero medaglione». Hermione annuì.
«In quel biglietto diceva che l'avrebbe distrutto, no?»
Harry prese dallo zaino il falso Horcrux che ancora conteneva il biglietto di R.A.B.
« 'Ho rubato il vero Horcrux e intendo distruggerlo appena possibile' »
lesse Harry.
«Be', magari l'ha fatto, l'ha già distrutto lui» concluse Ron.
«O lei» s'inserì Hermione.
«Lui o lei. Sarebbe sempre uno in meno per noi!»
«Sì, ma dovremo comunque rintracciare il medaglione vero, no?» osservò Hermione. «Per scoprire se è stato distrutto».
«E quando l'avremo trovato, come si fa a distruggere un Horcrux?» chie-se Ron.
«Be'» rispose Hermione, «ho fatto delle ricerche».
«E dove?» domandò Harry. «Pensavo che non si trovassero libri sugli Horcrux in biblioteca».
«Infatti» ribatté Hermione. Era arrossita. «Silente li aveva tolti, ma... non distrutti».
Ron si rizzò a sedere, gli occhi sbarrati.
«Per le mutande di Merlino, come hai fatto a mettere le mani su quei libri?»
«Non... non li ho rubati!» si difese Hermione, guardando prima Harry e poi Ron con aria quasi disperata. «Erano pur sempre libri della biblioteca, anche se Silente li aveva tolti dagli scaffali. Comunque, se davvero avesse voluto che non li vedesse nessuno, avrebbe fatto in modo che fosse molto più complicato...»
«Stringi!» disse Ron.
«Be'... è stato facile» confessò Hermione con una vocina. «È bastato un Incantesimo di Appello. Sapete... Accio. E sono schizzati fuori dalla finestra dello studio di Silente dritto nel dormitorio delle ragazze».
«Ma quando l'hai fatto?» chiese Harry, guardando Hermione con un misto di ammirazione e incredulità.
«Subito dopo il suo... il funerale di Silente» rispose Hermione, con voce sempre più flebile. «Subito dopo che avevamo deciso di lasciare la scuola e andare a cercare gli Horcrux. Quando sono tornata di sopra a prendere le mie cose, mi è... mi è venuto in mente che più ne sapevamo meglio era... ero sola... così ci ho provato... e ha funzionato. Sono volati dentro dalla finestra aperta e io... io li ho messi in valigia». Deglutì e poi aggiunse, supplichevole: «Non credo che Silente si sarebbe arrabbiato, non vogliamo mica usarli per fare un Horcrux, no?»
«E chi ha detto niente?» ribatté Ron. «Ma dove sono questi libri?»
Hermione cercò nella pila e ne sfilò un grosso volume con la legatura di pelle nera sbiadita. Fece una smorfia di disgusto e lo resse con cautela, come se fosse una cosa morta da poco.
«Questo contiene istruzioni esplicite su come fare un Horcrux. Segreti dell'Arte Più Oscura... è un libro terribile, veramente orrendo, trabocca di magia malvagia. Chissà quand'è stato che Silente l'ha spostato dalla biblioteca... se non l'ha fatto prima di diventare preside, scommetto che Voldemort ha trovato qui tutte le indicazioni di cui aveva bisogno».
«Perché ha dovuto chiedere a Lumacorno come fare un Horcrux, allora, se aveva già letto questo?» chiese Ron.
«Andò da Lumacorno solo per scoprire che cosa sarebbe successo se avesse diviso l'anima in sette» spiegò Harry. «Silente era certo che Riddle sapesse già come fare un Horcrux quando chiese a Lumacorno di parlargliene. Secondo me hai ragione, Hermione, è probabile che abbia trovato lì
le informazioni».
«E più ne leggo» continuò Hermione, «più mi sembrano orribili e meno riesco a credere che ne abbia fatti veramente sei. Questo libro dice chiaramente che se si fa a pezzi l'anima si diventa molto instabili, e parla di un solo Horcrux!»
Harry ricordò le parole di Silente: Voldemort si era spinto oltre 'il male corrente'.
«E non c'è modo di rimettersi insieme?» chiese Ron.
«Sì» rispose Hermione con un sorriso cupo, «ma è tremendamente doloroso» .
«Perché? Come si fa?» domandò Harry.
«Col rimorso» spiegò Hermione. «Devi avere la piena consapevolezza di quello che hai fatto. C'è una nota a piè di pagina. Pare che il dolore possa distruggerti. Ma non riesco a immaginarmi che Voldemort ci provi, e voi?»
«No» convenne Ron, anticipando Harry. «Quindi quel libro dice come distruggere gli Horcrux?»
«Sì» rispose Hermione, voltando le pagine fragili come se stesse esaminando delle viscere in putrefazione, «perché avverte i Maghi Oscuri di praticare incantesimi potentissimi per proteggerli. Da quanto ho letto, quel che ha fatto Harry al diario di Riddle è uno dei pochi modi davvero infallibili di distruggere un Horcrux».
«Cioè pugnalarlo con una zanna di Basilisco?» chiese Harry.
«Oh, be', meno male che ne abbiamo una bella scorta, allora» commentò
Ron. «Mi stavo giusto chiedendo che cosa farne».
«Non deve essere per forza una zanna di Basilisco» ribatté Hermione, paziente. «Dev'essere qualcosa di così devastante che l'Horcrux non possa autoripararsi. Il veleno di Basilisco possiede un solo antidoto, estremamente raro...»
«... le lacrime di fenice» concluse Harry, annuendo.
«Precisamente. Il nostro problema è che ci sono pochissime sostanze micidiali quanto il veleno di Basilisco e sono tutte pericolose da portare in giro. È un problema che dovremo risolvere, però, perché strappare, schiac-ciare o frantumare un Horcrux non basterà. Bisogna che sia impossibile ripararlo con la magia» .
«Ma anche se distruggiamo l'oggetto che lo ospita» obiettò Ron, «perché
quel frammento di anima non può andarsene a vivere dentro qualcos'altro?»
«Perché un Horcrux è l'esatto opposto di un essere umano». Vista la confusione di Harry e Ron, Hermione si affrettò ad aggiungere:
«Sentite, se io adesso ti infilzassi con una spada, Ron, non farei alcun danno alla tua anima».
«Il che mi sarebbe di enorme conforto» disse Ron.
Harry scoppiò a ridere.
«Be', dovrebbe esserlo! Ma quello che voglio dire è che, qualunque cosa accada al tuo corpo, la tua anima sopravviverà intatta» continuò Hermione.
«Per un Horcrux è il contrario. Il frammento di anima all'interno dipende dal contenitore, dal suo corpo incantato, per la sopravvivenza. Non può esistere senza».
«Quel diario è come morto quando l'ho pugnalato» osservò Harry, ricordando l'inchiostro che scorreva come sangue dalle pagine trafitte e le urla del frammento di anima di Voldemort che svaniva.
«E una volta distrutto il diario nel modo corretto, il frammento di anima che vi era intrappolato non poteva più esistere. Ginny ha cercato di liberarsi del diario prima di te, gettandolo nel water, ma naturalmente era tornato su come nuovo».
«Aspetta» fece Ron, accigliato. «Il frammento di anima in quel diario possedeva Ginny, no? Ma allora come funziona?»
«Quando il contenitore magico è ancora intatto, il frammento di anima che conserva può volare dentro e fuori da chi si avvicina troppo all'oggetto. Non dico se lo si tiene in mano troppo a lungo, toccarlo non c'entra»
aggiunse, prima che Ron potesse interromperla. «Parlo di una vicinanza emotiva. Ginny aveva riversato il suo cuore in quel diario e si era resa straordinariamente vulnerabile. Se ci si affeziona troppo a un Horcrux o si dipende da esso, sono guai».
«Chissà se Silente ha distrutto l'anello» mormorò Harry. «Perché non gliel'ho chiesto? Non mi è mai...»
Tacque: pensava a tutte le cose che avrebbe dovuto chiedere a Silente; dalla sua morte gli sembrava di aver sprecato tante occasioni, quando era ancora vivo, per saperne di più... per scoprire tutto...
La porta si aprì con un tonfo da far tremare le pareti. Hermione strillò e lasciò cadere a terra Segreti dell'Arte Più Oscura; Grattastinchi strisciò
sotto il letto, soffiando indignato; Ron balzò in piedi, scivolò su una carta di Cioccorana e batté la testa contro il muro di fronte, e Harry d'istinto si tuffò per prendere la bacchetta prima di rendersi conto che stava fissando la signora Weasley, spettinata e stravolta dalla rabbia.
«Mi dispiace interrompere questa riunioncina intima» disse, con voce vibrante. «Sono sicura che avete tutti bisogno di riposare... ma ci sono i regali di nozze accatastati nella mia stanza, e bisogna dividerli, e avevo come l'impressione che voleste dare una mano».
«Oh, certo» scattò Hermione, terrorizzata. Balzò in piedi, facendo schizzare libri dappertutto. «Noi... ci dispiace...»
Con uno sguardo affranto a Harry e Ron, seguì la signora Weasley fuori dalla stanza.
«Mi sembra di essere un elfo domestico» si lamentò sottovoce Ron, massaggiandosi la testa e uscendo con Harry. «Ma senza le soddisfazioni del lavoro. Prima finisce questo matrimonio, più sarò felice».
«Sicuro» commentò Harry. «Poi dovremo soltanto trovare gli Horcrux... sarà come una vacanza, no?»
Ron fece per ridere, ma si bloccò alla vista dell'enorme pila di regali che li aspettavano nella stanza della signora Weasley.
I Delacour arrivarono la mattina dopo alle undici. Harry, Ron, Hermione e Ginny covavano ormai un certo risentimento nei confronti della famiglia di Fleur, e fu con malagrazia che Ron risalì le scale per mettersi dei calzini appaiati e Harry cercò di appiattirsi i capelli. Una volta passato l'esame, si riunirono nel cortile soleggiato in attesa degli invitati. Harry non aveva mai visto il cortile della Tana così tirato a lucido. I calderoni arrugginiti e i vecchi stivali di gomma che di solito ingombravano i gradini della porta erano spariti, rimpiazzati da due nuovi Cespugli Farfallini in grandi portavasi ai lati della soglia; anche senza vento, le foglie si agitavano pigre con un gradevole effetto ondeggiante. Le galline erano state rinchiuse, il cortile spazzato e il giardino accanto potato, ripulito e agghindato, anche se Harry, a cui piaceva più selvatico, lo trovava triste senza il consueto drappello di gnomi saltellanti. Aveva perso il conto di tutti gli incantesimi di sicurezza imposti sulla Tana dall'Ordine e dal Ministero; sapeva solo che nessuno poteva più arrivarci per vie magiche. Il signor Weasley quindi era andato a prendere i Delacour sulla cima di un vicino colle, dove sarebbero giunti con una Passaporta. Il primo sentore del loro arrivo fu una risata insolitamente acuta del signor Weasley, il quale apparve al cancello qualche attimo dopo, carico di bagagli, facendo strada a una bella signora bionda in un lungo abito verde foglia che poteva solo essere la madre di Fleur.
« Maman! » strillò Fleur, e si gettò tra le sue braccia. « Papa! »
Monsieur Delacour non si avvicinava nemmeno remotamente alla bellezza della moglie; era più basso di una spanna e decisamente grassoccio, con una barbetta nera a punta. Però sembrava di buon carattere. Rimbalzò
sui suoi stivali col tacco alto fino alla signora Weasley e la baciò due volte su ogni guancia, lasciandola confusa.
«Avete fatto tonta fatica» disse con voce profonda. «Fleur sci ha raccontato che avete lavorato tonto».
«Oh, non è stato nulla, nulla!» trillò la signora Weasley. «Nessun disturbo!»
Ron si sfogò sferrando un calcio a uno gnomo sbucato da uno dei nuovi Cespugli Farfallini.
«Cara signora!» esclamò Monsieur Delacour, trattenendo fra le sue mani grassocce quella della signora Weasley e sfoderando un gran sorriso.
«Siamo onoratisimi dell'imminonte uniòn delle nostre famiglie! Mi permetta di presontarle mia molie Apolline». Madame Delacour veleggiò in avanti e si chinò a baciare a sua volta la signora Weasley.
« Enchantée» disse. «Suo marito sci ha raccontato delle storielle molto amusonti!»
Il signor Weasley eruppe in una risatina folle; ma a un'occhiataccia della signora Weasley si zittì all'istante e assunse un'espressione che sarebbe stata più appropriata al capezzale di un caro amico.
«E naturalmonte conoscete la mia filia picola, Gabrielle!» continuò
Monsieur Delacour. Gabrielle era Fleur in miniatura; undici anni, capelli di puro argento lunghi fino alla vita, scoccò alla signora Weasley un sorriso abbagliante e la abbracciò, poi spedì a Harry uno sguardo ardente, battendo le ciglia. Ginny tossicchiò.
«Be', su, entrate» fece la signora Weasley allegra, e sospinse i Delacour dentro casa, con un adeguato corredo di 'Ma prego!', 'Dopo di lei!' e 'Si figuri!'
I Delacour si rivelarono ospiti piacevoli e disponibili. Erano contenti di tutto e pronti a dare una mano con i preparativi. Monsieur Delacour definì
ogni cosa 'charmant' , dalla disposizione dei posti a tavola alle scarpe delle damigelle. Madame Delacour era abilissima negli incantesimi domestici e ripulì il forno in un baleno; Gabrielle seguiva la sorella cercando di aiutare come poteva, parlottando fitto in francese.
Purtroppo la Tana non era fatta per ospitare tanta gente. I signori Weasley dormivano in salotto: tacitate le proteste dei signori Delacour, avevano insistito perché prendessero la loro camera da letto. Gabrielle dormiva con Fleur nella vecchia stanza di Percy mentre Bill avrebbe condiviso la propria con Charlie, il suo testimone, quando fosse arrivato dalla Romania. Le occasioni di fare piani insieme divennero praticamente nulle, e fu per disperazione che Harry, Ron e Hermione si offrirono di dar da mangiare alle galline, solo per sfuggire alla casa sovraffollata.
«E comunque non ci vuole lasciare soli!» sibilò Ron, quando il loro secondo tentativo di incontrarsi in cortile fu sventato dalla comparsa della signora Weasley con un cestone di biancheria lavata tra le braccia.
«Oh, bene, avete dato da mangiare alle galline» esclamò avvicinandosi.
«Meglio rinchiuderle prima che arrivino gli uomini domani... a montare la tenda per le nozze» spiegò, appoggiata al pollaio. Era sfinita. «I Magigazebo Millamant... sono molto bravi. Li andrà a prendere Bill... meglio se resti in casa mentre sono qui, Harry. Devo dire che organizzare un matrimonio è più complicato con tutti quegli incantesimi di protezione in giro».
«Mi spiace» disse Harry, mortificato.
«Oh, non fare lo sciocco, caro!» ribatté subito la signora Weasley. «Non volevo dire... be', la tua sicurezza è molto più importante! Anzi è da un po'
che volevo chiederti come vuoi festeggiare il tuo compleanno, Harry. Diciassette... dopotutto è un giorno importante...»
«Niente di speciale» rispose in fretta Harry, pensando allo stress ulteriore che questo avrebbe comportato. «Davvero, signora Weasley, una cena normale andrà benissimo... è il giorno prima del matrimonio...»
«Oh, be', come vuoi, caro. Inviterò Remus e Tonks, eh? E Hagrid, magari?»
«Sarebbe splendido. Ma la prego, non faccia troppa fatica».
«Ma no, ma no... nessuna fatica...»
Gli rivolse un lungo sguardo indagatore, poi sorrise un po' triste, raddrizzò la schiena e se ne andò. Harry la vide agitare la bacchetta vicino ai fili per stendere, e gli abiti umidi si sollevarono e si appesero; all'improvviso provò un'ondata di rimorso per il disturbo e il dolore che le procurava.
CAPITOLO 7
IL TESTAMENTO DI ALBUS SILENTE
Camminava lungo una strada di montagna, nella fresca luce azzurra dell'alba. Molto più in basso, avvolta nella nebbia, l'ombra di una piccola città. L'uomo che cercava era laggiù? L'uomo di cui aveva un tale bisogno da non riuscire a pensare ad altro, l'uomo che possedeva la risposta, la risposta al suo problema...
«Ehi, svegliati».
Harry aprì gli occhi. Era di nuovo disteso sulla branda nella squallida soffitta di Ron. Il sole non era ancora sorto e la stanza era foderata di ombre. Vide Leotordo addormentato con la testa sotto la piccola ala. La cicatrice lo tormentava.
«Hai parlato nel sonno».
«Davvero?»
«Sì. 'Gregorovich'. Continuavi a dire 'Gregorovich'».
Harry non aveva gli occhiali; il volto di Ron gli apparve un po' sfocato.
«Chi è Gregorovich?»
«Non lo so. Sei tu che l'hai detto».
Harry si grattò la fronte, riflettendo. Aveva una vaga idea di aver già
sentito quel nome, ma non riusciva a ricordare dove.
«Credo che Voldemort lo stia cercando».
«Poveraccio» commentò Ron con ardore.
Harry si alzò a sedere, strofinandosi la cicatrice, ormai sveglio. Cercò di ricordare di preciso che cosa aveva visto nel sogno, ma gli venne in mente solo un orizzonte montuoso e il profilo del piccolo villaggio rannicchiato in una valle profonda.
«Credo che sia all'estero».
«Chi, Gregorovich?»
«Voldemort. Credo che sia da qualche parte all'estero, in cerca di Gregorovich. Non sembrava in Gran Bretagna».
«Secondo te vedi di nuovo nella sua mente?»
Ron era preoccupato.
«Ti prego, non dirlo a Hermione» supplicò Harry. «Anche se non so come possa pretendere che io smetta di vedere cose nel sonno...»
Guardò la gabbietta di Leotordo, concentrandosi... Perché il nome
'Gregorovich' gli era familiare?
«Credo» proseguì lentamente «che c'entri con il Quidditch. Ci dev'essere un legame, ma non riesco... non riesco a capire quale».
«Con il Quidditch?» ripeté Ron. «Non vuoi dire Gorgovich, vero?»
«Chi?»
«Dragomir Gorgovich, Cacciatore, comprato dai Cannoni di Chudley per una cifra record due anni fa. Il più alto numero di Pluffe perse in una stagione».
«No» rispose Harry. «Decisamente non pensavo a Gorgovich».
«Anch'io ci provo» replicò Ron. «Be', comunque buon compleanno».
«Wow... è vero, me l'ero dimenticato! Ho diciassette anni!»
Harry afferrò la bacchetta che era a terra accanto alla branda, la puntò
verso la scrivania ingombra su cui aveva lasciato gli occhiali e disse: « Ac- cio occhiali! » Erano solo a mezzo metro, ma fu un'immensa soddisfazione vederli sfrecciare verso di lui, almeno finché non gli si ficcarono nell'occhio.
«Bel colpo» sbuffò Ron.
Godendosi la liberazione dalla Traccia, Harry spedì le cose di Ron in volo per tutta la stanza, svegliando Leotordo che prese a sbatacchiare agitato nella gabbia. Cercò anche di allacciarsi le scarpe da tennis con la magia (gli ci vollero parecchi minuti per poi slacciarle a mano) e, per il puro piacere di farlo, trasformò l'arancione delle divise sui poster dei Cannoni di Chudley in blu elettrico.
«La cerniera me la tirerei su col vecchio metodo, comunque» gli consigliò Ron, e ridacchiò perché Harry si affrettò a controllare. «Ecco il mio regalo. Aprilo qui, è meglio che mia madre non lo veda» .
«Un libro?» esclamò Harry prendendo il pacco rettangolare. «Andiamo contro la tradizione, eh?»
«Non è un libro come gli altri» spiegò Ron. «È oro puro: Dodici Passi Infallibili per Sedurre una Strega. Dice tutto quello che bisogna sapere sulle ragazze. Se solo l'avessi avuto l'anno scorso, avrei saputo come liberarmi di Lavanda e come cavarmela con... be', a me l'hanno regalato Fred e George e ho imparato un mucchio di cose. Ti sorprenderà, e non parla solo di trucchi con la bacchetta».
Quando scesero in cucina, trovarono una catasta di regali sul tavolo. Bill e Monsieur Delacour stavano finendo la colazione e la signora Weasley chiacchierava con loro mentre cucinava.
«Arthur ti fa gli auguri, Harry» lo accolse con un gran sorriso. «È andato al lavoro presto. Ma tornerà per cena. Il nostro regalo è quello in cima». Harry si sedette, prese il pacco quadrato che gli era stato indicato e lo scartò. Era un orologio molto simile a quello che i signori Weasley avevano regalato a Ron per i diciassette anni; d'oro, con stelle al posto delle lan-cette.
«È tradizione regalare un orologio a un mago quando diventa maggiorenne» spiegò la signora Weasley, osservandolo ansiosa dal fornello. «Mi spiace che questo non sia nuovo come quello di Ron: era di mio fratello Fabian che non aveva molta cura delle sue cose, è un po' ammaccato sul retro, ma...»
Harry si alzò e la mise a tacere con un grande abbraccio. Cercò di metterci un sacco di cose non dette, e forse lei le capì, perché gli accarezzò
goffa la guancia quando lui la lasciò andare, poi agitò la bacchetta un po' a caso, facendo cadere mezza confezione di bacon dalla padella a terra.
«Buon compleanno, Harry!» esclamò Hermione entrando di corsa in cucina per deporre il suo regalo in cima alla pila. «È solo un pensiero, ma spero che ti piaccia. Tu cosa gli hai regalato?» aggiunse, rivolta a Ron, che la ignorò e disse invece: «Dai, su, apri quello di Hermione». Gli aveva comprato uno Spioscopio nuovo. Gli altri pacchetti contenevano un rasoio incantato da parte di Bill e Fleur («Ah, sì, questo ti garontisce la rasatura più soffisce del mondo» gli assicurò Monsieur Delacour.
«Ma devi dirgli chiaramonte sciò che vuoi... altrimonti ti ritrovi con meno peli di quelli che volevi...»), cioccolatini dai Delacour e un'enorme scatola assortita dei più recenti Tiri Vispi Weasley da Fred e George. Harry, Ron e Hermione non indugiarono a tavola: l'arrivo di Madame Delacour, Fleur e Gabrielle aveva reso la cucina molto affollata.
«Te li metto via io» disse allegramente Hermione, prendendo i regali dalle braccia di Harry e i tre si avviarono di nuovo di sopra. «Ho quasi finito coi bagagli, sto solo aspettando che il resto delle tue mutande esca dalla lavatrice, Ron...»
Il balbettio imbarazzato di Ron fu interrotto da una porta che si apriva sul pianerottolo del primo piano.
«Harry, vieni dentro un momento?»
Era Ginny. Ron si bloccò, ma Hermione lo prese per il gomito e lo spinse su per le scale. Nervoso, Harry seguì Ginny nella sua stanza. Non c'era mai entrato. Era piccola ma luminosa. Su una parete c'era un grande manifesto del complesso delle Sorelle Stravagarie, e sull'altra la foto di Gwenogjones, Capitano della squadra femminile delle Holyhead Arpies. Cera una scrivania davanti alla finestra aperta, che dava sull'orto dove una volta avevano giocato a Quidditch due contro due con Ron e Hermione e dove ora campeggiava un enorme tendone bianco perlaceo. La bandiera d'oro in cima arrivava all'altezza della finestra. Ginny guardò Harry negli occhi, trasse un gran respiro e disse: «Buon compleanno».
«Sì... grazie».
Continuava a guardarlo dritto negli occhi, lui invece non ci riusciva; era come fissare una luce abbagliante.
«Bella vista» mormorò debolmente, indicando la finestra.
Lei lo ignorò. Non poteva biasimarla.
«Non sapevo cosa regalarti».
«Non dovevi regalarmi niente».
Lei ignorò anche questo.
«Non sapevo cosa ti sarebbe servito. Niente di troppo grande, perché
non puoi portarlo con te».
Harry azzardò un'occhiata. Non piangeva; era una delle molte cose meravigliose di Ginny: piangeva molto di rado. Avere sei fratelli doveva averla temprata. Lei fece un passo verso di lui.
«Quindi ho scelto qualcosa che ti faccia pensare a me, sai, nel caso incontrassi qualche Veela mentre sei in giro a fare quello che fai».
«Le possibilità di uscire con delle ragazze saranno abbastanza scarse, a essere sincero».
«È proprio quello che speravo» sussurrò lei, e lo baciò come non l'aveva mai baciato prima. Harry rispose al bacio, e fu beato oblio, meglio del Whisky Incendiario; era la sola cosa autentica al mondo: Ginny, sentirla lì, tenerle una mano sulla schiena e l'altra affondata nei lunghi capelli profumati... La porta si spalancò. Harry e Ginny si separarono con un sussulto.
«Oh» fece Ron, secco. «Scusate».
«Ron!» Hermione era alle sue spalle, senza fiato. Calò un silenzio teso, poi Ginny disse con una vocina piatta: «Be', comunque buon compleanno, Harry».
Ron aveva le orecchie scarlatte; Hermione era nervosa. Harry avrebbe voluto sbattere loro la porta in faccia, ma era come se fosse entrata una corrente fredda e quel momento splendido era esploso come una bolla di sapone. Tutte le ragioni per porre fine alla storia con Ginny, per starle lontano, erano entrate nella stanza insieme a Ron e quel felice oblio era svanito. Guardò Ginny. Voleva dirle qualcosa, non sapeva bene cosa, ma lei gli voltò le spalle. Forse per una volta avrebbe ceduto alle lacrime. E lui non poteva fare nulla per consolarla davanti a Ron.
«Ci vediamo dopo» mormorò, e seguì gli altri due fuori.
Ron marciò fino al piano di sotto, attraversò la cucina ancora affollata e uscì nel cortile, con Harry dietro. Hermione li seguì, spaventata. Una volta raggiunto il prato appena falciato, Ron si scagliò contro Harry.
«L'hai piantata. E adesso cosa fai, la prendi in giro?»
«Non la sto prendendo in giro» rispose Harry. Hermione li raggiunse.
«Ron...»
Ma Ron alzò una mano per zittirla.
«Era a pezzi quando l'hai lasciata...»
«Anch'io. Lo sai perché ho chiuso, non l'ho voluto io».
«Sì, ma adesso ti trovo lì a baciarla, e magari lei spera ancora...»
«Non è una stupida, sa che non può succedere, non si aspetta che noi... finiamo per sposarci, o...»
Nel dirlo, prese forma nella sua mente l'immagine vivida di Ginny vestita di bianco, che si sposava con un estraneo alto, senza volto, sgradevole. In un solo vorticoso istante se ne rese conto: il futuro di lei era libero e sgombro, mentre il suo... davanti a sé vedeva solo Voldemort.
«Se continui a metterle le mani addosso tutte le volte che puoi...»
«Non succederà più» ribatté Harry, aspro. Non c'era una nuvola, ma gli parve che il sole fosse sparito. «Va bene?»
Ron era un po' irritato un po' impacciato; si dondolò avanti e indietro, poi disse: «D'accordo, be', allora... va bene».
Ginny non cercò un'altra occasione per restare sola con Harry per tutto il resto della giornata, né dai suoi sguardi o dai suoi gesti trasparì che avessero condiviso altro che una garbata conversazione nella sua stanza. Ma l'arrivo di Charlie fu un sollievo per Harry. Fu una distrazione vedere la signora Weasley costringere il figlio a sedersi, levare minacciosa la bacchetta e annunciargli che stava per subire un sacrosanto taglio di capelli. Siccome la cena di compleanno di Harry avrebbe messo a dura prova la cucina della Tana anche senza Charlie, Lupin, Tonks e Hagrid, i tavoli furono disposti tutti in fila nel giardino. Fred e George stregarono parecchie lanterne viola, tutte decorate con un gran 17, che flottarono tra gli invitati. Grazie alle cure della signora Weasley, la ferita di George era pulita, ma Harry non si era ancora abituato a vedere quel buco nella sua testa, nonostante i gemelli continuassero a scherzarci sopra. Hermione fece sbucare dalla bacchetta festoni viola e oro che drappeg-giò con grazia su alberi e cespugli.
«Bello» commentò Ron, quando con un ultimo svolazzo della bacchetta Hermione colorò d'oro le foglie del melo selvatico. «Hai un dono per queste cose».
«Grazie, Ron!» esclamò Hermione, lusingata e un po' imbarazzata. Harry si voltò, sorridendo tra sé. Aveva il sospetto che avrebbe trovato un capitolo sui complimenti tra i Dodici Passi Infallibili per Sedurre una Strega; intercettò lo sguardo di Ginny e le sorrise, poi ricordò la promessa fatta a Ron e avviò in fretta una conversazione con Monsieur Delacour.
«Largo, largo!» canticchiò la signora Weasley, varcando il cancello con un Boccino grande come un pallone da spiaggia davanti a sé. Qualche istante dopo Harry si rese conto che quella era la sua torta di compleanno, che la signora Weasley teneva sospesa con la bacchetta per non trasportarla sul terreno irregolare. Quando la torta finalmente atterrò al centro della tavola, Harry commentò: «È straordinaria, signora Weasley».
«Oh, non è nulla, caro» rispose lei con affetto. Ron, alle sue spalle, gli fece cenno coi pollici in su.
Per le sette arrivarono tutti gli ospiti. Fred e George, che li attendevano in fondo al viottolo, li scortarono fino a casa. Hagrid per l'occasione indossava il suo migliore, orrido completo marrone peloso. Lupin sorrise stringendo la mano a Harry, ma pareva decisamente infelice. Era molto strano; Tonks, al suo fianco, era radiosa.
«Buon compleanno, Harry» gli disse, avvolgendolo in un grande abbraccio.
«Diciassette, eh?» tuonò Hagrid, prendendo un bicchiere di vino grosso come un secchio offerto da Fred. «Sei anni dal giorno che ci siamo conosciuti, Harry, te lo ricordi?»
«Vagamente» rispose Harry con un sorriso. «È stato per caso quando hai abbattuto la porta, hai fatto crescere una coda di maiale a Dudley e mi hai detto che ero un mago?»
«I particolari non me li ricordo tanto bene» ridacchiò Hagrid. «Tutto a posto, Ron, Hermione?»
«Bene» rispose Hermione. «E tu?»
«Ah, niente male. Ho avuto da fare, ci sono appena nati degli unicorni, ve li faccio vedere quando tornate...» Harry evitò lo sguardo di Ron e Hermione mentre Hagrid si frugava in tasca. «Ecco, Harry... non sapevo cosa regalarti ma poi mi è venuto in mente». Prese un minuscolo sacchetto peloso con un lungo cordoncino da appendere al collo. «Mokessino. Ci na-scondi quello che ti pare e solo tu puoi tirarlo fuori. Roba rara, eh».
«Hagrid, grazie!»
«Niente» disse Hagrid, agitando la mano grande come un coperchio di bidone. «Ma c'è Charlie! Mi è sempre piaciuto tanto... ehi! Charlie!»
Charlie si avvicinò, passandosi un po' mestamente la mano nei capelli tagliati di fresco. Era più basso di Ron, robusto, le braccia muscolose coperte di ustioni e graffi.
«Ciao, Hagrid, come va?»
«È un sacco che ti volevo scrivere. Come sta Norberto?»
«Norberto?» Charlie rise. «Il Dorsorugoso di Norvegia? Adesso si chiama Norberta».
«Co... Norberto una ragazza?»
«Eh, già» confermò Charlie.
«Come fai a saperlo?» chiese Hermione.
«Sono molto più cattive» spiegò Charlie. Si guardò alle spalle e disse, più piano: «Vorrei tanto che il papà si sbrigasse a tornare. La mamma si sta agitando».
Guardarono tutti la signora Weasley. Stava cercando di fare conversazione con Madame Delacour ma non smetteva di sbirciare verso il cancello.
«Sarà meglio che cominciamo senza Arthur» gridò ai presenti dopo qualche istante. «Dev'essere stato trattenuto al... oh!»
La videro tutti insieme: una striscia luminosa volò attraverso il giardino fino sul tavolo, dove si mutò in una lucente donnola d'argento che si rizzò
sulle zampe posteriori e parlò con la voce del signor Weasley.
« Il Ministro della Magia sta arrivando con me».
Il Patronus si dissolse nell'aria, mentre la famiglia di Fleur scrutava esterrefatta il punto in cui era sparito.
«Noi non dovremmo essere qui» esclamò subito Lupin. «Harry... mi dispiace... te lo spiego la prossima volta...»
Afferrò Tonks per il polso e la trascinò via; raggiunsero la staccionata, la scavalcarono e sparirono. La signora Weasley era sconvolta.
«Il Ministro... ma perché...? Non capisco...»
Ma non ci fu il tempo di discuterne; un attimo dopo, il signor Weasley comparve al cancello, accompagnato da Rufus Scrimgeour, con la sua inconfondibile criniera brizzolata. I nuovi arrivati attraversarono il cortile diretti al giardino e alla tavola illuminata, dove tutti sedevano in silenzio, guardandoli. Quando Scrimgeour fu a tiro di lanterna, Harry notò che era molto invecchiato, dimagrito e cupo.
«Mi spiace di interferire» esordì il Ministro, zoppicando fino al tavolo.
«Soprattutto perché sto rovinando una festa».
Il suo sguardo indugiò sull'enorme torta a forma di Boccino. «Cento di questi giorni».
«Grazie» rispose Harry.
«Ho bisogno di parlarti in privato» continuò Scrimgeour. «Anche col signor Ronald Weasley e con la signorina Hermione Granger».
«Noi?» domandò Ron, sorpreso. «Perché noi?»
«Te lo dirò quando saremo in un posto più intimo» ribatté Scrimgeour.
«Esiste un posto del genere?» chiese al signor Weasley.
«Sì, certo» rispose il signor Weasley nervosamente. «Il... ehm... il salotto, perché non andate là?»
«Fammi strada» disse Scrimgeour a Ron. «Non c'è bisogno che ci accompagni, Arthur». Harry vide il signor Weasley scambiare uno sguardo preoccupato con la moglie. Lui, Ron e Hermione si alzarono e si avviarono verso la casa in silenzio. Harry sapeva che i suoi amici stavano pensando la stessa cosa: Scrimgeour doveva aver saputo che non sarebbero tornati a Hogwarts. Il Ministro non parlò mentre attraversavano la cucina in disordine e raggiungevano il salotto. Il giardino era ancora immerso in una morbida, dorata luce serale, ma in casa era già buio. Harry accese con la bacchetta le lampade a olio, che illuminarono la stanza sciupata ma accogliente. Scrimgeour prese posto nella poltrona sfondata del signor Weasley, lasciando gli amici a strizzarsi fianco a fianco sul divano. Poi parlò.
«Ho alcune domande da fare a ognuno di voi, e credo sia meglio procedere con ordine. Voi due» e indicò Harry e Hermione «potete aspettare di sopra; comincerò con Ronald».
«Noi non andiamo da nessuna parte» ribatté Harry, e Hermione annuì
con forza. «O parla con tutti e tre, oppure non se ne fa niente». Scrimgeour lo squadrò con uno sguardo gelido. Harry ebbe l'impressione che il Ministro si stesse chiedendo se fosse il caso di aprire subito le ostilità.
«Molto bene, allora starete insieme» risolse, scrollando le spalle. Si schiarì la gola. «Sono qui, come certo sapete, a causa del testamento di Albus Silente». Harry, Ron e Hermione si guardarono con gli occhi spalancati.
«A quanto pare è una sorpresa! Dunque non sapevate che Silente vi ha lasciato qualcosa?»
«A... a tutti?» chiese Ron. «Anche a me e Hermione?»
«Sì, a tutti e...»
Ma Harry lo interruppe.
«Silente è morto più di un mese fa. Perché avete aspettato tanto per darci quello che ci ha lasciato?»
«Non è ovvio?» intervenne Hermione, prima che Scrimgeour potesse rispondere. «Volevano esaminare l'eredità. Non ne aveva il diritto!» protestò, con voce rotta.
«Avevo tutti i diritti» tagliò corto Scrimgeour. «Il Decreto per la Giustificabile Confisca dà al Ministero il potere di confiscare il contenuto di un testamento...»
«Quella legge è stata pensata per evitare che i maghi si tramandino oggetti Oscuri» obiettò Hermione, «e il Ministero deve avere prove schiaccianti che le proprietà del deceduto siano illegali prima di confiscarle! Ci sta dicendo che secondo lei Silente stava cercando di passarci degli oggetti Oscuri?»
«Pensa di intraprendere una carriera in Magisprudenza, signorina Granger?» le chiese Scrimgeour.
«No» ribatté Hermione. «Spero di fare qualcosa di buono per il mondo!»
Ron scoppiò a ridere. Scrimgeour lo fulminò con lo sguardo ma si voltò
subito quando Harry parlò.
«E adesso come mai ha deciso di farci avere le nostre cose? Non è riuscito a trovare una buona scusa per tenersele?»
«No, è perché i trentun giorni sono passati» rispose pronta Hermione.
«Non possono trattenere gli oggetti più a lungo, a meno di non dimostrare che sono pericolosi. Giusto?»
«Puoi affermare di aver avuto un legame speciale con Silente, Ronald?»
chiese Scrimgeour, ignorando Hermione. Ron sembrava allarmato.
«Io? No... non proprio... era sempre Harry che...»
Ron cercò gli occhi di Harry e Hermione. Lei lo fissò come per dirgli 'a- desso taci' , ma il danno era fatto: Scrimgeour aveva l'aria di chi ha sentito precisamente quello che si aspettava e sperava di sentire. Piombò come un uccello rapace sulla risposta di Ron.
«Se non eri in rapporti stretti con Silente, allora come mai ti ha ricordato nel suo testamento? I suoi lasciti privati sono straordinariamente ridotti. La maggior parte delle sue proprietà - la sua biblioteca privata, i suoi strumen-ti magici e altri effetti personali - è stata lasciata a Hogwarts. Perché pensi di essere stato scelto?»
«Io... non so» rispose Ron. «Io... quando dico che non avevamo un rapporto stretto... Insomma, gli piacevo, credo...»
«Sei modesto, Ron» intervenne Hermione. «Silente ti era molto affezionato». Questa era decisamente un'esagerazione: per quanto ne sapeva Harry, Ron e Silente non si erano mai trovati da soli insieme e i contatti diretti tra loro erano stati trascurabili. Ma Scrimgeour parve non aver sentito. Infilò
la mano sotto il mantello e tirò fuori un sacchetto chiuso da legacci, molto più grande di quello che Hagrid aveva regalato a Harry. Ne sfilò una pergamena che srotolò e lesse ad alta voce.
« 'Ultime volontà e testamento di Albus Percival Wulfric Brian Silente'... ecco, ci siamo... 'a Ronald Bilius Weasley lascio il mio Deluminatore, nel- la speranza che si ricordi di me quando lo usa' » . Scrimgeour prese dalla borsa un oggetto che Harry aveva già visto: sembrava un accendino d'argento, ma, lo sapeva, aveva il potere di risucchiare tutta la luce da un luogo, e di riportarvela, con un semplice scatto. Scrimgeour si chinò e passò il Deluminatore a Ron, che lo prese e se lo rigirò tra le dita, sbalordito.
«È un oggetto di valore» osservò Scrimgeour, guardando Ron. «Potrebbe essere unico. Di sicuro è stato progettato da Silente in persona. Perché ti avrebbe lasciato un oggetto così raro?»
Ron scosse il capo, sconvolto.
«Silente ha insegnato a migliaia di studenti» insisté Scrimgeour. «Eppure i soli che ha ricordato nel suo testamento siete voi tre. Perché? A quale uso pensava che avresti destinato il suo Deluminatore, signor Weasley?»
«Per spegnere le luci, immagino» borbottò Ron. «Cos'altro potrei farci?»
Era chiaro che Scrimgeour non aveva suggerimenti da dargli. Dopo aver sogguardato Ron per qualche istante, tornò al testamento.
« 'A Hermione Jean Granger lascio la mia copia delle Fiabe di Beda il Bardo , nella speranza che le trovi appassionanti e istruttive' » . Scrimgeour estrasse dalla borsa un piccolo libro che sembrava antico quanto Segreti dell'Arte Più Oscura. La rilegatura era macchiata e spellata in alcuni punti. Hermione lo prese senza una parola, se lo posò in grembo e lo fissò. Harry vide che il titolo era scritto in rune; non aveva mai imparato a leggerle. Una lacrima cadde sui caratteri in rilievo.
«Perché credi che Silente ti abbia lasciato questo libro, signorina Granger?» chiese Scrimgeour.
«Lui... lui sapeva che amo i libri» rispose Hermione con la voce velata, asciugandosi gli occhi con la manica.
«Ma perché proprio questo?»
«Non lo so. Avrà pensato che mi sarebbe piaciuto».
«Hai mai discusso di codici o di modi per passarsi messaggi segreti con Silente?»
«No» disse Hermione. «E, se il Ministero non ha trovato codici nascosti in questo libro in trentun giorni, dubito che ci riuscirò io». Soffocò un singhiozzo. Erano seduti così vicini che Ron faticò a liberare il braccio per passarglielo attorno alle spalle. Scrimgeour tornò al testamento.
« 'A Harry James Potter' » lesse, e le viscere di Harry si contrassero per l'improvvisa agitazione, « 'lascio il Boccino che catturò nella sua prima partita di Quidditch a Hogwarts, in memoria delle ricompense che perse- veranza e abilità meritano'' » .
Scrimgeour estrasse dalla borsa la pallina d'oro grande quanto una noce. Le alucce argentate sbatacchiarono debolmente e Harry sentì la tensione calare di colpo.
«Perché Silente ti ha lasciato questo Boccino?» gli chiese Scrimgeour.
«Non ne ho idea» rispose Harry. «Per le ragioni che ha appena letto, immagino... per ricordarmi quello che si può ottenere se si... persevera, e tutto il resto».
«Credi che sia un ricordo puramente simbolico, quindi?»
«Immagino di sì» rispose Harry. «Che altro potrebbe essere?»
«Le domande le faccio io» ribatté Scrimgeour, spostando la poltrona un po' più vicino al divano. Fuori calava il buio; oltre le finestre il tendone torreggiava nel suo candore spettrale al di là della siepe. «Vedo che la tua torta di compleanno è a forma di Boccino. Come mai?»
Hermione scoppiò in una risata sprezzante.
«Oh, non può essere un'allusione al fatto che Harry è un grande Cercatore, è troppo ovvio. Dev'esserci un messaggio segreto di Silente nascosto nella glassa!»
«Non credo che ci sia qualcosa nascosto nella glassa» obiettò Scrimgeour, «ma un Boccino sarebbe un gran bel nascondiglio per un piccolo oggetto. Sai perché, immagino». Harry scrollò le spalle. Hermione però rispose; rispondere in modo corretto alle domande doveva essere un'abitudine così radicata in lei che non riusciva a controllarsi.
«Perché i Boccini hanno una memoria tattile».
«Cosa?» esclamarono in coro Harry e Ron; entrambi consideravano pressoché nulla la cultura di Hermione sul Quidditch.
«Giusto» disse Scrimgeour. «Un Boccino non viene toccato dalla pelle nuda prima di essere liberato, nemmeno dal suo artefice, che indossa i guanti. È intriso di un incantesimo che gli consente di identificare il primo umano che vi abbia posto le mani sopra, in caso di cattura incerta e discutibile. Questo Boccino» e alzò la pallina d'oro «ricorda il tuo tocco, Potter. Forse Silente, che possedeva straordinarie abilità magiche, quali che fossero i suoi difetti, ha incantato questo Boccino in modo che si apra solo per te».
Il cuore di Harry batteva forte. Di sicuro Scrimgeour aveva ragione. Come poteva evitare di toccare il Boccino a mani nude davanti al Ministro?
«Non dici nulla» riprese Scrimgeour. «Forse sai già che cosa contiene».
«No» rispose Harry, che stava ancora pensando a come fingere di toccare il Boccino. Se solo avesse conosciuto la Legilimanzia, ma sul serio e fosse riuscito a leggere nella mente di Hermione; gli sembrava di sentire il suo cervello ronzare lì accanto.
«Prendilo» disse calmo il Ministro.
Harry incrociò il suo sguardo giallastro e capì che non aveva scelta: doveva obbedire. Tese la mano. Scrimgeour si sporse di nuovo in avanti e pose il Boccino, con deliberata lentezza, nel suo palmo.
Non successe nulla. Quando le dita di Harry si chiusero attorno al Boccino, le sue ali stanche vibrarono e si fermarono subito. Scrimgeour, Ron e Hermione continuarono a fissare avidi la pallina seminascosta, come se ancora sperassero di vederla trasformarsi.
«Davvero un gran spettacolo» commentò Harry con distacco. Ron e Hermione risero.
«È tutto, allora?» chiese Hermione, facendo il gesto di alzarsi dal divano.
«Non ancora» Scrimgeour adesso sembrava veramente di malumore.
«Silente ti ha lasciato qualcos'altro, Potter».
«Che cos'è?» domandò Harry, di nuovo eccitato.
Questa volta Scrimgeour non si prese nemmeno la briga di leggere il testamento.
«La spada di Godric Grifondoro» rispose.
Hermione e Ron s'irrigidirono. Harry si guardò intorno in cerca dell'elsa incrostata di rubini, ma Scrimgeour non sfilò la spada dalla borsa di cuoio, che comunque era troppo piccola per ospitarla.
«E dov'è?» chiese Harry sospettoso.
«Purtroppo» riprese Scrimgeour «Silente non aveva la facoltà di donare quell'arma. La spada di Godric Grifondoro è un importante oggetto storico, e come tale appartiene...»
«Appartiene a Harry!» Hermione si accalorò. «L'ha scelto, lui l'ha trovata, gliel'ha consegnata il Cappello Parlante...»
«Secondo attendibili fonti storiche, la spada può offrirsi a qualunque valoroso Grifondoro» ribatté Scrimgeour. «Questo non ne fa una proprietà
esclusiva del signor Potter, qualunque cosa Silente possa aver deciso». Scrimgeour si grattò la barba mal rasata, osservando Harry. «Perché pensi...?»
«Che Silente abbia voluto lasciarmi la spada?» concluse Harry, cercando di trattenersi. «Forse trovava che sarebbe stata bene sulla parete di casa mia».
«Non è uno scherzo, Potter!» ringhiò Scrimgeour. «È perché Silente credeva che solo la spada di Godric Grifondoro potesse sconfiggere l'Erede di Serpeverde? Ha voluto darti quella spada, Potter, perché era convinto, come molti, che tu sia il predestinato a distruggere Colui-Che-Non-DeveEssere-Nominato?»
«Interessante teoria» disse Harry. «Qualcuno ha mai provato a infilzare Voldemort con una spada? Forse il Ministero dovrebbe affidare questo compito a un po' di gente, invece di perdere tempo a smontare Deluminatori o a coprire le fughe da Azkaban. È questo che fa, Ministro, chiuso nel suo ufficio, cerca di aprire un Boccino? La gente muore, per poco non sono morto anch'io, Voldemort mi ha dato la caccia per tre contee, ha ucciso Malocchio Moody, ma il Ministero non ha detto una parola, vero? E lei si aspetta ancora che noi collaboriamo con voi!»
«Hai passato il limite!» urlò Scrimgeour, alzandosi; anche Harry balzò
in piedi. Scrimgeour avanzò zoppicando verso di lui e lo colpì forte sul petto con la punta della bacchetta, che aprì nella maglietta di Harry una bruciatura, come di sigaretta accesa.
«Ehi!» esclamò Ron, balzando in piedi e afferrando la bacchetta. Ma Harry lo fermò: «No! Vuoi dargli una scusa per arrestarci?»
«Ti sei ricordato che non sei a scuola, eh?» ansimò Scrimgeour, alitando in faccia a Harry. «Ti sei ricordato che io non sono Silente, che perdonava la tua insolenza e le tue ribellioni? Puoi anche portare in giro quella cicatrice come una corona, Potter, ma non spetta a un diciassettenne dirmi come fare il mio lavoro! È ora che impari ad avere un po' di rispetto!»
«È ora che lei se lo meriti» ribatté Harry.
Il pavimento tremò; uno scalpiccio, e la porta del salotto si spalancò per lasciar entrare i signori Weasley.
«Noi... ci è sembrato di sentire...» balbettò il signor Weasley, decisamente preoccupato nel vedere i nasi di Harry e del Ministro che praticamente si toccavano.
«... qualcuno che urlava» concluse ansante la signora Weasley. Scrimgeour arretrò di qualche passo, guardando il buco nella maglietta di Harry, e parve rimpiangere di aver perso la pazienza.
«Non è... non è nulla» ringhiò. «Io... mi rammarico per il tuo atteggiamento». Guardò un'altra volta Harry. «Sembri convinto che il Ministero non desideri quello che tu... quello che Silente desiderava. Invece dovremmo lavorare insieme».
«Non mi piacciono i vostri metodi, Ministro» replicò Harry. «Si ricorda?»
Per la seconda volta alzò il pugno destro e mostrò a Scrimgeour le cicatrici ancora bianche sul dorso della mano: Non devo dire bugie. L'espressione di Scrimgeour s'indurì. Il Ministro si voltò senza dire altro e se ne andò zoppicando. La signora Weasley si affrettò a seguirlo; Harry sentì
che si fermava sulla soglia della cucina. Dopo un attimo gridò: «È sparito!»
«Che cosa voleva?» chiese il signor Weasley.
«Darci le cose che ci ha lasciato Silente» spiegò Harry. «Hanno appena pubblicato il suo testamento».
In giardino, i tre oggetti portati da Scrimgeour passarono di mano in mano sopra i tavoli della cena. Tutti diedero in esclamazioni alla vista del Deluminatore e delle Fiabe di Beda il Bardo e protestarono perché Scrimgeour si era rifiutato di consegnare la spada, ma nessuno seppe suggerire come mai Silente avesse lasciato a Harry un vecchio Boccino. Mentre il signor Weasley studiava il Deluminatore per la quarta volta, sua moglie disse, esitante: «Harry, caro, hanno tutti una fame tremenda, non volevamo cominciare senza di te... posso servire la cena?»
Mangiarono in fretta e poi, dopo un rapido coro di Tanti auguri e un gran trangugiare di torta, la festa finì. Hagrid, che era invitato alle nozze il giorno dopo, ma era troppo grosso per dormire nella Tana già al completo, andò a piantare una tenda in un campo lì vicino.
«Ci vediamo di sopra» sussurrò Harry a Hermione, mentre aiutavano la signora Weasley a risistemare il giardino. «Dopo che tutti saranno andati a dormire».
Su in soffitta, Ron osservò il suo Deluminatore e Harry riempì la borsa di Mokessino di Hagrid non con denaro, ma con gli oggetti più preziosi che possedeva, anche quelli in apparenza privi di valore: la Mappa del Malandrino, il frammento dello specchio magico di Sirius e il medaglione di R.A.B. Strinse bene i lacci e si fece scivolare il sacchetto attorno al collo, poi si sedette col vecchio Boccino tra le dita, guardando le ali che sbatacchiavano debolmente. Finalmente Hermione bussò e sgattaiolò dentro.
« Muffliato» sussurrò, agitando la bacchetta verso le scale.
«Credevo che non approvassi questo incantesimo» le disse Ron.
«Si cambia» ribatté Hermione. «Adesso facci vedere quel Deluminatore». Ron lo levò davanti a loro e lo fece scattare. La lampada si spense subito.
«Il fatto è» mormorò Hermione nell'oscurità «che potevamo ottenere lo stesso effetto con la Polvere Buiopesto peruviana».
Un secco clic, e la sfera di luce della lampada volò di nuovo sul soffitto a illuminarli.
«Però è forte» commentò Ron, sulla difensiva. «E dicono che l'ha inventato Silente!»
«Lo so, ma non credo che ti abbia nominato nel testamento solo per aiutarci a spegnere la luce!»
«Secondo voi sapeva che il Ministero avrebbe confiscato il suo testamento ed esaminato tutte le cose che ci aveva lasciato?»
«Di sicuro» rispose Hermione. «Non poteva dirci nel testamento perché
ce le ha lasciate, ma questo non spiega...»
«... perché non poteva farcelo capire quando era ancora vivo?» propose Ron.
«Esattamente» disse Hermione, sfogliando Le Fiabe di Beda il Bardo.
«Se queste cose sono così importanti da farcele avere sotto il naso del Ministero, avrebbe dovuto dirci perché lo sono... a meno che non lo ritenesse ovvio».
«Allora si è sbagliato» concluse Ron. «Io l'ho sempre detto che era pazzo. Intelligente e tutto, ma fuori come un balcone. Lasciare a Harry un vecchio Boccino... cosa diavolo vuol dire?»
«Non ne ho idea» rispose Hermione. «Quando Scrimgeour ti ha costretto a toccarlo, Harry, ero sicura che sarebbe successo qualcosa!»
«Sì, be'» ammise Harry, e il suo cuore accelerò quando prese il Boccino fra le dita. «Non era il caso di insistere davanti a Scrimgeour».
«Cosa vuoi dire?» chiese Hermione.
«Il Boccino che ho catturato nella mia primissima partita a Quidditch. Non ricordate?»
Hermione sembrava solo perplessa. Ron invece trattenne il respiro, indicando freneticamente prima Harry, poi il Boccino, poi di nuovo Harry finché non ritrovò la voce.
«Era quello che hai quasi mandato giù!»
«Proprio così» confermò Harry, e col cuore a mille avvicinò le labbra al Boccino.
Non si aprì. L'amarezza e la delusione lo invasero: abbassò la sfera dorata, ma Hermione gridò: «Una scritta! C'è una scritta sopra, presto, guarda!»
Harry lasciò quasi cadere il Boccino per l'eccitazione e la sorpresa. Era vero: incise sulla liscia superficie dorata, dove solo qualche istante prima non c'era nulla, erano apparse quattro parole scritte nella sottile grafia sghemba che Harry riconobbe come quella di Silente:
Mi apro alla chiusura.
Le aveva appena lette che svanirono.
« Mi apro alla chiusura... Che cosa vuol dire?»
Hermione e Ron scossero il capo con aria stolida.
«Mi apro alla chiusura... alla chiusura... Mi apro alla chiusura...»
Ma per quanto lo ripetessero con mille inflessioni diverse, non riuscirono a cavarne un senso.
«E la spada» disse Ron alla fine, abbandonato ormai ogni tentativo di indovinare il significato della scritta. «Perché voleva che Harry avesse la spada?»
«Non poteva dirmelo e basta?» mormorò Harry. «Era là, sulla parete del suo studio durante tutte le nostre conversazioni l'anno scorso! Se voleva che l'avessi io, perché non me l'ha data allora?»
Si sentiva come a un esame: davanti a sé aveva una domanda alla quale avrebbe dovuto saper rispondere, ma il suo cervello era lento, inerte. C'era qualcosa che gli era sfuggito nelle lunghe conversazioni con Silente? Doveva sapere che cosa significava tutto ciò? Silente si aspettava che lui capisse?
«E questo libro, poi» continuò Hermione. « Le Fiabe di Beda il Bardo... Non ne ho neanche mai sentito parlare!»
«Non hai mai sentito parlare delle Fiabe di Beda il Bardo?» esclamò
Ron, incredulo. «Stai scherzando, vero?»
«No che non scherzo!» ribatté Hermione, sorpresa. «Tu invece le conosci?»
«Ma certo!»
Harry fu distolto dai suoi pensieri e alzò lo sguardo. Il fatto che Ron avesse letto un libro che Hermione non conosceva era senza precedenti. Ron tuttavia sembrava perplesso per la loro sorpresa.
«Oh, andiamo! Tutte le vecchie storie per bambini sono di Beda, no? 'La Fonte della Buona Sorte'... 'Il Mago e il Pentolone Salterino'... 'Baba Raba e il Ceppo Ghignante'...»
«Come?» fece Hermione con una risatina. «Ripetimi l'ultima».
«Ma dai!» esclamò Ron, guardando stupefatto i due amici. «Mai sentito parlare di Baba Raba?»
«Ron, sai benissimo che io e Harry siamo cresciuti tra i Babbani!» protestò Hermione. «Da piccoli non ci raccontavano queste storie, noi conosciamo Biancaneve e i Sette Nani, Cenerentola... »
«Cos'è, una malattia?» chiese Ron.
«Quindi queste sono storie per bambini?» domandò Hermione, china sulle rune.
«Già» rispose Ron, dubbioso, «insomma, è quello che dicono, sai, che tutte queste storie sono di Beda. Non so come siano nella versione originale» .
«Mi domando perché Silente pensava che dovessi leggerle». Qualcosa cigolò di sotto.
«Dev'essere Charlie che sgattaiola fuori per farsi ricrescere i capelli mentre la mamma dorme» suggerì Ron nervosamente.
«Comunque dovremmo andare a letto» mormorò Hermione. «Non è il caso di svegliarci tardi domattina».
«No» assentì Ron. «Un brutale triplice omicidio a opera della madre dello sposo potrebbe raggelare un po' l'atmosfera delle nozze. Penso io alla luce».
E fece scattare un'altra volta il Deluminatore mentre Hermione usciva dalla stanza.
CAPITOLO 8
IL MATRIMONIO
Alle tre del pomeriggio seguente Harry, Ron, Fred e George erano nell'orto fuori dall'enorme padiglione bianco, in attesa degli invitati. Harry aveva trangugiato una bella dose di Pozione Polisucco e adesso era la fotocopia di un giovane Babbano coi capelli rossi del villaggio vicino, Ottery St Catchpole, al quale Fred aveva sottratto dei capelli con un Incantesimo di Appello. Il piano era presentarlo come 'il cugino Barny' e sperare che si confondesse nella moltitudine dei parenti Weasley.
I quattro erano armati di piantine con la disposizione dei tavoli, per accompagnare gli invitati ai loro posti. Una schiera di camerieri in bianco era arrivata un'ora prima, insieme a una banda in divisa dorata, e si erano seduti tutti quanti sotto un albero poco lontano; Harry vide levarsi da quel punto un alone azzurro di fumo di pipa.
Dietro di lui, il tendone si apriva su file e file di fragili sedie dorate ai due lati di un lungo tappeto color porpora. Ai pali di sostegno erano intrecciati fiori bianchi e oro. Fred e George avevano fissato un enorme grappolo di palloncini anch'essi dorati sopra il punto preciso in cui Bill e Fleur sarebbero diventati marito e moglie. Fuori, farfalle e api volavano pigre sull'erba e sulle siepi. Harry si sentiva a disagio: il ragazzo Babbano di cui aveva preso le sembianze era un po' più grasso di lui e l'abito da cerimonia era stretto e caldissimo nel fulgore della giornata estiva.
«Quando mi sposo io» dichiarò Fred, strattonandosi il colletto del vestito, «non voglio nessuna di queste assurdità. Potrete mettervi quello che volete, e infliggerò alla mamma un bell'Incantesimo Petrificus finché non sarà tutto finito».
«Non è andata così male stamattina, tutto sommato» osservò George.
«Ha pianto un po' per l'assenza di Percy, ma chi lo voleva? Oh, cielo, preparatevi... ecco che arrivano». Dal nulla, una alla volta, figure dai colori vivaci cominciarono ad apparire al limitare del cortile. Nel giro di pochi minuti, una processione prese a serpeggiare attraverso il giardino diretta al padiglione. Fiori esotici e uccelli incantati fluttuavano sui cappelli delle streghe, sulle cravatte dei maghi brillavano gemme preziose; il chiacchiericcio eccitato divenne sempre più
forte, soffocando il ronzio delle api man mano che la folla si avvicinava alla tenda.
«Ottimo, me sembrato di vedere qualche cugina Veela» disse George, allungando il collo per guardare meglio. «Avranno bisogno che qualcuno gli spieghi le usanze inglesi, ci penso io...»
«Non così in fretta, Lobo Solitario» intervenne Fred. Sfrecciò oltre il branco di streghe di mezza età che guidavano la sfilata e: «Ecco... permet- tez-moi di assister vous» cinguettò a una coppia di graziose fanciulle francesi, che con una risatina si fecero scortare dentro. A George rimasero le streghe di mezza età, Ron si incaricò di accompagnare Perkins, l'anziano collega di suo padre al Ministero, mentre a Harry toccò una vecchia coppia sorda.
«Ohilà» gli disse una voce familiare quando uscì dalla tenda: Tonks e Lupin erano i primi della fila. Per l'occasione lei si era fatta bionda. «Arthur ci ha detto che eri quello ricciolino. Ci spiace per ieri sera» aggiunse in un sussurro mentre Harry li accompagnava lungo la passatoia. «In questo periodo il Ministero è decisamente ostile ai lupi mannari e abbiamo pensato che la nostra presenza avrebbe potuto danneggiarti».
«Certo, capisco» rispose Harry, più a Lupin che a Tonks. Lui gli rivolse un rapido sorriso, però dopo un attimo il suo volto era di nuovo solcato da rughe di dolore. Harry non capiva, ma non c'era tempo per indugiare sull'argomento: Hagrid stava seminando una certa agitazione. Aveva frainteso le indicazioni di Fred, prendendo posto non sulla poltrona in ultima fila magicamente allargata e rinforzata per lui, ma su cinque sedie ormai ridotte a un mucchio di fiammiferi dorati. Mentre il signor Weasley riparava il danno e Hagrid urlava le sue scuse a chiunque gli capitasse a tiro, Harry tornò di corsa all'ingresso e trovò
Ron faccia a faccia con il mago più eccentrico che avesse mai visto. Leggermente strabico, i capelli bianchi di zucchero filato lunghi fino alle spalle, indossava un berretto con una nappina che gli dondolava davanti al naso e una veste di una sfumatura giallo uovo che faceva male agli occhi. Uno strano simbolo, simile a un occhio triangolare, gli scintillava da una catena d'oro appesa al collo.
«Xenophilius Lovegood» si presentò, tendendo la mano a Harry. «Io e mia figlia viviamo dall'altra parte della collina, i Weasley sono stati molto gentili a invitarci. Ma credo che lei conosca la mia Luna» aggiunse, rivolto a Ron.
«Sì» rispose Ron. «Non è venuta?»
«Si è attardata in quel delizioso giardinetto a salutare gli gnomi, un'infestazione davvero straordinaria! Sono pochi i maghi che comprendono quanto possiamo imparare dai piccoli saggi gnomi... o, per chiamarli correttamente, Gernumbli gardensi».
«I nostri sanno un mucchio di parolacce» osservò Ron, «ma credo siano stati Fred e George a insegnargliele».
Guidò un gruppo di stregoni dentro la tenda mentre Luna arrivava di corsa.
«Ciao, Harry!» esclamò.
«Ehm... mi chiamo Barny» la corresse Harry, sconcertato.
«Oh, hai cambiato anche il nome?» chiese allegramente.
«Come hai fatto...?»
«Oh, la tua espressione» rispose lei.
Come il padre, indossava un abito giallo vivo, coordinato con l'enorme girasole tra i capelli. Una volta che ci si abituava all'effetto sgargiante, l'insieme risultava gradevole. Almeno non aveva dei rapanelli appesi alle orecchie. Xenophilius, intento a parlare con un conoscente, non aveva sentito lo scambio di battute tra Luna e Harry. Si congedò dal mago e si rivolse alla figlia, che lo chiamava mostrandogli un dito: «Papà, guarda... uno gnomo mi ha morsicato!»
«Meraviglioso! La saliva di gnomo fa molto bene!» gongolò il signor Lovegood, afferrandole il dito per esaminare le tracce sanguinanti del morso. «Luna, tesoro mio, se dovessi sentir sbocciare un nuovo talento oggi - magari un insospettabile desiderio di cantare l'opera o di declamare in Marino - non reprimerlo! Potresti aver ricevuto un dono dai Gernumbli!»
Ron, passando lì accanto, ebbe un violento attacco di tosse.
«Ron può ridere quanto vuole» commentò Luna serena, mentre Harry accompagnava lei e il padre ai loro posti, «ma mio padre ha fatto un sacco di ricerche sulla magia dei Gernumbli» .
«Sul serio?» chiese Harry, che da tempo aveva deciso di non contraddire le stravaganti opinioni di Luna o di suo padre. «Sei sicura di non voler mettere niente su quel morso?»
«Oh, sto bene» rispose Luna, succhiandosi il dito con aria sognante. Osservò Harry da capo a piedi. «Sei elegante. Io l'ho detto a papà che tutti si sarebbero messi un abito da cerimonia, ma lui è convinto che ai matrimoni si debbano indossare i colori del sole, per augurare buona fortuna, sai». Mentre Luna scivolava via dietro il padre, Ron ricomparve con una vecchia strega appesa al braccio. Il naso a becco, gli occhi arrossati e il cappello di piume rosa le davano l'aspetto di un fenicottero irascibile.
«... e hai i capelli troppo lunghi, Ronald, a momenti ti scambiavo per Ginevra. Per la barba di Merlino, che cosa si è messo Xenophilius Lovegood? Sembra un'omelette. E tu chi sei?» abbaiò a Harry.
«Oh, sì, zia Muriel, questo è il cugino Barny».
«Un altro Weasley? Vi moltiplicate come gnomi. Harry Potter non c'è?
Speravo di conoscerlo. Pensavo che fosse tuo amico, Ronald, o lo dicevi solo per vantarti?»
«No... non è potuto venire...»
«Mmm. Ha trovato una scusa, eh? Non è stupido come sembra nelle foto dei giornali, allora. Ho appena spiegato alla sposa come deve portare la mia tiara» urlò a Harry. «Opera dei folletti, sai, è un cimelio di famiglia da secoli. È una bella ragazza, però... è francese. Be', be', trovami un bel posto, Ronald, ho centosette anni e non posso stare troppo in piedi». Ron scoccò a Harry uno sguardo eloquente e non riapparve per parecchio tempo; quando si rividero all'ingresso, Harry aveva sistemato un'altra decina di persone. Il padiglione ormai era quasi pieno e fuori non c'era più
la coda.
«È un incubo, zia Muriel» disse Ron, asciugandosi la fronte con una manica. «Veniva tutti gli anni per Natale, poi grazie al cielo si è offesa perché Fred e George le hanno fatto esplodere una Caccabomba sotto la sedia a cena. Papà dice sempre che li escluderà dal testamento... come se gliene importasse qualcosa, di questo passo diventeranno più ricchi di chiunque altro in famiglia... Cavolo!» aggiunse, e batté le palpebre vedendo Hermione che li raggiungeva di corsa. «Sei bellissima!»
«Sempre questo tono sorpreso» replicò Hermione, però sorrideva. Portava uno svolazzante vestito lilla e scarpe in tinta, col tacco alto; i suoi capelli erano lisci e luminosi. «Tua zia Muriel non approva, l'ho incontrata di sopra mentre dava la tiara a Fleur. Ha detto: 'Oh, cielo, questa è la figlia di Babbani?' e poi ha aggiunto: 'Brutto portamento e caviglie secche'».
«Non prenderla come un fatto personale, è maleducata con tutti» disse Ron.
«State parlando di zia Muriel?» s'inserì George, riemerso dal tendone con Fred. «A me ha appena detto che ho le orecchie asimmetriche. Vecchia megera. Vorrei che zio Bilius fosse ancora vivo; ai matrimoni faceva schiantare dalle risate».
«Non era quello che ha visto un Gramo ed è morto ventiquattr'ore dopo?» chiese Hermione.
«Be', sì, era andato un po' fuori verso la fine» ammise George.
«Ma prima che perdesse la zucca era l'anima delle feste» aggiunse Fred.
«Si scolava una bottiglia intera di Whisky Incendiario, poi correva sulla pista, si alzava il vestito e cominciava a cavarsi mazzi di fiori dal...»
«Sì, davvero affascinante» lo interruppe Hermione. Harry era piegato in due dalle risate.
«Non si è mai sposato, chissà perché» osservò Ron.
«Inspiegabile» convenne Hermione.
Ridevano così tanto che nessuno notò il ritardatario, un giovane con i capelli scuri, un gran naso ricurvo e folte sopracciglia nere, finché non consegnò il suo invito a Ron e disse, lo sguardo puntato su Hermione: «Sei dafero pelissima».
«Viktor!» strillò lei, lasciando cadere la borsetta di perline, che fece un rumore sproporzionato rispetto alle sue dimensioni. Arrossì, si chinò per raccoglierla e disse: «Non sapevo che ti avessero... santo cielo... che bello vederti... come stai?»
Le orecchie di Ron erano di nuovo scarlatte. Dopo aver esaminato l'invito di Krum come se non credesse a una parola di quel che c'era scritto, chiese a voce troppo alta: «Come mai sei qui?»
«Mi ha infitato Fleur» rispose Krum, inarcando le sopracciglia. Harry, che non aveva nulla contro di lui, gli strinse la mano; intuì che sarebbe stato prudente allontanarlo da Ron e si offrì di accompagnarlo al suo posto.
«Tuo amico no ha molto piacere di rifedere me» disse Krum entrando nella tenda ormai affollata. «O è parente?» aggiunse, con un'occhiata ai capelli ricci e rossi di Harry.
«Un cugino» borbottò Harry, ma Krum non lo stava ascoltando. Alla sua comparsa era serpeggiata una certa agitazione, soprattutto fra le cugine Veela: in fondo era un celebre giocatore di Quidditch. Mentre gli invitati continuavano ad allungare il collo per vederlo meglio, Ron, Hermione, Fred e George percorsero il tappeto di fretta.
«È ora di sedersi» consigliò Fred a Harry, «o verremo investiti dalla sposa».
Harry, Ron e Hermione presero posto in seconda fila, dietro Fred e George. Hermione aveva ancora le guance rosse e Ron le orecchie scarlatte. Dopo qualche istante borbottò a Harry: «Hai visto che stupida barbetta si è
fatto crescere?»
Harry rispose con un grugnito piuttosto neutro.
Faceva caldo e un senso di nervosa attesa aveva riempito la tenda, il brusio interrotto ogni tanto da risolini eccitati. I signori Weasley risalirono il corridoio sorridendo e salutando i parenti; lei indossava un abito nuovo color ametista e un cappello in tinta. Un attimo dopo Bill e Charlie apparvero in fondo alla passatoia, entrambi in abito da cerimonia, con una gran rosa bianca all'occhiello; Fred fece un fischio e le cugine Veela scoppiarono a ridere. Poi la folla tacque mentre si diffondeva la musica: a quel che pareva, veniva dai palloncini dorati.
«Ooooh!» esclamò Hermione, contorcendosi sulla sedia per assistere all'ingresso.
Un grande sospiro collettivo si levò dal consesso di maghi e streghe quando Monsieur Delacour e Fleur risalirono la passatoia, lei fluttuando, il padre a balzelloni e sorridente. La sposa indossava un abito bianco molto semplice e sembrava emanare un'intensa aura argentea. Mentre di solito il suo splendore oscurava tutti gli altri, oggi irradiava bellezza su chiunque avesse intorno. Ginny e Gabrielle, entrambe in abito dorato, erano ancora più carine del solito e, una volta raggiunto da Fleur, Bill sembrava che non avesse mai incontrato Fenrir Greyback.
«Signore e signori» cominciò una voce un po' cantilenante, e con un sussulto Harry riconobbe, in piedi davanti a Bill e Fleur, il mago basso coi capelli a ciuffi che aveva celebrato il funerale di Silente. «Siamo qui riuniti oggi per celebrare l'unione di due anime fedeli...»
«Sì, la mia tiara valorizza il tutto» bisbigliò zia Muriel piuttosto sonoramente. «Ma devo dire che il vestito di Ginevra è troppo scollato». Ginny si guardò attorno sorridendo, fece l'occhiolino a Harry e si voltò
di nuovo. La mente di Harry vagò molto lontano dal tendone, ai pomeriggi trascorsi con lei nelle zone più appartate attorno alla scuola. Sembrava che fossero passati secoli; erano sempre stati momenti troppo belli per essere veri, come se avesse rubato ore splendenti dalla vita di una persona normale, una persona che non aveva una cicatrice a forma di saetta sulla fronte...
«Vuoi tu, William Arthur, prendere Fleur Isabelle...?»
In prima fila, la signora Weasley e Madame Delacour singhiozzavano piano nei loro straccetti di pizzo. Un suono di trombone dal fondo annunciò a tutti che Hagrid aveva estratto uno dei suoi fazzoletti-tovaglia. Hermione si voltò per sorridere a Harry; anche lei aveva gli occhi colmi di lacrime.
«... dunque io vi dichiaro uniti per sempre».
Il mago coi capelli a ciuffi levò la bacchetta sopra le teste di Bill e Fleur e una pioggia di stelle d'argento cadde su di loro, avvolgendo in una spirale le due sagome abbracciate. Mentre Fred e George davano il via agli applausi, i palloncini dorati esplosero, liberando uccelli del paradiso e campanelle d'oro che unirono canto e suono al fragore.
«Signore e signori!» gridò il mago. «In piedi, per favore!»
Obbedirono tutti, zia Muriel con un sonoro brontolio; lui agitò la bacchetta. Le sedie galleggiarono con grazia nell'aria mentre le pareti di tela svanivano, e tutti si ritrovarono sotto un gazebo sorretto da pali dorati, con una gloriosa vista dell'orto illuminato dal sole e della campagna intorno. Una pozza di oro fuso si allargò a formare una lucente pista da ballo; le sedie calarono attorno a piccoli tavoli addobbati di tovaglie bianche e la banda in divisa dorata marciò verso un podio.
«Perfetto» commentò Ron, mentre i camerieri spuntavano da tutte le parti, alcuni reggendo vassoi d'argento carichi di succo di zucca, Burrobirra e Whisky Incendiario, altri con pile di tartine e tramezzini.
«Dovremmo andare a congratularci!» suggerì Hermione, alzandosi in punta di piedi per vedere dov'erano spariti Bill e Fleur, inghiottiti da una folla benaugurante.
«Avremo tutto il tempo dopo» rispose Ron scrollando le spalle. Prese tre Burrobirre da un vassoio e ne porse una a Harry. «Hermione, occhio, andiamo a cercare un tavolo... non di là! Non voglio stare vicino a zia Muriel...»
Li guidò attraverso la pista vuota, guardando a destra e a sinistra: Harry era sicuro che volesse stare alla larga da Krum. Dall'altro lato del tendone, gran parte dei tavoli erano occupati: il più libero era quello dove Luna era seduta da sola.
«Ti va bene se ci sediamo qui?» le chiese Ron.
«Oh, sì» rispose lei allegra. «Il papà è andato a portare il nostro regalo a Bill e Fleur».
«Cos'è, una fornitura a vita di Radigorde?» domandò Ron.
Hermione gli diede un calcio sotto il tavolo, ma colpì Harry che, annebbiato dalle lacrime di dolore, perse il filo della conversazione per qualche momento.
La banda aveva cominciato a suonare. Bill e Fleur aprirono le danze tra gli applausi; dopo un po' il signor Weasley condusse Madame Delacour in pista, seguito dalla signora Weasley con il padre di Fleur.
«Mi piace questa canzone» commentò Luna, dondolando a ritmo di valzer, poi si alzò, corse sulla pista e prese a girare in tondo, da sola, a occhi chiusi, facendo ondeggiare le braccia.
«È grande, eh?» disse Ron, ammirato. «Non delude mai».
Ma il suo sorriso svanì subito: Viktor Krum si era seduto al posto di Luna. Hermione parve gradevolmente confusa, ma questa volta Krum non era venuto per farle complimenti. Con un cipiglio cupo, chiese: «Chi è qvello con festito ciallo?»
«È Xenophilius Lovegood, il padre di una nostra amica» rispose Ron. Il tono bellicoso faceva capire che non avevano intenzione di ridere di Xenophilius, nonostante la chiara provocazione. «Vieni a ballare» disse brusco a Hermione.
Lei accettò, sorpresa e compiaciuta, e si alzò: sparirono insieme nella folla sempre più fitta.
«Ah, atesso stanno inzieme?» chiese Krum, perplesso.
«Eh... più o meno» rispose Harry.
«Tu chi sei?» gli domandò Krum.
«Barny Weasley».
Si strinsero la mano.
«Tu, Barny... tu conosce pene qvesto Lofgut?»
«No, l'ho visto oggi per la prima volta. Perché?»
Krum alzò lo sguardo accigliato dal bordo del bicchiere, scrutando Xenophilius che stava chiacchierando con alcuni maghi all'altro capo della pista.
«Perché» disse Krum «se non era ospite di Fleur io sfida lui a duello, qvi e supito, perché porta qvel sporco zimbolo su petto».
«Simbolo?» ripeté Harry, guardando a sua volta Xenophilius. Lo strano occhio triangolare brillava appeso al suo collo. «Perché? Che cos'ha che non va?»
«Grindelwald. Qvello è zimbolo di Grindelwald».
«Grindelwald... il Mago Oscuro sconfitto da Silente?»
«Prezisamente».
La mascella di Krum pulsava come se stesse masticando. Poi aggiunse:
«Grindelwald ha ucciso tante perzone, mio nonno, per esempio. Offio, mai è stato molto potente in qvesto paese, afefa paura di Silente, dicono, e afefa racione, fisto sua fine. Ma qvello...» e indicò Xenophilius «... qvello suo zimbolo, io ho fisto supito; Grindelwald aveva inziso qvello su muro a Durmstrang qvando lui studiava là. Perzone idioti copiafano su loro lipri e su festiti anche, per spafentare altri, per farsi notare... ma noi che afefa perso familiari per colpa di Grindelwald ha fatto pacare loro». Krum fece scricchiolare le nocche minaccioso e scrutò torvo Xenophilius. Harry era perplesso. Era improbabile che il padre di Luna fosse un sostenitore delle Arti Oscure, e nessun altro nella tenda sembrava aver riconosciuto la forma triangolare che ricordava una runa.
«Sei... ehm... sicuro che sia il simbolo di Grindelwald?»
«Io non spaglia» rispose Krum gelido. «Io ha passato dafanti tanti anni».
«Be', forse» suggerì Harry «Xenophilius non sa cosa significa. I Lovegood sono un po'... insoliti. Magari l'ha trovato da qualche parte ed è convinto che sia la sezione della testa di un Ricciocorno Schiattoso».
«Sezione di cosa?»
«Be', non so che cosa sono, ma a quanto pare lui e la figlia passano le vacanze a cercarli...»
Harry si rese conto che non se la stava cavando molto bene a descrivere Luna e suo padre.
«Eccola» disse, indicando Luna, che danzava ancora da sola, agitando le braccia attorno alla testa come se stesse cercando di scacciare dei moschini.
«Perché fa qvello?» chiese Krum.
«Probabilmente sta cercando di liberarsi di un Gorgosprizzo» rispose Harry, che riconosceva i sintomi.
Krum evidentemente non capiva se Harry lo stesse prendendo in giro o meno. Tirò fuori la bacchetta dall'abito e la batté minaccioso sulla coscia; dalla punta schizzarono scintille.
«Gregorovich!» esclamò Harry, e Krum sussultò, ma Harry era troppo eccitato per badarci; alla vista della bacchetta di Krum il ricordo era tornato vivissimo: Olivander che la prendeva e la studiava prima del Torneo Tremaghi.
«E allora?» chiese Krum, diffidente.
«È un fabbricante di bacchette!»
«Lo so».
«Ha fatto la tua bacchetta! Ecco perché mi sembrava... il Quidditch...»
Krum era sempre più insospettito.
«Come tu sapere che Gregorovich fatto mia pacchetta?»
«Io... l'ho letto da qualche parte, credo» rispose Harry. «Su una rivista per fan» improvvisò. Krum si ammorbidì.
«Non ricordafo di avere parlato di mia pacchetta con fan» disse.
«Allora... ehm... dove si trova Gregorovich adesso?»
Krum era perplesso.
«Lui andato in penzione tanti anni fa. Io è stato uno dei ultimi a comprare pacchetta da Gregorovich. Sono migliori di tutte... anche se foi Britanni preferisce Olifander».
Harry non rispose. Finse di guardare i ballerini, come Krum, ma intanto rifletteva. Quindi Voldemort stava cercando un famoso fabbricante di bacchette e Harry non dovette chiedersi a lungo come mai: per quello che la sua bacchetta aveva fatto la notte dell'inseguimento. L'agrifoglio e la piuma di fenice avevano battuto la bacchetta presa in prestito, cosa che Olivander non aveva previsto né compreso. Gregorovich ne sapeva di più?
Era davvero più abile di Olivander, a conoscenza di segreti che Olivander ignorava?
«Qvella ragazza molto carina» osservò Krum, richiamando Harry alla realtà. Indicò Ginny, che si era appena unita a Luna. «Lei anche tua parente?»
«Sì» rispose Harry, irritato, «ed esce con uno. Un tipo geloso. Molto grosso. Meglio non provocarlo».
Krum grugnì.
«A cosa serfe» commentò, vuotando il calice e alzandosi, «essere ciocatore internazionale di Qvidditch se tutte ragazze carine è cià occupate?»
E se ne andò a grandi passi. Harry prese al volo una tartina da un cameriere e fece il giro della pista affollata. Voleva trovare Ron, dirgli di Gregorovich, ma l'amico stava ballando con Hermione là in mezzo. Appoggiandosi a un palo dorato, Harry osservò Ginny, che ora danzava con Lee Jordan, l'amico di Fred e George, e cercò di non arrabbiarsi per la promessa fatta a Ron. Non era mai stato a un matrimonio, quindi non poteva dire se i festeggiamenti magici fossero diversi da quelli Babbani, ma era sicuro che in questi ultimi non ci fossero torte sormontate da fenici in miniatura che prendevano il volo al momento del taglio, né bottiglie di champagne che svolazzavano da sole tra la folla. Mentre calava la sera e le falene cominciavano a sfrecciare sotto il padiglione, ora illuminato da lanterne danzanti dorate, la baldoria divenne sempre più sfrenata. Fred e George erano da tempo spariti nell'oscurità con due cugine di Fleur; Charlie, Hagrid e un basso e tozzo mago con un cappello a cupola viola cantavano Odo l'eroe in un angolo.
Errando tra la folla per sfuggire a uno zio ubriaco di Ron che non sapeva se lui era suo figlio, Harry notò un vecchio mago seduto da solo a un tavolo. La nube di capelli bianchi su cui poggiava un fez tarlato lo faceva assomigliare a un soffione invecchiato. Aveva un'aria vagamente familiare: Harry frugò nel proprio cervello e infine lo riconobbe. Era Elphias Doge, membro dell'Ordine della Fenice, autore del necrologio di Silente. Gli si avvicinò.
«Posso sedermi?»
«Ma certo, ma certo» rispose Doge. Aveva una voce piuttosto acuta e ansante.
Harry si chinò verso di lui.
«Signor Doge, sono Harry Potter».
Doge sussultò.
«Mio caro ragazzo! Arthur mi aveva detto che eri qui, travestito... Sono felice, onorato!»
Confuso e compiaciuto, Doge versò a Harry un calice di champagne.
«Pensavo di scriverti» sussurrò, «dopo che Silente... che orrore... e per te, posso immaginare...»
I suoi occhietti si riempirono di lacrime.
«Ho letto il necrologio che ha scritto sulla Gazzetta del Profeta» disse Harry. «Non sapevo che conoscesse così bene il professor Silente».
«Come lo conoscevano tutti» rispose Doge, tamponandosi gli occhi con un tovagliolo. «Certo da molto più tempo di chiunque altro, se non consideri Aberforth... e pare che nessuno consideri mai Aberforth».
«A proposito del Profeta... non so se ha visto, signor Doge...»
«Oh, ti prego, dammi del tu, caro ragazzo».
«Non so se hai visto l'intervista che Rita Skeeter ha rilasciato su Silente». Doge arrossì, irritato.
«Oh, certo, Harry, l'ho vista. Quella donna, o quell'avvoltoio, per meglio dire, mi ha perseguitato perché parlassi con lei. Mi vergogno, ma sono stato piuttosto sgarbato, l'ho chiamata una trota impicciona, il che si è tradotto, come avrai notato, in una serie di calunnie sulla mia salute mentale».
«Be', in quell'intervista» riprese Harry «Rita Skeeter insinua che il professor Silente da giovane fosse coinvolto nelle Arti Oscure».
«Non credere a una parola!» ribatté subito Doge. «Nemmeno a una, Harry! Non lasciare che nulla intacchi i tuoi ricordi di Albus Silente!»
Harry guardò la faccia appassionata e addolorata di Doge e non si sentì
rassicurato ma deluso. Doge credeva davvero che fosse così facile, che lui potesse semplicemente decidere di non crederci? Non capiva il suo bisogno di esserne certo, di sapere tutto?
Forse Doge avvertì i dubbi di Harry, perché si rabbuiò e si affrettò ad aggiungere: «Harry, Rita Skeeter è una tremenda...»
Ma fu interrotto da una risatina acuta.
«Rita Skeeter? Oh, io l'adoro, la leggo sempre!»
Harry e Doge alzarono lo sguardo su zia Muriel, le piume che danzavano sul cappello, un calice di champagne in mano. «Ha scritto un libro su Silente, sai!»
«Ciao, Muriel» disse Doge. «Sì, stavamo proprio parlando...»
«Tu! Cedimi il posto, ho centosette anni!»
Un altro rosso cugino Weasley balzò su dalla sua sedia, atterrito, zia Muriel gliela sfilò con sorprendente energia e si lasciò cadere tra Doge e Harry.
«Ciao di nuovo, Barry, o com'è che ti chiami» salutò Harry. «Allora, che cosa dicevi di Rita Skeeter, Elphias? Lo sai che ha scritto la biografia di Silente? Non vedo l'ora di leggerla, devo ricordarmi di ordinare una copia al Ghirigoro!»
A questa uscita Doge s'irrigidì e assunse un'aria solenne, ma zia Muriel vuotò il calice e fece schioccare le dita ossute per chiederne ancora a un cameriere. Bevve un'altra sorsata di champagne, ruttò e proseguì: «Non state lì come due rane impagliate! Prima che diventasse così rispettato e rispettabile e tutte quelle baggianate, giravano strane voci su Albus!»
«Critiche infondate» ribatté Doge, arrossendo di nuovo.
«Lo dici tu, Elphias» ridacchiò zia Muriel. «Ho notato che nel tuo necrologio hai glissato sui punti dolenti!»
«Mi spiace che tu lo pensi» osservò Doge, ancora più gelido. «Ti garantisco che l'ho scritto col cuore».
«Oh, lo sappiamo che veneravi Silente; oserei dire che sei ancora convinto che fosse un santo anche se è venuto fuori che si è sbarazzato di quella sua sorella Maganò!»
«Muriel!» esclamò Doge.
Un gelo che non aveva nulla a che fare con lo champagne ghiacciato s'insinuò nel petto di Harry.
«Come sarebbe?» chiese a Muriel. «Chi dice che sua sorella era una Maganò? Credevo che fosse malata».
«Be', credevi sbagliato, Barry!» Zia Muriel era esilarata dall'effetto che aveva provocato. «Comunque, come puoi pensare di saperne qualcosa? È
successo anni e anni prima che ti mettessero in cantiere, mio caro, e il fatto è che quelli di noi che erano già al mondo non hanno mai saputo cos'è successo davvero. Ecco perché non vedo l'ora di leggere cos'ha scoperto la Skeeter! Silente ha passato quella sorella sotto silenzio per un sacco di tempo!»
«Falso!» sibilò Doge. «Del tutto falso!»
«Non mi ha mai detto che sua sorella era una Maganò» mormorò Harry senza riflettere, ancora raggelato.
«E perché mai avrebbe dovuto dirlo a te?» gracchiò Muriel, oscillando sulla sedia nel tentativo di mettere a fuoco Harry.
«La ragione per cui Albus non parlava mai di Ariana» cominciò Elphias, irrigidito per l'emozione, «è piuttosto chiara, direi. Era talmente devastato dalla sua morte...»
«Perché nessuno l'ha mai vista, Elphias?» incalzò Muriel con voce roca.
«Perché molti non sapevano nemmeno della sua esistenza finché non hanno portato la bara fuori di casa e le hanno fatto il funerale? Cosa faceva quel santo di Albus mentre Ariana era rinchiusa in cantina? Faceva il genietto a Hogwarts, e al diavolo quello che succedeva a casa sua!»
«Come sarebbe, 'rinchiusa in cantina'?» chiese Harry. «Che storia è questa?»
Doge era desolato. Zia Muriel ridacchiò di nuovo e rispose a Harry.
«La madre di Silente era una donna tremenda, semplicemente tremenda, una Nata Babbana, anche se ho sentito dire che faceva finta di non esserlo...»
«Non ha mai finto nulla del genere! Kendra era una donna come si deve» sussurrò Doge annichilito, ma zia Muriel lo ignorò.
«... superba e prepotente, il genere di strega che si sarebbe sentita umiliata mettendo al mondo una Maganò...»
«Ariana non era una Maganò!» ansimò Doge.
«Lo dici tu, Elphias, ma allora spiegami perché non ha mai frequentato Hogwarts!» insisté zia Muriel. Poi, rivolta a Harry: «Ai nostri tempi si evitava di parlare dei Maghinò. Anche se arrivare all'estremo di imprigionare una bambina in casa e far finta che non esistesse...»
«Ti dico che non è andata così!» esclamò Doge, ma zia Muriel continuò
imperterrita, sempre rivolta a Harry.
«Di solito si mandavano i Maghinò in scuole Babbane e li si incoraggiava a integrarsi nelle comunità Babbane... molto più garbato che cercare di trovar loro un posto nel mondo magico, dove sarebbero stati sempre di serie B; ma naturalmente Kendra Silente non si sarebbe mai sognata di mandare la figlia in una scuola Babbana...»
«Ariana era fragile!» proruppe Doge, disperato. «La sua salute è sempre stata troppo cagionevole per consentirle...»
«Per consentirle di uscire di casa?» sghignazzò Muriel. «Eppure nessuno l'ha mai portata al San Mungo e nessun guaritore è mai stato chiamato per curarla!»
«Andiamo, Muriel, come fai a sapere se...»
«Per tua informazione, Elphias, mio cugino Lancelot era medico al San Mungo a quell'epoca, e confidò alla mia famiglia, nella massima segretezza, che nessuno aveva mai visto Ariana all'ospedale. Tutto molto sospetto, secondo Lancelot!»
Doge era sull'orlo delle lacrime. Zia Muriel, al colmo del divertimento, schioccò le dita per chiedere altro champagne. Stordito, Harry pensò a come i Dursley l'avevano zittito, rinchiuso, confinato, per il crimine di essere un mago. La sorella di Silente aveva subito la stessa sorte per la ragione opposta? Imprigionata per la sua mancanza di magia? E Silente l'aveva davvero lasciata al suo destino per andare a Hogwarts a fare sfoggio delle sue straordinarie doti?
«Ora, se Kendra non fosse morta prima» riprese Muriel, «avrei detto che è stata lei a far fuori Ariana...»
«Ma come puoi, Muriel?» gemette Doge. «Una madre che uccide sua figlia? Pensa a quello che dici!»
«Se la madre in questione è stata capace di tenerla rinchiusa per anni e anni, perché no?» rispose zia Muriel scrollando le spalle. «Ma come ho detto, i conti non tornano, perché Kendra è morta prima di Ariana... di cosa, nessuno lo sa per certo...»
«Oh, senza dubbio è stata Ariana ad assassinarla» suggerì Doge, in un coraggioso sforzo di dileggio. «Perché no?»
«Sì, è possibile che Ariana abbia fatto un disperato tentativo per liberarsi e abbia ucciso Kendra nella lotta» rifletté zia Muriel ad alta voce. «Nega pure quanto vuoi, Elphias! Tu c'eri al funerale di Ariana, no?»
«Sì che c'ero» ribatté Doge con labbra tremanti. «E non riesco a ricordare una circostanza più triste. Albus aveva il cuore infranto...»
«Non solo il cuore. Aberforth non gli ha spaccato il naso a metà del servizio funebre?»
Se Doge era sembrato scandalizzato fino ad allora, non era nulla in confronto alla faccia che aveva adesso. Sembrava che Muriel l'avesse pugnalato. Lei ridacchiò e bevve un altro sorso di champagne, che le colò sul mento.
«Come puoi...?» gracchiò Doge.
«Mia madre era amica della vecchia Bathilda Bath» rispose zia Muriel tutta allegra. «Quando Bathilda le raccontò cos'era successo, io stavo origliando. Una rissa davanti alla bara! Stando a Bathilda, Aberforth urlò che era tutta colpa di Albus se Ariana era morta, e poi gli diede un pugno in faccia. Albus non si difese nemmeno, ed è strano, avrebbe potuto fare a pezzi Aberforth in duello con le mani legate dietro la schiena». Muriel tracannò dell'altro champagne. L'elenco di quei vecchi scandali la esaltava quanto orripilava Doge. Harry non sapeva che cosa pensare: voleva la verità, ma Doge non faceva che belare debolmente che Ariana era malata. Harry non poteva credere che Silente non fosse intervenuto se davvero a casa sua stava accadendo una cosa tanto crudele, e tuttavia c'era senza dubbio qualcosa di strano in quella storia.
«E ti dirò di più» aggiunse Muriel con un singhiozzo nell'abbassare il calice. «Credo che Bathilda abbia vuotato il sacco con Rita Skeeter. Tutte quelle allusioni a una fonte importante vicina ai Silente... lei è stata testimone di tutta la vicenda di Ariana, i conti tornerebbero!»
«Bathilda non parlerebbe mai con Rita Skeeter!» bisbigliò Doge.
«Bathilda Bath?» intervenne Harry. «L'autrice di Storia della Magia?»
Ricordava il nome, stampato sulla copertina di un libro di scuola, non uno dei più consultati, doveva ammetterlo.
«Sì» rispose Doge, aggrappandosi alla domanda di Harry come un naufrago a un salvagente. «Una brillantissima storica della magia, vecchia amica di Albus».
«Un po' rimbambita ultimamente, da quel che ho sentito dire» intervenne zia Muriel giuliva.
«In tal caso, è ancora più deplorevole che la Skeeter si sia approfittata di lei» dichiarò Doge, «e non si può certo fare affidamento su quello che Bathilda potrebbe aver detto!»
«Oh, ci sono tanti modi di ridestare i ricordi e sono certa che Rita Skeeter li conosce tutti» osservò zia Muriel. «Ma anche se Bathilda è del tutto andata, di sicuro possiede ancora vecchie foto, forse anche delle lettere. Conosceva i Silente da anni... valeva proprio la pena di fare un giretto a Godric's Hollow».
Harry, che stava bevendo una Burrobirra, quasi si soffocò. Doge gli batté la mano sulla schiena mentre lui tossiva, fissando zia Muriel tra le lacrime. Ripreso il controllo della voce, le chiese: «Bathilda Bath vive a Godric's Hollow?»
«Oh, sì, da sempre! I Silente ci sono andati a vivere dopo l'arresto di Percival e lei era la loro vicina».
«I Silente abitavano a Godric's Hollow?»
«Sì, Barry, l'ho appena detto» rispose zia Muriel, stizzita. Harry si sentì prosciugato, vuoto. Mai una volta in sei anni Silente gli aveva detto che entrambi erano vissuti e avevano perduto i loro cari a Godric's Hollow. Perché? Lily e James erano sepolti vicino alla madre e alla sorella di Silente? Il Preside aveva fatto visita alle loro tombe, forse passando davanti a quella di Lily e James? E non gliel'aveva mai detto... non si era mai preoccupato di dirlo...
E perché fosse tanto importante Harry non riusciva a spiegarlo, nemmeno a se stesso, eppure sentiva che non avergli detto che quel luogo e quelle esperienze li accomunavano equivaleva a una menzogna. Fissò dritto davanti a sé, notando a malapena ciò che accadeva intorno, e non si accorse che Hermione era sbucata dalla folla finché non avvicinò una sedia.
«Non ce la faccio più» ansimò. Si sfilò una scarpa e si massaggiò la pianta del piede. «Ron è andato a prendere altre Burrobirre. È strano, ho appena visto Viktor allontanarsi in fretta dal padre di Luna, sembrava che avessero litigato...» Tacque e lo guardò. «Harry, ti senti bene?»
Harry non sapeva da dove cominciare, ma non ce ne fu bisogno. In quel momento, qualcosa di grosso e argenteo arrivò dall'alto attraverso la tenda sulla pista. Aggraziata e lucente, la lince atterrò lieve in mezzo ai ballerini esterrefatti. Le teste si voltarono, i più vicini rimasero assurdamente paralizzati a metà della danza. Poi il Patronus parlò con la voce forte e fonda di Kingsley Shacklebolt.
« Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando» .
CAPITOLO 9
UN NASCONDIGLIO
Tutto era sfocato, lento. Harry e Hermione balzarono in piedi sfoderando le bacchette. Molti si erano appena resi conto che era successo qualcosa di strano e stavano ancora voltandosi verso il felino d'argento quando quello sparì. Il silenzio si propagò in gelide ondate dal punto in cui era atterrato il Patronus. Poi qualcuno urlò.
Harry e Hermione si gettarono nella folla terrorizzata. Gli invitati schizzavano da tutte le parti; molti si Smaterializzavano; gli incantesimi di protezione attorno alla Tana si erano infranti.
«Ron!» gridò Hermione. «Ron, dove sei?»
Mentre si facevano largo per la pista, Harry vide apparire tra la folla figure incappucciate e mascherate; poi scorse Lupin e Tonks, le bacchette alte, e li udì urlare « Protego! », un grido che echeggiò ovunque...
«Ron! Ron!» chiamò Hermione tra i singhiozzi. I convitati in preda al panico li urtavano e Harry le prese la mano per assicurarsi che non venissero separati. Vide una striscia di luce che sibilava sulle loro teste. Impossibile dire se fosse un incantesimo di protezione o qualcosa di più sinistro... Finalmente trovarono Ron, che afferrò la mano libera di Hermione. Harry la sentì vorticare su se stessa: vista e udito si spensero, l'oscurità lo sommergeva; sentiva solo la mano di Hermione mentre veniva strizzato fra spazio e tempo, lontano dalla Tana, lontano dai Mangiamorte in picchiata, lontano, forse, da Voldemort stesso...
«Dove siamo?» chiese la voce di Ron.
Harry apri gli occhi. Per un istante credette di essere ancora alle nozze: erano circondati dalla gente.
«Tottenham Court Road» rispose Hermione, affannata. «Cammina e basta, dobbiamo trovare un posto dove vi possiate cambiare». Harry obbedì. Un po' camminarono un po' corsero lungo l'ampia via buia affollata di nottambuli festaioli e fiancheggiata da negozi chiusi. Le stelle brillavano sopra di loro. Un bus a due piani avanzò rombando e un gruppo di allegri bevitori li guardò ammiccando; Harry e Ron erano ancora in abito da cerimonia.
«Hermione, non abbiamo vestiti» le disse Ron. Una giovane donna lo guardò e scoppiò in una risatina rauca.
«Perché non ho portato il Mantello dell'Invisibilità?» si rimproverò
Harry, maledicendo la propria stupidità. «Lo tengo con me tutto l'anno e poi...»
«Tranquillo, l'ho portato io e ho i vestiti per tutti e due» ribatté Hermione. «Cercate solo di non dare troppo nell'occhio finché... qui va bene». Li guidò in una stradina laterale, poi al sicuro in un vicolo poco illuminato.
«Quando dici che hai il Mantello e i vestiti...» cominciò Harry, guardando accigliato Hermione: non aveva con sé altro che la borsetta di perline, nella quale stava frugando.
«Sì, sono qui» rispose Hermione, e con grande stupore dei due estrasse un paio di jeans, una felpa, dei calzini rossicci e infine l'argenteo Mantello dell'Invisibilità.
«Come accidenti...»
«Incantesimo Estensivo Irriconoscibile» spiegò lei. «Complicato, ma credo di averlo fatto giusto; comunque sono riuscita a ficcare qui dentro tutto quello che ci serve». Diede una scrollata alla borsetta apparentemente fragile, che rimbombò come un container al rumore di un gran numero di oggetti pesanti che si rigiravano al suo interno. «Oh, no, quelli sono i libri»
disse, sbirciando dentro, «li avevo divisi tutti per argomento... va be'... Harry, è meglio se prendi il Mantello. Ron, spicciati a cambiarti...»
«Quando hai fatto tutte queste cose?» le chiese Harry, mentre Ron si spogliava.
«Te l'ho detto alla Tana, erano giorni che tenevo pronte le cose essenziali, sai, in caso di fuga improvvisa. Ho riempito il tuo zaino stamattina, Harry, dopo che ti eri vestito, e l'ho messo qui dentro... avevo come la sensazione...»
«Sei straordinaria, davvero» commentò Ron, consegnandole l'abito appallottolato.
«Grazie» rispose Hermione, abbozzando un sorrisetto e spingendo l'abito nella borsa. «Per favore, Harry, mettiti quel Mantello!»
Harry si gettò sulle spalle e sulla testa il Mantello dell'Invisibilità. Sparì. Stava appena cominciando a rendersi conto dell'accaduto.
«Gli altri... tutti gli invitati...»
«Non possiamo pensare a loro adesso» sussurrò Hermione. «È a te che danno la caccia, Harry; se tornassimo metteremmo tutti ancora più in pericolo».
«Ha ragione» convenne Ron, sapendo che Harry stava per ribattere anche senza vederlo in faccia. «Gran parte dell'Ordine era lì, si occuperanno loro di tutti».
Harry annuì, poi ricordò che non lo potevano vedere e disse: «Sì». Ma pensò a Ginny e la paura ribollì come acido nel suo stomaco.
«Andiamo, dobbiamo muoverci» li esortò Hermione.
Tornarono sulla strada principale, dove, sul marciapiede opposto, un gruppo di uomini cantava barcollando.
«Solo per curiosità, perché proprio Tottenham Court Road?» chiese Ron a Hermione.
«Non lo so, mi è venuto in mente e basta, ma sono certa che siamo più al sicuro nel mondo Babbano, non si aspettano di trovarci qui».
«Giusto» approvò Ron guardandosi intorno, «ma non ti senti un po'... vistosa?»
«Che alternative abbiamo?» gli chiese Hermione, facendo una smorfia quando gli ubriachi cominciarono a fischiare al suo indirizzo. «Non possiamo mica prendere delle stanze al Paiolo Magico, no? E Grimmauld Pla-ce è da escludere, se Piton può entrarci... potremmo provare a casa dei miei, anche se può darsi che vadano a controllare... oh, perché non chiudono il becco!»
«Tutto bene, tesoro?» urlò quello più sbronzo dall'altra parte della strada. «Vuoi qualcosa da bere? Molla il rosso e vieni a farti una pinta con noi!»
«Andiamo a sederci da qualche parte» propose Hermione in fretta, perché Ron aveva già aperto la bocca per ribattere ai molestatori. «Guardate, questo andrà bene, qui dentro!»
Era un piccolo, squallido caffè aperto ventiquattr'ore su ventiquattro. Un leggero strato di unto ricopriva tutti i tavoli di formica, ma almeno era vuoto. Harry scivolò lungo una panca per primo e Ron gli sedette accanto, di fronte a Hermione, che dava le spalle all'ingresso, e la cosa non le piaceva: si guardava indietro così spesso che sembrava avesse un tic. A Harry non andava giù l'idea di stare fermo; camminare gli aveva dato l'illusione di avere una meta. Sotto il Mantello sentì svanire le ultime tracce della Pozione Polisucco: le mani tornarono della consueta forma e dimensione. Si sfilò gli occhiali di tasca e li inforcò.
Dopo qualche minuto, Ron disse: «Sapete, non siamo lontani dal Paiolo Magico, è in Charing Cross...»
«Ron, non possiamo!» sbottò Hermione.
«Non per dormirci, ma per scoprire cosa sta succedendo!»
«Ma lo sappiamo, cosa sta succedendo! Voldemort si è impadronito del Ministero, che altro dobbiamo sapere?»
«Va bene, va bene, era solo un'idea!»
Ricaddero in un silenzio irritato. La cameriera arrivò strascicando i piedi e masticando una gomma, e Hermione ordinò due cappuccini; siccome Harry era invisibile, sarebbe parso strano chiederne uno anche per lui. Una coppia di operai corpulenti entrarono e si strizzarono nelle panche vicine. Hermione ridusse la voce a un sussurro.
«Troviamo un posto tranquillo per Smaterializzarci e andiamo in campagna. Una volta là, potremo mandare un messaggio all'Ordine».
«Perché, sai far parlare i Patroni?» le chiese Ron.
«Ci ho provato, credo di sì» rispose Hermione.
«Be', basta che non li mettiamo nei guai. Magari sono già stati arrestati. Santo cielo, fa schifo» commentò Ron dopo una sorsata di schiumoso caffè
grigiastro. La cameriera lo sentì e gli scoccò un'occhiata invelenita mentre si trascinava verso i nuovi clienti. Il più grosso dei due, biondo e robusto, le fece cenno di allontanarsi. Lei lo guardò male, offesa.
«Andiamo, allora, non voglio bere questa fanghiglia» disse Ron. «Hermione, hai soldi Babbani per pagare?»
«Sì, ho prosciugato il mio libretto di risparmio prima di venire alla Tana. Scommetto che tutta la moneta è finita sul fondo» sospirò, chinandosi a prendere la borsa di perline.
I due operai fecero un gesto identico e Harry istintivamente li imitò: tutti e tre estrassero le bacchette. Ron, in ritardo di qualche secondo, si gettò sul tavolo e spinse Hermione sulla panca. Le maledizioni dei Mangiamorte fracassarono la parete di piastrelle alle spalle di Ron, mentre Harry, ancora invisibile, urlava: « Stupeficium! »
Il Mangiamorte biondo e grosso fu colpito in viso da un getto di luce rossa e si afflosciò, privo di sensi. Il suo compagno, non vedendo chi aveva scagliato l'incantesimo, ne spedì un altro: corde nere e lucide volarono dalla punta della sua bacchetta e legarono Ron dalla testa ai piedi. La cameriera strillò e corse verso l'uscita. Harry scagliò un altro Schiantesimo contro il Mangiamorte dalla faccia storta che aveva legato Ron, ma l'incanto fallì il colpo, rimbalzò contro la vetrina e colpì la cameriera, che cadde davanti alla porta.
« Expulso! » urlò il Mangiamorte, e il tavolo esplose scagliando Harry contro la parete: sentì la bacchetta scivolargli di mano e il Mantello cadergli di dosso.
« Petrificus Totalus! » gridò Hermione, fuori del suo campo visivo, e il Mangiamorte cadde rumorosamente in avanti come una statua sul miscuglio di tazze rotte, pezzi di tavolo e caffè. Hermione strisciò fuori da sotto la panca, scuotendosi i frammenti di vetro del portacenere dai capelli, tutta tremante.
« D-diffindo» disse, puntando la bacchetta verso Ron, che gemette perché
gli aveva squarciato i jeans al ginocchio, lasciando un taglio profondo.
«Oh, scusami, Ron, mi trema la mano! Diffindo! »
Le corde tagliate caddero. Ron si alzò e scrollò le braccia per riacquistare la sensibilità. Harry raccolse la bacchetta e si arrampicò sui detriti fino alla panca dov'era disteso il Mangiamorte biondo e grosso.
«Avrei dovuto riconoscerlo, c'era anche lui la notte che è morto Silente»
osservò. Rivoltò con un piede il Mangiamorte più scuro di capelli; gli occhi dell'uomo scattarono da Harry a Ron a Hermione.
«È Dolohov» disse Ron. «Mi ricordo la foto di quando era un ricercato. Credo che quello grosso sia Thorfinn Rowle».
«E chi se ne importa dei loro nomi!» esclamò Hermione, un po' isterica.
«Come hanno fatto a trovarci? Cosa facciamo adesso?»
In qualche modo il suo panico schiarì le idee a Harry.
«Chiudi a chiave la porta» ordinò, «e tu, Ron, spegni le luci». Guardò Dolohov immobilizzato, riflettendo in fretta mentre la serratura scattava e Ron usava il Deluminatore per sprofondare il caffè nell'oscurità. Sentì gli uomini che prima avevano urlato a Hermione apostrofare un'altra ragazza in lontananza.
«Che cosa ne facciamo di quelli?» gli bisbigliò Ron nel buio; poi, più
piano: «Li uccidiamo? Loro ci ucciderebbero. Ci hanno appena provato». Hermione rabbrividì e fece un passo indietro. Harry scosse la testa.
«Dobbiamo solo cancellargli la memoria» rispose. «È meglio così, farà
perdere le nostre tracce. Se li uccidessimo, sarebbe ovvio che siamo stati qui».
«Sei tu il capo» ribatté Ron, profondamente sollevato. «Ma io non ho mai fatto un Incantesimo di Memoria» .
«Nemmeno io» intervenne Hermione, «però so la teoria».
Trasse un gran respiro per calmarsi, poi puntò la bacchetta contro la fronte di Dolohov e disse: « Oblivion».
Subito gli occhi di Dolohov si annebbiarono, sognanti.
«Brava!» esclamò Harry dandole una pacca sulla schiena. «Occupati di quell'altro e della cameriera mentre io e Ron mettiamo in ordine».
«Mettere in ordine?» gridò Ron, guardando il caffè semidistrutto. «Perché?»
«Non credi che potrebbero chiedersi cosa è successo, se si svegliano e si ritrovano in un posto che sembra appena bombardato?»
«Oh, sì, è vero...»
Ron trafficò un po' per sfilare la bacchetta di tasca.
«Per forza non riuscivo a prenderla, Hermione, hai portato i miei vecchi jeans, sono stretti».
«Be', scusa, sai» sibilò Hermione, e mentre trascinava la cameriera lontano dalla vetrina Harry la sentì borbottare un suggerimento su dove Ron poteva ficcarsi la bacchetta.
Riportato il caffè al suo aspetto originario, risistemarono i Mangiamorte sulle panche, uno di fronte all'altro.
«Ma come hanno fatto a trovarci?» chiese Hermione, guardando i due uomini inerti. «Come hanno fatto a sapere che eravamo qui?»
Si rivolse a Harry.
«Tu... tu non credi di avere ancora addosso la Traccia, vero, Harry?»
«Impossibile» decretò Ron. «La Traccia svanisce a diciassette anni, è
una legge magica, non si può imporla a un adulto».
«Per quanto ne sai tu» lo rimbeccò Hermione. «E se i Mangiamorte hanno trovato un modo di imporla a un diciassettenne?»
«Ma Harry non è stato vicino a un Mangiamorte nelle ultime ventiquattr'ore. Chi potrebbe avergli imposto la Traccia?»
Hermione non rispose. Harry si sentiva contaminato, infetto: era così che i Mangiamorte l'avevano individuato?
«Se io non posso usare la magia senza rivelare la nostra posizione, e voi nemmeno finché siete vicino a me...» esordì.
«Non ci separeremo!» esclamò Hermione, decisa.
«Ci serve un posto sicuro dove nasconderci» disse Ron. «Per avere il tempo di riflettere».
«Grimmauld Place» propose Harry.
Gli altri due lo guardarono a bocca aperta.
«Non essere sciocco, Harry, Piton può entrare!»
«Il padre di Ron ha detto che hanno messo delle fatture contro di lui... e anche se non hanno funzionato» incalzò, prima che Hermione potesse ribattere, «che differenza fa? Giuro che non desidero altro che incontrare Piton!»
«Ma...»
«Hermione, che alternative abbiamo? È la soluzione migliore. Piton è un Mangiamorte solo. Se ho ancora addosso la Traccia, ci seguiranno a frotte, ovunque andiamo».
Lei non poté controbattere, ma era chiaro che le sarebbe piaciuto. Aprì la porta del caffè e Ron fece scattare il Deluminatore per riaccendere le luci. Poi, al tre di Harry, annullarono gli incantesimi sulle vittime e, prima che la cameriera o uno dei Mangiamorte potesse far altro che stiracchiarsi, girarono su se stessi e svanirono di nuovo nell'oscurità opprimente. Qualche attimo dopo i polmoni di Harry si dilatarono grati e lui aprì gli occhi: erano al centro di una squallida piazzetta dall'aria familiare. Alte case fatiscenti li fissavano da tutti i lati. Potevano vedere il numero dodici perché Silente, il Custode Segreto, aveva rivelato loro la sua esistenza, e si precipitarono da quella parte, voltandosi a ogni passo per controllare di non essere seguiti o spiati. Salirono di corsa i gradini di pietra e Harry picchiò una volta sulla porta con la bacchetta. Udirono una serie di scatti metallici e lo sferragliare di una catena, poi la porta si spalancò cigolando e i tre varcarono la soglia.
Non appena Harry chiuse la porta, le vecchie lampade a gas si accesero, proiettando luci tremolanti lungo l'ingresso. Era come lo ricordava: inquietante, pieno di ragnatele. I profili delle teste degli elfi domestici appese alla parete gettavano strane ombre su per la scala. Lunghe tende scure celavano il ritratto della madre di Sirius. La sola cosa fuori posto era il portaombrelli fatto con una zampa di troll, che era rovesciato a terra, come se Tonks l'avesse fatto cadere un'altra volta.
«Credo che qualcuno sia stato qui» sussurrò Hermione, indicandolo.
«Può essere successo quando sono usciti quelli dell'Ordine» bisbigliò in risposta Ron.
«Allora dove sono queste fatture contro Piton?» chiese Harry.
«Forse si attivano solo in sua presenza» suggerì Ron.
Comunque rimasero fianco a fianco sullo zerbino, la schiena contro la porta, spaventati all'idea di avanzare.
«Be', non possiamo stare qui per sempre» disse Harry, e fece un passo avanti.
« Severus Piton? » La voce di Malocchio Moody emerse sussurrando dal buio e li fece sobbalzare tutti e tre. «Non siamo Piton!» gracchiò Harry, prima che qualcosa gli alitasse addosso come aria fredda e la lingua gli si arricciasse in bocca, impedendogli di parlare. Fece per toccarsela, ma si era già ridistesa.
Gli altri due sperimentarono la stessa spiacevole sensazione. Ron fu assalito da conati; Hermione balbettò: «De-dev'essere la Ma-Maledizione Languelingua che Malocchio ha messo per Piton!»
Cautamente, Harry fece un altro passo avanti. Qualcosa si mosse tra le ombre in fondo all'ingresso e, prima che uno dei tre potesse dire un'altra parola, dalla moquette emerse una figura alta, polverosa e terribile. Hermione urlò, e altrettanto fece la signora Black, spalancando le tende; la figura grigia scivolava verso di loro, sempre più rapida, i capelli lunghi fino alla vita e la barba fluttuanti, il volto scavato, scarnificato, con le orbite vuote, orrendamente familiare, spaventosamente alterato: levò un braccio putrefatto, indicando Harry.
«No!» urlò Harry, e benché avesse alzato la bacchetta non gli venne in mente alcun incantesimo. «No! Non siamo stati noi! Non ti abbiamo ucciso...»
Alla parola 'ucciso' la sagoma esplose in un'enorme nuvola di polvere; tossendo e lacrimando, Harry si voltò e vide Hermione rannicchiata a terra vicino alla porta con le braccia sulla testa e Ron, scosso da un tremito, che le batteva goffamente una mano sulla spalla ripetendo: «V-va t-tutto bene... è spa-sparito...»
La polvere vorticava attorno a Harry come nebbia, catturando la luce blu delle lampade, mentre la signora Black strillava.
« Luridi Mezzosangue, feccia, macchie di disonore, marchi di vergogna sulla casa dei miei padri... »
«ZITTA!» urlò Harry, puntandole addosso la bacchetta, e con un'esplosione e uno scoppio di scintille rosse le tende si richiusero, mettendola a tacere.
«Quello... quello era...» piagnucolò Hermione, mentre Ron la aiutava ad alzarsi.
«Si» rispose Harry, «ma non era davvero lui. Era solo per spaventare Piton». Aveva funzionato, si chiese Harry, o Piton si era liberato di quell'orrida apparizione con la stessa noncuranza con cui aveva ucciso il vero Silente?
Con i nervi ancora tesi, guidò gli altri due lungo l'atrio, aspettandosi l'assalto di un nuovo orrore, ma nulla si mosse, eccetto un topo che sgattaiolò
lungo il battiscopa.
«Prima di andare avanti, meglio controllare» sussurrò Hermione. Levò
la bacchetta e disse: « Homenum revelio» .
Non successe nulla.
«Be', hai appena preso un bello spavento» osservò Ron con dolcezza.
«Che cosa voleva essere quello?»
«Esattamente quello che è stato!» ribatté Hermione, piccata. «Un incantesimo per rivelare eventuali presenze umane, e qui non c'è nessuno tranne noi!»
«E il vecchio Polveroso» aggiunse Ron, osservando il punto della moquette da cui era emersa la figura cadaverica.
«Andiamo di sopra» disse Hermione, con uno sguardo spaventato allo stesso punto. Si avviò per prima su per le scale scricchiolanti fino al salotto. Agitò la bacchetta per accendere le vetuste lampade a gas poi, tremando nella stanza piena di spifferi, si appollaiò sul divano, le braccia serrate attorno alle ginocchia. Ron andò alla finestra e scostò la pesante tenda di velluto.
«Non vedo nessuno là fuori» riferì. «E se Harry avesse ancora la Traccia addosso, ci avrebbero seguiti fin qui. Lo so che non possono entrare in ca-sa, ma... che cosa succede, Harry?»
Harry aveva urlato di dolore: aveva sentito un'altra fitta alla cicatrice mentre qualcosa gli dardeggiava nella mente come un lampo di luce sull'acqua. Vide una grande ombra e provò una rabbia non sua pulsargli nel corpo, violenta e repentina come una scarica elettrica.
«Cos'hai visto?» chiese Ron, avvicinandosi. «L'hai visto a casa mia?»
«No, sento solo la rabbia... è molto arrabbiato...»
«Ma potrebbe essere alla Tana» insisté Ron a voce alta. «E poi? Non hai visto nulla? Stava colpendo qualcuno?»
«No, ho sentito solo la rabbia... non saprei...»
Harry era infastidito, confuso, e Hermione non migliorò la situazione dicendo con voce spaventata: «Di nuovo la cicatrice? Ma cosa succede? Pensavo che la connessione si fosse chiusa!»
«È stato così, per un po'» borbottò Harry; la cicatrice gli faceva ancora male e gli rendeva difficile concentrarsi. «Io... io credo che abbia ricominciato ad aprirsi tutte le volte che lui perde il controllo, era così, una volta...»
«Ma allora devi chiudere la mente!» strillò Hermione. «Harry, Silente non voleva che tu usassi quel canale, voleva che lo bloccassi, per quello dovevi imparare l'Occlumanzia! Altrimenti Voldemort può insinuarti false immagini nella mente, ricordi...»
«Sì, me lo ricordo, grazie» ribatté Harry a denti stretti; non c'era bisogno che Hermione gli dicesse che Voldemort una volta aveva usato quel legame per attirarlo in trappola, né che la conseguenza era stata la morte di Sirius. Desiderò di non aver raccontato quello che aveva visto e provato; rendeva Voldemort più minaccioso, come se premesse contro la finestra della stanza, e intanto il dolore alla fronte cresceva e lui cercava di vincerlo: era come resistere alla necessità di vomitare. Voltò le spalle a Ron e Hermione, fingendo di studiare il vecchio arazzo dell'albero genealogico dei Black. Poi Hermione cacciò un urlo: Harry sfoderò di nuovo la bacchetta, si voltò e vide un Patronus argenteo planare attraverso la finestra del salotto e atterrare davanti a loro, dove assunse le sembianze della donnola che parlava con la voce del padre di Ron.
« Famiglia al sicuro, non rispondete, ci spiano».
Il Patronus si dissolse nel nulla. Ron emise un suono a metà tra un piagnucolio e un gemito e si lasciò cadere sul divano: Hermione gli andò vicino e gli strinse il braccio.
«Stanno tutti bene, stanno tutti bene!» sussurrò, e Ron diede in una mez-za risata e la abbracciò.
«Harry» disse, sopra la spalla di lei, «io...»
«Non c'è problema» esalò Harry, nauseato dal dolore alla testa. «È la tua famiglia, è naturale che tu sia preoccupato. Lo sarei anch'io» . Pensò a Ginny. «Lo sono anch'io».
Il dolore raggiunse l'apice; bruciava come poche sere prima nel giardino della Tana. Senti debolmente Hermione dire: «Non voglio stare da sola. Possiamo dormire qui, stanotte? Ho portato i sacchi a pelo». Udì Ron assentire. Non riuscì più a sopportare il dolore: dovette cedere.
«Bagno» borbottò, e uscì dalla stanza più veloce che poteva senza mettersi a correre. Arrivò appena in tempo: chiuse a chiave con mani tremanti, si afferrò la testa che pulsava e cadde a terra, poi, in un'esplosione di dolore, avvertì la rabbia che non gli apparteneva pervadergli l'anima. Vide una stanza lunga, illuminata da un camino, e il Mangiamorte grosso e biondo che urlava e si contorceva sul pavimento, e una sagoma più sottile incombere su di lui, la bacchetta tesa, mentre Harry parlava con voce acuta, fredda, spietata.
«Ancora, Rowle, o vuoi che la facciamo finita e ti diamo in pasto a Nagini? Lord Voldemort non sa se ti perdonerà questa volta... Mi hai chiamato per questo, per dirmi che Harry Potter è fuggito di nuovo? Draco, dai a Rowle un altro assaggio del nostro scontento... fallo, o sarai tu a subire la mia collera!»
Un ceppo cadde nel fuoco: le fiamme si ridestarono e la luce danzò su un volto pallido e appuntito, pervaso dal terrore... come affiorando da acque profonde, Harry trasse dei gran respiri e aprì gli occhi. Era disteso a braccia e gambe aperte sul freddo marmo nero, il naso a pochi centimetri da una delle argentee code di serpente che sostenevano la grande vasca da bagno. Il viso magro, pietrificato di Malfoy era impresso nelle sue pupille. Provò nausea per ciò che aveva visto, per l'uso che Voldemort faceva di Draco. Un bussare sordo alla porta, e Harry sussultò al suono della voce di Hermione.
«Harry, vuoi lo spazzolino? Ce l'ho qui io».
«Sì, magnifico, grazie» rispose lui, cercando di mantenere un tono normale mentre si alzava per aprirle la porta.
CAPITOLO 10
IL RACCONTO DI KREACHER
La mattina dopo Harry si svegliò in un sacco a pelo sul pavimento del salotto. Una striscia di cielo era visibile tra le tende pesanti; aveva il colore azzurro fresco e limpido d'inchiostro annacquato, era tra la notte e l'alba e tutto taceva, tranne i respiri profondi e tranquilli di Ron e Hermione. Harry guardò le sagome scure che si disegnavano sul pavimento accanto a lui. Ron, in uno slancio di galanteria, aveva insistito perché Hermione dormisse sui cuscini tolti dal divano, quindi lei era più in alto. Il braccio le ricadeva sul pavimento, le dita a pochi centimetri da quelle di Ron. Forse si erano addormentati tenendosi per mano. L'idea lo fece sentire stranamente solo.
Guardò il soffitto denso di ombre, il candelabro drappeggiato di ragnatele. Meno di ventiquattr'ore prima era al sole, all'ingresso del padiglione, in attesa degli invitati alle nozze. Sembrava una vita fa. E ora che cosa sarebbe successo? Pensò agli Horcrux, alla complicata, spaventosa missione che Silente gli aveva lasciato... Silente...
Il dolore per la sua morte si era trasformato. Le accuse di Muriel al matrimonio erano annidate nel suo cervello, come un male che infettava i suoi ricordi del mago che aveva idolatrato. Possibile che Silente avesse permesso quelle cose? Era stato come Dudley, indifferente agli abusi e all'incuria purché non lo sfiorassero? Possibile che avesse voltato le spalle a una sorella imprigionata e nascosta?
Harry pensò a Godric's Hollow, alle tombe a cui Silente non aveva mai fatto cenno; pensò ai misteriosi oggetti lasciati, senza spiegazioni, in eredità e la sua rabbia crebbe nel buio. Perché non gliel'aveva detto? Perché non si era fatto capire? Gli importava di lui, o Harry era stato solo uno strumento da lucidare e affilare, non una persona in cui confidare?
Non riusciva a stare lì sdraiato in compagnia di quei pensieri amari. Alla disperata ricerca di qualcosa da fare per distrarsi, uscì dal sacco a pelo, prese la bacchetta e strisciò fuori dalla stanza. Sul pianerottolo sussurrò
« Lumos» e salì le scale alla luce della bacchetta. Sul secondo pianerottolo si apriva la camera in cui lui e Ron avevano dormito l'ultima volta; entrò a dare un'occhiata. Le ante dell'armadio erano aperte e le lenzuola erano state rivoltate. Ricordò la zampa di troll rovesciata di sotto. Qualcuno aveva perquisito la casa da quando l'Ordine se n'era andato. Piton? O forse Mundungus, che aveva rubacchiato in lungo e in largo sia prima che dopo la morte di Sirius? Lo sguardo di Harry indugiò sul ritratto che qualche volta ospitava Phineas Nigellus Black, il bis-bisnonno di Sirius, ma era vuoto; si vedeva solo una striscia di sfondo fangoso. Evidentemente Phineas Nigellus passava la notte nello studio del Preside a Hogwarts.
Harry continuò a salire finché non raggiunse l'ultimo pianerottolo, su cui si affacciavano solo due porte. Quella di fronte a lui aveva una targa con scritto 'Sirius'. Non era mai entrato nella stanza del suo padrino. Spinse la porta, tenendo alta la bacchetta per diffondere più luce possibile. La stanza era spaziosa e un tempo doveva essere stata bella. Cerano un grande letto con la testata di legno intagliato, un'alta finestra oscurata da lunghe tende di velluto e un candelabro coperto da uno spesso strato di polvere, con i mozziconi di candela ancora al loro posto, le colate di cera simili a ghiaccio. I quadri alle pareti e la testata del letto erano coperti di polvere, una ragnatela era tesa tra il candelabro e la cima del grande armadio di legno; Harry si fece avanti e udì uno zampettare di topi disturbati. Da adolescente Sirius aveva tappezzato le pareti con un tale numero di poster e foto da lasciar libere solo poche strisce della seta grigio argento sottostante. Harry dedusse che i genitori di Sirius non erano riusciti a spezzare l'Incantesimo di Adesione Permanente che assicurava le immagini alle pareti, perché era certo che non gradissero i gusti del figlio maggiore. E Sirius doveva aver esagerato apposta per irritarli. C'erano molti stendardi di Grifondoro, rosso e oro sbiadito, a sottolineare la sua distanza dal resto della famiglia Serpeverde. C'erano molte foto di motociclette Babbane e anche (Harry ammirò il coraggio del padrino) poster di ragazze Babbane in bikini; si capiva che erano Babbane perché restavano immobili nelle foto, i sorrisi scoloriti e gli occhi vitrei pietrificati sulla carta. Un bel contrasto con l'unica foto magica appesa: quattro studenti di Hogwarts che ridevano tenendosi a braccetto.
Con un sussulto di gioia, Harry riconobbe suo padre; i capelli neri ribelli erano spettinati come i suoi e anche lui portava gli occhiali. Al suo fianco c'era Sirius, di una bellezza trascurata, il volto un po' arrogante molto più
giovane e felice di come Harry l'avesse mai visto da vivo. Alla destra di Sirius c'era Minus, più basso di una testa, grassoccio, lo sguardo acquoso, rosso di piacere per essere stato ammesso in quella compagnia di ammiratissimi ribelli come James e Sirius. Alla sinistra di James c'era Lupin, anche allora un po' trasandato, ma con la stessa aria di gioiosa sorpresa nel trovarsi apprezzato e accettato... o era solo perché Harry sapeva com'era andata che vedeva queste cose nella foto? Cercò di staccarla dalla parete; era sua, ormai, in fondo - Sirius aveva lasciato tutto a lui - ma non ci riu-scì. Sirius aveva proprio fatto di tutto per evitare che i suoi genitori ridecorassero la stanza. Harry guardò a terra. Il cielo fuori stava schiarendo; una lama di luce rivelò pezzi di carta, libri e piccoli oggetti sparpagliati sulla moquette. Era chiaro che anche la stanza di Sirius era stata frugata, ma il suo contenuto era stato ritenuto in gran parte, se non completamente, privo di valore. Alcuni libri erano stati scrollati tanto forte che le copertine si erano staccate e diverse pagine erano sparse a terra.
Harry si chinò, raccolse alcuni fogli e li osservò. Riconobbe una pagina di una vecchia edizione di Storia della Magia di Bathilda Bath e una di un manuale di manutenzione per motociclette. Il terzo foglio era scritto a mano e appallottolato; lo lisciò.
Caro Felpato,
Grazie, grazie per il regalo di Harry! È di gran lunga il suo preferito. Ha solo un anno e già sfreccia in giro sulla sua scopa giocattolo, è tutto contento, ti mando una foto così puoi vederlo. Sai benissimo che si alza da terra di neanche un metro, ma ha rischiato di uccidere il gatto e ha man- dato in mille pezzi un orrendo vaso che Petunia mi ha regalato per Natale (nessun rimpianto). Naturalmente James lo trova buffissimo, dice che di- venterà un grande giocatore di Quidditch, ma abbiamo dovuto mettere via tutti i soprammobili e quando vola non possiamo levargli gli occhi di dos- so.
Abbiamo festeggiato il compleanno con un tranquillissimo tè, solo noi e la vecchia Bathilda, che è sempre stata carina con noi e adora Harry. Ci è
dispiaciuto tanto che non ci fossi anche tu, ma l'Ordine viene prima di tut- to e comunque Harry non è abbastanza grande da capire che è il suo com- pleanno! James è un po' frustrato, qui rinchiuso, cerca di non darlo a ve- dere ma io lo sento... E Silente ha ancora il suo Mantello dell'Invisibilità, quindi non c'è modo di farsi un giretto. Se tu potessi venire a trovarci, gli farebbe molto piacere. Coda è stato qui il weekend scorso, mi è sembrato giù, ma probabilmente erano le notizie sui McKinnon; ho pianto tutta la sera quando l'ho saputo.
Bathilda viene quasi tutti i giorni, è una vecchietta affascinante e rac- conta un sacco di storie pazzesche su Silente, non penso che gli farebbe piacere saperlo! Non so quanto crederle, però, perché sembra impossibile che Silente
A Harry si erano addormentate braccia e gambe. Rimase immobile, con il foglio miracoloso tra le dita insensibili, mentre una sorta di tranquilla eruzione interiore lo inondava di gioia e di dolore in pari misura. Barcollò
fino al letto e si sedette.
Rilesse la lettera, ma non riuscì a coglierne più senso della prima volta, e si ridusse a fissare la grafia. Lei scriveva le g proprio come lui: le cercò
tutte, parola per parola, e ciascuna gli parve un amichevole saluto scorto attraverso un velo. Era un cimelio incredibile, la prova che Lily Potter era esistita, esistita davvero, che la sua mano calda un tempo si era mossa su quella pergamena, tracciando con l'inchiostro quelle lettere, quelle parole, parole su di lui, Harry, suo figlio.
Si asciugò gli occhi con impazienza e rilesse la lettera, questa volta concentrandosi sul significato. Era come ascoltare una voce che ci si ricorda solo in modo vago.
Avevano avuto un gatto... forse era morto come i suoi genitori a Godric's Hollow... oppure fuggito quando non era rimasto nessuno a nutrirlo... Sirius gli aveva regalato il suo primo manico di scopa... i suoi genitori conoscevano Bathilda Bath; li aveva presentati Silente? Silente ha ancora il suo Mantello dell'Invisibilità... che cosa strana... Harry si fermò a considerare le parole della madre. Perché Silente aveva preso il Mantello dell'Invisibilità di James? Harry ricordava con precisione che il Preside, anni prima, gli aveva detto: 'Io non ho bisogno di un man- tello per diventare invisibile'. Forse ne aveva avuto bisogno qualche membro meno dotato dell'Ordine e Silente gliel'aveva passato? Harry andò avanti... Coda è stato qui... Minus, il traditore, le era sembrato 'giù', vero? Sapeva che era l'ultima volta che vedeva James e Lily vivi?
E infine di nuovo Bathilda, che raccontava storie pazzesche su Silente: sembra impossibile che Silente...
Che Silente cosa? Ma c'erano un sacco di cose di Silente che si potevano definire pazzesche: che avesse preso un brutto voto in Trasfigurazione, per esempio, o che avesse cominciato a dedicarsi agli incantesimi sulle capre come Aberforth...
Harry si alzò e perlustrò il pavimento: forse il resto della lettera era lì da qualche parte. Raccolse i fogli, trattandoli, nella sua impazienza, con la stessa poca considerazione di chi aveva perquisito la casa prima di lui; aprì
i cassetti, scrollò i libri, salì su una sedia per passare la mano sulla cima dell'armadio e strisciò sotto il letto e la poltrona.
Infine, la guancia contro il pavimento, individuò quello che sembrava un pezzo di carta strappata sotto il cassettone. Lo prese: era la foto, quasi intera, che Lily aveva descritto nella lettera. Un bambino piccolo coi capelli neri sfrecciava dentro e fuori dall'immagine su una scopa minuscola, ridendo come un matto, e un paio di gambe che dovevano appartenere a James lo rincorrevano. Harry s'infilò la foto in tasca insieme alla lettera di Lily e continuò a cercare la seconda pagina.
Dopo un altro quarto d'ora, tuttavia, dovette concludere che il resto della lettera di sua madre era sparito. Si era perso, nei sedici anni trascorsi da quando era stato scritto, o era stato portato via da chi aveva frugato nella stanza? Harry rilesse la prima parte, questa volta per capire come mai il secondo foglio potesse essere prezioso. Ai Mangiamorte non poteva certo interessare la sua scopa giocattolo... La sola cosa potenzialmente utile erano le informazioni su Silente. Sembra impossibile che Silente... cosa?
«Harry? Harry! Harry!»
«Sono qui!» gridò lui. «Cosa è successo?»
Uno scalpiccio fuori dalla porta ed entrò Hermione.
«Ci siamo svegliati e non ti abbiamo trovato!» ansimò. Si voltò e urlò:
«Ron! È qui!»
La voce seccata di Ron echeggiò da parecchi piani di sotto.
«Bene! Digli da parte mia che è un idiota!»
«Harry, per favore, non sparire così, eravamo terrorizzati! Perché sei venuto quassù, comunque?» Osservò la stanza devastata. «Cosa stavi facendo?»
«Guarda cos'ho trovato» .
E le tese la lettera. Hermione la prese e la lesse sotto il suo sguardo. Giunta alla fine del foglio, alzò gli occhi su di lui.
«Oh, Harry...»
«E c'è anche questa».
Le diede la foto strappata e Hermione sorrise alla vista del piccolo che sfrecciava avanti e indietro sulla scopa giocattolo.
«Ho cercato il resto della lettera» aggiunse Harry, «ma qui non c'è». Hermione si guardò intorno.
«Hai fatto tu questo disastro, o era già così quando sei entrato?»
«Qualcuno ha frugato la stanza prima di me» rispose Harry.
«Lo immaginavo. Tutte le stanze in cui sono entrata salendo sono sottosopra. Cosa pensi che cercassero?»
«Informazioni sull'Ordine, se era Piton».
«Ma doveva già avere tutto quello che gli occorreva, voglio dire, ne faceva parte, no?»
«Be', allora» ribatté Harry, desideroso di discutere la sua teoria, «informazioni su Silente. La seconda pagina della lettera, per esempio. Conosci questa Bathilda che nomina mia mamma, lo sai chi è?»
«Chi è?»
«Bathilda Bath, l'autrice di...»
« Storia della Magia» concluse Hermione, incuriosita. «Quindi i tuoi genitori la conoscevano? È stata una storica della magia incredibile».
«Ed è ancora viva» disse Harry, «abita a Godric's Hollow. La zia di Ron, Muriel, ne parlava ieri al matrimonio. Conosceva anche la famiglia di Silente. Dovrebbe essere interessante parlare con lei, no?»
Il sorriso di Hermione era un po' troppo comprensivo, per i gusti di Harry. Si riprese lettera e foto e le infilò nel borsellino che portava al collo, per non doverla guardare negli occhi e tradirsi.
«Capisco perché ti piacerebbe parlare con lei dei tuoi genitori, e anche di Silente» osservò Hermione. «Ma non ci sarebbe d'aiuto nella ricerca degli Horcrux, no?» Harry non rispose e lei aggiunse in fretta: «Harry, lo so che vuoi tanto andare a Godric's Hollow, ma io ho paura... mi spaventa la facilità con cui ci hanno trovato ieri i Mangiamorte. Sono sempre più convinta che dovremmo evitare il posto dove sono sepolti i tuoi genitori, sono sicura che si aspettano che tu ci vada».
«Non è solo questo» ribatté Harry, sempre evitando di guardarla.
«Muriel ha raccontato delle cose su Silente al matrimonio. Voglio sapere la verità...»
Riferì a Hermione tutto ciò che aveva detto Muriel. Quando ebbe finito, lei disse: «Be', certo, capisco che ti ha sconvolto, Harry...»
«... non sono sconvolto» mentì lui. «Vorrei solo sapere se è vero o no...»
«Harry, pensi seriamente di poter trovare la verità in quel che dicono una vecchia perfida come Muriel o Rita Skeeter? Come fai a crederci? Tu conoscevi Silente!»
«Così pensavo» borbottò lui.
«Ma sai quanto era falso tutto quello che Rita Skeeter ha scritto su di te!
Doge ha ragione, come puoi permettere che queste persone sciupino i tuoi ricordi di Silente?»
Lui distolse lo sguardo, cercando di non far trasparire il proprio risentimento. Eccolo di nuovo: scegliere che cosa credere. Lui voleva la verità. Perché erano tutti così decisi a impedirgli di arrivarci?
«Scendiamo in cucina?» suggerì Hermione dopo una breve pausa. «A cercare qualcosa per fare colazione?»
Lui acconsentì, ma di malavoglia, e la seguì sul pianerottolo, passando davanti alla seconda porta. C'erano graffi profondi nella vernice sotto un piccolo cartello che non aveva notato nell'oscurità. Si fermò a leggerlo. Era un cartellino pomposo, scritto a mano con bella calligrafia, il genere di cosa che Percy Weasley avrebbe potuto appiccicare alla porta della sua stanza:
Non entrare
senza il permesso
di Regulus Arcturus Black
Harry si sentì percorrere dall'eccitazione, senza sapere subito perché. Rilesse il cartello. Hermione era già una rampa di scale più giù.
«Hermione» la chiamò, sorpreso che la sua voce suonasse così calma.
«Torna qui».
«Cosa succede?»