«Come?» chiese Aberforth.

«Mai» ripeté Harry. «La notte che morì, suo fratello aveva bevuto una pozione che lo fece uscire di senno. Urlava, supplicava qualcuno che non c'era. 'Non far del male a loro, ti prego... fai male a me, invece' » . Ron e Hermione lo fissarono. Non aveva mai raccontato nei particolari che cos'era accaduto sull'isola al centro del lago: gli eventi dopo il ritorno suo e di Silente a Hogwarts avevano eclissato tutto il resto.

«Credeva di essere di nuovo con lei e Grindelwald, lo so» continuò

Harry, ricordando il piagnucolio e le suppliche di Silente. «Vedeva Grindelwald che faceva del male a lei e ad Ariana... era una tortura per lui: se l'avesse visto allora, non direbbe che era libero».

Aberforth sembrava smarrito nella contemplazione delle proprie mani nodose e coperte di vene. Dopo una lunga pausa domandò: «Come fai, Potter, a essere sicuro che mio fratello non fosse più interessato al bene superiore che a te? Come fai a essere sicuro di non essere superfluo, come la mia sorellina?»

Una scheggia di ghiaccio perforò il cuore di Harry.

«Non ci credo. Silente voleva bene a Harry» intervenne Hermione.

«Perché non gli ha detto di nascondersi, allora?» ribatté Aberforth. «Perché non gli ha detto: 'Pensa a te stesso, è così che si sopravvive'?»

«Perché» rispose Harry, prima che potesse farlo Hermione, «a volte bi- sogna pensare a qualcosa di più della propria salvezza! A volte bisogna pensare al bene superiore! Questa è una guerra!»

«Hai diciassette anni, ragazzo!»

«Sono maggiorenne, e continuerò a combattere anche se lei si è arreso!»

«Chi ha detto che mi sono arreso?»

«'L'Ordine della Fenice non c'è più'» ripeté Harry. «'Tu-Sai-Chi ha vinto, è finita, e chiunque finga di credere il contrario si sbaglia'».

«Non dico che mi piace, ma è la verità!»

«No, non lo è» disse Harry. «Suo fratello sapeva come annientare LeiSa-Chi e me l'ha spiegato. Continuerò a tentare finché non ci riuscirò... o morirò. Non pensi che io non sappia come potrebbe andare a finire. Lo so da anni».

Aspettò che Aberforth ridesse di lui o replicasse, ma non lo fece. Si limitò ad aggrottare le sopracciglia.

«Dobbiamo entrare a Hogwarts» riprese Harry. «Se non può aiutarci, aspetteremo l'alba, la lasceremo in pace e cercheremo di trovare un modo da soli. Se invece può... be', questo è un ottimo momento per dirlo». Aberforth rimase immobile sulla sedia, scrutando Harry con il suo sguardo così straordinariamente simile a quello del fratello. Infine si schiarì la voce, si alzò, fece il giro del tavolino e si avvicinò al ritratto di Ariana.

«Sai cosa fare» le disse.

Lei sorrise, si voltò e se ne andò, non come le altre persone nei ritratti, dal lato della cornice, ma in quello che sembrava un lungo tunnel dipinto dietro di lei. Guardarono la sua figura sottile allontanarsi, inghiottita dall'oscurità.

«Ehm... cosa?» fece Ron.

«C'è solo un modo per entrare, ormai» spiegò Aberforth. «Dovete sapere che sorvegliano tutti i vecchi passaggi segreti da una parte e dall'altra, ci sono Dissennatori tutto attorno alle mura di cinta e pattuglie regolari dentro la scuola, stando alle mie fonti. Hogwarts non è mai stata così ben sorvegliata. Cosa pensi di poter fare una volta dentro, con Piton al comando e i Carrow come suoi vice... be', in fondo è quello che cerchi, no? Hai detto che sei pronto a morire».

«Ma cosa...?» mormorò Hermione, guardando accigliata il ritratto di Ariana. Un puntino bianco era ricomparso in fondo al tunnel dipinto, Ariana stava tornando verso di loro, diventando sempre più grande man mano che si avvicinava. Ma c'era qualcun altro, qualcuno più alto di lei, che zoppicava al suo fianco e sembrava emozionato. I suoi capelli erano più lunghi di quanto Harry li avesse mai visti; aveva diversi tagli sul viso e gli abiti laceri. Le due figure s'ingrandirono finché le loro teste e le spalle riempirono il ritratto. Poi il quadro scattò in avanti come una porticina, rivelando l'ingresso di un vero tunnel. E dal tunnel, zazzeruto, ferito, stracciato, sbucò il vero Neville Paciock, che scoppiò in un ruggito di gioia, balzò giù dalla mensola del camino e gridò: «Sapevo che saresti venuto! Lo sapevo, Harry!»

CAPITOLO 29

IL DIADEMA PERDUTO

«Neville... cosa... come?»

Ma Neville aveva visto Ron e Hermione e li stava abbracciando tra urla di felicità. Più Harry lo guardava, più gli pareva malridotto: aveva un occhio gonfio, giallo e viola, ferite sul viso, e tutto il suo aspetto trasandato faceva pensare che stesse vivendo momenti difficili. Ma il suo volto ammaccato splendeva di gioia quando lasciò andare Hermione e ripeté: «Sapevo che saresti venuto! L'ho detto mille volte a Seamus che era solo questione di tempo!»

«Neville, cosa ti è successo?»

«Cosa? Questo?» Neville liquidò le ferite con una scrollata del capo.

«Non è niente. Seamus è messo peggio. Vedrai. Andiamo, allora? Oh» e si rivolse ad Aberforth, «Ab, ce n'è un altro paio in arrivo».

«Un altro paio?» ripeté Aberforth minaccioso. «Come sarebbe un altro paio, Paciock? Ci sono il coprifuoco e l'Incanto Gnaulante su tutto il villaggio!»

«Lo so, infatti si Materializzeranno direttamente nel pub» rispose Neville. «Mandali su per il tunnel quando arrivano, d'accordo? Grazie mille». Neville porse la mano a Hermione e la aiutò ad arrampicarsi sulla mensola e poi nella galleria; Ron la seguì, poi toccò a Neville. Harry si rivolse ad Aberforth.

«Non so come ringraziarla. Ci ha salvato la vita due volte».

«Allora tenetevela stretta» ribatté Aberforth burbero. «Non so se ci riuscirò una terza». Harry salì sulla mensola e varcò l'apertura dietro il ritratto di Ariana. Dall'altra parte c'erano scalini di pietra levigata: sembrava che quel passaggio fosse lì da anni. Lampade di ottone erano appese al muro e il pavimento di terra battuta era liscio e consunto; mentre avanzavano, le loro ombre si aprivano a ventaglio sulle pareti.

«Da quanto tempo esisterà?» chiese Ron. «Non c'è sulla Mappa del Malandrino, vero, Harry? Credevo che ci fossero solo sette passaggi che entrano ed escono dalla scuola» .

«Li hanno chiusi tutti prima dell'inizio dell'anno» spiegò Neville. «Non c'è modo di usarli adesso, con le maledizioni sugli ingressi e i Mangiamorte e i Dissennatori di guardia alle uscite». Si mise a camminare all'indietro, sorridendo, beandosi della loro presenza. «Ma non importa... è vero che siete entrati alla Gringott? E siete fuggiti su un drago? Lo sanno tutti, tutti ne parlano, Terry Steeval è stato picchiato da Carrow perché lo ha urlato in Sala Grande a cena!»

«Sì, è vero» confermò Harry.

Neville rise allegro.

«Cosa ne avete fatto del drago?»

«L'abbiamo lasciato libero» replicò Ron. «Hermione voleva tenerlo come animaletto domestico...»

«Non esagerare, Ron...»

«Ma cos'avete fatto? Dicono che sei solo in fuga, Harry, ma io non ci credo. Secondo me tu hai in mente qualcosa».

«Hai ragione» rispose Harry, «ma raccontaci di Hogwarts, Neville, non sappiamo niente».

«È... be', non è più la vera Hogwarts» rispose Neville, e il suo sorriso sparì. «Sai dei Carrow?»

«I due Mangiamorte assunti come insegnanti?»

«Oltre a insegnare, sono i responsabili della disciplina. E amano le punizioni, i Carrow».

«Come la Umbridge?»

«No, al confronto lei era un agnellino. Gli altri insegnanti dovrebbero denunciarci ai Carrow se facciamo qualcosa di sbagliato. Ma se possono lo evitano. Si capisce che li detestano quanto noi.

«Amycus, il fratello, insegna quella che era Difesa contro le Arti Oscure, solo che adesso è Arti Oscure e basta. Dovremmo esercitarci con la Maledizione Cruciatus sugli studenti in castigo...»

«Cosa?»

Le voci di Harry, Ron e Hermione echeggiarono lungo il tunnel.

«Già» riprese Neville. «È così che mi sono procurato questo» e indicò

un taglio più profondo degli altri nella guancia. «Mi sono rifiutato. Ma ad alcuni piace; a Tiger e a Goyle, per esempio. È la prima volta che sono i migliori in qualcosa, probabilmente.

«Alecto, la sorella di Amycus, insegna Babbanologia, che è una materia obbligatoria. Siamo costretti a sentirci spiegare che i Babbani sono come animali, stupidi e sporchi, che hanno costretto i maghi alla clandestinità

con atti di ferocia, e che l'ordine naturale ora è stato restaurato. Mi sono beccato questo» indicò un altro taglio «per averle chiesto quanto sangue Babbano hanno lei e suo fratello».

«Cavoli, Neville» osservò Ron, «non hai scelto un gran momento per fare lo spiritoso».

«Tu non c'eri» obiettò Neville. «Non l'avresti sopportata nemmeno tu. Il fatto è che reagire è utile, dà agli altri un po' di speranza. Lo notavo sempre quando eri tu a farlo, Harry».

«Ma ti hanno usato come un affilacoltelli» ribatté Ron con una lieve smorfia, perché passando sotto una lampada vide ancora meglio le ferite dell'amico.

Neville scrollò le spalle.

«Non importa. Non vogliono versare troppo sangue puro, quindi ci torturano un po' se siamo insolenti ma non ci vogliono uccidere» . Harry non sapeva che cosa fosse peggio, se quello che Neville stava raccontando o il tono noncurante con cui ne parlava.

«Gli unici che sono davvero in pericolo sono quelli che hanno amici e parenti fuori che creano problemi. Allora li prendono in ostaggio. Il vecchio Xeno Lovegood stava parlando un po' troppo sul Cavillo, così hanno rapito Luna dal treno mentre tornava a casa per Natale».

«Neville, Luna sta bene, l'abbiamo vista...»

«Sì, lo so, è riuscita a farmelo sapere».

Estrasse dalla tasca una moneta d'oro e Harry la riconobbe: era uno dei galeoni falsi che l'Esercito di Silente aveva usato per scambiarsi messaggi.

«Sono eccezionali» disse Neville, con un gran sorriso a Hermione. «I Carrow non hanno mai scoperto come facevamo a comunicare, sono diventati pazzi. Uscivamo di soppiatto la notte e scrivevamo sui muri: 'Eser- cito di Silente, il reclutamento è ancora aperto' , cose così. Piton le detestava».

«Uscivate?» chiese Harry, notando l'uso del tempo passato.

«Be', è diventato sempre più difficile» spiegò Neville. «Abbiamo perso Luna a Natale e Ginny non è tornata dopo Pasqua, e noi tre eravamo i capi. I Carrow evidentemente sapevano che c'ero io dietro, allora hanno cominciato a punirmi sul serio, poi Michael Corner è stato sorpreso mentre liberava uno del primo anno che avevano incatenato e l'hanno torturato di brutto. Gli studenti si sono spaventati».

«Ci credo» borbottò Ron mentre il tunnel cominciava a salire.

«Sì, insomma, non potevo chiedere agli altri di subire quello che hanno fatto a Michael, così abbiamo lasciato perdere quel genere di bravate. Ma abbiamo continuato a lottare, in segreto, fino a un paio di settimane fa. Allora hanno deciso che c'era un solo modo per fermarmi, immagino, e hanno assalito la nonna».

«Cosa?» domandarono a una voce Harry, Ron e Hermione.

«Già». Neville annuì, un po' ansante perché il tunnel si era fatto ripido.

«Be', si capisce cos'hanno pensato. Aveva funzionato bene rapire i ragazzi per far rigare dritto i parenti: era solo questione di tempo prima che cominciassero a fare il contrario. Solo» li guardò e Harry notò con stupore che stava sorridendo, «che hanno trovato un osso duro. La vecchia strega vive da sola e avranno pensato che non valeva la pena di mandare qualcuno di particolarmente potente. Fatto sta» Neville rise «che Dawlish è ancora al San Mungo e la nonna è scappata. Mi ha mandato una lettera» e si batté

una mano sulla tasca all'altezza del cuore. «Dice che è fiera di me, che sono il degno figlio dei miei genitori, e di resistere».

«Forte» commentò Ron.

«Già» fece Neville allegramente. «Solo che quando hanno capito che non avevano modo di ricattarmi hanno deciso che in fondo Hogwarts poteva fare a meno di me. Non so se avevano in mente di uccidermi o di spedirmi ad Azkaban, ma comunque ho capito che era ora di tagliare la corda».

«Ma» obiettò Ron, decisamente confuso «non... non stiamo tornando dritti a Hogwarts?»

«Certo» rispose Neville. «Vedrete. Ci siamo».

Svoltarono un angolo e davanti a loro si parò la fine del tunnel. Un'altra breve rampa di gradini saliva fino a una porta uguale a quella nascosta dietro il ritratto di Ariana. Neville la spinse e la attraversò. Nel seguirlo, Harry lo sentì chiamare persone invisibili: «Guardate chi c'è! Non ve l'avevo detto?»

Quando Harry sbucò nella stanza oltre il passaggio, si levarono urla e strilli...

«HARRY!»

«È Potter, è POTTER!»

«Ron!»

« Hermione! »

Ebbe una visione confusa di arazzi colorati, lampade e molte facce. Un attimo dopo lui, Ron e Hermione furono abbracciati, strizzati, salutati con pacche sulla schiena, i capelli arruffati, le mani strette da più di una ventina di persone: era come se avessero appena vinto una finale di Quidditch.

«Va bene, va bene, calmatevi!» gridò Neville, e quando la piccola folla arretrò, Harry riuscì a guardarsi intorno.

Non riconobbe la stanza. Era enorme e assomigliava all'interno di una casa sull'albero particolarmente lussuosa, o forse a una gigantesca cabina di nave. Amache multicolori erano appese al soffitto e a una balconata che correva tutto intorno alle pareti rivestite di legno scuro e senza finestre, adorne di vivaci arazzi: Harry vide il leone d'oro di Grifondoro in campo scarlatto; il tasso nero di Tassorosso su fondo giallo, e il corvo di bronzo di Corvonero sul blu. Mancavano solo il verde e l'argento di Serpeverde. C'erano librerie traboccanti, alcuni manici di scopa appoggiati alle pareti, e nell'angolo una grossa radio nel suo mobiletto di legno.

«Dove siamo?»

«Nella Stanza delle Necessità, ovvio!» rispose Neville. «Ha superato se stessa, vero? I Carrow mi davano la caccia e io sapevo di avere solo un nascondiglio possibile: sono riuscito a passare dalla porta e ho trovato questo! Be', non era proprio così quando sono arrivato, era molto più piccola, c'erano solo un'amaca e l'arazzo di Grifondoro. Ma si è allargata via via che sono arrivati altri dell'ES».

«E i Carrow non possono entrare?» chiese Harry, cercando la porta con lo sguardo.

«No» intervenne Seamus Finnigan, che Harry riconobbe soltanto adesso dalla voce: aveva il viso ammaccato e gonfio. «È un vero nascondiglio, finché uno di noi resta dentro non possono prenderci, la porta non si apre. Ha fatto tutto Neville. Lui la capisce sul serio, questa Stanza. Devi chiedere di preciso quello che ti serve - tipo 'non voglio che nessun sostenitore dei Carrow riesca a entrare' - e lo fa! Devi stare attento a pensarle tutte!

Neville è un grande!»

«È abbastanza semplice, veramente» si schermì Neville. «Ero qui dentro da un giorno e mezzo, avevo una fame tremenda e ho espresso il desiderio di mangiare qualcosa; è stato allora che si è aperto il tunnel per la Testa di Porco. L'ho percorso e ho incontrato Aberforth. Ci procura sempre lui il cibo: non so perché, ma è l'unica cosa che la Stanza non fa».

«Be', certo, il cibo è una delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi» spiegò Ron tra lo stupore generale.

«E così siamo nascosti qui da quasi due settimane» continuò Seamus,

«la Stanza aggiunge un'amaca tutte le volte che ci serve ed è spuntato anche un bel bagno quando hanno cominciato ad arrivare le ragazze...»

«... e hanno pensato che avrebbero gradito lavarsi, sì» aggiunse Lavanda Brown, che Harry non aveva ancora notato. Guardandosi intorno riconobbe molti visi conosciuti. C'erano tutt'e due le gemelle Patii, Terry Steeval, Ernie Macmillan, Anthony Goldstein e Michael Corner.

«Raccontaci cosa stai combinando, dai» lo esortò Ernie, «circolano tante voci, noi cerchiamo di sapere qualcosa ascoltando Radio Potter». Indicò la radio. «Siete entrati alla Gringott?»

«Sicuro!» confermò Neville. «Ed è vera anche la storia del drago!»

Ci fu un accenno di applauso e qualche strillo; Ron fece un inchino.

«Che cosa cercavate?» chiese Seamus, curioso.

Prima che uno dei tre potesse eludere la domanda facendone un'altra, Harry provò un terribile, cocente dolore alla cicatrice. Voltò le spalle alle loro facce curiose e ammirate. La Stanza delle Necessità sparì e lui si ritrovò in una catapecchia di pietra in rovina, ai suoi piedi le tavole marce dell'impiantito erano state strappate via, una scatola d'oro dissotterrata era aperta e vuota accanto al buco e l'urlo di rabbia di Voldemort vibrava nella sua testa.

Con uno sforzo enorme, si sottrasse alla mente di Voldemort e tornò nella Stanza delle Necessità. Barcollava, il sudore gli colava sul viso e Ron lo sorreggeva.

«Stai bene, Harry?» chiese Neville. «Vuoi sederti? Sarai stanco, vero...?»

«No» rispose Harry. Guardò Ron e Hermione, cercando di comunicare con gli occhi che Voldemort aveva appena scoperto di aver perduto un altro Horcrux. Il tempo stringeva: se Voldemort avesse deciso di venire a Hogwarts come prossima mossa, avrebbero perso l'occasione.

«Dobbiamo muoverci» disse, e dalla loro espressione seppe che avevano capito.

«Cosa facciamo adesso, Harry?» chiese Seamus. «Qual è il piano?»

«Piano?» ripeté Harry. Stava mettendocela tutta per non cedere un'altra volta alla rabbia di Voldemort: la cicatrice bruciava ancora. «Be', io, Hermione e Ron dobbiamo fare una cosa e poi ce ne andremo». Nessuno rideva o urlava più. Neville era confuso.

«Come sarebbe, 'ce ne andremo'?»

«Non siamo venuti per restare» spiegò Harry massaggiandosi la cicatrice nel tentativo di placare il dolore. «C'è una cosa importante che dobbiamo fare...»

«Cos'è?»

«Io... io non lo posso dire».

Un mormorio seguì queste parole. Le sopracciglia di Neville si aggrottarono.

«Perché non puoi dircelo? Riguarda la lotta contro Tu-Sai-Chi, no?»

«Be', sì...»

«Allora ti aiuteremo».

Gli altri membri dell'Esercito di Silente annuirono, alcuni entusiasti, altri solenni. Un paio si alzarono per dimostrare di essere pronti all'azione.

«Non capite». Harry l'aveva detto un sacco di volte, negli ultimi tempi.

«Non... non possiamo dirvelo. Dobbiamo farlo... da soli».

«Perché?» chiese Neville.

«Perché...» Nel disperato desiderio di cominciare subito la ricerca dell'Horcrux mancante, o almeno di discutere in privato con Ron e Hermione da dove iniziare, Harry trovava difficile radunare i pensieri. La cicatrice bruciava ancora. «Silente ha lasciato un compito a noi tre» provò con cautela, «e non dobbiamo dirlo... insomma, lui voleva che lo facessimo noi, solo noi tre».

«Noi siamo il suo Esercito» obiettò Neville. «L'Esercito di Silente. Eravamo tutti coinvolti, l'abbiamo tenuto vivo mentre voi tre eravate via per i fatti vostri...»

«Non è stato proprio un picnic, Neville» osservò Ron.

«Non ho detto questo, ma non vedo perché non potete fidarvi di noi. Tutti i presenti hanno lottato e sono stati costretti a rifugiarsi qui perché i Carrow li cercavano. Tutti hanno dimostrato la loro fedeltà a Silente... e a voi».

«Ascolta» cominciò Harry, senza sapere che cos'avrebbe detto. Ma la porta del tunnel si aprì alle sue spalle.

«Abbiamo ricevuto il tuo messaggio, Neville! Ciao, voi tre, lo sapevo che vi avrei trovati qui!»

Erano Luna e Dean. Seamus ruggì di gioia e corse ad abbracciare il suo migliore amico.

«Ciao a tutti» salutò allegramente Luna. «Oh, è bello essere qui di nuovo!»

«Luna» balbettò Harry, «cosa ci fate qui? Come...?»

«L'ho mandata a chiamare io» rispose Neville, mostrando il galeone falso. «Avevo promesso a lei e a Ginny che se foste arrivati gliel'avrei fatto sapere. Pensavamo che il tuo ritorno avrebbe significato la rivoluzione. Che avremmo rovesciato Piton e i Carrow».

«Certo che lo significa» ribatté Luna vivacemente. «Non è così, Harry?

Li cacceremo da Hogwarts, vero?»

«Ascoltate» riprese Harry, con un crescente senso di panico. «Mi dispiace, ma non è per questo che siamo tornati. C'è una cosa che dobbiamo fare e poi...»

«Ci lascerete in questo casino?» chiese Michael Corner.

«No!» esclamò Ron. «Quello che faremo sarà utile a tutti, è per liberarsi di Voi-Sapete-Chi...»

«Allora lasciate che vi aiutiamo!» gridò Neville con rabbia. «Vogliamo partecipare!»

Un altro rumore alle loro spalle e Harry si voltò. Ebbe un tuffo al cuore: Ginny stava varcando il buco nella parete, seguita da Fred, George e Lee Jordan. Gli rivolse un sorriso radioso: Harry aveva dimenticato, o forse non se ne era mai reso conto veramente, quanto fosse bella, ma non era mai stato meno contento di vederla.

«Aberforth è un filino seccato» annunciò Fred, alzando la mano in risposta a diverse grida di saluto. «Vorrebbe andare a dormire e il suo pub è diventato una stazione ferroviaria». Harry rimase a bocca aperta. Dietro Lee Jordan sbucò la sua ex ragazza, Cho Chang, che gli sorrise.

«Ho ricevuto il messaggio» gli disse, mostrando il suo galeone falso, e andò a sedersi vicino a Michael Corner.

«Allora qual è il piano, Harry?» domandò George.

«Non c'è un piano» rispose Harry, ancora disorientato dall'improvvisa comparsa di tutte quelle persone, incapace di assimilare la situazione finché la cicatrice gli bruciava in quel modo.

«Improvvisiamo, allora? È il mio piano preferito» dichiarò Fred.

«Devi smetterla!» urlò Harry a Neville. «Perché li hai richiamati tutti? È

folle...»

«Per combattere, no?» rispose Dean, sfilando di tasca il suo galeone fal-so. «Il messaggio diceva che Harry era tornato e che avremmo combattuto!

Dovrò procurarmi una bacchetta, però...»

«Non hai la bacchetta...?» si stupì Seamus.

Ron si voltò di scatto verso Harry.

«Perché non possono aiutarci?»

«Cosa?»

«Ci possono aiutare». Abbassò la voce, in modo che potesse sentirlo solo Hermione, in piedi tra loro due: «Non sappiamo dov'è. Dobbiamo trovarlo in fretta. Basta non dire che è un Horcrux». Harry fece scivolare lo sguardo da Ron a Hermione, che mormorò: «Sono d'accordo con Ron. Non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando, abbiamo bisogno di loro». E davanti all'espressione poco convinta di Harry aggiunse: «Non devi fare tutto da solo, Harry».

Harry rifletté in fretta, mentre ancora la cicatrice bruciava e la sua testa minacciava di aprirsi di nuovo. Silente l'aveva avvertito di non parlare degli Horcrux con nessuno tranne Ron e Hermione. Segreti e bugie, ecco come siamo cresciuti, e Albus... aveva un talento naturale... Si stava trasformando in Silente, si teneva i segreti stretti al petto, aveva paura di fidarsi degli altri? Ma Silente si era fidato di Piton e a cos'aveva portato? A un assassinio sulla torre più alta...

«Va bene» sussurrò ai due amici. «D'accordo» gridò, rivolto a tutta la Stanza, e il rumore cessò: Fred e George, che stavano sparando una sfilza di battute per la gioia dei loro vicini, tacquero. Erano tutti all'erta, emozionati.

«Dobbiamo trovare una cosa» proseguì Harry. «Una cosa... che ci aiuterà a sconfiggere Voi-Sapete-Chi. È a Hogwarts, ma non sappiamo dove. Forse apparteneva a Corvonero. Qualcuno ha sentito parlare di un oggetto del genere? Qualcuno ha mai visto qualcosa con il corvo inciso sopra, per esempio?»

Guardò speranzoso il gruppetto di Corvonero, Padma, Michael, Terry e Cho, ma fu Luna a rispondere, appollaiata sul bracciolo della poltrona di Ginny.

«Be', c'è il suo diadema perduto. Te ne ho parlato, ricordi, Harry? Il diadema perduto di Corvonero? Papà sta cercando di riprodurlo».

«Sì, ma il diadema perduto» obiettò Michael Corner sgranando gli occhi

«è perduto, Luna. È questo il punto».

«Quando è stato perduto?» chiese Harry.

«Secoli fa, pare» rispose Cho, e il cuore di Harry sprofondò. «Il profes-sor Vitious dice che il diadema sparì con Priscilla Corvonero. L'hanno cercato» e continuò rivolta ai compagni Corvonero, «ma nessuno ne ha mai saputo più nulla, vero?»

Scossero tutti il capo.

«Scusate, ma cos'è di preciso un diadema?» domandò Ron.

«È una specie di corona» rispose Terry Steeval. «Si dice che quello di Corvonero avesse proprietà magiche, accresceva la sapienza di chi lo indossava».

«Sì, i sifoni di Gorgosprizzo di papà...»

Harry interruppe Luna.

«E nessuno di voi ha mai visto qualcosa che gli assomigli?»

Scossero tutti il capo un'altra volta. Harry guardò Ron e Hermione e la loro delusione gli rimbalzò addosso. Un oggetto che era stato smarrito da così tanto tempo, e a quanto pareva senza lasciare traccia, non era un buon candidato per l'Horcrux nascosto nel castello... ma prima che potesse fare un'altra domanda, parlò di nuovo Cho.

«Se vuoi sapere che aspetto si pensa che avesse il diadema, posso portarti su nella nostra sala comune e mostrartelo, Harry. La statua di Priscilla Corvonero lo indossa».

La cicatrice di Harry bruciò di nuovo: per un attimo la Stanza delle Necessità danzò davanti a lui e Harry vide la scura terra scorrere sotto di sé e sentì l'enorme serpente attorno alle spalle. Voldemort era di nuovo in volo, ma se fosse diretto al lago sotterraneo o al castello di Hogwarts, Harry non lo sapeva: in ogni caso, non c'era più tempo da perdere.

«È in viaggio» sussurrò a Ron e Hermione. Guardò Cho e poi di nuovo gli amici. «Sentite, so che non è un granché, ma vado a vedere questa statua, almeno scoprirò com'è fatto il diadema. Voi aspettatemi qui e proteggetevi, sì, insomma... a vicenda». Cho si alzò, ma Ginny intervenne con una certa energia: «No, sarà Luna ad accompagnare Harry, ti va, Luna?»

«Oooh, sì, volentieri» rispose Luna allegra, e Cho tornò a sedersi, delusa.

«Come facciamo a uscire?» chiese Harry a Neville.

«Di qua».

Guidò Harry e Luna verso un angolo, dove un armadietto si apriva su una ripida rampa di scale.

«Sbuca ogni giorno in un posto diverso, quindi non sono mai riusciti a trovarla. L'unico problema è che non sappiamo mai dove saremo di preciso quando usciamo. Fai attenzione, Harry, pattugliano sempre i corridoi di notte».

«Non preoccuparti. Ci vediamo fra un po'».

Lui e Luna salirono in fretta la rampa, che era lunga, illuminata da torce e piena di curve improvvise. Infine raggiunsero quella che sembrava una parete.

«Qui sotto» disse Harry a Luna. Sfilò il Mantello dell'Invisibilità e coprì

entrambi. Poi diede una spinta alla parete che al suo tocco sparì. Scivolarono fuori e Harry vide che il muro si era richiuso all'istante. Si trovavano in un corridoio buio. Harry trascinò Luna nell'ombra, cercò nella saccoccia che portava al collo e ne estrasse la Mappa del Malandrino. La tenne vicina al naso, la studiò e finalmente individuò il proprio puntino e quello di Luna.

«Siamo al quinto piano» sussurrò, tenendo d'occhio Gazza che si allontanava da loro, un corridoio più in là. «Andiamo, da questa parte». Si avviarono furtivi.

Harry aveva vagato molte volte per il castello di notte, ma mai con il cuore che gli martellava così forte, né mai era stato così importante non farsi intercettare. Oltrepassarono quadrati di luce lunare sul pavimento, armature i cui elmi cigolarono al rumore dei loro passi felpati, angoli dietro i quali si nascondeva chissà che cosa. Controllavano la Mappa del Malandrino non appena la luce lo consentiva e si fermarono due volte per lasciar passare un fantasma senza attirare la sua attenzione. Harry si aspettava di incontrare un ostacolo da un momento all'altro; temeva soprattutto Pix e tendeva l'orecchio a ogni passo per sentire in anticipo i segnali della sua presenza.

«Da questa parte, Harry» bisbigliò Luna, trascinandolo per la manica verso una scala a chiocciola.

Salirono in stretti cerchi che davano alla testa; Harry non era mai stato lassù. Finalmente giunsero davanti a una porta. Non c'era maniglia né serratura: solo una liscia superficie di legno antico e un battente di bronzo a forma di corvo.

Luna tese la mano pallida, quasi uno spettro danzante a mezz'aria, separato dal braccio e dal corpo. Bussò una sola volta e nel silenzio a Harry parve un colpo di cannone. Subito il becco del corvo si spalancò, ma invece del verso di un uccello, una dolce voce musicale domandò: «Chi viene prima, la fenice o la fiamma?»

«Mmm... tu cosa dici, Harry?» chiese Luna, pensierosa.

«Cosa? Non c'è una parola d'ordine e basta?»

«Oh, no, bisogna rispondere a una domanda» spiegò Luna.

«E se sbagli?»

«Be', bisogna aspettare che qualcuno risponda giusto. Così s'impara, no?»

«Sì... il problema è che non possiamo permetterci di aspettare qualcun altro, Luna».

«No, capisco» replicò Luna seria. «Be', penso che la risposta sia che un cerchio non ha inizio».

«Ottimo ragionamento» dichiarò la voce, e la porta si aprì. La sala comune di Corvonero, deserta, era ampia, circolare e più ariosa delle altre che Harry aveva visto. Armoniose finestre ad arco si aprivano sulle pareti, a cui erano appesi drappi di seta blu e bronzo: di giorno, i Corvonero godevano di una vista spettacolare sulle montagne circostanti. Il soffitto era una cupola trapunta di stelle dipinte, ripetute nella moquette blu notte. C'erano tavoli, sedie e librerie, e una nicchia di fronte alla porta ospitava un'alta statua di marmo bianco.

Harry riconobbe Priscilla Corvonero dal busto che aveva visto a casa di Luna. La statua era accanto a una porta che, immaginò, conduceva ai dormitori di sopra. Si avvicinò alla donna di marmo, che sembrava restituirgli lo sguardo con un mezzo sorriso canzonatorio sul volto, bello ma lievemente minaccioso. In testa le era stato scolpito un cerchietto delicato. Era simile alla tiara che Fleur aveva indossato per le proprie nozze. Incise tutto intorno c'erano parole minuscole. Harry uscì da sotto il Mantello e salì sul piedistallo per leggerle.

« 'Un ingegno smisurato per il mago è dono grato' » .

«Il che vuol dire che tu qui sei come i cavoli a merenda, fessacchiotto»

disse una voce stridula.

Harry si voltò di scatto e scivolò giù dal piedistallo sul pavimento. La figura ingobbita di Alecto Carrow era in piedi davanti a lui e, nel momento in cui Harry alzava la bacchetta, la strega premette il tozzo indice sul teschio col serpente marchiato sul suo avambraccio.

CAPITOLO 30

IL CONGEDO DI SEVERUS PITON

Non appena il dito della strega toccò il Marchio, la cicatrice di Harry arse selvaggiamente, la stanza stellata svanì, e lui si ritrovò su una roccia ai piedi di una scogliera lambita dal mare e il suo cuore traboccava di trionfo: hanno preso il ragazzo.

Una forte esplosione lo riportò dov'era: disorientato, alzò la bacchetta, ma la strega stava già cadendo in avanti; colpì il suolo così pesantemente che le vetrate delle librerie tintinnarono.

«Non avevo mai Schiantato nessuno, tranne alle lezioni dell'ES» osservò

Luna, con vago interesse. «È più rumoroso di quanto pensassi». E infatti il soffitto cominciò a tremare. Passi affrettati rimbombavano sempre più forti dietro la porta che conduceva ai dormitori: l'incantesimo di Luna aveva svegliato i Corvonero di sopra.

«Luna, dove sei? Devo nascondermi sotto il Mantello!»

I piedi di Luna apparvero dal nulla; Harry corse al suo fianco e lei fece ricadere il Mantello su di loro. La porta si aprì e una fiumana di Corvonero, tutti in pigiama o in camicia da notte, si riversò nella sala comune. Ci furono strilli di sorpresa quando videro Alecto a terra priva di sensi. Lentamente si avvicinarono alla strega, come fosse una bestia feroce che avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro e aggredirli. Poi un coraggioso bambino del primo anno le si avvicinò di corsa e le premette l'alluce sulla schiena.

«Forse è morta!» gridò raggiante.

«Oh, guarda» sussurrò Luna lieta, vedendo i Corvonero stringersi attorno ad Alecto. «Sono contenti!»

«Sì... splendido...»

Harry chiuse gli occhi, la cicatrice pulsava e lui decise di immergersi di nuovo nella mente di Voldemort... era nella galleria che portava alla prima caverna... voleva controllare che il medaglione fosse al suo posto prima di andarsene... ma non gli ci sarebbe voluto molto...

Qualcuno bussò alla porta della sala comune e tutti i Corvonero s'immobilizzarono. Dall'altra parte, Harry udì la dolce voce musicale levarsi dal battente a forma di corvo: «Dove vanno a finire gli oggetti che spariscono?»

«Non lo so! Zitta!» ringhiò una voce rozza che Harry riconobbe come quella dell'altro Carrow, Amycus. «Alecto! Alecto! Sei lì? L'hai preso?

Apri!»

I Corvonero bisbigliavano tra loro, terrorizzati. Poi all'improvviso si scatenò una serie di esplosioni, come se qualcuno stesse scaricando una pistola sulla porta.

«ALECTO! Se arriva e non abbiamo Potter... vuoi fare la fine dei Mal-foy? RISPONDIMI!» urlò Amycus, scuotendo la porta più forte che poteva, ma quella non si aprì. I Corvonero indietreggiarono e i più spaventati si arrampicarono di nuovo su per la scala dei dormitori. Poi, proprio quando Harry si stava chiedendo se non fosse il caso di far saltare la porta e Schiantare Amycus, una seconda voce, più familiare, risuonò dall'altra parte.

«Posso chiederle che cosa sta facendo, professor Carrow?»

«Sto... cercando... di aprire... questa maledetta... porta!» gridò Amycus.

«Vada a chiamare Vitious! Gli dica di aprirla subito!»

«Ma non c'è sua sorella là dentro?» chiese la professoressa McGranitt.

«Il professor Vitious non l'ha fatta entrare, su sua insistente richiesta, poco tempo fa? Forse può aprirle lei. Così non avrà bisogno di svegliare mezzo castello».

«Non risponde, vecchia carampana! La apra lei! Andiamo! Adesso! »

«Certo, se è questo che desidera» replicò la professoressa McGranitt con spaventoso distacco. Un garbato tonfo del battente e la voce musicale chiese di nuovo: «Dove vanno a finire gli oggetti che spariscono?»

«Nel non-essere, ovvero nel tutto» rispose la McGranitt.

«Ben detto» commentò il corvo di bronzo, e la porta si aprì. I pochi Corvonero rimasti si precipitarono su per le scale quando Amycus irruppe, brandendo la bacchetta. Gobbo come la sorella, aveva un viso flaccido e pallido e occhietti piccoli che si abbassarono subito su Alecto, distesa a terra, immobile, a braccia e gambe larghe. Cacciò un urlo di rabbia e terrore.

«Cos'hanno fatto quei mocciosi?» gridò. «Li Crucerò tutti finché non mi dicono chi è stato... e cosa dirà il Signore Oscuro?» strillò, in piedi accanto alla sorella, picchiandosi la fronte col pugno. «Non l'abbiamo preso, e lei c'è rimasta secca!»

«È solo Schiantata» osservò la professoressa McGranitt spazientita, china su Alecto per esaminarla. «Si rimetterà perfettamente».

«Col cavolo!» mugghiò Amycus. «Non dopo che la prende il Signore Oscuro! L'ha chiamato, ho sentito il Marchio che bruciava, lui pensa che ci abbiamo Potter!»

«'Ci abbiamo Potter'?» ripeté la professoressa McGranitt in tono aspro.

«Come sarebbe, 'ci abbiamo Potter'?»

«Ha detto che forse Potter cercava di entrare nella Torre di Corvonero e di chiamarlo se lo prendevamo!»

«Perché Harry Potter dovrebbe entrare nella Torre di Corvonero? Potter appartiene alla mia Casa!»

Sotto l'incredulità e la rabbia, Harry udì una piccola nota d'orgoglio nella voce della professoressa, e l'affetto per Minerva McGranitt zampillò dentro di lui.

«Ci hanno detto che forse veniva qui!» insisté Carrow. «Che ne so io perché!»

La professoressa McGranitt si rialzò e i suoi occhi lucenti perlustrarono la stanza. Due volte passarono proprio dov'erano Harry e Luna.

«Possiamo dare la colpa ai ragazzi» riprese Amycus, la faccia porcina improvvisamente scaltra. «Sì, ecco come facciamo. Ci diciamo che Alecto l'hanno aggredita i ragazzi, quelli là» e guardò il soffitto stellato, verso i dormitori, «poi ci diciamo che l'hanno obbligata a schiacciare il Marchio e il falso allarme è partito... così punisce loro. Un paio di ragazzi in più o in meno, che differenza fa?»

«Solo la differenza tra la verità e la menzogna, tra il coraggio e la vigliaccheria» replicò la professoressa McGranitt, impallidita, «una differenza, in breve, che lei e sua sorella sembrate incapaci di comprendere. Ma mi lasci mettere in chiaro una cosa. Lei non scaricherà le sue molte inettitudini sugli studenti di Hogwarts. Non glielo permetterò».

«Come come?»

Amycus avanzò fino a trovarsi oltraggiosamente vicino alla professoressa McGranitt, il volto a pochi centimetri dal suo. Lei non indietreggiò e lo guardò dall'alto come se fosse qualcosa di disgustoso appiccicato sul sedile di un water.

«Non me ne frega niente di cosa permette lei, Minerva McGranitt. Il suo tempo è finito. I capi adesso siamo noi e se non mi appoggia la pagherà cara» . E le sputò in faccia.

Harry uscì da sotto il Mantello, alzò la bacchetta e disse: «Questo non dovevi farlo».

Mentre Amycus si voltava, Harry gridò: « Crucio! »

Il Mangiamorte fu sollevato da terra. Si contorse in aria come un uomo che annega, ululando per il dolore, e poi, in un frastuono di vetri rotti, crollò sulle ante di una libreria e si afflosciò a terra, privo di sensi.

«Adesso ho capito cosa voleva dire Bellatrix» commentò Harry, col sangue che gli pulsava nelle tempie, «bisogna proprio volerlo».

«Potter!» sussurrò la professoressa McGranitt, premendosi una mano sul cuore. «Potter... tu qui! Cosa...? Come...?» Cercò di ricomporsi. «Potter, questa è una follia!»

«Le ha sputato addosso».

«Potter, io... be', è molto... molto cavalleresco da parte tua... ma non ti rendi conto?»

«Sì, mi rendo conto» la rassicurò Harry. In qualche modo il panico di lei lo rendeva più sicuro. «Professoressa McGranitt, Voldemort sta arrivando».

«Oh, adesso possiamo pronunciare il suo nome?» chiese Luna con interesse, togliendosi il Mantello dell'Invisibilità. La comparsa di una seconda fuorilegge fu troppo per la professoressa McGranitt, che barcollò all'indietro e cadde su una sedia, stringendosi al collo la vecchia vestaglia scozzese.

«Non credo che faccia differenza come lo chiamiamo» rispose Harry.

«Sa già dove sono».

In una parte remota della mente, quella connessa con la cicatrice ardente, vide Voldemort attraversare rapido il lago scuro sulla spettrale barca verde... era quasi sull'isola del bacile di pietra...

«Devi fuggire» mormorò la professoressa McGranitt. «Adesso, Potter, più in fretta che puoi!»

«Non posso. Devo fare una cosa. Professoressa, lei sa dove si trova il diadema di Corvonero?»

«Il d-diadema di Corvonero? Certo che no... non è perduto da secoli?»

Si mise a sedere un po' più dritta. «Potter, è stata follia, pura follia, entrare in questo castello...»

«Dovevo. Professoressa, qui dentro è nascosta una cosa che devo trovare, e potrebbe essere il diadema... se solo potessi parlare col professor Vitious...»

Un fruscio, un tintinnio di vetri: Amycus si stava riprendendo. Prima che Harry o Luna potessero intervenire, la professoressa McGranitt si alzò, puntò la bacchetta contro il Mangiamorte stordito e disse: « Imperio». Amycus si mise in piedi, si avvicinò alla sorella, prese la sua bacchetta, si diresse obbediente verso la professoressa McGranitt e gliela consegnò

assieme alla propria. Poi si distese a terra accanto ad Alecto. La professoressa agitò ancora la bacchetta e una splendente corda d'argento comparve dal nulla e si avvolse attorno ai Carrow, legandoli stretti l'uno all'altra.

«Potter» riprese la McGranitt, voltandosi di nuovo a guardarlo con superba indifferenza alla condizione dei Carrow, «se Colui-Che-Non-DeveEssere-Nominato sa davvero che sei qui...»

A queste parole, un'ira simile a dolore fisico attraversò Harry da parte a parte, incendiando la cicatrice, e per un attimo lui guardò dentro un bacile colmo di una pozione che era diventata trasparente e vide che sotto la superficie non c'era alcun medaglione d'oro...

«Potter, stai bene?» chiese una voce. Harry tornò in sé e si aggrappò alla spalla di Luna per reggersi in piedi.

«C'è pochissimo tempo, Voldemort si avvicina. Professoressa, agisco per ordine di Silente, devo trovare quello che mi ha chiesto di trovare! Ma dobbiamo far uscire gli studenti mentre io perquisisco il castello... è me che Voldemort vuole, ma non gli importerà di uccidere altre persone, adesso...» Adesso che sa che sto cercando gli Horcrux, concluse tra sé e sé.

«Agisci per ordine di Silente?» ripeté lei, con improvvisa meraviglia. Poi si erse in tutta la sua statura.

«Proteggeremo la scuola da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato mentre tu cerchi questo... questo oggetto».

«È possibile?»

«Credo di sì» rispose la professoressa McGranitt asciutta, «noi insegnanti siamo piuttosto versati nelle arti magiche, sai. Sono certa che riusciremo a tenerlo a bada per un po', se ci impegniamo tutti. Naturalmente bisognerà

pensare al professor Piton...»

«Mi lasci...»

«... se Hogwarts sta per essere presa d'assedio, con il Signore Oscuro ai cancelli, sarebbe opportuno allontanare più innocenti possibile. Con la Metropolvere sotto sorveglianza e il divieto di Materializzarsi entro i confini...»

«Un modo c'è» ribatté Harry, e le spiegò del passaggio che portava alla Testa di Porco.

«Potter, stiamo parlando di centinaia di studenti...»

«Lo so, professoressa, ma se Voldemort e i Mangiamorte si concentreranno sui confini della scuola, non si occuperanno di chi si Smaterializza dalla Testa di Porco».

«Non hai torto» convenne lei. Puntò la bacchetta contro i Carrow e una rete d'argento cadde sui loro corpi legati, li avvolse e li sollevò per aria, dove rimasero penzoloni sotto il soffitto azzurro e oro, come due grosse, brutte creature marine. «Vieni. Dobbiamo avvertire gli altri Direttori delle Case. È meglio se ti rimetti quel Mantello».

Marciò verso la porta, alzando la bacchetta. Dalla punta sbucarono tre gatti d'argento con i segni degli occhiali attorno agli occhi. I Patroni si lan-ciarono agili in avanti, illuminando d'argento la scala a chiocciola, mentre la professoressa McGranitt, Harry e Luna scendevano di corsa. Sfrecciarono lungo i corridoi, e uno dopo l'altro i Patroni si allontanarono; la vestaglia scozzese della professoressa McGranitt frusciava sul pavimento e Harry e Luna trottavano dietro di lei sotto il Mantello. Erano scesi di ancora due piani quando altri passi felpati si unirono ai loro. Harry, che sentiva ancora la cicatrice pizzicare, fu il primo a udirli: cercò la Mappa del Malandrino nella saccoccia attorno al collo, ma prima che riuscisse a sfilarla, anche la McGranitt si accorse che avevano compagnia. Si bloccò, la bacchetta in pugno, pronta al duello, e intimò: «Chi è là?»

«Sono io» rispose una voce bassa.

Da dietro un'armatura spuntò Severus Piton.

A quella vista Harry si sentì ribollire d'odio: di fronte all'enormità dei suoi crimini, aveva dimenticato i particolari dell'aspetto di Piton, quegli unti capelli neri che pendevano come due tende ai lati del volto e l'espressione morta, gelida dei suoi occhi. Non era in pigiama, ma indossava il solito mantello nero e aveva anche lui la bacchetta sfoderata, pronto a combattere.

«Dove sono i Carrow?» domandò piano.

«Dove hai ordinato loro di andare, immagino, Severus» rispose la professoressa McGranitt. Piton si avvicinò e il suo sguardo dardeggiò dalla McGranitt all'aria attorno a lei, come se percepisse la presenza di Harry. Che a sua volta alzò la bacchetta, pronto ad attaccare.

«Mi era sembrato che Alecto avesse catturato un intruso».

«Sul serio?» chiese la professoressa McGranitt. «E che cosa te l'ha fatto pensare?»

Piton fletté appena il braccio sinistro, dove il Marchio Nero era impresso nella pelle.

«Oh, certo» commentò la professoressa McGranitt. «Dimenticavo che voi Mangiamorte avete i vostri mezzi di comunicazione privati». Piton finse di non aver sentito. Sondava ancora con lo sguardo l'aria attorno a lei e si avvicinava sempre più, poco alla volta, come se nemmeno se ne accorgesse.

«Non sapevo che fosse la tua notte di pattuglia nei corridoi, Minerva».

«Hai qualcosa in contrario?»

«Mi chiedo solo che cosa ti ha tirato fuori dal letto a questa tarda ora» .

«Mi pareva di aver sentito un rumore» rispose la professoressa McGra-nitt.

«Davvero? Ma è tutto tranquillo».

Piton la guardò negli occhi.

«Hai visto Harry Potter, Minerva? Perché se l'hai visto, devo insistere...»

La professoressa McGranitt si mosse con una rapidità incredibile: la sua bacchetta sferzò l'aria e per un attimo Harry pensò di vedere Piton afflosciarsi privo di sensi, ma la velocità del suo Sortilegio Scudo fu tale da far perdere l'equilibrio alla McGranitt. Lei puntò la bacchetta verso una torcia sulla parete, che volò fuori dal sostegno; Harry, pronto a scagliare una maledizione contro Piton, fu costretto a spostare Luna dalla pioggia di fiamme, che divenne un cerchio di fuoco, riempì il corridoio e volò come un lazo verso Piton...

Poi al posto del fuoco comparve un enorme serpente nero che la McGranitt ridusse in fumo, che si riformò e si solidificò nel giro di pochi istanti per diventare uno sciame di pugnali volanti: Piton riuscì a evitarli solo spingendo davanti a sé l'armatura, e i pugnali affondarono uno dopo l'altro nel petto di metallo, in un frastuono echeggiante...

«Minerva!» urlò una voce stridula. Harry, che ancora riparava Luna dagli incantesimi volanti, si voltò e vide i professori Vitious e Sprite correre verso di loro, vestiti da notte, lungo il corridoio, e dietro, ansimante, l'enorme professor Lumacorno.

«No!» squittì Vitious, alzando la bacchetta. «Non commetterai altri omicidi a Hogwarts!»

Il suo incantesimo colpì l'armatura dietro la quale Piton si era rifugiato, che prese vita con un gran baccano. Piton si liberò dalle braccia che lo stringevano e la spedì in volo contro i suoi avversari: Harry e Luna dovettero tuffarsi di lato per evitarla e quella si fracassò contro il muro. Quando Harry alzò di nuovo lo sguardo, vide Piton in fuga, con la McGranitt, Vitious e la Sprite alle calcagna: lo rincorsero oltre la porta di un'aula e qualche attimo dopo Harry udì la McGranitt gridare: «Vigliacco! VIGLIAC- CO! »

«Cos'è successo, cos'è successo?» chiese Luna.

Harry la aiutò a rialzarsi e corsero lungo il corridoio, trascinandosi dietro il Mantello dell'Invisibilità, per entrare nell'aula deserta. La McGranitt, Vitious e la Sprite stavano davanti a una finestra in frantumi.

«È saltato» disse la professoressa McGranitt al loro ingresso.

«Vuol dire che è morto?» Harry sfrecciò alla finestra, ignorando le urla di stupore di Vitious e della Sprite alla sua improvvisa apparizione.

«No, non è morto» rispose la McGranitt amareggiata. «A differenza di Silente, aveva ancora la bacchetta... e a quanto pare ha imparato qualche trucchetto dal suo signore».

Con un fremito di orrore, Harry vide in lontananza un'enorme sagoma simile a un pipistrello che volava nel buio verso il muro di cinta. Sentirono un rumore di passi pesanti dietro di loro e un respiro affannoso: Lumacorno li aveva raggiunti.

«Harry!» esclamò ansimante, massaggiandosi il petto immenso sotto il pigiama di seta verde smeraldo. «Mio caro ragazzo... che sorpresa... Minerva, ti prego, spiegami... Severus... cosa...?»

«Il nostro Preside si è preso una breve vacanza» rispose la professoressa McGranitt indicando il buco a forma di Piton nel vetro della finestra.

«Professoressa!» gridò Harry, le mani alla fronte. Vide il lago pullulante di Inferi scivolare sotto di sé e sentì la barca verde urtare contro la riva sotterranea; Voldemort balzò fuori affamato di morte...

«Professoressa, dobbiamo barricarci nella scuola, sta arrivando!»

«Molto bene. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sta arrivando» annunciò la McGranitt agli altri insegnanti. La Sprite e Vitious trattennero il fiato; Lumacorno emise un gemito profondo. «Potter ha da fare nel castello per ordine di Silente. Dobbiamo imporre tutte le protezioni di cui siamo capaci, mentre Potter fa quello che deve».

«Naturalmente sai che niente di ciò che faremo riuscirà a fermare TuSai-Chi, vero?» squittì Vitious.

«Ma possiamo rallentarlo» intervenne la professoressa Sprite.

«Grazie, «Pomona» rispose la professoressa McGranitt, e tra le due streghe passò uno sguardo risoluto di intesa. «Suggerisco di distribuire le protezioni di base dappertutto, poi di radunare i nostri studenti e incontrarci in Sala Grande. La scuola dev'essere evacuata, ma se alcuni dei maggiorenni desiderano restare a combattere, credo che dobbiamo dar loro questa possibilità».

«Intesi». La professoressa Sprite stava già correndo verso la porta. «Ci vediamo in Sala Grande tra venti minuti con la mia Casa». E mentre se ne andava, la sentirono borbottare: «Tentacula. Tranello del Diavolo. E baccelli di Pugnacio... sì, voglio proprio vederli, i Mangiamorte, contro quelli».

«Io posso agire da qui» propose Vitious, e anche se quasi non arrivava al davanzale, puntò la bacchetta oltre la finestra rotta e cominciò a mormorare incantesimi enormemente complicati. Harry udì uno strano fruscio, co-me se Vitious avesse scatenato il potere del vento sui terreni attorno.

«Professore» cominciò Harry, avvicinandosi al minuscolo maestro di Incantesimi, «professore, mi spiace interromperla, ma è importante. Ha idea di dove si trovi il diadema di Corvonero?»

«... Protego horribilis... il diadema di Corvonero?» ripeté Vitious. «Un po' di saggezza in più non fa mai male, Potter, ma non credo che sarebbe di grande utilità in questa situazione!»

«Volevo dire soltanto... lei sa dov'è? L'ha mai visto?»

«Visto? Nessuno l'ha mai visto a memoria d'uomo! È perduto da molto tempo, ragazzo!»

Harry provò un misto di disperata delusione e panico. Allora qual era l'Horcrux?

«Ci vediamo con i tuoi Corvonero in Sala Grande, Filius!» esclamò la professoressa McGranitt, e fece cenno a Harry e Luna di seguirla. Erano appena alla porta quando Lumacorno cominciò a mugugnare.

«Parola mia» ansimò, pallido e sudato, i baffi da tricheco vibranti. «Che confusione! Non sono affatto sicuro che sia saggio, Minerva. Troverà un modo per entrare, lo sai, e chiunque abbia cercato di ostacolarlo sarà in gravissimo periglio...»

«Aspetto anche te e i Serpeverde in Sala Grande tra venti minuti» lo interruppe la professoressa McGranitt. «Se desideri andartene con i tuoi studenti, non ti fermeremo. Ma se qualcuno di voi tenta di sabotare la nostra resistenza o prende le armi contro di noi dentro le mura di questo castello, allora, Horace, combatteremo per uccidere».

«Minerva!» esclamò lui, atterrito.

«È venuto il momento che la Casa di Serpeverde decida da che parte stare» tagliò corto la professoressa McGranitt. «Vai a svegliare i tuoi studenti, Horace». Harry non rimase a guardare Lumacorno che boccheggiava: lui e Luna rincorsero la McGranitt, che si piantò in mezzo al corridoio e alzò la bacchetta.

« Piertotum... oh, per l'amor del cielo, Gazza, non ora... »

L'anziano custode era appena spuntato davanti a loro. Gridava: «Studenti fuori dal letto! Studenti in corridoio!»

«È lì che devono essere, pezzo di deficiente!» urlò la McGranitt. «Adesso vada a fare qualcosa di costruttivo! Trovi Pix!»

«P-Pix?» balbettò Gazza, come se non avesse mai sentito prima quel nome.

«Sì, Pix, idiota, Pix! È un quarto di secolo che si lagna di lui! Vada a prenderlo, subito!»

Gazza evidentemente era convinto che la professoressa McGranitt fosse uscita di senno, ma si allontanò zoppicando, gobbo, borbottando a mezza voce.

«E adesso... Piertotum Locomotor!» gridò la McGranitt. Lungo tutto il corridoio statue e armature balzarono giù dai piedistalli, e dai tonfi che echeggiavano dai piani di sopra e di sotto Harry capì che le altre in tutto il castello avevano fatto lo stesso.

«Hogwarts è in pericolo!» urlò la professoressa McGranitt. «Presidiate i confini, proteggeteci, fate il vostro dovere per la nostra scuola!»

Tra urla e clangori, l'orda di statue superò Harry: alcune più piccole, altre gigantesche. C'erano anche degli animali, e le fragorose armature brandivano spade e mazzafrusti.

«Ora, Potter» riprese la McGranitt, «è meglio che tu e la signorina Lovegood torniate dai vostri amici e li portiate in Sala Grande... io sveglierò

gli altri Grifondoro».

Si separarono sul pianerottolo successivo: Harry e Luna tornarono di corsa all'ingresso nascosto della Stanza delle Necessità. Incrociarono gruppi di studenti, molti avvolti in mantelli da viaggio sopra il pigiama. Insegnanti e prefetti li guidavano verso la Sala Grande.

«Quello è Potter!»

« Harry Potter! »

«È lui, giuro, l'ho visto!»

Ma Harry non si voltò, e finalmente raggiunsero l'ingresso della Stanza delle Necessità. Harry si appoggiò alla parete incantata, che si aprì per lasciarli entrare, e lui e Luna si precipitarono giù per la stretta rampa di scale.

«Co...?»

Harry mancò alcuni scalini per la sorpresa: la stanza era stipata, molto più affollata di poco prima. Kingsley e Lupin lo guardavano dal basso, insieme a Oliver Baston, Katie Bell, Angelina Johnson e Alicia Spinnet, Bill e Fleur, e i signori Weasley.

«Harry, cosa succede?» chiese Lupin, andandogli incontro ai piedi delle scale.

«Voldemort sta arrivando, stanno barricando la scuola... Piton è fuggito... cosa ci fate qui? Come avete fatto a saperlo?»

«Abbiamo mandato dei messaggi al resto dell'Esercito di Silente» spiegò

Fred. «Non potevano perdersi il divertimento, Harry, e l'ES l'ha fatto sapere all'Ordine della Fenice, e c'è stato un po' di effetto valanga».

«Che si fa, Harry?» gridò George. «Cosa succede?»

«Stanno facendo evacuare i ragazzi più piccoli, l'appuntamento è in Sala Grande per organizzarsi» rispose Harry. «Si combatte».

Con un boato, un'ondata di persone si lanciò ai piedi delle scale; Harry si ritrovò schiacciato contro la parete mentre i membri dell'Ordine della Fenice, dell'Esercito di Silente e della sua vecchia squadra di Quidditch lo oltrepassavano di corsa, tutti con le bacchette sfoderate, pronti a riversarsi nel castello.

«Andiamo, Luna». Dean, passando, le tese la mano; lei la prese e lo seguì. La folla si assottigliò: solo un piccolo gruppo di persone rimase nella Stanza delle Necessità e Harry andò da loro. La signora Weasley stava litigando con Ginny. Attorno a loro c'erano Lupin, Fred, George, Bill e Fleur.

«Sei minorenne!» stava urlando la signora Weasley quando Harry si avvicinò. «Non lo permetterò! I ragazzi sì, ma tu, tu devi tornare a casa!»

«No!»

Ginny liberò il braccio dalla stretta della madre con uno strattone che le sventagliò i capelli.

«Sono nell'Esercito di Silente...»

«... una banda di ragazzini!»

«Una banda di ragazzini che sta per sfidarlo, cosa che nessun altro ha osato fare!» intervenne Fred.

«Ha sedici anni!» urlò la signora Weasley. «Non è abbastanza grande!

Cosa v'è saltato in mente a voi due, di portarvela dietro...»

Fred e George parvero vergognarsi un po'.

«La mamma ha ragione, Ginny» osservò Bill con dolcezza. «Non puoi. Tutti i minorenni devono andarsene, è giusto così» .

«Non posso tornare a casa!» Gli occhi le scintillavano di lacrime di rabbia. «Tutta la mia famiglia è qui, non posso star là da sola ad aspettare, senza sapere, e...»

Per la prima volta il suo sguardo incontrò quello di Harry. Lo guardò

supplichevole, ma lui scosse il capo e lei si voltò, amareggiata.

«Bene» si arrese, fissando l'ingresso del passaggio che tornava alla Testa di Porco. «Allora vi saluto, e...»

Uno scalpiccio e un gran tonfo: qualcuno uscì dal tunnel, perse l'equilibrio e cadde. Si rimise in piedi aggrappandosi alla sedia più vicina, si guardò intorno attraverso gli occhiali storti cerchiati di corno e disse: «Sono in ritardo? È già cominciato? L'ho saputo solo ora e...»

Percy tacque. Era chiaro che non si aspettava di imbattersi in quasi tutta la sua famiglia. Seguì un lungo silenzio meravigliato, rotto da Fleur che si rivolse a Lupin e chiese, in un vistoso tentativo di allentare la tensione: « A- lors... come va il picolo Teddì?»

Lupin batté le palpebre, esterrefatto. Il silenzio tra i Weasley parve solidificarsi come ghiaccio.

«Io... oh... sì... sta bene!» rispose Lupin a voce alta. «Sì, Tonks è con lui... a casa di sua madre».

Percy e gli altri Weasley continuavano a studiarsi, immobili.

«Ecco, ho una foto!» gridò Lupin. La tirò fuori dalla giacca e la mostrò a Fleur e a Harry: un neonato minuscolo con un ciuffo di capelli turchesi agitava i pugnetti paffuti davanti all'obiettivo.

«Sono stato uno scemo!» ruggì Percy, così forte che per poco la foto non cadde di mano a Lupin. «Un idiota, un imbecille tronfio, sono stato un... un...»

«Un deficiente schiavo del Ministero, rinnegato e avido di potere» concluse Fred. Percy deglutì.

«Sì!»

«Be', non potevi dirlo meglio di così» dichiarò Fred, e gli tese la mano. La signora Weasley scoppiò in lacrime. Corse avanti, spinse via Fred e strinse Percy in un abbraccio soffocante, mentre lui le dava pacche sulle spalle, lo sguardo puntato sul padre.

«Mi spiace, papà» mormorò.

Il signor Weasley batté le palpebre in fretta, poi anche lui corse ad abbracciare il figlio.

«Che cos'è che ti ha fatto tornare in te, Perce?» chiese George.

«Era un po' che ci pensavo» rispose Percy, asciugandosi gli occhi sotto le lenti con un angolo del mantello da viaggio. «Ma dovevo trovare un modo di venir via e non è facile al Ministero, sbattono in prigione traditori uno dopo l'altro. Sono riuscito a mettermi in contatto con Aberforth e dieci minuti fa mi ha fatto sapere che Hogwarts stava per dare battaglia, e così

sono tornato».

«Be', ci aspettiamo che i nostri prefetti prendano il comando in simili circostanze» declamò George, in una buona imitazione dei modi più pomposi di Percy. «Adesso andiamo di sopra a combattere, o ci perderemo tutti i Mangiamorte migliori».

«Quindi adesso sei mia cognata?» chiese Percy, stringendo la mano a Fleur mentre correvano verso la scala con Bill, Fred e George.

«Ginny!» abbaiò la signora Weasley.

Ginny stava tentando di sgattaiolare di sopra, approfittando della riconciliazione.

«Molly, facciamo così» propose Lupin. «Perché Ginny non resta qui?

Almeno sarà presente e saprà cosa succede, ma non starà nel mezzo della battaglia».

«Io...»

«È una buona idea» decise il signor Weasley. «Ginny, tu non ti muovi da questa Stanza, mi hai sentito?»

Ginny non parve apprezzare molto l'idea, ma allo sguardo insolitamente fermo del padre annuì. I signori Weasley e Lupin si avviarono a loro volta verso le scale.

«Dov'è Ron?» chiese Harry. «Dov'è Hermione?»

«Devono essere già in Sala Grande» gli gridò il signor Weasley voltandosi.

«Non li ho visti passare».

«Parlavano di un bagno» s'inserì Ginny, «poco dopo che te n'eri andato».

«Un bagno?»

Harry si diresse a grandi passi fino a una porta aperta che conduceva fuori dalla Stanza delle Necessità e controllò il bagno. Non c'era nessuno.

«Sei sicura che abbiano detto ba...?»

Ma in quel momento la cicatrice esplose e la Stanza delle Necessità sparì: stava guardando attraverso l'alto cancello di ferro con i cinghiali alati sui pilastri, oltre la distesa buia di prati e boschi, verso il castello illuminato. Nagini era avvolta intorno alle sue spalle. Era posseduto dal gelido, feroce senso di determinazione che precede un assassinio.

CAPITOLO 31

LA BATTAGLIA DI HOGWARTS

Sotto il soffitto incantato della Sala Grande, buio e disseminato di stelle, gli studenti scarmigliati, alcuni in mantello da viaggio, altri in vestaglia, erano allineati lungo i quattro tavoli delle Case. Qua e là rilucevano le figure perlacee dei fantasmi della scuola. Gli occhi di tutti, vivi e morti, erano fissi sulla professoressa McGranitt, che parlava dalla pedana in fondo alla Sala. Dietro di lei erano schierati gli insegnanti rimasti, tra cui Fiorenzo, il centauro palomino, e i membri dell'Ordine della Fenice che erano arrivati per combattere.

«... l'evacuazione verrà coordinata dal signor Gazza e da Madama Chips. Prefetti, al mio segnale, condurrete i ragazzi della vostra Casa, in ordine, verso il punto di evacuazione».

Molti studenti sembravano pietrificati. Ma mentre Harry costeggiava le pareti, cercando Ron e Hermione al tavolo di Grifondoro, Ernie Macmillan si alzò da quello di Tassorosso e urlò: «E se vogliamo restare a combattere?»

Fu salutato da alcuni applausi sparsi.

«Se siete maggiorenni, potete restare» rispose la professoressa McGranitt.

«E le nostre cose?» gridò una ragazza di Corvonero. «I bauli, i gufi?»

«Non c'è tempo per raccogliere gli effetti personali» ribatté la professoressa McGranitt. «L'importante è farvi uscire di qui sani e salvi».

«Dov'è il professor Piton?» urlò una Serpeverde.

«Per ricorrere a un comune modo di dire, se l'è data a gambe» replicò la professoressa McGranitt, e un boato di gioia si levò dai Grifondoro, dai Tassorosso e dai Corvonero.

Harry risalì la Sala lungo il tavolo di Grifondoro, sempre in cerca di Ron e Hermione. Al suo passaggio molti si voltarono a guardarlo, tra un fitto mormorio.

«Abbiamo già imposto protezioni attorno al castello» continuò la professoressa McGranitt, «ma è improbabile che reggano a lungo, se non le rafforziamo. Devo dunque chiedervi di muovervi in fretta e con ordine, e di fare quello che i prefetti...»

Ma la conclusione fu coperta da un'altra voce che rimbombò nella Sala. Era acuta, fredda e chiara: impossibile capire da dove venisse, sembrava uscire dalle mura stesse, come se, alla pari del mostro che un tempo aveva controllato, vi fosse rimasta assopita per secoli.

«So che vi state preparando a combattere». Ci furono urla tra gli studenti; alcuni si aggrapparono ai compagni, guardandosi intorno terrorizzati in cerca della fonte del suono. «I vostri sforzi sono futili. Non potete fermarmi. Io non voglio uccidervi. Nutro un enorme rispetto per gli insegnanti di Hogwarts. Non voglio versare sangue di mago».

Nella Sala calò il silenzio, il genere di silenzio che preme contro i timpani, che sembra troppo grande per essere contenuto dai muri.

«Consegnatemi Harry Potter» proseguì la voce di Voldemort «e a nessuno verrà fatto del male. Consegnatemi Harry Potter e lascerò la scuola intatta. Consegnatemi Harry Potter e verrete ricompensati.

«Avete tempo fino a mezzanotte».

Il silenzio li inghiottì di nuovo. Le teste si voltarono, ogni occhio nella Sala sembrava aver trovato Harry e tenerlo immobilizzato nel riverbero di migliaia di raggi invisibili. Poi una figura si alzò dal tavolo di Serpeverde; Harry riconobbe Pansy Parkinson, che levò un braccio tremante e urlò:

«Ma è laggiù! Potter è laggiù! Qualcuno lo prenda!»

Prima che Harry potesse parlare, ci fu un movimento collettivo. I Grifondoro si alzarono a fronteggiare non lui, ma i Serpeverde. Poi anche i Tassorosso si alzarono, e quasi nello stesso istante i Corvonero: davano tutti le spalle a Harry e guardavano Pansy. Harry, sgomento e commosso, vide bacchette sbucare dappertutto, sfilate da sotto i mantelli e dalle maniche.

«Grazie, signorina Parkinson» disse la professoressa McGranitt con voce gelida. «Uscirai per prima dalla Sala con il signor Gazza. Il resto della tua Casa è pregato di seguirti».

Harry udì lo stridio delle panche spostate e il rumore dei Serpeverde che uscivano tutti insieme dall'altro lato della Sala.

«Corvonero, è il vostro turno!» gridò la professoressa McGranitt. Lentamente, i quattro tavoli sì svuotarono. Quello di Serpeverde rimase deserto, ma alcuni dei Corvonero più anziani restarono seduti mentre i loro compagni uscivano in fila: ancora di più ne rimasero tra i Tassorosso, costringendo la professoressa McGranitt a scendere dalla pedana degli insegnanti per costringere i minorenni ad andarsene.

«Assolutamente no, Canon, vai! Anche tu, Peakes!»

Harry raggiunse di corsa i Weasley, tutti insieme al tavolo di Grifondoro.

«Dove sono Ron e Hermione?»

«Non li hai...?» cominciò il signor Weasley, preoccupato. Ma s'interruppe quando Kingsley salì sulla pedana per rivolgersi a coloro che erano rimasti.

«Manca solo mezz'ora a mezzanotte, dobbiamo agire in fretta! Gli insegnanti di Hogwarts e l'Ordine della Fenice hanno concordato un piano. I professori Vitious, Sprite e McGranitt condurranno gruppi di combattenti in cima alle tre torri più alte - quella di Corvonero, di Astronomia e di Grifondoro - dove avranno una buona visuale e posizioni ottime per scagliare incantesimi. Nel frattempo, Remus» e indicò Lupin, «Arthur» e fece un cenno al signor Weasley «e io guideremo altri gruppi all'esterno. Ci vorrà

qualcuno che organizzi la difesa dei passaggi che conducono nella scuola...»

«... è il lavoro ideale per noi» gridò Fred, indicando se stesso e George, e Kingsley assentì.

«D'accordo, i capi tutti qui per la divisione delle truppe!»

«Potter» chiamò la professoressa McGranitt correndo da lui mentre gli studenti invadevano la piattaforma, sgomitando per ricevere istruzioni,

« non dovresti cercare qualcosa? »

«Come? Oh» fece Harry, «oh, certo!»

Si era quasi dimenticato dell'Horcrux, aveva quasi scordato che la battaglia serviva a dargli modo di cercarlo: l'inesplicabile assenza di Ron e Hermione aveva momentaneamente svuotato la sua mente da qualunque altro pensiero.

«Allora vai, Potter, vai!»

«Sì... certo...»

Si sentì addosso molti sguardi, mentre correva dalla Sala Grande nell'ingresso ancora affollato di studenti che si stavano allontanando. Si lasciò

trascinare con loro su per la scalinata di marmo, ma quando fu in cima svoltò in un corridoio deserto. Il panico gli offuscava il cervello. Cercò di calmarsi, di concentrarsi sull'Horcrux, ma i suoi pensieri ronzavano frenetici e inutili come vespe imprigionate sotto un bicchiere. Senza Ron e Hermione ad aiutarlo, non riusciva a riordinare le idee. Rallentò e si fermò

a metà di un passaggio vuoto. Sedette sul piedistallo di una statua andata via ed estrasse la Mappa del Malandrino dalla saccoccia che portava al collo. Non vide i nomi di Ron e Hermione da nessuna parte, anche se, pensò, potevano essere nascosti tra la folla di puntini diretti alla Stanza delle Necessità. Ripose la Mappa, si premette le mani sul volto e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi...

Voldemort pensava che sarei andato alla Torre di Corvonero. Ecco: un fatto concreto, il punto di partenza. Voldemort aveva messo di guardia Alecto Carrow alla sala comune di Corvonero e poteva esserci una sola spiegazione: temeva che Harry già sapesse che il suo Horcrux era legato a quella Casa. Ma l'unico oggetto che tutti associavano a Corvonero era il diadema perduto... possibile che l'Horcrux fosse il diadema? Possibile che Voldemort, il Serpeverde, avesse trovato il diadema che aveva eluso generazioni intere di Corvonero? Chi poteva avergli detto dove guardare, se nessuno a memoria d'uomo l'aveva visto?

A memoria d'uomo...

Sotto le dita, gli occhi di Harry si riaprirono. Balzò su dal piedistallo e percorse il cammino a ritroso, inseguendo la sua ultima speranza. Il rumore di centinaia di persone in marcia verso la Stanza delle Necessità aumentava man mano che si avvicinava alla scalinata di marmo. I prefetti urlavano ordini, cercando di tenere il conto degli studenti delle loro Case; era tutto uno spintonare e sgomitare; Harry vide Zacharias Smith mandare a gambe all'aria alcuni studenti del primo anno per essere il primo della fila; qua e là alcuni dei più piccoli piangevano, mentre gli anziani chiamavano disperati gli amici o i fratelli...

Harry intravide una sagoma perlacea fluttuare di sotto nella Sala d'Ingresso e urlò più forte che poteva sopra il clamore.

«Nick! NICK! Ho bisogno di parlarti!»

Si fece strada a forza controcorrente alla marea di studenti e infine arrivò

ai piedi della scalinata, dove Nick-Quasi-Senza-Testa, il fantasma di Grifondoro, lo aspettava.

«Harry! Mio caro ragazzo!»

Nick gli afferrò le mani e a Harry sembrò di averle immerse nell'acqua ghiacciata.

«Nick, devi aiutarmi. Chi è il fantasma di Corvonero?»

Nick-Quasi-Senza-Testa parve stupito e anche un po' offeso.

«La Dama Grigia, naturalmente; ma se hai bisogno di servigi spettrali...»

«Deve essere lei... sai dov'è?»

«Vediamo...»

La testa di Nick dondolò sulla gorgiera, voltandosi di qua e di là, per scrutare al di sopra della fiumana di studenti.

«È quella laggiù, Harry, la giovane donna con i capelli lunghi». Harry guardò nella direzione indicata dal dito trasparente di Nick e vide un fantasma alto che si accorse del suo sguardo, inarcò le sopracciglia e fluttuò via attraverso una parete.

Harry la inseguì. Varcata la porta del corridoio nel quale era sparita, la vide allontanarsi con grazia in fondo al passaggio.

«Ehi... aspetti... torni indietro!»

Lei acconsentì a fermarsi, a qualche centimetro da terra. Era bella, con i capelli lunghi fino alla vita e il mantello che sfiorava il suolo, ma sembrava anche altezzosa e fiera. Quando le fu vicino, si ricordò di averla incro-ciata diverse volte nei corridoi, ma non le aveva mai rivolto la parola.

«Lei è la Dama Grigia?»

La donna annuì in silenzio.

«Il fantasma della Torre di Corvonero?»

«Esatto» .

Il suo tono non era incoraggiante.

«La prego, ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di sapere tutto quello che può dirmi sul diadema perduto».

Un freddo sorriso incurvò le labbra del fantasma.

«Temo» rispose, girandosi per andarsene, «di non poterti aiutare».

«ASPETTI!»

Non voleva gridare, ma rabbia e panico minacciavano di avere la meglio. Guardò l'orologio: mancava un quarto d'ora a mezzanotte.

«È urgente» insisté deciso. «Se quel diadema si trova a Hogwarts, devo trovarlo, e in fretta».

«Non sei il primo studente che vorrebbe mettere le mani su quel diadema» ribatté lei sprezzante. «Generazioni di ragazzi mi hanno tormentato...»

«Ma non è per avere voti più alti!» gridò Harry. «È per Voldemort... per sconfiggere Voldemort... o non le interessa?»

Lei non poteva arrossire, ma le sue guance trasparenti si fecero più opache e la sua voce più accalorata quando rispose: «Ma certo che mi... come osi insinuare...?»

«Be', allora mi aiuti!»

Il contegno della Dama Grigia si stava incrinando.

«Non... non è questione di...» balbettò. «Il diadema di mia madre...»

«Sua madre

Sembrava arrabbiata con se stessa.

«Da viva» rispose sussiegosa, «ero Helena Corvonero».

«È sua figlia? Ma allora deve sapere che fine ha fatto!»

«Quel diadema conferiva saggezza» riprese, cercando di ricomporsi,

«ma dubito che accrescerebbe le tue possibilità di sconfiggere il mago che si fa chiamare Lord...»

«Le ho già detto che non voglio indossarlo!» ribatté Harry con veemenza. «Non c'è tempo per spiegarle... ma se ci tiene a Hogwarts, se vuole vedere Voldemort sconfitto, deve dirmi tutto quello che sa su quel diadema!»

Lei rimase immobile, sospesa a mezz'aria, fissandolo dall'alto in basso, e Harry fu preso dalla disperazione. Era ovvio, se avesse saputo qualcosa l'avrebbe detto a Vitious o a Silente, che di certo le avevano rivolto la stes-sa domanda. Scosse il capo e fece per voltarsi quando lei mormorò:

«Io ho rubato il diadema a mia madre».

«Cosa... cos'ha fatto?»

« Ho rubato il diadema» ripeté Helena Corvonero in un sussurro. «Volevo diventare più intelligente, più importante di mia madre. L'ho preso e sono fuggita».

Harry non sapeva come aveva fatto a ottenere la sua fiducia e non lo chiese: si limitò ad ascoltarla con tutta la sua attenzione. «Mia madre, dicono, non ha mai ammesso che il diadema era sparito, ha finto di averlo ancora. Ha nascosto il furto, il mio terribile tradimento, anche agli altri fondatori di Hogwarts.

«Poi si è ammalata, mortalmente. Nonostante la mia perfidia, voleva vedermi per l'ultima volta. Mandò a cercarmi un uomo che mi aveva molto amato, anche se io avevo disdegnato le sue profferte. Sapeva che non avrebbe smesso di cercarmi finché non mi avesse trovato». Harry attese. Lei fece un profondo respiro e gettò indietro la testa.

«Lui mi trovò nella foresta dove mi nascondevo. Quando mi rifiutai di tornare qui con lui, divenne violento. Era sempre stato un uomo collerico, il Barone. Furioso per il mio rifiuto, geloso della mia libertà, mi pugnalò».

«Il Barone? Sarebbe...?»

«Il Barone Sanguinario, sì» rispose la Dama Grigia, e scostò il mantello per rivelare una sola, scura ferita nel petto bianco. «Quando capì quello che aveva fatto, fu preso dal rimorso. Usò l'arma che mi aveva rubato la vita per uccidersi. Dopo tutti questi secoli, porta ancora le catene come atto di contrizione... e ne ha ben donde» aggiunse amareggiata.

«E... e il diadema?»

«È rimasto dove l'avevo nascosto quando ho sentito arrivare il Barone. Nel cavo di un albero».

«Nel cavo di un albero?» ripeté Harry. «Quale albero? Dove?»

«In una foresta in Albania. Un luogo solitario che ritenevo sufficientemente lontano da mia madre».

«In Albania» ripeté Harry. Dalla confusione affiorava miracolosamente un senso, e adesso capiva perché gli stesse dicendo ciò che aveva taciuto a Silente e a Vitious. «Ha già raccontato questa storia a qualcuno, vero? A un altro studente?»

Lei chiuse gli occhi e annuì.

«Io non... avevo idea... mi... lusingava. Sembrava che... capisse... che comprendesse...»

Sì, pensò Harry, Tom Riddle aveva certamente capito il desiderio di Helena Corvonero di possedere oggetti favolosi sui quali non poteva vantare diritti.

«Be', lei non è la prima a cui Riddle ha carpito informazioni» borbottò

Harry. «Sapeva essere affascinante quando voleva...»

E così Voldemort era riuscito a farsi dire dalla Dama Grigia, con moine e lusinghe, il nascondiglio del diadema perduto. Aveva viaggiato fino a quella remota foresta e recuperato il gioiello, forse subito dopo aver lasciato Hogwarts, prima ancora di cominciare a lavorare da Magie Sinister. E quei solitari boschi albanesi non erano forse stati il rifugio ideale, molto tempo dopo, quando Voldemort aveva avuto bisogno di nascondersi per dieci lunghi anni?

Ma il diadema, una volta divenuto il suo prezioso Horcrux, non era rimasto in quell'umile albero... no, il diadema era stato riportato in segreto nella sua vera dimora e Voldemort doveva avercelo messo...

«... la notte che venne per cercare lavoro!» esclamò Harry, concludendo il pensiero ad alta voce.

«Prego?»

«Ha nascosto il diadema nel castello la notte che chiese a Silente un posto di insegnante!» Dirlo ad alta voce gli diede modo di rimettere ogni cosa al suo posto. «Deve averlo nascosto quando è salito nello studio di Silente, o quando è sceso! Ma valeva comunque la pena di cercare di ottenere quel posto... così avrebbe potuto rubare anche la spada di Grifondoro... grazie, grazie mille!»

Harry la lasciò lì a fluttuare esterrefatta. Voltò l'angolo per tornare nella Sala d'Ingresso e guardò l'orologio. Mancavano cinque minuti a mezzanotte, e anche se adesso sapeva che cos'era l'ultimo Horcrux, non era più vicino a scoprire dov'era... Generazioni di studenti non erano riuscite a trovare il diadema; il che faceva pensare che non fosse nella Torre di Corvonero... ma se non era lì, allora dove? Quale nascondiglio aveva scoperto Tom Riddle nel castello di Hogwarts, convinto che sarebbe rimasto segreto per sempre?

Perso nelle sue disperate elucubrazioni, Harry imboccò un nuovo corridoio, ma aveva mosso solo pochi passi quando la finestra alla sua sinistra si spalancò con un frastuono assordante di vetri rotti. Balzò di lato per evitare un corpo gigantesco che volò dentro e andò a finire contro la parete opposta. Qualcosa di grosso e peloso si separò uggiolando dal nuovo arrivato e si gettò su Harry.

«Hagrid!» urlò Harry, cercando di togliersi di dosso Thor il danese mentre l'enorme figura barbuta si rimetteva in piedi. «Ma cosa...?»

«Harry, sei qui! Sei qui! »

Hagrid si chinò, strizzò Harry in un rapido abbraccio spaccacostole, poi corse di nuovo alla finestra fracassata.

«Bel colpo, Groppino!» gridò guardando giù. «Ci vediamo fra un attimo, fa' il bravo!»

Oltre la finestra, nel buio della notte, Harry vide scoppi di luce in lontananza e udì uno strano urlo lamentoso. Guardò l'orologio: era mezzanotte. La battaglia era cominciata.

«Cavoli, Harry» ansimò Hagrid, «allora ci siamo, eh? È ora di combattere!»

«Hagrid, da dove arrivi?»

«Ho sentito Tu-Sai-Chi dalla nostra caverna lassù» rispose Hagrid, cupo.

«Si sentiva bene, eh? 'Ci avete tempo fino a mezzanotte per darmi Potter'. Ho capito che eri qui, ho capito cosa stava succedendo. A cuccia, Thor. Così siamo venuti giù, io e Groppino e Thor, per dare una mano. Abbiamo spaccato il muro vicino alla foresta, Grappino ci portava, a me e a Thor. Gli ho detto di mettermi giù al castello e lui mi ha lanciato dentro la finestra, benedetto ragazzo. Non volevo dire proprio quello, ma insomma... dove sono Ron e Hermione?»

«Questa» rispose Harry «è proprio una bella domanda. Andiamo». Corsero insieme lungo il corridoio, con Thor che li seguiva a balzi. Harry sentiva movimenti ovunque: passi di corsa, urla; dalla finestra si vedevano altri lampi di luce nel parco buio.

«Dov'è che andiamo?» chiese Hagrid con voce rotta, correndo pesantemente alle calcagna di Harry e facendo tremare il pavimento.

«Non so di preciso» rispose Harry, imboccando un altro passaggio a caso, «ma Ron e Hermione devono essere qui da qualche parte». Le prime vittime della battaglia giacevano sul pavimento: i due gargoyle di pietra che di solito sorvegliavano l'ingresso della sala professori erano stati fracassati da una fattura entrata da un'altra finestra rotta. I loro resti si agitavano debolmente a terra, e quando Harry scavalcò con un salto una delle teste spiccate dal corpo, quella gemette: «Oh, non preoccuparti per me... resterò qui a sgretolarmi...»

Il brutto muso di pietra gli ricordò all'improvviso il busto di marmo di Priscilla Corvonero a casa di Xenophilius, con quell'assurdo copricapo in testa, e poi la statua nella Torre di Corvonero, con il diadema di pietra so-pra i ricci bianchi... E quando raggiunse la fine del corridoio, affiorò in lui il ricordo di un terzo ritratto di pietra: quello di un vecchio brutto stregone, a cui lui stesso aveva ficcato in testa una parrucca e una vecchia tiara ammaccata. La sorpresa lo attraversò come una vampata di Whisky Incendiario e per poco non inciampò.

Sapeva dove avrebbe trovato l'Horcrux...

Tom Riddle, che non si fidava di nessuno e agiva da solo, forse era stato tanto arrogante da pensare di essere l'unico ad aver penetrato i misteri più

profondi del castello di Hogwarts. Naturalmente Silente e Vitious, studenti modello, non ci avevano mai messo piede, ma lui, Harry, nel corso della sua carriera scolastica aveva deviato dal sentiero tracciato... ecco infine un segreto che lui e Voldemort condividevano e Silente non aveva mai scoperto... Fu riscosso dalla professoressa Sprite che passò di gran corsa seguita da Neville e da cinque o sei altri ragazzi, tutti con le cuffie sulle orecchie e una grossa pianta in vaso tra le braccia.

«Mandragole!» urlò Neville a Harry, voltandosi senza fermarsi. «Le buttiamo giù dalle mura... non gli piaceranno!»

Harry ormai sapeva dove andare: partì di corsa, con Hagrid e Thor che gli galoppavano dietro. Passarono davanti a una serie di ritratti e le figure dipinte corsero con loro, maghi e streghe con gorgiere e calzabrache, armature e mantelli, si stipavano nelle tele altrui, urlando notizie raccolte in altre parti del castello. Quando arrivarono alla fine di quel corridoio, l'intero edificio tremò e Harry capì, vedendo esplodere un vaso gigantesco sul suo piedistallo, che era preda di incantesimi più sinistri di quelli degli insegnanti e dell'Ordine.

«Va tutto bene, Thor... tutto bene!» urlò Hagrid, ma l'enorme danese fuggì tra frammenti di porcellana che volavano come le schegge di una granata e Hagrid inseguì il cagnone terrorizzato, lasciando Harry solo. Lui continuò ad avanzare lungo le pareti vibranti, con la bacchetta pronta, e per un intero corridoio Sir Cadogan, il piccolo cavaliere dipinto, corse da un quadro all'altro insieme a lui, facendo sferragliare l'armatura, urlando incoraggiamenti, con il suo piccolo grasso pony che gli trotterellava dietro.

«Millantatori e canaglie, marrani e felloni, cacciali via, Harry Potter, respingili!»

Harry si precipitò dietro un angolo e trovò Fred e altri studenti, tra cui Lee Jordan e Hannah Abbott, accanto a un altro piedistallo vuoto: la sua statua nascondeva un passaggio segreto. Avevano le bacchette sfoderate e tendevano l'orecchio.

«Bella serata!» urlò Fred. Il castello tremò di nuovo e Harry corse via, euforico e terrorizzato in pari misura. Sfrecciò lungo un altro corridoio, pieno di gufi svolazzanti, inseguiti da Mrs Purr che soffiava e cercava di prenderli con le zampe, probabilmente per farli tornare al loro posto...

«Potter!»

Aberforth Silente bloccava il passaggio, la bacchetta tesa.

«Ci sono centinaia di ragazzi nel mio pub, Potter!»

«Lo so; stiamo evacuando la scuola. Voldemort sta...»

«... attaccando perché non ti hanno consegnato, già» continuò Aberforth,

«non sono sordo, l'ha sentito tutta Hogsmeade. E non è venuto in mente a nessuno di tenere qualche Serpeverde in ostaggio? Avete messo al sicuro i figli dei Mangiamorte. Non sarebbe stato più furbo tenerli qui?»

«Non fermerebbe Voldemort» ribatté Harry, «e suo fratello non l'avrebbe mai fatto». Aberforth grugnì e filò via nella direzione opposta.

Suo fratello non l'avrebbe mai fatto... be', era la verità, pensò Harry riprendendo la corsa; Silente, che aveva sempre difeso Piton, non avrebbe mai tenuto in ostaggio degli studenti...

E poi si catapultò oltre un ultimo angolo e lanciò un urlo di sollievo misto a rabbia: aveva visto Ron e Hermione, le braccia piene di grossi oggetti gialli, sporchi e ricurvi. Ron aveva una scopa sottobraccio.

«Dove diavolo eravate?» urlò Harry.

«Nella Camera dei Segreti» rispose Ron.

«Nella Camera... cosa?» fece Harry, fermandosi incerto davanti a loro.

«È stato Ron, è stata una sua idea!» Hermione era senza fiato. «Non è

geniale? Dopo che sei andato via, io ho detto a Ron: se anche troviamo l'altro, come facciamo a distruggerlo? Non abbiamo ancora distrutto la coppa! E allora gli è venuto in mente! Il Basilisco!»

«Ma che...?»

«Per far fuori gli Horcrux» spiegò semplicemente Ron.

Lo sguardo di Harry si spostò sugli oggetti che gli amici stringevano fra le braccia: enormi zanne ricurve strappate, adesso l'aveva capito, dal cranio di un Basilisco morto.

«Ma come avete fatto a entrare?» chiese, fissando prima le zanne, poi Ron. «Bisogna parlare Serpentese!»

«L'ha fatto!» sussurrò Hermione. «Fagli vedere, Ron!»

Ron emise un tremendo sibilo sordo.

«È quello che hai fatto tu per aprire il medaglione» si giustificò con Harry. «Mi ci è voluto qualche tentativo, ma alla fine siamo passati» concluse, con una modesta scrollata di spalle.

«È stato straordinario!» esclamò Hermione. «Straordinario!»

«E allora...» Harry si stava sforzando di seguirli. «Allora...»

«Allora abbiamo un Horcrux in meno» disse Ron, e da sotto la giacca prese i resti contorti della coppa di Tassorosso. «L'ha trafitta Hermione. Ho pensato che doveva farlo lei. Non aveva ancora avuto il piacere».

«Sei un genio!» urlò Harry.

«Una cosa da niente» si schermì Ron, ma era molto compiaciuto. «E tu, hai novità?»

Un'esplosione rimbombò sulle loro teste: guardarono tutti e tre il soffitto, da cui pioveva calce, e udirono un urlo lontano.

«So com'è fatto il diadema e so dov'è» rispose Harry velocemente. «L'ha nascosto esattamente dove io avevo nascosto il mio vecchio libro di Pozioni, dove tutti nascondono le cose da secoli. Credeva di essere l'unico ad averlo scoperto. Andiamo».

Le pareti vibrarono di nuovo e Harry guidò i due amici attraverso l'ingresso nascosto e giù per le scale nella Stanza delle Necessità. Non c'era nessuno, a parte tre donne: Ginny, Tonks e un'anziana strega con un cappello mangiucchiato dalle tarme, che Harry riconobbe all'istante come la nonna di Neville.

«Ah, Potter» lo accolse lei con vivacità, come se lo stesse aspettando.

«Tu saprai dirci cosa sta succedendo».

«Stanno tutti bene?» chiesero Ginny e Tonks insieme.

«Per quello che ne sappiamo» rispose Harry. «C'è ancora gente nel passaggio per la Testa di Porco?»

Sapeva che la Stanza non sarebbe stata in grado di trasformarsi se c'era ancora dentro qualcuno.

«Io sono stata l'ultima a passare» assicurò la signora Paciock. «L'ho chiuso, credo che non sia prudente lasciarlo aperto ora che Aberforth ha lasciato il pub. Hai visto mio nipote?»

«Sta combattendo» replicò Harry.

«Naturalmente» commentò la vecchia signora con fierezza. «Con permesso, devo andare ad aiutarlo». E corse verso la scala di pietra con una rapidità sorprendente. Harry guardò Tonks.

«Credevo che fossi da tua madre con Teddy».

«Non potevo sopportare di non sapere...» Tonks sembrava in preda all'ansia. «Gli baderà lei... hai visto Remus?»

«Doveva guidare un gruppo di combattenti nel parco...»

Senza un'altra parola, anche Tonks corse di sopra.

«Ginny» riprese Harry, «mi dispiace, ma devi andartene anche tu. Solo per un po'. Dopo potrai tornare».

Ginny fu solo felice di lasciare il suo rifugio.

«Dopo potrai tornare!» le urlò dietro Harry, mentre lei saliva di corsa le scale dietro Tonks. « Dovrai tornare! »

«Un momento!» fece Ron, brusco. «Abbiamo dimenticato qualcuno!»

«Chi?» chiese Hermione.

«Gli elfi domestici, saranno tutti giù in cucina, no?»

«Vuoi dire che dobbiamo farli combattere?» domandò Harry.

«No» rispose Ron, serio. «Dobbiamo farli andar via. Non vogliamo altri Dobby, no? Non possiamo chiedergli di morire per noi...»

Le zanne di Basilisco caddero con un gran fragore dalle braccia di Hermione. Corse da Ron, lo abbracciò e lo baciò sulla bocca. Ron gettò via le zanne e il manico di scopa e rispose con tanto entusiasmo che sollevò

Hermione da terra.

«Vi pare il momento?» gemette Harry debolmente. Ma quando non successe nulla, anzi Ron e Hermione si strinsero più forte e cominciarono a dondolare sul posto, alzò la voce. «Ehi! C'è una guerra là fuori!»

Ron e Hermione si separarono, ma rimasero abbracciati.

«Lo so, Harry» ribatté Ron, con l'aria di chi è appena stato colpito in testa da un Bolide, «quindi ora o mai più, no?»

«Sì, va bene, ma l'Horcrux?» gridò Harry. «Pensate di potervi... trattenere finché non troviamo il diadema?»

«Sì... certo... scusa...» rispose Ron, e si mise con Hermione a raccogliere le zanne, tutte due rossi in volto.

Quando tornarono nel corridoio, fu evidente che nei pochi minuti che avevano trascorso nella Stanza delle Necessità la situazione nel castello era decisamente peggiorata: pareti e soffitto erano sempre più squassati dalle vibrazioni; la polvere riempiva l'aria e dalla finestra più vicina Harry vide lampi di luce verde e rossa ai piedi del castello, il che voleva dire che i Mangiamorte erano prossimi a entrare. Guardando in giù vide Grop il gigante che brandiva un gargoyle di pietra strappato dal tetto e ruggiva il suo disappunto.

«Speriamo che ne calpesti un po'!» esclamò Ron, mentre altre urla echeggiavano più vicine.

«Basta che non siano dei nostri!» intervenne una voce. Harry si voltò e vide Ginny e Tonks, le bacchette tese, alla finestra accanto, a cui mancavano diverse lastre di vetro. Proprio in quel momento Ginny scagliò con precisione una fattura su una folla di combattenti di sotto.

«Brava!» ruggì qualcuno correndo verso di loro nella polvere, e Harry vide di nuovo Aberforth, i capelli grigi svolazzanti, alla guida di un manipolo di studenti. «Pare che stiano per entrare dai bastioni a nord, si son portati dietro dei giganti!»

«Hai visto Remus?» gli gridò Tonks.

«Stava combattendo contro Dolohov» urlò in risposta Aberforth, «poi non l'ho più visto!»

«Tonks» mormorò Ginny, «Tonks, sono sicura che sta bene...»

Ma Tonks schizzò dietro Aberforth.

Ginny si voltò impotente verso Harry, Ron e Hermione.

«Se la caveranno» le disse Harry, pur sapendo che erano parole vuote.

«Ginny, noi torniamo subito, tu stanne fuori, resta al sicuro... andiamo!» e corse con Ron e Hermione di nuovo verso il tratto di parete oltre il quale la Stanza delle Necessità stava aspettando di esaudire la richiesta successiva. Ho bisogno del luogo dove si nasconde tutto, pensò Harry, e al loro terzo passaggio la porta si materializzò. Il furore della battaglia svanì non appena varcarono la soglia e si chiusero dentro: il silenzio era totale. Erano in un luogo ampio come una cattedrale e simile a una città; le alte pareti erano pile di oggetti nascosti nei secoli da migliaia di studenti.

«E non ha mai capito che ci poteva entrare chiunque?» chiese Ron, e la sua voce echeggiò nel silenzio.

«Credeva di essere l'unico» rispose Harry. «Purtroppo per lui, anch'io ho avuto della roba da nasconderci... da questa parte» aggiunse, «mi pare che sia quaggiù...»

Passò davanti al troll impagliato e all'Armadio Svanitore che Draco Malfoy aveva riparato l'anno prima con tragiche conseguenze, poi esitò, guardando su e giù lungo corsie di ciarpame; non ricordava più la strada...

« Accio diadema! » gridò Hermione disperata, ma non arrivò nulla in volo. Come la camera blindata alla Gringott, la stanza non sembrava voler cedere tanto facilmente gli oggetti che nascondeva.

«Dividiamoci» suggerì Harry. «Cercate il busto di pietra di un vecchio con una parrucca e una tiara! È sopra una credenza, da queste parti...»

Corsero lungo i corridoi adiacenti; Harry sentiva i passi degli amici risuonare attraverso cataste pericolanti di cianfrusaglie, bottiglie, cappelli, casse, sedie, libri, armi, manici di scopa, mazze...

«Da qualche parte qui vicino» borbottò tra sé Harry. «Qui vicino... qui vicino...»

Si addentrò nel labirinto, cercando di riconoscere qualche oggetto dalla sua unica precedente visita. Il respiro gli rimbombava nelle orecchie e poi la sua anima stessa rabbrividì: eccola laggiù, la vecchia credenza piena di bolle in cui aveva nascosto il libro di Pozioni, e in cima lo stregone di pietra sbeccata con la parrucca polverosa e quella che sembrava un'antica tiara scolorita. Aveva già la mano tesa, anche se era a tre metri di distanza, quando una voce dietro di lui gli intimò: «Fermo, Potter».

Si bloccò e si voltò. Tiger e Goyle erano dietro di lui, spalla a spalla, le bacchette puntate. Nel minuscolo spazio tra i loro volti beffardi scorse Draco Malfoy.

«È la mia bacchetta che hai in mano, Potter» osservò Malfoy, puntando la propria nella fessura tra Tiger e Goyle.

«Non più» ansimò Harry, stringendo la presa sulla bacchetta di biancospino. «Chi vince tiene, Malfoy. Chi te l'ha prestata?»

«Mia madre» rispose Draco.

Harry rise, anche se non c'era nulla di divertente nella situazione. Non sentiva più Ron né Hermione. Dovevano essersi allontanati per cercare il diadema.

«Allora, come mai voi tre non siete con Voldemort?» chiese.

«Verremo ricompensati» ribatté Tiger: aveva una voce sorprendentemente dolce per un essere così enorme; Harry non l'aveva quasi mai sentito parlare prima. Tiger sorrideva come un bambino a cui è stato promesso un sacchetto di caramelle. «Siamo rimasti indietro, Potter. Abbiamo deciso di non andare. Abbiamo deciso di consegnarti a Lui».

«Bel piano» commentò Harry con finta ammirazione. Non poteva credere di esserci arrivato così vicino e di fallire per colpa di Malfoy, Tiger e Goyle. Indietreggiò lentamente verso il busto sul quale era posato storto l'Horcrux. Se solo fosse riuscito a metterci le mani prima che si scatenasse la lotta...

«Come avete fatto a entrare?» chiese, sperando di distrarli.

«Ho praticamente vissuto tutto l'anno scorso nella Stanza delle Cose Na-scoste» rispose Malfoy nervoso. «So come si entra».

«Eravamo nascosti fuori in corridoio» grugnì Goyle. «Siamo bravi adesso con la Delusione! E poi» sul muso gli si allargò un ghigno stupido «sei arrivato te proprio lì davanti a noi e hai detto che cercavi un diademo!

Cos'è un diademo?»

«Harry!» La voce di Ron risuonò all'improvviso oltre la parete alla destra di Harry. «Stai parlando con qualcuno?»

Con un movimento rapido come una frustata, Tiger puntò la bacchetta contro la montagna alta quindici metri, una catasta di vecchi mobili, bauli rotti, libri usati, vestiti e altri oggetti non identificabili, e urlò: « Descen- do! »

La parete dondolò, poi cominciò a franare nel corridoio accanto, dov'era Ron.

«Ron!» urlò Harry e anche Hermione, nascosta chissà dove, lanciò un grido. Harry udì una lunga serie di oggetti cadere a terra dall'altra parte del muro in bilico: puntò la bacchetta, gridando « Finitus! » e quello si stabilizzò.

«No!» esclamò Malfoy, bloccando il braccio di Tiger che stava per ripetere l'incantesimo. «Se distruggi la stanza, rischi di seppellire anche quel diadema!»

«E allora?» ribatté Tiger, liberandosi. «Il Signore Oscuro vuole Potter, chissenefrega di un diademo!»

«Potter è entrato qui per quello» spiegò Malfoy, trattenendo a stento l'impazienza davanti alla stupidità dei compagni. «Quindi deve voler dire...»

«'Deve voler dire'?» Tiger si rivoltò contro Malfoy con aperta ferocia.

«Me ne sbatto di quello che pensi tu! Non prendo più ordini da te, Draco. Tu e il tuo papino siete finiti».

«Harry!» gridò di nuovo Ron dall'altro lato. «Che succede?»

«Harry!» gli fece il verso Tiger. «Che succ... no, Potter! Crucio! »

Harry si era lanciato verso la tiara; la maledizione di Tiger lo mancò, ma colpì il busto di pietra, che volò in aria; il diadema schizzò verso l'alto e poi cadde, scomparendo nella catasta di oggetti sulla quale fino a un attimo prima era posato il busto.

«BASTA!» urlò Malfoy a Tiger, e la sua voce rimbombò nella stanza enorme. «Il Signore Oscuro lo vuole vivo...»

«E allora? Non l'ho mica ammazzato!» rispose Tiger, liberandosi dalla presa di Malfoy. «Però se ci riesco lo faccio, il Signore Oscuro vuole che muoia, no? Che diff...?»

Un fiotto di luce scarlatta sfiorò Harry: Hermione era sbucata alle sue spalle e aveva scagliato uno Schiantesimo alla testa di Tiger. Lo mancò solo perché Malfoy lo strattonò via.

«È la sporca Mezzosangue! Avada Kedavra! »

Hermione si tuffò da un lato. Tiger aveva tentato di ucciderla: la rabbia si impadronì di Harry, cancellandogli tutto il resto dalla mente. Lanciò uno Schiantesimo contro Tiger, che lo evitò con un balzo, facendo cadere la bacchetta di mano a Malfoy; la vide rotolare lontano, sotto un cumulo di mobili rotti e scatole.

«Non uccidetelo! NON UCCIDETELO!» gridò Malfoy a Tiger e Goyle, che puntavano tutti e due contro Harry: quell'istante di esitazione bastò.

« Expelliarmus! »

La bacchetta volò via di mano a Goyle e sparì nel torrione di oggetti accanto a lui; Goyle si mise a saltare stupidamente sul posto, cercando di recuperarla; Malfoy schivò il secondo Schiantesimo di Hermione, e Ron, apparso all'improvviso in fondo al passaggio, scagliò un Incantesimo Petrificus contro Tiger, ma lo mancò di un soffio. Tiger si voltò di scatto e urlò di nuovo « Avada Kedavra! » Ron balzò via per evitare il getto di luce verde. Malfoy, disarmato, si riparò dietro un armadio con tre gambe mentre Hermione si lanciava verso di loro, colpendo Goyle con uno Schiantesimo.

«È qui da qualche parte!» le urlò Harry, indicando la pila di cianfrusaglie nella quale era caduta la vecchia tiara. «Cercala, io vado ad aiutare R...»

«HARRY!» gridò lei.

Un boato alle sue spalle lo fece voltare. Vide Ron e Tiger correre a tutta velocità su per il corridoio verso di lui.

«Ti piace caldo, feccia?» ruggì Tiger correndo.

Ma evidentemente non era in grado di controllare ciò che aveva fatto. Fiamme di altezza anomala li inseguivano, lambendo le mura di cianfrusaglie, che al loro tocco si incenerivano.

« Aguamenti! » gridò Harry, ma il getto d'acqua che uscì dalla punta della sua bacchetta evaporò all'istante.

«CORRI!»

Malfoy afferrò Goyle Schiantato e lo trascinò con sé: Tiger li sorpassò

tutti, terrorizzato; Harry, Ron e Hermione schizzarono dietro di lui, e il fuoco dietro di loro. Non era un fuoco normale; Tiger aveva usato una ma-ledizione ignota a Harry: quando voltavano un angolo le fiamme li inseguivano come se fossero vive, coscienti, decise a ucciderli. Poi il fuoco si trasformò, formando un branco gigantesco di bestie feroci: serpenti fiammeggianti, Chimere e draghi sorsero e ricaddero e risorsero, e i detriti secolari dei quali si stavano cibando venivano scagliati nelle loro fauci, lanciati in alto dai loro stessi artigli prima di essere consumati dall'inferno. Malfoy, Tiger e Goyle erano spariti; Harry, Ron e Hermione si bloccarono: i mostri feroci li circondavano, sempre più vicini, con artigli e corna e code guizzanti, e il calore era solido come un muro.

«Cosa possiamo fare?» urlò Hermione sopra il ruggito assordante del fuoco. «Cosa possiamo fare?»

«Qui!»

Harry prese dal mucchio di ciarpame più vicino due manici di scopa che gli sembravano sufficientemente solidi e ne gettò uno a Ron, che trascinò

Hermione in sella dietro di lui. Harry cavalcò la seconda scopa e scalciando forte a terra si levarono in volo, evitando il becco cornuto di un rapace infuocato che schioccò le mandibole a pochi centimetri da loro. Il fumo e il calore erano opprimenti: sotto, le fiamme maledette consumavano i traffici illeciti di generazioni di studenti, i colpevoli frutti di mille esperimenti vietati, i segreti di innumerevoli anime che avevano cercato rifugio in quella stanza. Harry non vide traccia di Malfoy, Tiger o Goyle: volò più basso che poté sui mostri di fiamma, ma non c'era altro che fuoco: che morte terribile... non aveva mai voluto questo...

«Harry, usciamo, usciamo!» gridò Ron, ma era impossibile vedere la porta in quel fumo nero.

E poi Harry udì un flebile, patetico urlo umano nel tuono tremendo delle fiamme fameliche.

«È... troppo... pericoloso!» urlò Ron, ma Harry si girò a mezz'aria. Approfittando della minima protezione dal fumo che gli offrivano gli occhiali, setacciò con lo sguardo la tempesta di fuoco, in cerca di un segno di vita, di un arto o di un volto non ancora incenerito... E li scorse: Malfoy con le braccia attorno a Goyle svenuto, tutti e due appollaiati su una fragile torre di sedie carbonizzate. Si abbassò. Malfoy lo vide arrivare e alzò un braccio, ma appena lo afferrò Harry capì che era inutile: Goyle era troppo pesante e la mano di Malfoy, madida di sudore, gli scivolò subito dalla presa...

«SE MORIAMO PER LORO, TI UCCIDO, HARRY!» ruggì la voce di Ron, e proprio quando un'enorme Chimera ardente stava per calare su di loro, lui e Hermione tirarono Goyle sulla loro scopa e si alzarono di nuovo beccheggiando, mentre Malfoy si arrampicava dietro Harry.

«La porta, vai alla porta, la porta!» urlò Malfoy nell'orecchio di Harry, che accelerò, seguendo Ron, Hermione e Goyle nella marea di fumo nero, senza quasi riuscire a respirare: attorno a loro gli ultimi oggetti non ancora divorati dalle fiamme venivano scagliati in aria dai mostri del fuoco maledetto, come in una specie di celebrazione: coppe e scudi, una collana sfavillante e una vecchia tiara scolorita...

« Cosa fai, cosa fai? La porta è di là! » urlò Malfoy, ma Harry fece dietrofront e scese in picchiata. Il diadema sembrava cadere al rallentatore, girando e scintillando, nelle fauci spalancate di un serpente, e poi Harry lo prese, l'aveva infilato al polso...

Harry girò di nuovo, evitando il serpente che si slanciava su di lui, e si alzò verso il punto in cui sperava che fosse la porta: Ron, Hermione e Goyle non c'erano più. Malfoy strillava e si teneva così stretto da fargli male. Poi tra il fumo vide una macchia rettangolare nel muro e sterzò: un attimo dopo i suoi polmoni si riempirono di aria pulita e i due urtarono contro la parete opposta del corridoio.

Malfoy cadde dalla scopa e rimase disteso a faccia in giù; rantolava e tossiva, scosso dai conati. Harry si rigirò e si mise a sedere: la porta della Stanza delle Necessità era sparita e Ron e Hermione erano seduti a terra, ansimanti, accanto a Goyle ancora privo di sensi.

«T-Tiger» tossicchiò Malfoy non appena riuscì a parlare. «T-Tiger...»

«È morto» rispose Ron, rauco.

Calò il silenzio, rotto solo dai respiri affannosi e dai colpi di tosse. Poi il castello fu scosso da una serie di boati e una grande cavalcata di figure trasparenti passò al galoppo, portandosi sottobraccio le teste che urlavano la loro sete di sangue. Quando la Caccia dei Senzatesta fu passata, Harry si tirò in piedi barcollando e si guardò intorno: la battaglia infuriava ancora. Udì altre grida, oltre a quelle dei fantasmi che si allontanavano. Il panico lo invase.

«Dov'è Ginny?» chiese. «Era qui. Doveva tornare nella Stanza delle Necessità».

«Cavolo, ma secondo te funziona ancora dopo quell'incendio?» chiese Ron. Anche lui si alzò, si stropicciò il petto e guardò a destra e sinistra.

«Dobbiamo dividerci e cercare...?»

«No» lo interruppe Hermione, anche lei in piedi. Malfoy e Goyle rimasero accasciati sul pavimento del corridoio; erano senza bacchetta. «Re-stiamo uniti. Io dico di andare... Harry, cos'hai appeso al braccio?»

«Cosa? Ah, già...»

Si sfilò il diadema dal polso e lo sollevò in alto. Era ancora caldo, annerito dalla fuliggine, ma guardandolo bene vide le minuscole parole incise tutto intorno: 'Un ingegno smisurato per il mago è dono grato...'

Una sostanza simile a sangue, scura e densa, colava dal diadema. All'improvviso Harry lo sentì vibrare violentemente, poi si spezzò nelle sue mani, e in quel momento gli parve di udire un debolissimo, lontano urlo di dolore, che non veniva dai terreni attorno al castello ma dalla cosa che si era appena infranta tra le sue dita.

«Doveva essere Ardemonio!» pigolò Hermione, lo sguardo fisso sui pezzi del diadema.

«Prego?»

«Ardemonio... il fuoco maledetto... è una delle sostanze che distruggono gli Horcrux, ma io non avrei mai, mai osato usarlo, è pericolosissimo. Come faceva Tiger a sapere...?»

«L'avrà imparato dai Carrow» commentò Harry, cupo.

«Peccato che quando hanno spiegato come fermarlo era distratto» borbottò Ron che, come Hermione, aveva i capelli bruciacchiati e il volto nero di fuliggine. «Se non avesse cercato di ammazzarci tutti, quasi quasi mi spiacerebbe per lui».

«Ma non capisci?» sussurrò Hermione. «Vuol dire che se riusciamo a prendere il serpente...»

Ma si interruppe perché urla e grida e l'inconfondibile fragore di un duello riempirono il corridoio. Harry si guardò intorno e si sentì mancare: i Mangiamorte erano entrati a Hogwarts. Fred e Percy stavano duellando contro due uomini mascherati e incappucciati.

Harry, Ron e Hermione corsero avanti per aiutarli: getti di luce volarono in tutte le direzioni e l'uomo che lottava contro Percy indietreggiò, in fretta: il cappuccio gli cadde dalla testa, scoprendo una fronte alta e capelli striati...

«Ah, Ministro!» urlò Percy, e scagliò una fattura contro O'Tusoe, che lasciò cadere la bacchetta e portò le mani al petto, in evidente difficoltà. «Le ho detto che do le dimissioni?»

«Hai fatto una battuta, Perce!» gridò Fred, quando il Mangiamorte con cui stava combattendo crollò colpito da tre diversi Schiantesimi. O'Tusoe era caduto a terra e minuscole spine gli spuntavano dappertutto; sembrava che si stesse trasformando in una specie di riccio di mare. Fred guardò il fratello con allegria.

«Hai davvero fatto una battuta, Perce... l'ultima che ti avevo sentito fare era...»

L'aria esplose. Erano tutti vicini: Harry, Ron, Hermione, Fred e Percy, i due Mangiamorte ai loro piedi, uno Schiantato, l'altro Trasfigurato; e in quella frazione di secondo, quando il pericolo pareva temporaneamente lontano, il mondo andò in pezzi. Harry si sentì volare e non poté far altro che tenersi stretto con tutte le forze a quel sottile bastoncino di legno che era la sua sola e unica arma, e ripararsi la testa con le braccia: udì le urla dei suoi compagni senza sapere che cosa stava succedendo... Poi il mondo divenne dolore e penombra: Harry era semisepolto nel crollo di un corridoio colpito da un tremendo attacco. Capì dal vento freddo che il fianco del castello era esploso e un calore appiccicoso sulla guancia gli disse che stava sanguinando copiosamente. Poi sentì un grido lancinante che gli strappò le viscere, l'espressione di un dolore che né le fiamme né le maledizioni potevano provocare, e si alzò, incerto, più spaventato di quanto non fosse ancora stato quel giorno, più spaventato, forse, che in tutta la sua vita... Hermione cercava di rimettersi in piedi in mezzo a quella devastazione e tre uomini con i capelli rossi erano a terra, vicini, nel punto in cui la parete era esplosa. Harry afferrò la mano di Hermione e avanzarono barcollando sopra cumuli di legno e pietra.

«No... no... no!» urlò qualcuno. «No! Fred! No!»

Percy scuoteva il fratello, Ron era inginocchiato accanto a loro, e gli occhi di Fred li fissavano senza vederli, lo spettro dell'ultima risata ancora impresso sul volto.

CAPITOLO 32

LA BACCHETTA DI SAMBUCO

Il mondo era finito, e allora perché la battaglia non era cessata, il castello non era ammutolito per l'orrore e tutti i combattenti non avevano deposto le armi? La mente di Harry era in caduta libera, incontrollabile, incapace di cogliere l'impossibile, perché Fred Weasley non poteva essere morto, l'evidenza di tutti i suoi sensi doveva essere falsa... E poi un corpo cadde attraverso lo squarcio nel fianco della scuola, accompagnato da maledizioni scagliate dal buio, che finirono contro la parete dietro le loro teste.

«Giù!» urlò Harry, mentre altre fatture schizzavano nella notte: lui e Ron afferrarono Hermione e la gettarono a terra, ma Percy era disteso sul corpo di Fred, a proteggerlo, e quando Harry chiamò «Percy, su, dobbiamo muoverci!» scosse il capo.

«Percy!» Harry vide le lacrime solcare lo strato di fuliggine sul viso di Ron, che afferrò il fratello più grande per le spalle e lo strattonò; ma Percy non si mosse. «Percy, non puoi fare nulla per lui! Dobbiamo...»

Hermione urlò e Harry, voltatosi, non dovette chiedere perché. Un ragno mostruoso, grande come un'utilitaria, cercava di arrampicarsi attraverso il grosso foro nella parete: uno dei discendenti di Aragog era sceso in campo. Ron e Harry gridarono all'unisono; i loro incantesimi colpirono insieme e il mostro fu scaraventato all'indietro, sparendo nella notte con le zampe che si contorcevano orrendamente.

«Ha portato degli amici!» gridò Harry, guardando dallo squarcio nella parete: altri ragni giganti si arrampicavano, liberati dalla Foresta Proibita nella quale erano evidentemente penetrati i Mangiamorte. Harry scagliò

Schiantesimi contro di loro e abbatté il primo della fila, che cadde sui suoi compagni, trascinandoseli dietro. Altre maledizioni volarono sopra la testa di Harry, così vicine che ne sentì la forza spostargli i capelli.

«Andiamo, ORA!»

Harry spinse Hermione davanti a sé con Ron, poi si chinò e prese il corpo di Fred sotto le ascelle. Percy capì le sue intenzioni: si alzò dal cadavere del fratello e lo aiutò. Insieme, curvi per evitare le maledizioni che arrivavano dal parco, trascinarono Fred fuori dalla linea del fuoco.

«Qui» disse Harry, e lo deposero in una nicchia lasciata vuota da un'armatura. Non sopportava di guardare Fred un attimo più del necessario; dopo essersi assicurato che il corpo fosse ben nascosto si lanciò dietro a Ron e Hermione. Malfoy e Goyle erano spariti, ma in fondo al corridoio ricoperto di polvere e di pietre, con i vetri delle finestre polverizzati, vide molte figure correre avanti e indietro: difficile dire se fossero amici o nemici. Voltato l'angolo, Percy lanciò un urlo belluino: «ROOKWOOD!» e si gettò dietro a un uomo alto che inseguiva due studenti.

«Harry, di qui!» urlò Hermione.

Aveva spinto Ron dietro un arazzo. Sembrava che lottassero e per un folle istante Harry pensò che si stessero baciando di nuovo; poi vide che Hermione stava trattenendo Ron, per impedirgli di seguire Percy.

«Ascoltami... ASCOLTA, RON! »

«Voglio aiutarlo... voglio uccidere i Mangiamorte...»

Era stravolto, sporco di polvere e fumo, e tremava di rabbia e dolore.

«Ron, solo noi possiamo far finire tutto questo! Ti prego... Ron... ci serve il serpente, dobbiamo uccidere il serpente!» lo implorava Hermione. Ma Harry lo capiva: cercare un altro Horcrux non poteva dare la soddisfazione della vendetta; anche lui voleva lottare, punire chi aveva ucciso Fred, voleva trovare gli altri Weasley, e soprattutto assicurarsi, essere del tutto sicuro che Ginny non fosse... non poteva nemmeno permettere che l'idea prendesse forma...

«Combatteremo!» continuò Hermione. «Dovremo combattere, per arrivare al serpente! Ma non perdiamo di vista il nostro scopo! Siamo gli unici che possono porre fine a tutto!»

Anche lei piangeva, asciugandosi le lacrime sulla manica lacera e bruciata, ma respirò profondamente per calmarsi e, senza lasciare la presa su Ron, si rivolse a Harry.

«Devi scoprire dov'è Voldemort, perché il serpente sarà con lui, no? Fallo, Harry... guardagli dentro!»

Perché era così facile? Perché la cicatrice bruciava da ore, non aspettando altro che di mostrargli i pensieri di Voldemort? All'ordine di Hermione chiuse gli occhi, e subito le urla e i colpi e tutti i suoni dissonanti della battaglia si fecero soffocati e distanti, come se lui fosse lontano, molto lontano da loro... Era in piedi, al centro di una stanza desolata ma stranamente familiare, con la tappezzeria scollata e tutte le finestre sbarrate tranne una. Il fragore dell'assalto arrivava attutito. L'unica finestra aperta mostrava lontani scoppi di luce dove sorgeva il castello, ma dentro era buio, a parte una solitaria lampada a olio.

Faceva rotolare la Bacchetta tra le dita, guardandola, il pensiero fisso alla Stanza nel castello, la Stanza segreta che lui solo aveva trovato, la Stanza che, come la Camera, bisognava essere abili, astuti e molto curiosi per scoprire... il ragazzo non avrebbe trovato il diadema... anche se il burattino di Silente era andato molto più in là di quanto lui si fosse mai aspettato... troppo in là...

«Mio Signore» gemette una voce rotta e disperata. Si voltò: Lucius Malfoy era seduto nell'angolo più buio. Era lacero e portava ancora i segni della punizione ricevuta per l'ultima fuga del ragazzo. Aveva un occhio chiuso e gonfio. «Mio Signore... vi prego... mio figlio...»

«Se tuo figlio è morto, Lucius, non è colpa mia. Non è venuto da me come gli altri Serpeverde. Forse ha deciso di diventare amico di Harry Pot-ter?»

«No... mai» sussurrò Malfoy.

«Devi solo sperarlo».

«Non... non temete, mio Signore, che Potter possa morire per mano di altri?» chiese Malfoy con voce tremante. «Non sarebbe... perdonatemi... più prudente per voi sospendere la battaglia, entrare nel castello e cercarlo per-personalmente?»

«Non fingere, Lucius. Tu desideri che la battaglia abbia fine solo per poter scoprire che cos'è successo a tuo figlio. Non ho bisogno di andare a cercare Potter. Prima che la notte sia finita, Potter verrà da me». Voldemort abbassò di nuovo lo sguardo sulla Bacchetta. Lo turbava... e le cose che turbavano Lord Voldemort andavano sistemate...

«Vammi a prendere Piton» .

«Piton, m-mio Signore?»

«Piton. Ora. Ho bisogno di lui. Devo chiedergli un... servizio. Vai». Spaventato, inciampando nella penombra, Lucius uscì dalla stanza. Voldemort rimase a rigirarsi la Bacchetta tra le dita, osservandola.

«Non c'è altro modo, Nagini» mormorò, e alzò lo sguardo: l'enorme serpente era sospeso in aria e si muoveva sinuoso dentro lo spazio incantato e protetto creato da Voldemort, una sfera luminosa, trasparente, a metà tra una gabbia scintillante e un terrario.

Con un sussulto Harry uscì dalla visione e aprì gli occhi; immediatamente le sue orecchie furono aggredite dalle urla e dagli strilli, dai colpi e dalle esplosioni della battaglia.

«È nella Stamberga Strillante. Il serpente è con lui, è avvolto da una specie di protezione magica. Ha appena mandato Lucius Malfoy a prendere Piton».

«Voldemort è nella Stamberga Strillante?» chiese Hermione, sdegnata.

«Non... non sta neanche combattendo

«Non pensa di dover combattere» spiegò Harry. «Crede che sarò io ad andare da lui».

«Ma perché?»

«Sa che cerco gli Horcrux e ha Nagini accanto a sé: è chiaro che devo andare da lui se voglio avvicinarmi a quella bestia...»

«Bene» fece Ron, raddrizzando le spalle. «Quindi non puoi andare, perché è quello che vuole, quello che si aspetta. Tu resti qui a proteggere Hermione e io vado a uccidere...»

Harry lo interruppe.

«Voi due state qui, vado io, col Mantello, e torno appena...»

«No» intervenne Hermione, «è molto più sensato se prendo io il Mantello e...»

«Non pensarci neanche» sibilò Ron.

«Ron, sono in grado quanto te...» ma Hermione non concluse la frase, perché l'arazzo in cima alla scala fu lacerato.

«POTTER!»

Comparvero due Mangiamorte mascherati, ma ancora prima che alzassero le bacchette, Hermione gridò: « Glisseo! »

I gradini sotto i loro piedi si appiattirono a formare uno scivolo e lei, Ron e Harry volarono giù, senza poter controllare la velocità, ma così rapidi che gli Schiantesimi dei Mangiamorte passarono al di sopra delle loro teste. Attraversarono l'arazzo in fondo e rotolarono a terra, andando a urtare la parete opposta.

« Duro! » gridò Hermione, puntando la bacchetta contro l'arazzo, che si trasformò in pietra: con due sonori, spaventosi tonfi i Mangiamorte si accasciarono dall'altra parte.

«Indietro!» urlò Ron, e lui, Harry e Hermione si schiacciarono contro una porta al passaggio di una mandria di banchi di scuola al galoppo, guidata dalla professoressa McGranitt. Non li vide nemmeno: aveva i capelli sciolti e un taglio alla guancia. Voltò l'angolo gridando: «CARICA!»

«Harry, mettiti il Mantello» disse Hermione. «Non pensare a noi...»

Ma lui lo gettò addosso a tutti e tre; per quanto grandi fossero, dubitava che qualcuno avrebbe notato i loro piedi tra la polvere che appesantiva l'aria, le pietre che cadevano, il bagliore degli incantesimi. Scesero di corsa un'altra scala e finirono in un corridoio affollato di duellanti. I ritratti ai due lati erano stipati di figure che urlavano consigli e incoraggiamenti, mentre i Mangiamorte, mascherati e no, lottavano contro studenti e insegnanti. Dean si era procurato una bacchetta, perché era alle prese con Dolohov, mentre Calì fronteggiava Travers. Harry, Ron e Hermione alzarono subito le bacchette, pronti ad aiutarli, ma i duelli erano così rapidi che rischiavano di colpire un amico. Rimasero all'erta, aspettando l'occasione per intervenire, quando sentirono un altissimo wiiiiiiiiiii! Harry alzò lo sguardo e vide Pix sfrecciare in alto scagliando baccelli di Pugnacio: i Mangiamorte si ritrovarono con la testa in un groviglio di tuberi verdi che si contorcevano come grassi vermi.

«Argh!»

Una manciata di tuberi atterrò sul Mantello sopra la testa di Ron; le vi-scide radici rimasero assurdamente sospese a mezz'aria, mentre Ron cercava di scrollarsele di dosso.

«Là c'è qualcuno di invisibile!» urlò un Mangiamorte mascherato. Dean approfittò di quell'attimo di distrazione per Schiantarlo; Dolohov cercò di reagire e Calì lo bloccò con un Incantesimo Petrificus.

«VIA!» urlò Harry: si strinsero il Mantello addosso e sfrecciarono a testa bassa nella mischia, scivolando nelle pozze di succo di Pugnacio, diretti al ballatoio della scalinata di marmo che scendeva nella Sala d'Ingresso.

«Sono Draco Malfoy, Draco, sono uno dei vostri!»

Draco era sul pianerottolo e stava supplicando un altro Mangiamorte mascherato. Passando, Harry Schiantò il Mangiamorte: Malfoy si voltò

con un sorriso verso il suo salvatore e Ron gli sferrò un pugno da sotto il Mantello. Malfoy cadde all'indietro sopra il Mangiamorte, la bocca sanguinante, stupefatto.

«È la seconda volta che ti salviamo la vita stanotte, bastardo doppiogiochista!» urlò Ron. C'erano altri duelli lungo le scale e nell'ingresso, e Mangiamorte ovunque: Yaxley, vicino al portone, contro Vitious, e lì accanto uno mascherato contro Kingsley. Gli studenti correvano ovunque; alcuni sorreggevano o trascinavano gli amici feriti. Harry scagliò uno Schiantesimo contro il Mangiamorte mascherato, lo mancò e rischiò di colpire Neville, emerso dal nulla con una bracciata di Tentacula Velenosa, che si abbarbicò allegramente al Mangiamorte più vicino e cominciò ad avvilupparlo. Harry, Ron e Hermione si lanciarono giù per la scalinata di marmo: udirono un rumore di vetro rotto alla loro sinistra e la clessidra di Serpeverde, che registrava i punti della Casa, riversò ovunque i suoi smeraldi, facendo scivolare chi vi correva sopra. Due corpi caddero dalla balconata e una macchia grigia che Harry prese per un animale attraversò l'ingresso a quattro zampe per affondare i denti in uno dei caduti.

«No!» strillò Hermione, e con un fragoroso colpo di bacchetta spedì

Fenrir Greyback lontano dal corpo di Lavanda Brown, che si muoveva appena. Lui urtò contro la balaustra di marmo e cercò di rimettersi in piedi. Poi, con un abbacinante lampo bianco e uno schianto, una sfera di cristallo gli cadde sulla testa, abbattendolo al suolo, immobile.

«Ne ho ancora!» urlò la professoressa Cooman da sopra la balaustra.

«Chi ne vuole? Ecco...»

Con un movimento simile a un servizio di tennis prese un'altra enorme sfera di cristallo dalla borsa e, agitando la bacchetta, la spedì dall'altra par-te dell'ingresso, a infrangere una finestra. In quell'istante, il pesante portone di legno si spalancò ed entrarono altri ragni giganti. Urla di orrore lacerarono l'aria; i duellanti si dispersero, i Mangiamorte come gli Hogwartiani, e schizzi di luce rossa e verde volarono in mezzo ai mostri, che tremarono e s'impennarono, più terrificanti che mai.

«Come facciamo a uscire?» urlò Ron sopra le grida, ma prima che Harry o Hermione potessero rispondere furono scaraventati di lato: Hagrid stava scendendo le scale a passi pesanti, brandendo il suo ombrello rosa a fiori.

«Non fateci del male, non fateci del male, poverini!» tuonava.

«HAGRID, NO!»

Harry dimenticò ogni cosa: scattò fuori dal Mantello e corse piegato in due per evitare le maledizioni che illuminavano l'intera Sala.

«HAGRID, TORNA INDIETRO!»

Non era neanche a metà strada quando vide Hagrid sparire tra i ragni, che in un fragoroso zampettio e un disgustoso brulichio si ritirarono sotto l'assalto degli incantesimi. Hagrid era sepolto tra loro.

«HAGRID!»

Harry udì qualcuno gridare il suo nome, che fosse amico o nemico non gli interessava: sfrecciò giù per i gradini nel parco buio, dove i ragni sciamavano via con la loro preda. Di Hagrid non si vedeva più traccia.

«HAGRID!»

Gli parve di distinguere un enorme braccio agitarsi nel groviglio di ragni, ma quando stava per lanciarsi all'inseguimento fu ostacolato da un piede monumentale, che gli calò davanti dal buio, facendo tremare il suolo. Guardò in su: un gigante torreggiava su di lui, alto sette metri, la testa nascosta nelle tenebre. La luce che veniva dal portone del castello riusciva a illuminare solo gli stinchi pelosi, grossi come alberi. Con un solo brutale, fluido movimento, infilò un enorme pugno in una finestra dei piani alti e il vetro piovve su Harry, costringendolo a cercare riparo dentro la soglia.

«Oh, no...!» strillò Hermione, raggiungendo Harry con Ron e guardando il gigante che cercava di abbrancare la gente attraverso la finestra.

«No!» fece Ron, afferrando la mano di Hermione che stava alzando la bacchetta. «Se lo Schianti farà crollare mezzo castello...»

«HAGGER!»

Dall'angolo del castello spuntò Grop; Harry si rese conto solo adesso che in effetti era un gigante di taglia ridotta. Il mostro gargantuesco che cercava di schiacciare la gente ai piani di sopra voltò la testa e ruggì. Avanzò a passi pesanti verso il suo simile più piccolo, facendo vibrare i gradini di pietra. Grop spalancò la bocca storta, mettendo in mostra denti gialli e grandi come mezzi mattoni, poi si scagliarono l'uno contro l'altro con la ferocia di due leoni.

«VIA!» urlò Harry; la notte si riempì delle urla tremende e dei colpi dei giganti che combattevano. Harry afferrò la mano di Hermione e si precipitò giù per gli scalini, con Ron alle calcagna. Non aveva perso la speranza di trovare Hagrid e salvarlo; corsero così veloci che erano già a metà strada verso la Foresta quando si bloccarono di nuovo.

L'aria attorno a loro era immobile: il respiro di Harry si fermò, come solidificato nel petto. Nell'ombra si muovevano forme, figure mulinanti di un nero fittissimo, che avanzavano come una vasta ondata verso il castello, i volti incappucciati, il respiro ansimante...

Ron e Hermione si strinsero contro Harry, mentre il fragore della battaglia alle loro spalle si attutiva all'improvviso, si spegneva, perché un silenzio che solo i Dissennatori potevano portare cadeva denso nella notte...

«Dai, Harry!» mormorò la voce di Hermione, molto lontana. «I Patroni, Harry!»

Alzò la bacchetta, ma una sorda disperazione si era impadronita di lui: Fred non c'era più, Hagrid stava morendo, o forse era già morto; chissà

quanti altri erano caduti che ancora lui non sapeva; era come se l'anima avesse già abbandonato il suo corpo...

«HARRY, MUOVITI!» urlò Hermione.

Un centinaio di Dissennatori planavano verso di loro, attirati dalla disperazione di Harry, che era come la promessa di un banchetto... Vide il terrier argenteo di Ron comparire nell'aria, baluginare e spegnersi; poi la lontra di Hermione contorcersi e svanire. La bacchetta gli tremava in mano, e accolse quasi con gioia l'oblio imminente, la promessa del nulla, dell'assenza di sensazioni...

Una lepre d'argento, un cinghiale e una volpe passarono a mezz'aria e li superarono: davanti alle tre creature i Dissennatori indietreggiarono. Tre persone sbucarono dall'oscurità, con le bacchette tese, tenendo saldi i propri Patroni: Luna, Ernie e Seamus.

«Forza» lo incoraggiò Luna, come se fosse ancora nella Stanza delle Necessità e quello fosse solo un allenamento dell'Esercito di Silente. «Forza, Harry... pensa a qualcosa di allegro...»

«Qualcosa di allegro?» ripeté lui, la voce spezzata.

«Siamo ancora qui» sussurrò lei, «stiamo ancora combattendo. Su, dai...»

Una scintilla d'argento, una luce guizzante e poi, con lo sforzo più grande che gli fosse mai costato, il cervo sbucò dalla punta della sua bacchetta. Trottò in avanti, i Dissennatori si dispersero rapidi e subito la notte tornò

mite, ma il frastuono della battaglia riprese a echeggiare nelle sue orecchie.

«Grazie, grazie infinite» balbettò Ron con voce malferma, «ci avete salvato...»

Con un ruggito e un tremito da terremoto, un altro gigante arrivò barcollando dalla Foresta: brandiva una mazza più alta di chiunque di loro.

«ATTENTI!» urlò Harry, ma non ce n'era bisogno: corsero tutti via, e appena in tempo, perché l'enorme piede della creatura si abbatté esattamente nel punto in cui si trovavano un attimo prima. Harry si guardò intorno: Ron e Hermione erano ancora con lui, ma gli altri tre erano spariti di nuovo nella battaglia.

«Scappiamo!» gridò Ron. Il gigante roteava la mazza e i suoi muggiti echeggiavano per tutto il parco, dove lampi di luce rossa e verde continuavano a squarciare l'oscurità.

«Al Platano Picchiatore» disse Harry. «Andiamo».

In qualche modo chiuse tutto quanto nella mente, lo stipò in un piccolo spazio dentro il quale al momento non poteva guardare: il pensiero di Fred e Hagrid, il suo terrore per le persone che amava, dentro e fuori il castello, avrebbero aspettato, perché loro adesso dovevano correre, dovevano raggiungere il serpente e Voldemort; come aveva detto Hermione, era l'unica maniera per farla finita...

Scattò, pensando quasi che così sarebbe riuscito a distanziare la morte stessa, ignorando i fiotti di luce che volavano nel buio, il rumore del lago che ruggiva come il mare, e il fruscio della Foresta Proibita anche se la notte era senza vento; attraverso una terra che sembrava anch'essa ribellarsi, corse più veloce di quanto avesse mai fatto in vita sua, e fu lui ad avvistare per primo l'enorme albero, il Platano che proteggeva il segreto sotto le proprie radici con i rami pronti a schioccare come fruste. Ansimante, Harry rallentò, tenendosi a distanza dai rami violenti del Platano, scrutando nel buio il suo grosso tronco, cercando di individuare l'unico nodo nella corteccia che avrebbe immobilizzato il vecchio albero. Ron e Hermione lo raggiunsero; lei era così sfinita che non riusciva a parlare.

«Come... come facciamo a entrare?» chiese Ron con il respiro affannoso. «Vedo... il punto... se solo avessimo... Grattastinchi...»

«Grattastinchi?» sibilò Hermione, piegata in due, con le mani al petto.

« Sei un mago o cosa? »

«Ah... già... è vero...»

Ron si guardò in giro, poi puntò la bacchetta verso un bastoncino per terra e disse: « Wingardium Leviosa! » Il rametto volò in alto, roteò nell'aria come se fosse stato colpito da una raffica di vento, poi schizzò contro il tronco attraverso i minacciosi rami rotanti del Platano. Colpì un punto vicino alle radici e subito l'albero cessò di contorcersi.

«Perfetto!» ansimò Hermione.

«Aspettate».

Per un attimo, nel rumore sordo della battaglia, Harry esitò. Voldemort voleva questo, voleva che lui andasse... stava portando Ron e Hermione in una trappola?

Ma poi la realtà gli piombò addosso, crudele e banale: l'unica soluzione era uccidere il serpente, il serpente era con Voldemort, e Voldemort era alla fine di quel tunnel...

«Harry, ti seguiamo, dai, entra!» lo esortò Ron, spingendolo avanti. Harry si infilò nel cunicolo di terra nascosto tra le radici dell'albero. Dovette schiacciarsi molto più dell'ultima volta. Il passaggio aveva il soffitto basso: quattro anni prima l'avevano percorso piegati in due, adesso potevano solo strisciare. Harry avanzò per primo, con la bacchetta illuminata; si aspettava di trovare ostacoli da un momento all'altro, e invece niente. Procedettero in silenzio. Lo sguardo di Harry era fisso sul raggio oscillante della bacchetta che teneva in pugno.

Infine il cunicolo cominciò a salire e Harry vide una lama di luce. Hermione gli strattonò una caviglia.

«Il Mantello!» sussurrò.

Lui tastò alle proprie spalle e lei gli infilò nella mano libera il fagotto di tessuto scivoloso. Vi si avvolse con difficoltà, mormorò « Nox» per spegnere la bacchetta e avanzò carponi, più piano che poteva, tutti i sensi all'erta, temendo a ogni secondo che passava di essere scoperto, di sentire una fredda voce chiara, di vedere un lampo di luce verde.

Poi udì delle voci dalla stanza che era proprio davanti a loro, appena soffocate perché lo sbocco del tunnel era stato bloccato da quella che sembrava una vecchia cassa. Trattenendo il respiro, Harry si avvicinò all'apertura e spiò dal piccolo spazio rimasto tra la cassa e la parete. La stanza era poco illuminata, ma vide Nagini muoversi come una biscia sott'acqua, al sicuro nella sua luminosa bolla incantata, sospesa a mezz'aria. Vide il bordo di un tavolo e una mano bianca dalle lunghe dita che giocherellava con una bacchetta. Poi Piton parlò e il cuore di Harry mancò

un colpo: era a pochi centimetri da lui.

«... mio Signore, la resistenza sta crollando...»

«... e il tuo aiuto non serve» ribatté Voldemort con la sua voce nitida e acuta. «Per quanto tu sia un abile mago, Piton, non credo che tu possa fare molta differenza, ormai. Ci siamo quasi... quasi».

«Lasciatemi cercare il ragazzo. Consentitemi di portarvi Potter. So che posso trovarlo, mio Signore. Vi prego».

Piton passò davanti alla fessura e Harry si ritrasse, lo sguardo fisso su Nagini, chiedendosi se esisteva un incantesimo in grado di penetrare la protezione che la circondava, ma non gli venne in mente nulla. Bastava fallire una volta e l'avrebbero scoperto...

Voldemort si alzò. Harry lo vide bene, gli occhi rossi, il volto piatto da serpente, il pallore che riluceva appena nella semioscurità.

«Ho un problema, Severus» mormorò Voldemort.

«Mio Signore?»

Voldemort alzò la Bacchetta di Sambuco, reggendola con delicatezza e precisione, come la bacchetta di un direttore d'orchestra.

«Perché con me non funziona, Severus?»

Nel silenzio, a Harry parve di sentire il serpente sibilare: o era il sospiro di Voldemort che indugiava nell'aria?

«Mio... mio Signore» rispose Piton, senza espressione. «Non capisco. Voi... voi avete compiuto magie straordinarie con quella bacchetta».

«No» obiettò Voldemort. «Ho compiuto le mie magie consuete. Io sono straordinario, ma questa bacchetta... no. Non ha mostrato le meraviglie che prometteva. Non avverto alcuna differenza tra questa bacchetta e quella che mi procurai da Olivander tanti anni fa».

Il tono di Voldemort era meditabondo, tranquillo, ma la cicatrice di Harry cominciò a pulsare: il dolore gli attraversò la fronte e sentì quel senso controllato di furia crescere dentro Voldemort.

«Nessuna differenza» ribadì Voldemort.

Piton non parlò. Harry non lo vedeva in volto: si chiese se percepisse il pericolo, se stesse cercando le parole giuste per rassicurare il suo padrone. Voldemort cominciò a muoversi per la stanza: Harry lo perse di vista per qualche secondo, mentre passeggiava avanti e indietro, parlando con la stessa voce misurata, e il dolore e la rabbia crescevano in lui.

«Ho riflettuto a lungo e a fondo, Severus... sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?»

Per un attimo Harry vide il profilo di Piton: i suoi occhi erano fissi sul serpente acciambellato nella gabbia incantata.

«No, mio Signore, ma vi supplico di lasciarmi tornare laggiù. Permettetemi di trovare Potter».

«Parli come Lucius. Nessuno di voi capisce Potter quanto me. Non serve cercarlo. Potter verrà da me. Conosco la sua debolezza, vedi, il suo grande difetto. Non sopporterà di vedere gli altri cadere attorno a lui, sapendo di esserne la causa. Vorrà porvi fine a ogni costo. Verrà».

«Ma, mio Signore, potrebbe venire ucciso per errore da qualcun altro...»

«Ho dato istruzioni molto precise ai miei Mangiamorte. Catturare Potter. Uccidere i suoi amici - più ne abbattono, meglio è - ma non lui.

«Ma è di te che desideravo parlare, Severus, non di Harry Potter. Mi sei stato molto prezioso. Molto prezioso».

«Il mio Signore sa che io desidero solo servirlo. Ma lasciatemi andare a cercare il ragazzo. Lasciate che ve lo porti. So che posso...»

«Ho detto di no!» esclamò Voldemort voltandosi di nuovo, e Harry scorse il luccichio rosso nei suoi occhi, e il fruscio del suo mantello fu come quello di un serpente; avvertì l'impazienza del Signore Oscuro nella cicatrice ardente. «La mia preoccupazione al momento, Severus, è che cosa accadrà quando finalmente incontrerò il ragazzo!»

«Mio Signore, non ci può essere questione...»

«... ma una questione c'è, Severus. C'è».

Voldemort si arrestò e Harry lo vide con chiarezza: faceva scivolare tra le dita la Bacchetta di Sambuco e scrutava Piton.

«Perché entrambe le bacchette che ho usato hanno fallito quando le ho puntate contro Harry Potter?»

«Io... io non sono in grado di rispondere, mio Signore».

«Non sei in grado?»

La fitta di rabbia fu come un chiodo piantato nella testa di Harry: s'infilò

il pugno in bocca per non urlare dal dolore. Chiuse gli occhi e di colpo fu Voldemort, che fissava il volto pallido di Piton.

«La mia bacchetta di tasso ha sempre fatto tutto quello che le ho chiesto, Severus, tranne uccidere Harry Potter. Due volte ha fallito. Sotto tortura, Olivander mi ha parlato dei nuclei gemelli, mi ha detto di cercarne un'altra. L'ho fatto, ma quando la bacchetta di Lucius ha incrociato quella di Potter, si è spezzata».

«Io... non so spiegarlo, mio Signore».

Piton non guardava Voldemort. I suoi occhi scuri erano ancora fissi sul serpente avvolto nella sua bolla protettiva.

«Ho cercato una terza bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L'ho presa al suo precedente proprietario. L'ho presa dalla tomba di Silente».

Questa volta Piton guardò Voldemort, e il suo viso era come una maschera mortuaria. Era bianco come il marmo e così immobile che quando parlò fu una sorpresa scoprire che c'era qualcuno di vivo dietro quegli occhi vuoti.

«Mio Signore... lasciatemi andare dal ragazzo...»

«Per tutta questa lunga notte, vicino ormai alla vittoria, sono rimasto qui» proseguì Voldemort, la voce poco più di un sussurro, «a riflettere, a chiedermi perché la Bacchetta di Sambuco si rifiuta di essere ciò che dovrebbe, di comportarsi come la leggenda dice che deve fare nelle mani del suo legittimo proprietario... e credo di avere la risposta». Piton non parlò.

«Forse la conosci già? Sei un uomo intelligente, dopotutto, Severus. Sei stato un servitore bravo e fedele, e mi dolgo di ciò che deve accadere».

«Mio Signore...»

«La Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato, Severus, perché non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario. Tu hai ucciso Albus Silente. Finché tu vivi, Severus, la Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia».

«Mio Signore!» protestò Piton, alzando la bacchetta.

«Non può essere altrimenti» concluse Voldemort. «Devo dominare la Bacchetta, Severus. Se domino la Bacchetta, finalmente dominerò Potter». Sferzò l'aria con la Bacchetta di Sambuco. Non accadde nulla a Piton, che per un attimo parve pensare di essere stato risparmiato; ma poi le intenzioni di Voldemort divennero chiare. La sfera del serpente rotolò nell'aria, e prima che Piton potesse far altro che urlare, gli aveva racchiuso testa e spalle, e Voldemort parlò in Serpentese.

« Uccidi».

Si levò un grido terribile. Harry vide il volto di Piton perdere quel poco colore che aveva e gli occhi neri dilatarsi. Le zanne del serpente gli perforavano il collo e lui non riusciva a liberarsi dalla gabbia incantata; le ginocchia gli cedettero e cadde a terra.

«Mi spiace» commentò Voldemort, gelido.

Si voltò; non c'era tristezza in lui, nessun rimorso. Era tempo di lasciare quella stamberga e prendere in mano la situazione, con una bacchetta che ora avrebbe eseguito ogni suo ordine. La puntò verso la gabbia luminosa che teneva il serpente, facendola fluttuare in alto, via da Piton, che cadde disteso su un fianco, con il sangue che gli sgorgava dal collo. Voldemort uscì dalla stanza senza guardarsi indietro e l'enorme serpente lo seguì galleggiando nella sua sfera protettiva. Nel tunnel, tornato in sé, Harry aprì gli occhi: si era morso a sangue le nocche per non urlare. Guardò dalla fessura tra la cassa e la parete e vide un piede avvolto in uno stivale nero tremare sul pavimento.

«Harry!» bisbigliò Hermione, ma lui aveva già puntato la bacchetta contro la cassa che gli bloccava la vista. La cassa si sollevò di un centimetro e si spostò silenziosamente di lato. Più piano che poté, Harry entrò nella stanza.

Non sapeva perché lo faceva, perché si stava avvicinando a Piton morente: non sapeva che cosa provava quando guardò il suo volto bianco e le dita che cercavano di tamponare la ferita insanguinata nel collo. Harry si tolse il Mantello dell'Invisibilità e guardò l'uomo che odiava: gli occhi neri dilatati si posarono su di lui e Piton cercò di parlare. Harry si chinò. Piton lo afferrò per il bavero e lo tirò a sé.

Un terribile gorgoglio, un rantolo uscì dalla sua gola.

«Prendi... Prendi...»

Qualcosa di diverso dal sangue colava da Piton. Era azzurro-argento, né

liquido né gassoso, e usciva dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi; Harry capì che cos'era, ma non sapeva che fare...

Hermione gli ficcò tra le mani una fiala, apparsa dal nulla. Con la bacchetta, Harry vi spinse dentro la sostanza argentea. Quando la fiala fu piena fino all'orlo, e in Piton sembrava che non ci fosse più sangue, la sua presa sui vestiti di Harry si allentò.

«Guar...da...mi» sussurrò.

Gli occhi verdi incontrarono i neri, ma dopo un attimo qualcosa nel profondo di questi ultimi svanì, lasciandoli fissi e vuoti. La mano che stringeva Harry crollò a terra e Piton non si mosse più.

CAPITOLO 33

LA STORIA DEL PRINCIPE

Harry rimase inginocchiato accanto a Piton, a guardarlo, quando all'improvviso una voce fredda e acuta parlò così vicino da farlo balzare in piedi, la fiala stretta in mano, convinto che Voldemort fosse tornato nella stanza. La sua voce riverberava dalle pareti e dal pavimento, e Harry capì che stava parlando a tutta Hogwarts e dintorni, che gli abitanti di Hogsmeade e coloro che ancora combattevano dentro il castello l'avrebbero sentita chiaramente come se fosse stato accanto a loro, il suo respiro sul collo, mortalmente vicino.

«Avete combattuto valorosamente» diceva la voce acuta e fredda. «Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio.

«Ma avete subito pesanti perdite. Se continuerete a resistermi, morirete tutti, uno per uno. Io non desidero che ciò accada. Ogni goccia di sangue magico versata è una perdita e uno spreco.

«Lord Voldemort è misericordioso. Ordino alle mie forze di ritirarsi, immediatamente.

«Avete un'ora. Disponete dei vostri morti con dignità. Curate i vostri feriti.

«Ora, Harry Potter, mi rivolgo direttamente a te. Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affrontarmi di persona. Io ti aspetterò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Potter, e ti troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un'ora».

Ron e Hermione scossero il capo freneticamente, guardando Harry.

«Non ascoltarlo» disse Ron.

«Andrà tutto bene» soggiunse Hermione, agitata. «Adesso... adesso torniamo al castello, se è andato nella Foresta dovremo pensare a un altro piano...»

Rivolse uno sguardo al corpo di Piton, poi corse verso l'entrata del cunicolo. Ron la seguì. Harry raccolse il Mantello dell'Invisibilità, poi guardò

Piton. Non sapeva che cosa provare, se non orrore per il modo in cui era stato ucciso e per il motivo...

Tornarono indietro strisciando lungo il tunnel, senza parlare. Chissà se Ron e Hermione sentivano ancora Voldemort risuonare nella testa come lo sentiva lui.

Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affron- tarmi di persona. Io ti aspetterò nella Foresta Proibita... un'ora... Piccoli fagotti erano sparsi sul prato davanti al castello. Doveva mancare poco più di un'ora all'alba, ma era ancora buio pesto. I tre amici corsero verso i gradini di pietra. Uno zoccolo solitario, grande come una barca a remi, giaceva abbandonato davanti a loro. Non c'erano altre tracce di Grop o del suo aggressore.

Il castello era immerso in un silenzio innaturale. Niente lampi, esplosioni, urla o strilli. Le lastre di pietra della Sala d'Ingresso erano macchiate di sangue. Gli smeraldi erano ancora sparpagliati ovunque insieme a pezzi di marmo e schegge di legno. Parte della balconata era stata spazzata via.

«Dove sono tutti?» sussurrò Hermione.

Ron fece strada verso la Sala Grande. Harry si fermò sulla soglia. I tavoli delle Case erano spariti e la Sala era affollata. I sopravvissuti erano a gruppetti e si abbracciavano. Madama Chips e un gruppo di volontari curavano i feriti sulla pedana in fondo. Tra questi c'era Fiorenzo; perdeva sangue dal fianco e tremava, disteso a terra, incapace di alzarsi. I morti erano disposti in fila al centro della Sala. Harry non vedeva il corpo di Fred, perché era circondato dalla sua famiglia. George era inginocchiato vicino alla testa; la signora Weasley era accasciata sul petto del figlio, scossa dai singhiozzi. Il signor Weasley le accarezzava i capelli e aveva le guance inondate di lacrime.

Senza dire una parola, Hermione andò da Ginny, che aveva il volto gonfio e arrossato, per abbracciarla; Ron raggiunse Bill, Fleur e Percy, che gli gettò un braccio attorno alle spalle. Ginny e Hermione si avvicinarono al resto della famiglia e Harry vide i corpi distesi accanto a quello di Fred: Remus e Tonks, pallidi e immobili, sembravano tranquilli, addormentati sotto il buio soffitto incantato.