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Apro la porta aspettandomi di essere travolta dalla vista del bellissimo ragazzo con cui uscirò la vigilia di Natale. Invece Caleb indossa un maglione troppo stretto con il faccione della renna Rudolph sul davanti, abbinato a una camicia color ciclamino e a dei pantaloni di tela. Mi copro la bocca con la mano e scuoto la testa.

«Be’, che c’è?» dice lui allargando le braccia.

«Dimmi che non te lo sei fatto prestare dalla madre di Heather!»

«Esatto! È proprio quello che ho fatto. Era uno dei pochi che aveva ancora le maniche.»

«Okay, apprezzo il tuo umorismo, ma credo che non riuscirò a concentrarmi sulla cerimonia con te conciato così.» Caleb contempla perplesso il suo pullover. «Evidentemente non hai idea del perché la mamma di Heather colleziona questa roba.»

Lui sospira e con riluttanza fa per togliersi il maglione, ma rimane incastrato all’altezza delle orecchie e io devo tirare con forza per sfilarglielo completamente dalla testa. Ora sì che somiglia all’affascinante accompagnatore che immaginavo. È una frizzante serata invernale. Molte delle villette davanti alle quali passiamo tengono accese le luci natalizie fino a tardi. Alcune hanno i tetti che sembrano bordati di ghiaccioli scintillanti, e capita perfino di vedere delle renne bianche luminose che pascolano nel prato. Le mie preferite sono le case che rilucono di mille colori.

«Sei bellissima» dice Caleb. Si avvicina la mia mano alla bocca e mi sfiora ogni dito con le labbra.

«Grazie. Anche tu.»

«Vedi? Stai migliorando nell’accettare i complimenti» osserva.

Lo guardo e sorrido. Sulla sua guancia si riflettono le luci bianche e azzurre della casa più vicina.

«Dimmi di stasera. Immagino che ci sarà molta gente.»

«Ci sono due funzioni la vigilia di Natale. La prima è per le famiglie, con una processione e un sacco di bambini di quattro anni vestiti da angioletti. È caotica, chiassosa e praticamente perfetta. La messa di mezzanotte, quella cui parteciperemo noi, è più solenne. È un po’ come il grande discorso di Linus in Un Natale da Charlie Brown

«Mi piace Linus.»

«Bene, perché altrimenti questa serata potrebbe concludersi qui.»

Proseguiamo a piedi mano nella mano, in silenzio, lungo le vie leggermente tortuose. Quando arriviamo alla chiesa, il parcheggio è già al completo. Molte automobili sono allineate sul ciglio della strada e altre persone affluiscono dalle vie laterali.

Davanti alla porta a vetri della chiesa, prima di entrare, Caleb mi trattiene e guardandomi intensamente negli occhi mi sussurra: «Vorrei tanto che tu non dovessi partire».

Gli stringo la mano, ma non so cosa dire. Poi apre la porta e mi fa entrare per prima. L’unica fonte di luce sono le candele che tremolano in cima agli alti bastoni di legno montati accanto a ogni banco. Spesse travi di legno si alzano lungo i muri di entrambi i lati della chiesa, oltre le alte vetrate istoriate di rosso, giallo e blu, per poi convergere al centro della volta ogivale, dando l’effetto di una grande nave rovesciata. Nella parte anteriore della chiesa, l’altare è bordato da una fila di stelle di Natale rosse. Gli stalli del coro sono già occupati dai coristi vestiti di bianco. Sopra di loro, davanti alle canne d’organo in ottone, è appesa una grande corona di agrifoglio. La maggior parte dei banchi è ormai stipata di fedeli, e noi ci sistemiamo verso il fondo. Una donna anziana si avvicina dalla navata laterale e consegna a ciascuno di noi una candela bianca spenta e un disco di cartoncino festonato, grande più o meno come il mio palmo e con un piccolo foro al centro. Osservo Caleb mentre infila la punta della candela nel foro e poi fa scivolare il cartoncino poco oltre la metà.

«Queste sono per dopo» mi spiega. «Il cartoncino serve per trattenere le gocce di cera.»

Ripeto la sua stessa operazione e mi appoggio la candela in grembo. «Verranno anche tua madre e tua sorella?»

Caleb mi indica il coro con un cenno del capo. Madre e figlia sono già sul gradone centrale e ci guardano sorridendo. La donna ha l’aria così felice accanto a sua figlia. Io e Caleb le salutiamo contemporaneamente. Abby accenna a risponderci, ma la madre le scosta la mano perché nel frattempo è arrivato il direttore del coro, che ora è proprio davanti a loro.

«Abby ha sempre avuto un talento naturale per il canto» mi spiega Caleb. «Ha provato con il gruppo soltanto un paio di volte, ma mia madre dice che si è inserita alla grande.»

L’inno di apertura è Hark! The Herald Angels Sing. Dopo un paio di altri canti natalizi, il pastore fa un’omelia sincera e sentita sulla storia del Natale e su ciò che questa notte significa secondo lui. La bellezza e la gratitudine che esprimono le sue parole mi toccano profondamente. Mi aggrappo al braccio di Caleb, e lui mi guarda con una tenerezza infinita. Poi, quando il coro inizia a cantare We Three Kings, si china e mi sussurra all’orecchio: «Vieni fuori con me». Prendo la candela che ho in grembo e lo seguo all’esterno. Le porte si chiudono alle nostre spalle e ci ritroviamo all’aria aperta, nella sera fredda.

«Che cosa vuoi fare?» chiedo.

Caleb si protende verso di me e mi bacia dolcemente. Io gli sfioro le guance fredde, che fanno sembrare le sue labbra ancora più calde. Mi domando se ogni bacio con lui sarà sempre così nuovo e magico.

Gira la testa di lato, in ascolto. «Senti? Sta per iniziare.»

Ci spostiamo sul fianco della chiesa. I muri e il campanile incombono su di noi. Le strette vetrate sono scure ora, ma io so che sono un tripudio di colori.

«Cosa sta per iniziare?»

«Dentro è buio perché i sacrestani hanno fatto il giro per spegnere le candele» spiega. «Ma ascolta.»

Chiude gli occhi, e io faccio altrettanto. È un suono lieve all’inizio, ma lo sento. Non è solo il coro a cantare, ma l’intera congregazione di fedeli.

Silent night... Holy night.

«In questo momento ci sono due persone davanti all’altare con le candele accese. Soltanto due. Tutti gli altri hanno le stesse che abbiamo noi.» Mi porge la mia candela. La tengo alla base, lasciando il cartoncino rotondo sopra le mie dita chiuse. «Queste due persone partono dalla navata centrale e si dirigono l’una verso sinistra e l’altra verso destra.»

Holy infant, so tender and mild.

Caleb tira fuori una scatola di cerini dalla tasca della giacca, ne stacca uno e lo sfrega sulla sottile striscia di carta abrasiva. Con la fiammella accende lo stoppino della candela e poi scuote il cerino per spegnerlo. «I fedeli seduti nei primi due banchi, quelli più vicini alla navata centrale, accostano le loro candele a quelle già accese. Poi usano la propria fiamma per accendere la candela della persona seduta a fianco.»

Glories stream from heaven afar.

Caleb avvicina la sua candela alla mia e io la inclino leggermente verso la fiamma finché lo stoppino non comincia a bruciare.

«Si continua così, di candela in candela. E si procede retrocedendo una fila dopo l’altra. La luce si propaga da una persona all’altra... lentamente... creando un senso di attesa. L’attesa che quella luce arrivi fino a te.» Osservo la mia fiammella.

With the dawn of redeeming grace.

«La luce passa da un fedele all’altro finché tutta la chiesa brilla del suo riverbero.»

Jesus, Lord, at thy birth.

«Guarda in alto» mi invita dolcemente Caleb. Alzo lo sguardo verso le vetrate istoriate. Ora c’è un caldo barlume che proviene dall’interno. Il vetro riflette lampi di rosso, di giallo, di azzurro. Il canto continua a risuonare e io trattengo il respiro.

Silent night... Holy night.

La strofa viene ripetuta interamente ancora una volta finché, in chiesa e qui fuori, scende un silenzio totale. Con un soffio lieve, Caleb spegne la sua candela. Anch’io spengo la mia.

«Sono felice di essere venuta qui con te» gli dico.

Lui mi attira a sé e mi bacia dolcemente, tenendo le labbra premute contro le mie a lungo. Ancora stretti l’uno all’altro, gli chiedo: «Ma perché sei voluto uscire?».

«Negli ultimi anni non mi sono mai sentito così calmo come quando accendevo la mia candela la vigilia di Natale. Solo per un istante, tutto era perfetto.» Mi stringe a sé, il mento sulla mia spalla, e mi sussurra all’orecchio: «Quest’anno desideravo vivere questo momento da solo con te».

«Grazie» mormoro. «È stato perfetto.»