7
Quasi tutti i giorni feriali Heather passa a farmi un saluto durante il tragitto di ritorno da scuola. Qualche volta si trattiene con me alla cassa e mi aiuta quando arrivano dei clienti con i figli piccoli. Mentre io servo le mamme o i papà, lei distrae i bambini.
«Ieri sera ho chiesto a Devon cosa voleva per Natale» mi dice davanti al distributore di bevande. Sta tuffando dei minimarshmallow nella cioccolata calda, uno dopo l’altro.
«E lui che cosa ha detto?»
«Aspetta, sto contando.» Dopo aver intinto il suo diciottesimo marshmallow, beve un sorso di cioccolata. «Ha alzato le spalle. Quello è stato il massimo della conversazione. Perciò ho concluso che forse è meglio così. Immaginati se volesse qualcosa di costoso. In quel caso, se mi facesse la stessa domanda, sarei costretta a dire qualcosa di costoso anch’io.»
«E questo sarebbe un problema, perché...»
«Non possiamo scambiarci un regalo importante sapendo che di lì a pochi giorni dovrò scaricarlo!»
«Ma potete comunque farvi un pensierino» suggerisco. «Qualcosa di poco impegnativo.»
«Fatto in casa e pensato amorevolmente? È ancora peggio!» Heather si avvicina a un alberello innevato e sfiora i fiocchi di neve artificiale. «Come si fa a mollare un poveretto che ha appena intagliato una statuetta di legno o qualcosa del genere per te?»
«La stai facendo troppo complicata.» Tiro fuori una scatola di cartone piena di sacchettini di vischio e la appoggio sullo sgabello. «Forse dovresti farlo subito. Lui ne soffrirà in ogni caso.»
«No, ho assolutamente deciso di resistere per tutte le vacanze.» Heather mi raggiunge dall’altra parte del banco continuando a sorseggiare la sua cioccolata. «È ora di mettersi a cercare seriamente qualcuno per te, piuttosto. La parata di Natale si sta avvicinando e voglio che tu esca con noi.»
Mi protendo sul bancone per rifornire l’espositore di vischio. «Comincio a pensare che quest’idea del flirt natalizio non funzionerà. Ammetto di averla presa in considerazione quando ho visto Caleb, ma è chiaro che le prime impressioni non sono il mio forte.»
Heather mi guarda dritto negli occhi e accenna verso il parcheggio. «Ricordatelo bene questo, okay? Perché sta arrivando.»
Sono scioccata.
Lei indietreggia leggermente e mi fa segno di seguirla. Mi indica un vecchio pick-up violetto. L’abitacolo è vuoto.
Se quello è il suo furgone, che cosa ci fa qui Caleb? Ha già comprato un albero. Sotto la ribalta posteriore, sul paraurti, c’è un adesivo con il nome di una scuola di cui non ho mai sentito parlare.
«Dov’è la Sagebrush Junior High?» chiedo.
Heather alza le spalle, e il ricciolo che si era portata frettolosamente dietro l’orecchio le ricade sul viso.
In questa città ci sono sei scuole elementari che confluiscono in un’unica scuola media, la stessa che ho frequentato anch’io, e poi in un unico liceo. Da piccola, ogni inverno frequentavo la stessa classe di Heather per un mese, dopodiché ho iniziato a seguire le lezioni online.
Heather sbircia fra gli alberi. «Oh! Eccolo qui. Dio, se è carino.»
«Lo so» bisbiglio. Evito di seguire il suo sguardo e mi concentro invece sulla punta delle mie scarpe che scava per terra.
«Ecco che arriva» sussurra lei dandomi una gomitata, e prima che io possa dire una parola, si fionda dalla parte opposta del tendone.
Con la coda dell’occhio vedo qualcuno fare capolino tra due alberi. Caleb si dirige deciso verso di me con un sorriso smagliante e la sua immancabile fossetta. «Sei tu Sierra?»
Non riesco a fare altro se non annuire.
«Allora sei tu quella di cui parlano i ragazzi che lavorano qui.»
«Come dici?»
Gli sfugge una risatina nervosa. «Non sapevo se c’era un’altra ragazza che lavorava nel vivaio.»
«Solo io. I miei genitori sono i proprietari di questo posto. Lo gestiscono loro.»
«Ora si spiega perché hanno tutti paura di parlarti» dice, e visto che resto zitta, continua: «Ero qui l’altro giorno. Mi hai chiesto se avevo bisogno di aiuto, ricordi?».
Non so cosa dire. Caleb sposta il peso del corpo da un piede all’altro. Poiché il silenzio si protrae, lui continua a dondolarsi sulle gambe, e la cosa quasi mi diverte. Se non altro, non sono l’unica a essere nervosa.
Alle sue spalle vedo due dei nostri lavoranti che raccolgono le ramaglie con il rastrello.
Caleb si avvicina a me e li osserva. Io mi impongo di non scostarmi. «È vero che tuo padre li costringe a pulire i bagni se osano rivolgerti la parola?»
«Anche se solo ha il sospetto che vogliano rivolgermi la parola.»
«Allora i vostri bagni devono essere estremamente puliti» commenta Caleb, che è la battuta da rimorchio più strana che io abbia mai sentito, se di questo si tratta.
«Posso esserti utile in qualche modo?» chiedo. «So che hai già comprato un albero.»
«Quindi ti ricordi di me.» Sembra un po’ troppo compiaciuto nel constatarlo.
«Sono io che faccio l’inventario» dico, spacciando il fatto che mi ricordassi di lui per pura efficienza professionale, «e sono brava nel mio lavoro.»
«Capisco.» Annuisce lentamente. «Che tipo di albero ho acquistato?»
«Un abete rosso.» Non ho idea se sia vero.
Ora sembra davvero colpito.
Aggiro il bancone, mettendo la cassa e il vischio tra di noi. «C’è qualcos’altro che possiamo fare per te?»
Lui mi porge il tagliandino identificativo di un albero. «Questo è più grande dell’altro, perciò ci sono due ragazzi che lo stanno caricando sul mio furgone in questo momento.»
Mi ritrovo a fissarlo negli occhi troppo a lungo, così distolgo bruscamente lo sguardo concentrandomi sulla merce in esposizione. «Ti serve un addobbo da abbinare? Sono tutti freschi. O una decorazione?» Una parte di me vorrebbe semplicemente vendergli l’albero, in modo che lui se ne vada ponendo fine al mio imbarazzo, ma un’altra parte desidera che lui rimanga.
Caleb resta in silenzio per qualche istante, il che mi costringe a guardarlo di nuovo mentre è intento a osservare gli articoli esposti sotto il tendone. Forse ha davvero bisogno di qualcos’altro. O forse sta cercando un pretesto per trattenersi ancora un po’. Poi, quando vede l’angolo ristoro, la sua bocca si allarga in un sorriso. «Berrei volentieri una cioccolata calda, piuttosto.»
Si avvicina alla torre di bicchieri capovolti e ne prende uno. Alle sue spalle scorgo Heather, che fa capolino da dietro un abete innevato mentre sorseggia a sua volta la sua cioccolata. Quando incrocia il mio sguardo, scuote la testa e sillaba “Pessima idea”, per poi sgusciare di nuovo fra i rami.
Il mio cuore perde un battito nell’istante in cui Caleb toglie un bastoncino di zucchero dall’involucro per mescolare il cacao in polvere nell’acqua calda. Non appena lo lascia andare, il bastoncino continua a girare, trascinato nel vortice della bevanda.
«Anch’io la preparo così.»
«E come se no?»
«In pratica è una versione povera di un Peppermint Mocha.»
Lui inclina la testa di lato e guarda la sua bevanda con occhi nuovi. «Sì, puoi anche definirlo così, ma suona un po’ come un insulto.» Passa il bicchiere nell’altra mano e si protende sul bancone per stringere la mia.
«Piacere di fare ufficialmente la tua conoscenza, Sierra.»
Guardo prima la sua mano, poi lui, ed esito per una frazione di secondo. In quell’istante vedo le sue spalle abbassarsi leggermente. So bene che non è il caso di essere così critica per alcune voci di cui nemmeno Heather era sicura. Gli stringo la mano. «Tu sei Caleb, giusto?»
Il suo sorriso vacilla. «Quindi qualcuno ti ha parlato di me.»
Mi sento gelare. Anche se non è lui il ragazzo con cui vivrò una romantica avventura durante il periodo natalizio, non merita di essere giudicato da una persona che fino a pochi minuti fa non sapeva nemmeno come si chiamava. «Devo aver sentito il tuo nome da qualcuno che ti ha aiutato» dico.
Sorride, ma la sua fossetta stavolta non appare. «Allora, quanto ti devo?»
Batto lo scontrino e lui estrae un portafoglio gonfio di banconote. Me ne porge due da venti e un fascio di biglietti da uno.
«Non sono riuscito a cambiare le mance di ieri sera» si giustifica, arrossendo leggermente. La fossetta ricompare, ancora più marcata.
Mi ci vuole una forza di volontà non indifferente per non chiedergli dove lavora, in modo da fingere di capitare da quelle parti per caso. «Gli spiccioli fanno sempre comodo» dico, contandoli uno a uno e consegnandogli cinquanta centesimi di resto.
Lui si mette le monete in tasca e l’imbarazzo svanisce, lasciando spazio a una rinnovata sicurezza. «Magari ci rivediamo prima di Natale.»
«Sai dove trovarmi» dico. Non so se le mie parole sono apparse come un invito, o se era esattamente quello che intendevo. Voglio davvero rivederlo? Non sta a me valutare la sua storia pregressa, ma non posso dimenticare la sua espressione abbattuta di poco fa, quando ho avuto un’esitazione prima di stringergli la mano.
Si dirige verso l’uscita del tendone facendo scivolare il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Gli do un attimo di vantaggio e poi sguscio fuori da dietro il bancone per guardarlo uscire. Mentre sale sul furgone, porge qualche dollaro di mancia a uno dei ragazzi.
Heather mi raggiunge e insieme restiamo a osservarlo mentre, aiutato da un nostro dipendente, solleva la ribalta posteriore del pick-up.
«Per come la vedo io, eravate impacciati entrambi» commenta. «Scusami, Sierra. Non avrei dovuto dirti nulla.»
«No, non hai tutti i torti. Non so quanto ci sia di vero, ma quel ragazzo si porta un gran peso sulle spalle.»
Lei mi guarda con aria scettica. «Sei ancora interessata a lui, vero? Stai davvero pensando di farti coinvolgere.»
Io rido e torno alla mia postazione. «È carino, tutto qui. E questo non è abbastanza per farmi coinvolgere.»
«Bene, è molto saggio da parte tua» dice Heather, «ma è il primo ragazzo per cui ti vedo così imbarazzata da quando ti conosco.»
«Anche lui era imbarazzato!»
«Sì, ha avuto i suoi momenti, ma la gara l’hai vinta tu.»
Dopo una telefonata con Monsieur Cappeau dove gli descrivo la mia settimana in francese, mia madre mi lascia staccare prima dal lavoro. Negli ultimi anni Heather organizza una maratona cinematografica che vede protagonisti gli attori per cui di recente si è presa una cotta e un secchio di popcorn senza fondo. Papà si è offerto di prestarmi il suo furgone, ma io decido di andare a piedi.
Se fossi stata a casa, avrei afferrato le chiavi senza pensarci due volte per evitare il freddo. Qui, perfino a novembre inoltrato, fuori c’è una temperatura piacevole.
Durante il tragitto mi ritrovo a passare davanti all’altro vivaio a conduzione familiare in città. Il loro assortimento di abeti e il tendone rosso e bianco adibito a punto vendita occupano tre file del parcheggio di un supermercato. Mi fermo sempre da loro un paio di volte durante la stagione per salutare. Come i miei genitori, raramente gli Hopper abbandonano il tendone una volta aperte le vendite.
Con le braccia sepolte nella chioma di un pino, il signor Hopper sta accompagnando un cliente nel parcheggio. Io mi avvicino sgusciando fra le auto parcheggiate per fargli il primo saluto di quest’anno. Il ragazzo che lo aiuta a reggere l’albero lascia cadere il tronco sul cassone di un pick-up violetto.
Caleb?
Il signor Hopper spinge dentro il resto dell’albero, e prima che io riesca a svignarmela, si volta nella mia direzione. «Sierra?»
Prendo un respiro profondo e mi giro. Il signor Hopper mi viene incontro con indosso una giacca a quadri arancione e nera e un berretto con paraorecchie coordinato. Mentre mi avvolge in un caldo abbraccio, ne approfitto per sbirciare Caleb. È appoggiato al furgone e i suoi occhi mi sorridono.
Scambio quattro chiacchiere con il signor Hopper e gli prometto di tornare a fargli visita prima di Natale. Quando lui rientra nel vivaio, Caleb mi sta ancora guardando mentre sorseggia qualcosa da un bicchiere di plastica con il coperchio.
«Dimmi, qual è la tua dipendenza?» chiedo. «Gli alberi di Natale o le bevande calde?»
La sua fossetta si accentua e io mi avvicino. Ha i capelli sparati sulla fronte, come se sollevare tutti quegli alberi non gli lasciasse abbastanza tempo per pettinarsi. Prima che lui possa rispondere alla mia domanda, il signor Hopper e uno dei suoi aiutanti caricano un secondo abete sul furgone.
Caleb mi guarda stringendosi nelle spalle.
«Scherzi a parte, che cosa ci fai qui?» chiedo.
Lui chiude il battente posteriore con disinvoltura, come se farsi sorprendere in un altro vivaio non fosse abbastanza strano. «Mi piacerebbe sapere cosa ci fai tu qui, piuttosto» dice. «Tieni d’occhio la concorrenza?»
«Oh, non esiste concorrenza nel periodo natalizio. Ma visto che sembri un esperto, secondo te qual è la rivendita migliore?»
Caleb beve un sorso, e io osservo il suo pomo d’Adamo andare su e giù quando deglutisce. «La tua famiglia li batte alla grande. Qui non c’è nemmeno l’ombra di un bastoncino di zucchero.»
«Come osano!» esclamo, fingendo disgusto.
«Appunto! Mi conviene tenervi ben stretti come fornitori.»
Beve un altro sorso, poi resta in silenzio. Intende dire che acquisterà altri alberi? Questo significherebbe nuove occasioni di incontrarlo, e non so come sentirmi al riguardo.
«Chi mai comprerebbe così tanti abeti in un giorno?» chiedo. «O anche in una stagione?»
«Per rispondere alla tua prima domanda» dice lui, «soffro di dipendenza da cioccolata calda. Suppongo che, se proprio devo avere una dipendenza, questa non sia la peggiore. Quanto alla seconda domanda, quando possiedi un furgone, finisci per trovare diversi modi per utilizzarlo. Per esempio, l’estate scorsa ho aiutato tre colleghi di lavoro di mia madre con il trasloco.»
«Capisco. Così tu sei quel genere di ragazzo.» Mi avvicino a uno dei suoi abeti e giocherello con gli aghi. «Quello su cui tutti possono contare.»
Lui appoggia le braccia sulla sponda del cassone. «La cosa ti sorprende?»
Mi sta mettendo alla prova perché sa che ho sentito delle voci su di lui. E ha ragione a farlo, perché io non so bene come rispondergli. «Dovrebbe sorprendermi?»
Dà un’occhiata agli alberi che ha comprato, e intuisco che è deluso poiché ho abilmente evitato di rispondere alla domanda.
«Immagino che questi alberi non siano tutti per te» dico.
Sorride.
Mi protendo leggermente verso di lui, incerta se sia opportuno o meno, ma al tempo stesso sentendomi obbligata a farlo. «Be’, se hai intenzione di comprarne degli altri, conosco abbastanza bene i proprietari dell’altro vivaio. Penso di poterti procurare uno sconto.»
Caleb tira fuori il portafoglio, ancora pieno zeppo di biglietti da un dollaro, e ne estrae alcuni. «In realtà sono passato un paio di volte da quando ti ho visto appendere il manifesto della parata, ma tu non c’eri.»
Sta forse ammettendo che ha sperato di vedermi? Non posso chiederglielo in modo diretto, naturalmente, così indico il suo mucchietto di banconote. «Sai, in banca potrebbero cambiarti tutti quegli spiccioli con qualche taglio più grosso.»
Lui si rigira il portafoglio in mano. «Cosa vuoi che ti dica, sono pigro.»
«Se non altro, riconosci i tuoi difetti» dico. «È un bene.»
Si rimette il portafoglio in tasca. «Riconoscere i miei difetti è una cosa che mi riesce piuttosto bene.»
Se fossi più audace, sfrutterei quella frase come pretesto per chiedergli di sua sorella, ma una domanda simile potrebbe indurlo a salire immediatamente sul furgone e ad andarsene.
«Difetti, eh?» Mi avvicino di un passo. «Considerando tutti gli alberi che compri e la gente che aiuti a traslocare, devi essere in cima alla lista dei cattivi di Babbo Natale.»
«Se la metti in questo modo, suppongo di non essere così male.»
Faccio schioccare le dita. «Forse consideri il fatto di essere goloso di dolci un peccato capitale.»
«No, non ricordo di averlo mai sentito nominare in chiesa» ribatte lui. «Ma la pigrizia sì, e io sono molto pigro. Non ho ancora comprato un pettine nuovo per sostituire quello che ho perso qualche mese fa.»
«E guarda i risultati» dico, lanciando un’occhiata ai suoi capelli. «È quasi imperdonabile. Ti conviene perlustrare altri vivai alla ricerca di abeti scontati.»
«Perlustrare?» ripete lui. «Cioè, è una bella parola, ma credo di non averla mai usata.»
«Oh, ti prego, non dirmi che la consideri difficile.»
Caleb ride, e la sua risata è così perfetta che vorrei continuare a provocarla. Ma la disinvoltura con cui ci prendiamo reciprocamente in giro non è una buona cosa. Per quanto sia carino, per quanto sia facile scherzare insieme a lui, devo tenere a mente le preoccupazioni di Heather.
Come se potesse vedere i pensieri che mi frullano in testa, Caleb assume un’espressione risentita. Il suo sguardo torna a posarsi sugli alberi. «Qualcosa non va?» chiede.
Se continuiamo a incrociarci in città, ci sarà sempre una conversazione inespressa – questa diceria – sospesa fra di noi.
«Ascolta, è evidente che ho sentito dire una cosa...» Le parole mi si seccano in gola. Ma perché avverto il bisogno di dirle? Possiamo semplicemente tornare a essere il cliente e la ragazza degli alberi. Non è necessario tirare in ballo la questione.
«Hai ragione, è molto evidente» dice lui. «Lo è sempre.»
«Ma io non voglio crederci se...»
Caleb tira fuori le chiavi di tasca continuando a evitare il mio sguardo. «Allora non preoccuparti. Possiamo essere gentili l’uno con l’altra, io verrò a comprare da te, ma...» Serra la mascella. Capisco che sta cercando di alzare gli occhi per guardarmi, ma non ci riesce.
Non c’è altro che io possa aggiungere. Non mi ha detto che le voci sul suo conto sono infondate. Le parole successive devono venire da lui.
Si avvicina alla cabina del suo pick-up, sale e chiude la portiera.
Io faccio un passo indietro.
Lui mette in moto, e mentre si allontana mi fa un timido cenno di saluto con la mano.