16
Seguo con lo sguardo Cassandra e Jeremiah che risalgono in macchina con un abete scontato legato sul tettuccio. Jeremiah tiene il braccio penzoloni fuori dal finestrino e mi rivolge uno stanco cenno di saluto prima di lasciare il vivaio.
Ha l’aria di sentirsi come mi sento io, ma una parte di me si aggrappa alla speranza che quella conversazione interrotta continuerà. Un giorno, forse, qualcuno mi ascolterà.
«Che cosa è successo?» chiede mia madre.
«È complicato.»
«Cosa? Si tratta di Caleb?»
«Possiamo evitare di parlarne?»
«Sierra, devi affrontare tuo padre. Continuo a ripetergli che deve fidarsi di quello che fai, ma se non vuoi aprirti con me, non lo farò più. Andrew gli ha detto che...»
«Non mi importa cosa gli ha detto Andrew» sbotto «e non dovrebbe importare nemmeno a te.»
Lei incrocia le braccia. «Questo tuo stare sulla difensiva mi preoccupa, Sierra. Ti rendi conto della situazione in cui ti stai cacciando?»
Chiudo gli occhi e rilascio un profondo sospiro. «Mamma, secondo te qual è la differenza tra un pettegolezzo e un’informazione attendibile?»
Ci pensa su. «Direi che se le persone cui ti rivolgi non sono coinvolte direttamente, allora è un pettegolezzo.»
Mi mordo il labbro inferiore. «Allora ti racconterò tutto, perché non voglio che giudichi Caleb sulla base di quello che vi ha riferito Andrew. Ti garantisco che non l’ha detto a fin di bene. L’ha detto per ferire Caleb o per farmela pagare per averlo respinto.»
Mi rendo conto che sono davvero sul punto di farle saltare i nervi. «Mi pare di capire che c’è qualcos’altro che dovrei sapere...» Mi esorta ad andare a cercare papà mentre lei si occupa di trovare qualcuno che badi alla cassa.
Nel parcheggio mio padre e Andrew stanno caricando un albero sull’auto di una signora. Poiché sporge dal bagagliaio per metà, legano il portellone con una corda per tenerlo abbassato. La cliente si appresta a dare la mancia a papà, ma lui la blocca, indicandole Andrew. Quest’ultimo, dopo averla accettata, rientra nel vivaio.
«Ehi, tesoro» mi saluta papà. Si ferma davanti a me, e Andrew, che lo segue a ruota, si ferma a sua volta.
Lo guardo e gli dico seccamente: «Tu puoi tornare a lavorare».
Andrew se ne va con un sorrisetto spavaldo. Sa che sta creando guai. Immagino che sia quello che si fa di solito quando ti piace qualcuno che non ti ricambia.
«Sierra, era proprio necessario?» mi redarguisce mio padre.
Mi trattengo dal giustificato istinto di alzare gli occhi al cielo. «È per questo che dobbiamo parlare.»
Io, mamma e papà stiamo percorrendo Oak Boulevard. Le auto sfilano accanto a noi e di tanto in tanto ci sorpassa un ciclista. Faccio un respiro profondo e mi sgranchisco le braccia, cercando il coraggio per affrontare questa conversazione. Una volta partita, però, il resto viene fuori facilmente, e i miei genitori mi lasciano parlare senza interrompermi. Dico tutto quello che so di Caleb, della sua famiglia, del suo amico Jeremiah e della sua iniziativa benefica. Per qualche strano motivo, ci metto più tempo ad arrivare fino in fondo alla storia rispetto a quando me l’aveva riferita lui. Forse perché sento il bisogno di aggiungere molti dettagli per spiegare chi è Caleb oggi.
Quando finisco, il solco sulla fronte di mio padre è ancora più profondo. «Quando ho sentito dire che Caleb ha aggredito sua...»
«Non l’ha aggredita!» esclamo. «L’ha inseguita, ma non l’avrebbe mai...»
«E tu pretendi che io accetti una cosa simile?» protesta lui. «È stato veramente difficile permetterti di frequentare quel ragazzo dopo aver scoperto quello che ha combinato, ma ho voluto fidarmi di te. Pensavo che avessi un po’ di buon senso, Sierra, ma ora sono preoccupato, perché ti stai comportando da ingenua, stai prendendo alla leggera qualcosa che...»
«Ti sto parlando con sincerità. Questo non conta niente?»
«Tesoro, non sei stata tu a raccontarci tutto per prima» precisa mia madre. «È stato Andrew.»
Papà si scambia un’occhiata con lei. «Nostra figlia esce con un ragazzo che ha aggredito» alza una mano per impedirmi di interromperlo «un ragazzo che ha inseguito sua sorella con un coltello in mano.»
«Quindi non c’è spazio per il perdono?» insisto. «Ottima lezione, papà. Sgarri una volta e sei fregato per tutta la vita.»
Lui mi punta un dito contro. «Questo non è...»
Interviene mia madre. «Sierra, resteremo qui ancora per una settimana. Se tale situazione mette tanto a disagio tuo padre, è proprio il caso di continuare?»
Mi fermo di colpo. «Non è questo il punto! Io non conoscevo Caleb quando è successo quello che è successo, e nemmeno voi. Ma apprezzo tanto la persona che è diventata oggi, e voi dovreste fare altrettanto.»
Si sono fermati entrambi, ora. Mio padre tiene le braccia conserte e lo sguardo fisso sulla strada. «Perdonami se non mi sta bene che la mia unica figlia esca con un tipo che ha un passato violento.»
«Se non sapessi cos’è accaduto anni fa e lo conoscessi per quello che è ora, saresti qui a pregarmi di sposarlo.»
Mia madre spalanca la bocca, sconcertata. So di essermi spinta un po’ troppo in là, ma la mia frustrazione aumenta di minuto in minuto.
«Hai conosciuto la mamma in questo stesso posto» continuo. «Pensate che la vostra reazione sia dovuta anche solo in parte al timore che mi possa succedere la stessa cosa?»
Mia madre si mette una mano sul cuore. «Ti giuro che l’idea non mi ha mai neppure sfiorato» mi assicura.
Papà continua a fissare la strada, ma i suoi occhi sono vuoti. «E io ti giuro che per poco non mi prende un colpo.»
«Odio tutto questo» dico. «È stato etichettato con questa... cosa... da tante persone da ormai troppo tempo. Persone che preferiscono pensare il peggio, anziché parlare direttamente con lui. O semplicemente perdonarlo.»
«Se avesse usato quel coltello» dice la mamma, «non potremmo nemmeno prendere in considerazione...»
«Lo so» concordo. «Nemmeno io.»
A ogni auto che passa, oscillo fra l’impressione di averli convinti e quella di averli persi completamente.
«Ma mi avete anche insegnato a credere che ciascuno di noi può diventare una persona migliore.»
Con lo sguardo sempre rivolto altrove, papà aggiunge: «E che sarebbe sbagliato ostacolare questo processo di miglioramento».
«Già.»
Mia madre gli prende la mano. Guardandosi negli occhi, senza parlare, capiscono da che parte stare. Finalmente si voltano verso di me.
«Non conoscendolo bene come lo conosci tu» inizia mio padre, «ti renderai conto che venire a sapere di quell’episodio increscioso ci ha messo in grande apprensione. E vorrei tanto dargli una possibilità, ma non vedo perché, dal momento che fra due settimane non saremo neanche più qui.»
Non lo dice chiaramente, ma vuole sapere perché non posso lasciar cadere la cosa e basta. Perché devo farli star male a tutti i costi?
«Non c’è motivo di preoccuparsi» li tranquillizzo. «L’hai detto tu stesso, io lo conosco. E sai di avermi insegnato a essere prudente in queste situazioni. Non devi per forza fidarti di lui, basta che non lo giudichi. E che ti fidi di me.»
Papà sospira. «Ma c’è bisogno di farti coinvolgere fino a questo punto?»
«Mi pare che sia già coinvolta parecchio» osserva la mamma pacatamente.
Lui si guarda le mani, continuando a stringere quella della mamma. Poi alza gli occhi verso di me, ma riesce a sostenere il mio sguardo solo per un istante. Infine si incammina verso il vivaio.
Io e mia madre restiamo a guardarlo mentre si allontana.
«Bene, se non altro ciascuno di noi ha espresso ciò che prova» commenta. Mi stringe la mano e non la lascia andare per tutto il tragitto di ritorno verso casa.
Ogni volta che do a Caleb il beneficio del dubbio, lui se ne conferma degno. Ogni volta che mi schiero dalla sua parte, so di essere nel giusto. Ci sono mille ragioni per cui potrei gettare la spugna, ma ogni volta che non lo faccio, cresce la voglia di impegnarmi ancora di più per far sì che fra noi funzioni.
Quella sera ci metto una vita per prepararmi alla cena a casa di Caleb. Cambio outfit almeno tre volte e alla fine opto per un paio di jeans e un maglioncino di cashmere color panna che, naturalmente, sono le prime cose che avevo provato. Quando sento bussare alla porta, mi soffio via i capelli dal viso e mi do un’ultima occhiata nello specchio. Apro la porta e trovo Caleb sorridente davanti a me, con indosso dei jeans blu scuro e una maglia nera con una striscia grigia trasversale sul davanti.
Fa per dire qualcosa, ma poi si trattiene e mi squadra da capo a piedi. Se il suo sguardo indugiasse su di me per un secondo di più, non saprei reggere. Deve dirmi qualcosa, qualsiasi cosa. Infine sussurra: «Sei bellissima».
Mi sento avvampare. «Non c’è bisogno che tu mi dica questo.»
«Sì, invece. Che tu sappia accettare o meno un complimento, sei bellissima.»
Incrocio il suo sguardo e sorrido. «Grazie.»
«Non c’è di che.» Mi offre la mano per aiutarmi a scendere i gradini e ci avviamo verso il suo furgone. Non vedo papà, ma mia madre sta servendo un cliente. Quando si volta nella mia direzione, le indico il parcheggio per farle capire che sto per uscire.
Andrew sta risistemando la rete intorno al cilindro di plastica che serve ad avvolgere gli alberi. Sento i suoi occhi su di noi mentre attraversiamo il vivaio.
«Fermati un attimo» dico a Caleb.
Lui si volta verso Andrew, che ora ci sta fissando ostentatamente. «Andiamo» mi dice. «Non importa.»
«Importa a me» ribatto.
Caleb mi lascia andare la mano e prosegue verso il furgone. Si siede e chiude la portiera, e io indugio un istante per assicurarmi che non se ne stia andando. Mi fa cenno con impazienza di fare quello che devo fare, così mi dirigo con decisione verso Andrew.
Lui continua a trafficare con la rete ed evita di guardarmi in faccia. «Serata romantica?»
«Ho parlato di Caleb con i miei genitori. Naturalmente non sono riuscita a farlo con i miei tempi, ma quando sono stata costretta... a causa tua.»
«E ciononostante ti lasciano andare» commenta lui. «Bell’esempio di premure parentali.»
«Perché si fidano più di me che di te, com’è naturale che sia.»
Mi guarda dritto negli occhi. C’è troppo astio dentro. «Avevano il diritto di sapere che la loro figlia esce con un... qualsiasi cosa sia.»
Sento la furia montare dentro di me. «Non sono affari che ti riguardano. Io non ti riguardo.»
Nel frattempo Caleb si è avvicinato. Ora è alle mie spalle e mi prende la mano. «Sierra, andiamo.»
Andrew ci guarda con disgusto. «Ovunque siate diretti, spero che non vi servano qualcosa che richiede di essere tagliato. Per il bene di entrambi.»
Caleb si irrigidisce. «Perché così non ci sono coltelli in giro?» chiede. «Ottima osservazione.»
Mio padre assiste alla scena nascosto fra due alberi. Mia madre gli si avvicina con aria preoccupata, e lui scuote la testa.
La mascella di Caleb si contrae mentre lui guarda altrove, come se temesse di scattare da un momento all’altro e sferrare un pugno a Andrew. Una parte di me, quella piena di rabbia, vorrebbe che lo facesse, ma deve stare calmo. Voglio constatare che può farcela, e voglio che i miei genitori lo vedano con i loro occhi.
Flette le dita e si strofina energicamente la nuca. Guarda Andrew negli occhi, ma nessuno dei due parla. Andrew sembra spaventato, e tiene una mano aggrappata alla rete come se fosse l’unica cosa che gli impedisce di indietreggiare. Notando la sua espressione impaurita, Caleb passa dalla rabbia a un atteggiamento accomodante. Cerca di nuovo la mia mano, allaccia le sue dita alle mie e mi accompagna al furgone.
Restiamo in silenzio per qualche istante, cercando di calmarci entrambi. Mi sento in dovere di dire qualcosa, ma non so da dove né come iniziare. Infine lui mette in moto.
Quando il vivaio è ormai un puntino lontano nello specchietto retrovisore, Caleb rompe il silenzio dicendomi che è andato a prendere Abby alla stazione tre ore prima. Mi guarda e sorride. «Non vede l’ora di conoscerti.»
Mi rendo conto che non mi ha raccontato molto di come stanno le cose fra loro. Vanno meglio, ora che lei vive con suo padre? C’è un’atmosfera tesa quando torna?
«Anche mia madre non vede l’ora di conoscerti. Non fa che ripetermelo da quando ci siamo visti per la prima volta.»
«Davvero?» Non riesco a nascondere un sorriso. «Da quando ci siamo visti per la prima volta?»
Lui fa spallucce come per minimizzare, ma il suo sorrisetto compiaciuto lo tradisce. «Può darsi che le abbia accennato di una certa ragazza che avevo visto al vivaio, quando ho portato a casa l’albero.»
Mi chiedo che cosa mai possa aver detto su di me senza avere la possibilità di andare in brodo di giuggiole per una fossetta.
Casa sua si trova a tre minuti di tragitto dall’autostrada. Entrando nell’area residenziale, intuisco la sua agitazione. Non so se sia per via di sua sorella, di sua madre o di me, ma quando accostiamo al marciapiede è a pezzi. La casa è piccola, ma ha due piani. Davanti alla finestra del soggiorno c’è un albero di Natale addobbato di luci colorate, con una stella dorata come puntale.
«Il fatto è che non ho mai portato a casa nessuno in questo modo.»
«Cioè come?» chiedo.
Caleb spegne il motore e guarda casa sua, poi me. «Come definiresti questa serata? È un appuntamento, è...?»
La sua agitazione è davvero adorabile.
«Potrà sembrarti scioccante detto da me, ma a volte credo che sia un bene non definire ogni cosa.»
Lui abbassa gli occhi sullo spazio che ci divide. Spero che non pensi che mi sto tirando indietro.
«Non preoccupiamoci di trovare una parola per definire il nostro rapporto» dico. «Stiamo insieme, è questo che conta.»
«Insieme. Mi piace» dice lui, ma il suo sorriso è appena accennato. «Sono più preoccupato per il poco tempo che ci resta, però.»
Ripenso all’“in bocca al lupo per lo spettacolo” che ho mandato ieri sera a Rachel. Non ha ancora risposto al mio messaggio. Ho chiamato Elizabeth, ma non mi ha risposto nemmeno lei. Caleb ha ragione a essere preoccupato. Io stessa sono preoccupata. Per quanto tempo una persona può essere in due posti contemporaneamente?
Spalanca la portiera. «Sarà meglio entrare.»
Raggiungiamo i gradini dell’ingresso e lui mi prende la mano. Ha i palmi sudati e le dita che tremano. Questo non è il ragazzo calmo e rilassato che ho conosciuto il primo giorno. Si sfrega la mano sui jeans. Poi apre la porta.
«Sono arrivati!» urla una voce dal piano superiore.
Abby si precipita giù dalla scala: è molto più bella e sicura di sé di quanto fossi io alla sua età. La cosa più fastidiosamente irresistibile è che lei e Caleb hanno la stessa identica fossetta. Mi mordo la lingua per impedirmi di sottolinearlo, perché sono certa che si sono accorti che l’ho notato. Quando arriva sul pianerottolo, mi tende la mano. Per una frazione di secondo, mentre le nostre dita si sfiorano, la mia mente ripercorre in un lampo tutto ciò che immagino sia accaduto quel giorno fra lei e Caleb.
«Sono felice di conoscerti, finalmente» dice. Il suo sorriso è gentile e aperto come quello di suo fratello. «Caleb mi ha parlato tanto di te. Mi sembra di incontrare una celebrità!»
«Io...» Non so cosa dire. «Be’, okay! Anch’io sono felice di conoscerti.»
La madre di Caleb spunta dalla cucina sfoderando un sorriso simile, ma senza fossetta. Di primo acchito, dal modo in cui si trattiene, sembra più riservata rispetto ai suoi figli.
«Caleb, non tenerla sulla porta» dice, e poi, rivolgendosi a me: «Entra, accomodati. Spero che ti piacciano le lasagne».
Abby scende con un balzo gli ultimi gradini e corre in cucina. «E spero anche che tu sia una buona forchetta» aggiunge.
La mamma di Caleb osserva sua figlia, e continua a fissare nella sua direzione anche dopo che la ragazza è fuori dalla sua vista. Alla fine abbassa il capo un istante e si volta verso di noi. «È bello averla a casa» dice, quasi parlando a se stessa.
D’un tratto mi sento sopraffatta dalla sensazione di essere di troppo. La loro famiglia merita di condividere questa prima serata insieme senza un’estranea che distolga l’attenzione da questo momento. Lancio un’occhiata a Caleb, e lui probabilmente si accorge che ho bisogno di parlare.
«Faccio fare un giretto a Sierra prima di cena» dice. «Va bene?»
Sua madre ci fa cenno di andare. «Intanto noi prepariamo la tavola.» Entra in cucina, dove Abby sta staccando un tavolino dalla parete cui è accostato. Le sfiora i capelli mentre le passa accanto, e davanti a quel gesto mi si spezza il cuore.
Seguo Caleb nel soggiorno. Delle spesse tende color mattone incorniciano l’albero di Natale piazzato davanti alla finestra.
«Tutto bene?» mi chiede.
«Tua madre ha così poco tempo per stare con voi due insieme» osservo.
«Tu non interrompi proprio niente» mi rassicura. «Volevo che le conoscessi. Anche questo è importante.»
Sento madre e figlia che parlano in cucina. Le loro voci sembrano allegre. Sono così felici di essersi ritrovate. Quando guardo Caleb, lo scopro a fissare l’albero con uno sguardo incredibilmente triste.
Mi avvicino e studio le decorazioni. Si possono capire molte cose di una famiglia semplicemente osservando il suo albero di Natale. Questo è un’accozzaglia di oggetti che Caleb e sua sorella devono aver realizzato con le loro mani quando erano piccoli, più alcuni ninnoli stravaganti provenienti da varie località del mondo.
Sfioro una Torre Eiffel palpitante di luce. «Tua madre ha visitato tutti questi posti?»
Caleb dà un colpetto con il dito a una sfinge con il berretto da Babbo Natale. «Sai come iniziano le collezioni. Un’amica torna dall’Egitto con un souvenir, un’altra lo vede appeso al nostro albero e porta a casa anche lei qualcosa da un viaggio.»
«Ha delle amiche giramondo. E lei viaggia spesso?»
«No, da quando si è separata. All’inizio era perché non avevamo abbastanza soldi.»
«E poi?»
Caleb guarda verso la cucina. «Quando un figlio decide di andare via di casa, credo sia più difficile lasciare l’altro da solo, anche se per un breve periodo.»
Tocco quella che presumo sia la Torre di Pisa, facendola capovolgere. «Non potevi andare con lei?»
Ride. «Ed ecco che torniamo al problema dei soldi.»
Poi mi accompagna di sopra a vedere la sua stanza. Mi precede lungo lo stretto corridoio verso una camera all’estremità opposta, ma le mie gambe si fermano di colpo davanti a una porta chiusa verniciata di un bianco compatto. Mi avvicino e mi sento mancare il respiro. A livello degli occhi c’è un ventaglio di tagli camuffati con diverse mani di vernice. Istintivamente vi faccio scorrere la punta delle dita.
Sento il respiro affannoso di Caleb. Alzo lo sguardo e mi accorgo che mi sta osservando.
«La porta una volta era dipinta di rosso» dice. «Mia madre ha cercato di smerigliarla e di coprire i danni con la vernice in modo che fossero meno evidenti, ma... eccoli lì.»
All’improvviso ciò che è accaduto quella notte mi appare terribilmente reale. Ora so che Caleb ha inseguito sua sorella dalla cucina su per una rampa di scale. Lei urlava dietro questa porta mentre lui stava proprio qui a menare colpi su colpi con la lama di un coltello. Caleb – la persona più dolce che io abbia mai conosciuto – ha minacciato Abby con un coltello in mano. E l’ha fatto sotto gli occhi del suo migliore amico. Non riesco a conciliare questa versione di Caleb con quella del ragazzo che mi sta guardando in questo preciso momento dalla soglia della sua stanza. La sua espressione è congelata a metà fra la preoccupazione e la vergogna. Vorrei dirgli che non sono spaventata, vorrei fargli sentire la mia vicinanza e rassicurarlo. Ma non ci riesco.
Sua madre ci chiama da sotto. «La cena è pronta!»
Non riusciamo a staccare gli occhi l’uno dall’altra. La porta della sua stanza è aperta, ma non voglio entrare lì dentro. Non adesso. Ora dobbiamo tornare alla normalità, o almeno avvicinarci il più possibile, per sua madre e per Abby. Cammina accanto a me, lasciando che le sue dita mi sfiorino la mano, ma senza prenderla. Do un’ultima occhiata alla porta della camera di sua sorella e poi lo seguo giù dalle scale.
Sulle pareti della cucina sono appesi dei piatti di ceramica colorati, e al centro della stanza c’è un piccolo tavolo apparecchiato per quattro. La cucina di casa nostra, nell’Oregon, è più grande, eppure questa è più accogliente.
«Di solito il tavolo non è in questa posizione» dice la madre, in piedi accanto alla sedia, «ma di solito non siamo così tanti.»
«La vostra cucina è comunque molto più spaziosa della roulotte dove vivo al momento.» Allargo le braccia. «Se facessi così sfonderei il bagno e il microonde in un colpo solo.»
Sua madre ride e si avvicina ai fornelli. Quando apre il forno, la stanza si riempie del delizioso profumo di formaggio fuso, salsa di pomodoro e aglio.
Caleb mi offre una sedia e io, ringraziandolo, prendo posto a tavola. Si siede alla mia destra, ma non appena vede sua sorella, salta di nuovo in piedi e la fa accomodare. Abby sorride e gli dà una pacca sulla spalla e, dalla naturalezza con cui si rapporta a lui, capisco che ha davvero dimenticato il loro difficile passato.
La madre di Caleb porta in tavola una teglia di lasagne. Poi si siede e si posa un tovagliolo sul grembo. «Facciamo alla buona, Sierra. Coraggio, serviti per prima.»
Caleb si allunga per prendere la paletta. «Ti aiuto io.» Mi serve una bella fetta di lasagna condita con abbondante formaggio, e poi ripete l’operazione per Abby e sua madre.
«Hai dimenticato la tua porzione» gli faccio notare.
Lui guarda il suo piatto vuoto e taglia una fetta anche per sé. Abby appoggia un gomito sul tavolo, nascondendo un sorriso mentre guarda suo fratello fare gli onori di casa.
«Quindi sei al primo anno?» chiedo. «Come ti trovi al liceo finora?»
«Sta andando alla grande» dice Caleb. «Cioè, è così, giusto?»
Lo guardo piegando la testa da una parte. Forse, dopo quel momento di imbarazzo davanti alla porta al piano di sopra, sente il bisogno di dimostrare che è tutto a posto.
Abby scuote la testa. «Sì, caro fratellino. Me la cavo magnificamente. Mi trovo bene ed è un’ottima scuola.»
Le sorrido. «Sbaglio o Caleb è un tantino iperprotettivo?»
Lei alza gli occhi al cielo. «È peggio della polizia della felicità, mi chiama sempre per controllare se me la sto passando bene.»
«Abby» interviene la madre, «vediamo di goderci la cena, d’accordo?»
«È quello che stavo cercando di fare» replica lei.
La donna mi guarda, ma il suo sorriso appare ansioso. Poi torna a rivolgersi alla figlia. «Non mi pare il caso di tirare fuori certe cose quando ci sono ospiti.»
Caleb posa una mano sulla mia. «Mamma, stava semplicemente rispondendo a una domanda.»
Ricambio la stretta e guardo Abby. Tiene gli occhi bassi.
Dopo un minuto buono di silenzio, la madre di Caleb comincia a farmi domande per sapere com’è vivere in un’azienda agricola dove si coltivano abeti natalizi. Abby è meravigliata dall’estensione di terreno che possediamo. Sono quasi tentata di invitarla a fare un salto da noi, ma sono sicura che qualsiasi risposta porterebbe a un ulteriore silenzio imbarazzato. Tutti rimangono scioccati quando racconto dell’elicottero di zio Bruce che si libra a mezz’aria sopra la mia testa mentre io aggancio gli alberi.
La madre di Caleb fa correre gli occhi fra lui e Abby. «Non riuscirei mai a lasciar fare ai miei figli una cosa simile.»
Finalmente Caleb sembra rilassarsi. Racconta degli alberi che ha consegnato da solo e di quelli che abbiamo portato a destinazione insieme. Ogni volta che parla, noto che sua madre guarda Abby di sottecchi. Sta forse pensando come sarebbe bello se i suoi due figli crescessero ancora insieme? Quando dico che l’idea di portare dei biscotti fatti in casa alle famiglie bisognose è stata mia, colgo lo sguardo d’intesa fra madre e figlio e il mio cuore accelera il battito. Una volta finito di mangiare, nessuno accenna ad alzarsi da tavola.
Poco dopo Abby ci dice che ha intenzione di comprare un albero con suo padre. La mamma ritira i piatti, e la ragazza inizia a rivolgersi direttamente a me. Io sostengo il suo sguardo, ma noto che Caleb si contempla le mani posate sul tavolo con aria pensosa mentre sua madre mette le stoviglie nella lavapiatti.
La donna continua ad affaccendarsi in cucina finché il racconto di Abby non è finito. Poi porta un vassoio pieno di barrette di Rice Krispies guarnite con confettini rossi e verdi. Abby mi chiede se è difficile stare lontano da casa e dai miei amici per un mese intero ogni anno. Tutti ci serviamo di un dolcetto e io intanto rifletto sulla sua domanda.
«I miei amici mi mancano molto, ma è così da quando sono nata. Se si è cresciuti in un certo modo, penso sia difficile sentire la mancanza di cose che potrebbero essere diverse, non credi?»
«Purtroppo, nel caso di Abby, sappiamo bene come potrebbero essere diverse le cose» ribatte Caleb.
Mi aggrappo al suo braccio. «Non è quello che intendevo dire.»
D’un tratto Caleb posa il suo dolce. «Sapete una cosa? Sono esausto.» Mi guarda e scorgo un lampo di dolore nei suoi occhi. «E poi, è meglio non far stare in pensiero i tuoi genitori.»
È come se mi arrivasse addosso una secchiata di acqua gelida.
Caleb si alza in piedi evitando di incrociare i nostri sguardi e spinge la sedia sotto il tavolo. Io mi alzo a mia volta, un po’ frastornata, e ringrazio per la cena deliziosa. Sua madre abbassa gli occhi sul piatto. Abby si limita a scuotere la testa, ma non sono necessarie parole. Caleb si avvia verso la porta di casa e io mi affretto a seguirlo.
Usciamo nella notte fredda. Prima di arrivare al suo furgone, gli afferro il braccio per trattenerlo e gli dico: «Mi stavo divertendo».
«Ho capito che piega stavano prendendo le cose» ribatte lui, cupo.
Vorrei che mi guardasse in faccia, ma è chiaro che non ci riesce. Se ne sta lì, chiuso in se stesso, passandosi le dita fra i capelli. Poi sale sul furgone. Salgo anch’io e chiudo la portiera in silenzio. Ha infilato la chiave nel quadro, ma resta immobile, lo sguardo inchiodato sul volante.
«Mi pare che con Abby sia tutto a posto» dico. «Tua madre ovviamente sente la sua mancanza, ma la persona che sembrava più a disagio là dentro eri tu.»
«Abby mi ha perdonato, e questo aiuta. Ma io non riesco a perdonare me stesso per tutto ciò che ho sottratto a mia madre. Sono cose che ha perduto a causa mia, ed è difficile far finta di niente, con Abby seduta là davanti e tu che parli di calore domestico.»
Poi finalmente mette in moto, fa un’inversione completa, ed entrambi restiamo in silenzio per l’intero tragitto di ritorno. Il vivaio è ancora aperto quando entriamo nel parcheggio. Vedo alcuni clienti che curiosano fra gli alberi esposti e papà che porta un abete appena ricoperto di neve artificiale sotto il tendone. Se tutto fosse andato come speravo, saremmo tornati trovando buio e silenzio. Saremmo rimasti seduti sul pick-up a chiacchierare della nostra bella serata e forse, alla fine, ci saremmo baciati.
Invece Caleb si ferma in una zona poco illuminata del parcheggio e aspetta che io scenda. Lui resta al suo posto, con le mani salde sul volante. Indugio in piedi accanto alla portiera aperta.
Ancora non ha il coraggio di guardarmi negli occhi. «Mi dispiace, Sierra. Non ti meriti questo. Quando ci vediamo qui, c’è sempre Andrew tra i piedi. E hai visto com’è la situazione in casa mia. Non possiamo nemmeno andare a fare la spesa senza qualche incontro sgradevole. Le cose non cambieranno nel poco tempo che ci rimane.»
Non posso credere a quello che sta dicendo. Non riesce nemmeno a voltarsi verso di me. «Eppure io sono ancora qui» dico.
«È troppo.» Mi guarda negli occhi ora. «Non sopporto che tu debba assistere a tutto questo.»
Mi sento quasi venir meno e mi sostengo alla portiera per ritrovare l’equilibrio. «Hai detto che ne valevo la pena. E io ti ho creduto.»
Lui non risponde.
«La cosa che più mi fa male è che anche tu ne vali la pena. Finché non ti renderai conto che è questa l’unica cosa che conta, sarà sempre troppo da sopportare.»
Caleb fissa il volante. «Non posso più farlo» conclude, arrendendosi.
Aspetto che ritiri quello che ha appena detto. Lui non sa quanto ho combattuto per schierarmi dalla sua parte. Con Heather. Con i miei genitori. Con Jeremiah. Ho perfino fatto arrabbiare le mie amiche storiche per poter stare con lui. Se sapesse anche solo la minima parte di tutto questo, però, soffrirebbe ancora di più.
Me ne vado lasciando aperta la portiera ed entro nella roulotte senza voltarmi indietro. Non accendo neppure la luce, mi butto sul letto e soffoco i singhiozzi nel cuscino. Avrei bisogno di parlare con qualcuno, ma Heather è uscita con Devon. E questa volta non posso chiamare né Rachel né Elizabeth.
Scosto la tenda della finestra e guardo fuori. Il furgone è sempre là, con la portiera del passeggero ancora aperta. Nella cabina entra abbastanza luce da permettermi di vedere Caleb con la testa china e le spalle scosse dai sussulti.
Desidero con tutte le mie forze correre fuori e stringermi a lui. Ma per la prima volta da quando l’ho conosciuto, non mi fido del mio istinto. Non appena sento il furgone allontanarsi, ripercorro nella mente tutto ciò che è accaduto fino a quel momento.
Poi mi ricompongo e mi alzo. Mi dirigo verso il vivaio, sforzandomi di pensare ad altro. Aiuto qualche cliente, e anche se so che potrebbe sembrare una recita, tento di mostrarmi serena. Alla fine, però, non ce la faccio più e torno nella roulotte.
Sul mio cellulare trovo due messaggi in segreteria. Il primo è di Heather.
“Devon mi ha regalato la giornata che sognavo!” esclama con una gioia quasi eccessiva da sopportare in questo momento. “E non è nemmeno Natale! Mi ha portato a cena su Cardinals Peak, ti rendi conto? Quindi stava ascoltando!”
Vorrei sentirmi elettrizzata insieme a lei. Se lo merita. Invece sono gelosa nel constatare come possano essere facili le cose per gli altri.
“A proposito” continua, “i tuoi abeti sono in piena forma lassù. Abbiamo controllato.”
Le mando un SMS:
Sono felice che tu abbia deciso di stare con Devon ancora per un po’.
Mi risponde:
Si è guadagnato una proroga fino a Capodanno ma gli conviene smettere di parlarmi di fantacalcio, se vuole arrivare fino alla domenica del Super Bowl. E tu? Com’è andata la cena?
Non ribatto.
Poi ascolto un messaggio vocale di Caleb che si apre con un lungo silenzio. “Mi dispiace” inizia. Segue una pausa ancora più lunga, gravida di dolore. Un tormento incessante. “Ti prego, perdonami. Ho buttato tutto all’aria in un modo che non mi sarei mai aspettato. Tu ne vali la pena, Sierra. Posso passare da te domani mentre vado in chiesa?” Tengo il telefono premuto contro l’orecchio per tutta la durata dell’ennesima pausa. “Ti chiamo in mattinata.”
Ci sono tantissimi motivi per cui la prossima settimana non sarà facile per noi. Ed è probabile che sarà sempre peggio, via via che ci avvicineremo al Natale – e alla mia partenza.
Gli rispondo tramite un SMS:
Non c’è bisogno che chiami. Vieni e basta.