18

Il lunedì mattina chiamo Elizabeth per sapere com’è andato lo spettacolo di Rachel.

«È andato bene» mi risponde. «In realtà dovresti chiederlo a lei, però.»

«Ci ho provato! L’ho chiamata, le ho mandato un messaggio. Voi due avete deciso di farmela pagare cara, eh?»

«Perché hai preferito un ragazzo rispetto a lei, Sierra. Abbiamo capito che ti piace. Fantastico. Ma sinceramente, non è che starai lì per sempre. Perciò sì, Rachel ce l’ha con te. Ma non vuole nemmeno vederti con il cuore spezzato.»

Tengo gli occhi chiusi mentre la ascolto. Nonostante siano arrabbiate, si preoccupano per me. Gemendo, mi lascio cadere pesantemente sul lettino. «È ridicolo, dai. Davvero. Questa relazione non può andare da nessuna parte. Non ci siamo neanche ancora baciati!»

«Sierra, è quasi Natale. Mettigli uno stupido rametto di vischio sopra la testa e bacialo tu!»

«Mi faresti un favore?» le chiedo. «Puoi fare un salto a casa mia? Sul mio cassettone c’è il disco ricavato dal tronco del mio primo albero di Natale. Potresti spedirmelo per posta?»

Elizabeth sospira.

«Voglio solo mostrarglielo» dico. «È un tipo molto legato alle tradizioni, penso che gli piacerebbe vederlo prima che io...»

Mi interrompo. Se finisco la frase, sarò ossessionata da quel pensiero per il resto della giornata.

«Prima che tu parta succederà, Sierra» conclude Elizabeth.

«Lo so. Ti autorizzo a dirmi che sono una stupida.»

Lei rimane in silenzio per un bel po’. «Si tratta del tuo cuore. Nessun altro può avere voce in capitolo.»

Talvolta sembra che non possa avercela nemmeno chi è padrone di quel cuore.

«Forse però dovresti baciarlo prima di prendere qualsiasi decisione importante» dice. «Se è una delusione, sarà più facile lasciarlo andare.»

Rido. «Mi mancate un sacco.»

«Anche tu ci manchi, Sierra. Manchi a tutte e due. Cercherò di far ragionare Rachel. Ci è solo rimasta male.»

Ricado sul letto. «Ho tradito il codice delle ragazze.»

«Non autoflagellarti. Va bene così. Siamo soltanto amiche un po’ egoiste che non vogliono dividerti con nessuno, tutto qui.»

Prima di iniziare a lavorare, mi siedo davanti al computer e registro un video dove descrivo – in francese – tutto quello che è successo dopo aver lasciato l’Oregon, da quando ho piantato il mio nuovo albero su Cardinals Peak a quando ho accompagnato Caleb in chiesa. Poi mando il video a Monsieur Cappeau per rimediare a tutte le videochiamate che ho saltato.

Prendo una mela e mi avvio verso il tendone per dare una mano a mia madre. Le vacanze sono iniziate per quasi tutte le scuole ormai, e poiché il tempo scarseggia, il vivaio sarà affollato di ritardatari per tutto il giorno. Negli anni scorsi lavoravo fino a dieci ore al giorno in questa settimana, ma la mamma mi ha detto che papà ha ingaggiato altri studenti come aiuto supplementare, perciò avrò più tempo per me stessa.

Lavoriamo fianco a fianco, rifornendo le scorte negli intervalli fra un cliente e l’altro. Mio padre trascina dentro altri due abeti spruzzati di neve sintetica. Approfittando di un momento di calma, ci riuniamo tutti e tre davanti al distributore di bevande calde. Mi preparo un Peppermint Mocha casalingo e annuncio che ho intenzione di fare altri biscotti per le prossime consegne di Caleb.

«È un’ottima idea, tesoro» dice papà, ma invece di guardare me, scruta fuori dal tendone. «Devo andare a controllare i ragazzi.»

Io e la mamma lo osserviamo mentre si allontana.

«Immagino che questa reazione sia meglio che puntare i piedi» commento. Mio padre ha adottato un approccio del tipo “stiamo a vedere” nei confronti della mia relazione con Caleb. In compenso, dopo aver assistito al nostro scontro, ha suggerito a Andrew di chiedermi scusa. Piuttosto di farlo, lui se n’è andato.

Mia madre accosta la tazza alla mia in una sorta di brindisi. «Magari Caleb metterà da parte un po’ delle sue mance e comprerà un regalo di Natale anche per te.»

«Sto pensando di dargli il pezzo di tronco del mio primo albero» le dico mentre sorseggia il suo caffè.

Il suo silenzio è assordante, così mi porto la tazza alle labbra e aspetto. Fuori dal tendone, vedo Luis che trasporta un abete verso il parcheggio. Bevo un altro sorso, chiedendomi cosa ci faccia qui, visto che un albero ce l’ha già.

Quando distolgo lo sguardo, mia madre dice: «È un regalo perfetto per una persona come Caleb».

La abbraccio mentre lei cerca di evitare di rovesciarsi il caffè addosso. «Grazie per non essere prevenuta nei suoi confronti, mamma.»

«Ho fiducia nelle tue capacità di giudizio.» Posa la tazza, e tenendomi per le spalle, mi guarda negli occhi. «Anche tuo padre si fida di te. Però credo che starà con il fiato sospeso finché non ce ne andremo di qui.»

Dietro di lei, Luis sta tornando nel vivaio con indosso i guanti da lavoro. «Ma quello è Luis» dico, indicandolo a mia madre. «Lo conosco.»

«Sì, è uno dei nuovi studenti che abbiamo assunto. Tuo padre dice che lavora sodo.»

Nella successiva pausa fra un cliente e l’altro, riscaldo la mia cioccolata con un’aggiunta di caffè. Una voce alle mie spalle dice: «Me ne prepareresti una, già che ci sei?».

«Dipende.» Mi volto verso Caleb. «Tu che cos’hai intenzione di fare in cambio?»

Fruga nella tasca della giacca e tira fuori un berretto verde lavorato ai ferri a forma di albero di Natale, con le decorazioni in feltro e una stella gialla panciuta sulla punta. Se lo cala bene in testa. «Lo volevo tenere in serbo per dopo, ma se la posta in gioco è una cioccolata calda, me lo metto subito.»

«Perché?» chiedo ridendo.

«L’ho comprato stamattina in un negozio di seconda mano. Sono in pieno spirito sartoriale natalizio.»

Resto a bocca aperta. «Perfino io non so cosa significa.»

Caleb fa un gran sorriso con relativa fossetta e inarca un sopracciglio. «Che cosa, “sartoriale”? Sono scioccato. Dovresti scaricare la app di un dizionario sul cellulare, come ho fatto io. Ti propongono una parola nuova ogni giorno e puoi darti dei punti ogni volta che la usi.»

«Ma tu l’hai usata correttamente?»

«Credo di sì. È un aggettivo. Relativo all’abbigliamento.»

Scuoto la testa, indecisa se ridere o se strappargli di dosso quella cosa orribile. «Signore, la parola “sartoriale” le ha appena fatto guadagnare un doppio bastoncino di zucchero.»

Caleb si offre di aiutarmi a preparare i biscotti a casa sua, così mia madre ci congeda augurandoci buon divertimento. Per la verità, mi dice che è meglio che vada senza chiedere il permesso a mio padre, un consiglio materno che accetto ben volentieri.

«Abby mi ha detto che le piacerebbe unirsi a noi» dice Caleb quando saliamo sul furgone. «Puoi invitare anche Heather, se vuoi.»

«Heather, che tu ci creda o no, sta freneticamente cercando di rimediare un regalo per Devon. Scommetto che sarà un maglione natalizio.»

Caleb spalanca la bocca simulando orrore. «Farebbe una cosa simile?»

«Eccome. Gli comprerà anche qualcosa di più carino, ma se la conosco bene, come prima cosa gli darà il maglione per vedere come reagisce.»

Dopo esserci procurati gli ingredienti al supermercato, Caleb mi fa entrare in casa sua. Ciascuno di noi tiene una borsa stracolma in mano. Abby è sul divano, intenta a chattare con qualcuno al cellulare.

Senza alzare gli occhi dallo schermo, dice: «Sarò da voi fra un minuto. Prima devo assicurarmi che i miei amici non mi diano per dispersa. E togliti quel berretto ridicolo, Caleb».

Caleb posa il suo cappellino sul tavolo della cucina. Ha già predisposto le teglie da forno, i misurini, le tazze e una ciotola di ceramica per l’impasto. «Anche tu mi manderai dei messaggi dall’Oregon per farmi sapere che non ti sei volatilizzata?»

Mi esce una risatina nervosa che riflette il mio reale stato d’animo. Fra meno di una settimana dovrò pensare a come dirgli addio.

Tiro fuori i nostri acquisti dalle borse e li dispongo in bell’ordine sul piano di lavoro.

A un certo punto si sente suonare il campanello, e Caleb urla verso l’altra stanza: «Aspetti qualcuno?».

Abby, probabilmente ancora impegnata a messaggiare, non risponde. Caleb alza gli occhi al cielo e si avvia verso la porta. La sento aprirsi, e poi silenzio.

«Ehi, cosa ci fai tu qui?»

L’altra voce – familiare e profonda – mi giunge chiara dall’ingresso. «È questo il modo di rivolgerti al tuo migliore amico di un tempo?»

Per poco non mi cade di mano una dozzina di uova. Non ho idea di cosa ci faccia qui Jeremiah, ma mi viene voglia di fare il giro d’onore della cucina con le braccia in aria per festeggiare.

Quando i due ragazzi mi raggiungono, ho riacquistato un’espressione di calma apparente. «Ehi, Jeremiah.»

«Ehi, ragazza del vivaio.»

«Be’, faccio anche altre cose.»

«Fidati, lo so» dice lui. «Se non fosse per te, che hai insistito e ti sei immischiata, probabilmente non sarei qui.»

Caleb sorride, facendo correre lo sguardo fra me e il suo amico. Non gli ho mai raccontato della visita di Jeremiah e Cassandra al vivaio.

«Certo, le cose non sono ancora perfette» prosegue, «ma ho preso posizione contro Cassandra e mia madre, e... eccomi qui.»

Caleb si volta verso di me con gli occhi pieni di domande e di gratitudine inespresse. Si passa una mano sulla fronte guardando fuori dalla finestra.

Io comincio a rimettere gli ingredienti nelle borse. Questo momento non riguarda me, né dovrebbe riguardarmi. «Parlate pure, ragazzi. Io mi trasferisco a casa di Heather.»

Con lo sguardo sempre fisso alla finestra, Caleb comincia a dirmi che non è necessario che me ne vada, ma io lo interrompo.

«Meglio che parli con il tuo amico» gli suggerisco, senza nemmeno tentare di nascondere un sorriso. «Avete aspettato fin troppo tempo.»

Quando mi volto, dopo aver finito di riporre gli ingredienti, mi accorgo che Caleb mi sta guardando con un’espressione piena di amore.

«Ci vediamo più tardi.»

«Per le sette va bene?» chiede. «Voglio mostrarti una cosa.»

Sorrido. «Non vedo l’ora.»

Mentre sto per uscire, sento Jeremiah esclamare: «Mi sei mancato, amico».

Il mio cuore si gonfia di gioia, faccio un bel respiro, e apro decisa la porta.

Dopo aver consegnato il nostro ultimo albero insieme a una scatola di biscotti di Natale, Caleb e io facciamo un giro in macchina mentre lui mi aggiorna sul suo ricongiungimento con Jeremiah.

«Non so esattamente quando ci vedremo la prossima volta, perché lui ora ha il suo giro di amicizie e io ho il mio. Ma ci vedremo, il che mi sembra fantastico. Pensavo che non sarebbe mai più successo.»

«Lo è. È fantastico.»

Parcheggiamo davanti alla casa di Caleb. «È merito tuo» dice. «Tu sei fantastica.»

Vorrei che questo momento non finisse mai, noi due vicini sul suo furgoncino, pieni di gratitudine l’uno per l’altro. Invece lui apre la porta facendo entrare una folata di aria fredda.

«Andiamo» mi dice, invitandomi a scendere.

Aggira il furgone per arrivare sul marciapiede e io mi sgranchisco le dita per scaricare la tensione prima di aprire la portiera. Una volta scesa, proseguiamo a piedi tenendoci per mano.

Passiamo davanti a quattro villette e poi svoltiamo in un vicoletto. L’accesso è illuminato da un unico lampione. Il terreno è di asfalto ruvido, con un canaletto di scolo di cemento liscio che scorre nel mezzo.

«Lo chiamiamo il Vicolo dei Garage» mi informa.

Più ci inoltriamo nella stradina, più la luce del lampione si affievolisce. Su entrambi i lati ci sono dei brevi passaggi che conducono ai garage. Delle alte recinzioni in legno delimitano i cortili posteriori impedendo alle luci delle case di arrivare fin lì. Per poco non inciampo nel canale di scolo, ma Caleb mi sostiene per il braccio.

«C’è un’atmosfera un po’ spettrale in questo posto.»

«Spero che tu sia pronta, perché sto per darti una delusione ancora più grande.» Cerca di far assumere un’espressione seria al suo viso in penombra, ma riesco a intravedere un lieve sorriso.

Si ferma nel punto in cui il vicolo si interseca con il vialetto di casa sua, facendomi voltare in modo da dare le spalle al garage. La grande porta di metallo è quasi sepolta all’ombra della sporgenza del tetto. Mi prende la mano e mi tira avanti. Un sensore di movimento installato sopra la porta fa scattare la luce.

«Mia madre ti aveva avvisato. Sono terribile, quando si tratta di sorprese» dice.

Gli do una spinta. «Non dirmi che l’hai fatto!»

«Non di proposito! Non questa volta. Stavo cercando le corde elastiche in garage, e il mio regalo era lì che mi aspettava.»

«Hai rovinato la sorpresa di tua madre?»

«È stata colpa sua!» protesta. «Era proprio là, in bella vista! Ma penso che sarai contenta, perché così posso condividere la sorpresa con te. Non le dirai niente, giusto?»

Non posso crederci. Si sta comportando come una piccola peste, ed è troppo carino per meritare un rimprovero. «Fammi vedere cos’è.»