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poi rinunciò: malgrado gli sforzi dell'inquisitore generale per ottenerla, il Santo Uffizio non aveva giurisdizione su ebrei e mori. Nicolau non poteva arrestarlo.
«Mi chiamo Sahat di Pisa», disse Guillem alzando la voce, « e vorrei parlare con voi.»
«Non ho niente da dire a un infedele. Cacciate questo...»
«Credo che quello che io ho da dirvi dovrebbe interessarvi.»
«M'importa assai poco quello che tu possa credere.»
Nicolau fece un gesto all'ufficiale, che sguainò la spada.
«Forse vi importerà sapere che Arnau Estanyol è abatut», insistette Guillem cominciando a indietreggiare alla minaccia dell'ufficiale. « Non potrete disporre di un soldo del suo patrimonio.»
Nicolau sospirò e guardò il soffitto. Senza bisogno di ordini espressi, l'ufficiale smise di incalzare Guillem.
«Spiegati, infedele», lo esortò l'inquisitore.
«Avete i libri di Arnau Estanyol: controllateli.»
«Credi che non l'abbiamo fatto?»
«Sappiate che i debiti del re sono stati condonati.»
Guillem in persona aveva firmato il mandato e l'aveva consegnato a Francesc di Perellós. Arnau non era mai arrivato a revocare i suoi poteri, come il moro aveva avuto modo di verificare nei libri del magistrato municipale dei cambi.
Nicolau incassò, impassibile. Tutti nella sala pensarono alla stessa cosa: ecco perché il governatore non era intervenuto.
Passarono alcuni istanti, durante i quali Guillem e Nicolau si studiarono. Guillem sapeva cosa passava per la testa dell'inquisitore. Cosa dirai adesso al tuo papa? Come gli pagherai la somma che gli hai promesso? Hai già spedito la lettera; non hai nessuna possibilità di intercettarla prima che arrivi a destinazione. Cosa gli dirai? Non puoi fare a meno del suo appoggio davanti a un re che non hai fatto altro che sfidare...
«E cosa c'entri tu con tutto questo? » chiese alla fine Nicolau.
«Posso spiegarvelo... in privato», pretese Guillem in risposta alla smorfia che gli aveva rivolto Nicolau.
«La città si solleva contro l'Inquisizione e adesso un semplice infedele pretende che io gli conceda un'udienza privata?» strillò lagnoso Nicolau. « Ma cosa vi siete messi in testa?»
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Cosa dirai al tuo papa? gli chiese Guillem con un'occhiata silenziosa. Vuoi forse che tutta Barcellona sappia dei tuoi intrallazzi?
«Perquisitelo!» ordinò l'inquisitore all'ufficiale, « controllate che non sia armato e poi accompagnatelo nell'anticamera del mio ufficio. Aspettate lì il mio arrivo.»
Sorvegliato dall'ufficiale e dai soldati, Guillem rimase in piedi nell'anticamera dell'inquisitore. Non aveva mai avuto il coraggio di raccontare ad Arnau da dove aveva avuto origine la sua fortuna, ovvero dall'importazione di schiavi. Una volta condonati i debiti del re, se l'Inquisizione espropriava il patrimonio di Arnau riscattava anche i suoi debiti, e solo lui, Guillem, sapeva che le note a favore di Abraham Levì erano false; se lui non mostrava il mandato di pagamento firmato a suo tempo dall'ebreo, il patrimonio di Arnau era inesistente.
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Non appena mise piede in piazza Nova, Francesca si allontanò dal portone e si appoggiò di schiena alle mura del palazzo. Da lì vide la gente che si lanciava su Arnau e i consiglieri che cercavano inutilmente di mantenere un cordone attorno a lui. « Guarda tuo figlio!» Le parole che le aveva detto Nicolau riuscivano ancora a coprire le grida della host. Non volevi che lo guardassi, inquisitore? Ebbene, eccolo lì, e ti ha battuto. Francesca si alzò in punta di piedi contro la parete quando vide che Arnau si accasciava, ma subito dopo la gente lo fece sparire dalla sua visuale e tutto si ridusse a un mare di teste, armi, bandiere e, al centro, la piccola Madonna, che oscillava violentemente.
A poco a poco, sempre gridando ed esibendo le armi, la host entrò in via del Bisbe. Francesca non si mosse da dove si trovava. Aveva bisogno di puntellarsi al muro: le gambe non la reggevano più. Quando la piazza cominciò a svuotarsi, le due donne si videro. Aledis non aveva voluto seguire Mar e Joan: era impossibile che Francesca si trovasse insieme ai consiglieri. Una vecchia come lei... Ed eccola lì! Sentì un nodo stringerle sempre più forte la gola vedendo Francesca aggrappata all'unico appiglio che era riuscita a trovare, piccola, rattrappita, indifesa...
Si lanciò verso di lei nello stesso istante in cui i soldati dell'Inquisizione, approfittando dell'allontanamento della host, cominciavano ad affacciarsi ai portoni del palazzo vescovile. Francesca era rimasta a un passo dalla soglia.
«Strega!» le sputò addosso il primo soldato.
Aledis si bloccò a poca distanza da Francesca e dai soldati.
«Lasciatela!» gridò. Davanti al palazzo si erano ormai raccolte parecchie guardie. « Lasciatela o li richiamo indietro!» li minacciò, indicando le ultime persone che svoltavano in via del Bisbe.
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Alcuni soldati guardarono in quella direzione, ciò nonostante uno sguainò la spada.
«L'inquisitore approverà l'uccisione di una strega», disse.
Francesca non guardò neppure i soldati. I suoi occhi fissavano la donna che le era corsa incontro. Quanti anni avevano passato, insieme? Quante sofferenze avevano condiviso?
«Lasciatela, cani!» gridò Aledis facendo qualche passo indietro e indicando la host. Voleva correre a richiamarla, ma il soldato aveva già alzato l'arma contro Francesca. La lama sembrava più grande di lei.
«Lasciatela!» gemette.
Francesca vide Aledis che si portava le mani al viso e cadeva in ginocchio. L'aveva raccolta a Figueras, e da allora... Sarebbe morta senza riabbracciarla?
Il soldato aveva già teso tutti i muscoli del corpo per sferrare il colpo, quando gli occhi di Francesca lo trafissero.
«Le streghe non muoiono trapassate dalla spada», l'avvertì con voce serena.
L'arma tremò nelle mani del soldato. Cosa diceva, quella donna?
«Solo il fuoco purifica la morte di una strega.»
Era vero? L'uomo cercò l'appoggio dei compagni, ma questi cominciarono a indietreggiare.
«Se mi uccidi con la spada ti perseguiterò per tutta la vita, e lo stesso vale per tutti voi!»
Nessuno immaginava che da quel corpo potesse uscire il grido che avevano appena ascoltato. Aledis alzò lo sguardo.
«Perseguiterò tutti voi!» sussurrò poi Francesca, « e farò altrettanto con le vostre mogli e i vostri figli, e con i figli dei vostri figli e le loro mogli. Io vi maledico!» Francesca si scostò dal muro cui era rimasta appoggiata fino a quel momento. Gli altri soldati si erano già ritirati: restava solo quello con la spada alzata. « Io ti maledico!» gli disse additandolo, « uccidimi, e il tuo cadavere non avrà pace. Mi trasformerò in migliaia di vermi e divorerò i tuoi organi. Mi prenderò i tuoi occhi per l'eternità.»
Mentre Francesca continuava a minacciare il soldato, Aledis si alzò e le si avvicinò. Le passò un braccio intorno alle spalle e, lentamente, cominciò ad allontanarla.
«I tuoi figli avranno la lebbra...» le due passarono sotto la
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spada del soldato, « tua moglie diventerà la puttana del diavolo...»
Non si girarono a guardarlo. Il soldato rimase un pezzo con la spada levata, poi l'abbassò e si girò verso le due figure che attraversavano lentamente la piazza.
«Andiamocene di qui, figlia mia», disse Francesca non appena si ritrovarono nella via del Bisbe, ormai deserta.
Aledis rabbrividì.
«Devo passare dalla locanda...»
«No, no. Andiamocene, adesso. Senza perdere un istante.»
«E Teresa? Ed Eulàlia...?»
«A loro faremo avere un messaggio», rispose Francesca stringendo a sé la ragazza di Figueras.
Arrivate nella piazza di Sant Jaume, costeggiarono il ghetto, dirette alla porta della Boqueria, la più vicina. Camminavano abbracciate, in silenzio.
«E Arnau? » chiese Aledis.
Francesca non rispose.
La prima parte era riuscita secondo i piani. In quel momento, Arnau doveva essere con i bastaixos, nella piccola imbarcazione di cabotaggio che Guillem aveva noleggiato. I patti con l'infante don Giovanni erano stati precisi. Guillem ricordò le sue parole: « L'unico impegno che si prende il luogotenente», gli aveva detto Francesc di Perellós dopo averlo ascoltato, « è di non affrontare la host di Barcellona, ma non sfiderà in nessun caso l'Inquisizione, non cercherà di forzarla a fare qualcosa e tantomeno metterà in dubbio le sue risoluzioni. Se il tuo piano funziona ed Estanyol viene liberato, l'infante non lo difenderà se l'Inquisizione lo arresta una seconda volta o lo condanna. È chiaro? » Guillem aveva annuito e gli aveva consegnato il mandato di pagamento dei prestiti concessi da Arnau al re. Adesso restava la seconda parte: convincere Nicolau che Arnau era rovinato e non c'era più granché da ottenere con un suo nuovo arresto o una condanna. Avrebbero potuto fuggire tutti a Pisa e lasciare i beni di Arnau in mano all'Inquisizione; di fatto li avevano già sequestrati, e la condanna di Arnau, anche in assenza dell'imputato, avrebbe comportato la loro confisca. Per questo
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motivo Guillem doveva cercare di ingannare Eymerich: non aveva niente da perdere e molto, invece, da guadagnare: la tranquillità di Arnau, che non sarebbe stato perseguitato dall'Inquisizione vita naturai durante.
Nicolau lo fece aspettare diverse ore, al termine delle quali apparve accompagnato da un piccolo ebreo vestito con la finanziera nera di rigore, su cui spiccava una rotella gialla. L'ebreo aveva parecchi libri sotto il braccio e seguiva l'inquisitore con passetti corti e veloci. Evitò di guardare Guillem quando Nicolau ordinò a entrambi, con un cenno, di entrare nell'ufficio.
Non li invitò a sedere; lui in compenso si accomodò alla scrivania.
«Se quello che dici è vero», cominciò rivolgendosi a Guillem, « Estanyol è abatut.»
«Voi sapete che è così », sottolineò Guillem; « il re non darà un soldo ad Arnau Estanyol.»
«In questo caso, potrei far chiamare il magistrato municipale dei cambi», disse l'inquisitore. « Sarebbe buffo che la stessa città che l'ha liberato dal Santo Uffizio lo giustiziasse in quanto abatut.»
Questo non accadrà mai, fu tentato di rispondergli Guillem, io posseggo la libertà di Arnau; mi basterebbe presentare il mandato di pagamento di Abraham Levì... No. Nicolau non l'aveva ricevuto per minacciarlo di denunciare Arnau al magistrato municipale. Voleva i suoi soldi, quelli che aveva promesso al papa, i soldi di cui quell'ebreo, sicuramente amico di Jucef, gli aveva detto di poter disporre.
Tacque.
«Potrei farlo», insistette Nicolau.
Guillem aprì le mani e l'inquisitore lo scrutò.
«Chi sei? » gli chiese alla fine.
«Mi chiamo...»
«Sì, sì », lo interruppe Eymerich con un cenno, « ti chiami Sahat di Pisa. Quello che vorrei sapere è cosa ci fa un pisano a Barcellona, a difendere un eretico.»
«Arnau Estanyol ha molti amici, anche a Pisa.»
«Infedeli ed eretici!» gridò Nicolau.
Guillem aprì di nuovo le mani. Quanto ci avrebbe messo a
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cedere al denaro? Nicolau parve capire. Rimase in silenzio per qualche istante.
«Cos'hanno da proporre all'Inquisizione, questi amici di Arnau Estanyol? » cedette finalmente.
«In quei libri», disse Guillem indicando il piccolo ebreo, che non aveva staccato gli occhi dal tavolo di Nicolau, « è stata registrata una fortuna, che Arnau Estanyol deve a un suo creditore.»
Per la prima volta, l'inquisitore si rivolse all'ebreo.
«È vero?»
«Sì », rispose l'altro. « Dall'inizio della sua attività Arnau ha appuntato quanto doveva a un certo Abraham Levì...»
«Un altro eretico!» lo interruppe Nicolau.
I tre rimasero in silenzio.
«Prosegui», ordinò l'inquisitore.
«Questa cifra si è moltiplicata nel corso degli anni. A oggi dovrebbe aver superato le quindicimila libbre.»
Un lampo, che non sfuggì a Guillem né all'ebreo, squarciò gli occhi socchiusi dell'inquisitore.
«E allora? » chiese rivolgendosi a Guillem.
«Gli amici di Estanyol potrebbero fare in modo che quest'ebreo rinunci al suo credito.»
Nicolau si rilassò comodamente sulla sedia di legno.
«Il vostro amico», disse, « è libero. I soldi non si regalano. Perché un uomo, per quanto amico gli sia, dovrebbe rinunciare a quindicimila libbre?»
«Arnau Estanyol è stato solo liberato dalla host.»
Guillem sottolineò il « solo»: di fatto, Arnau poteva considerarsi ancora sottomesso al Santo Uffizio. Quello era il momento. L'aveva soppesato durante le ore d'attesa in anticamera, mentre guardava le spade degli ufficiali dell'Inquisizione. Non doveva sottovalutare l'intelligenza di Nicolau. L'Inquisizione non aveva giurisdizione su un moro... a meno che Nicolau non dimostrasse che costui l'aveva attaccata direttamente. Non poteva in alcun caso proporre un patto a un inquisitore, doveva essere Eymerich a fare l'offerta: un infedele non poteva cercare di comprare il Santo Uffizio.
Nicolau lo incoraggiò a continuare con un'occhiata. Non cadrò nella tua trappola! pensò Guillem.
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«Può darsi che abbiate ragione», disse Guillem. « Di sicuro non c'è un motivo logico per cui qualcuno versi una tale cifra quando ormai Arnau è stato liberato.»
Gli occhi dell'inquisitore si ridussero a due fessure.
«Non so perché mi abbiano mandato qui, mi hanno detto che voi avreste capito, ma condivido in pieno la vostra opinione. Mi spiace di avervi fatto perdere tempo.»
Guillem aspettò che Nicolau si decidesse. Quando l'inquisitore si alzò e aprì gli occhi, il moro capì di aver vinto.
«Andate», ordinò all'ebreo. Non appena l'ometto si fu chiuso la porta alle spalle, Nicolau proseguì, senza invitarlo, neanche stavolta, a sedersi. « Il vostro amico è libero, è vero, ma il processo contro di lui non si è concluso. Ho la sua confessione. Anche se libero, posso condannarlo in quanto eretico recidivo. L'Inquisizione», proseguì come se parlasse tra sé e sé, « non può eseguire le condanne a morte; dev'essere il braccio secolare, il re. I vostri amici», aggiunse rivolgendosi a Guillem, « devono sapere che la volontà del re è volubile. Forse un giorno...»
«Sono sicuro che tanto voi quanto sua maestà farete quello che dovrete», rispose Guillem.
«Il re ha ben chiaro cosa deve fare: lottare contro gli infedeli e diffondere la cristianità in ogni angolo del regno, ma la Chiesa... spesso è difficile capire qual è la scelta migliore da compiere per gli interessi di un popolo che non ha frontiere. Il vostro amico, Arnau Estanyol, ha confessato la propria colpa, e questa confessione non può restare impunita.» Nicolau si fermò e rimase a spiare la reazione di Guillem.
Devi essere tu, insistette questi con lo sguardo.
«Ciò nonostante», proseguì l'inquisitore davanti al silenzio del suo interlocutore, « la Chiesa e l'Inquisizione devono essere benevolenti, se così facendo riescono a soddisfare altri bisogni che, alla lunga, giovano maggiormente al bene comune. I tuoi amici, quelli che ti hanno mandato, accetterebbero una condanna minore?»
Non ho intenzione di negoziare con te, Eymerich, pensò Guillem. Solo Allah, lode sia al suo nome, sa cosa potresti ottenere se mi imprigionassi, solo Lui sa se dietro queste pareti ci
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sono occhi che ci guardano e orecchie che ci ascoltano. Devi essere tu a proporre la soluzione.
«Nessuno metterà mai in discussione le decisioni dell'Inquisizione», gli rispose.
Nicolau si agitò sulla sedia.
«Hai richiesto un'udienza privata dicendo di avere qualcosa che poteva interessarmi. Hai detto che certi amici di Arnau Estanyol potrebbero fare in modo che il suo maggiore creditore rinunciasse a un credito del valore di quindicimila libbre. Cos'è che vuoi, infedele?»
«So quello che non voglio», si limitò a rispondere Guillem.
«E sia», disse Nicolau alzandosi. «Una condanna minima: uno scapolare da indossare tutte le domeniche per un anno nella cattedrale, e in cambio i tuoi amici faranno in modo che l'ebreo rinunci al suo credito.»
«Nella chiesa di Santa Maria», Guillem si sorprese a dire: le parole gli erano salite dal profondo del cuore. Dove, se non in Santa Maria, Arnau avrebbe potuto scontare quell'onta?
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Mar cercò di seguire il gruppo che trasportava Arnau, ma la calca della folla riunita glielo impediva. Ricordò le ultime parole di Aledis: «Abbi cura di lui», le aveva gridato sovrastando il frastuono della host. Sorrideva.
Mar si era lanciata all'inseguimento, travolta dal fiume umano che la trascinava via.
«Abbi molta cura di lui», aveva ripetuto Aledis mentre Mar continuava a guardarla, cercando di schivare quanti le arrivavano addosso. «Avrei voluto farlo io, molti anni fa...»
E, d'improvviso, era scomparsa.
Mar fu sul punto di cadere e di finire calpestata. « La host non è roba da donne», la rimproverò un uomo che si era fatto scrupolo di scostarla di lì a strattoni. Riuscì a girarsi, cercò i baluardi che stavano ormai entrando nella piazza di Sant Jaume, in fondo a via del Bisbe. Per la prima volta, quella mattina, Mar accantonò le lacrime e dalla gola le uscì invece un grido che mise a tacere quanti la circondavano. Non pensò neanche a Joan. Gridò, spinse, scalciò chiunque la precedesse e cominciò ad aprirsi un varco a forza di gomitate.
La host si concentrò in piazza del Blat. Mar era piuttosto vicino alla Madonna, la quale, sulle spalle dei bastaixos, ballava sulla pietra che segnava il centro della piazza, ma Arnau... Mar credette di scorgere alcuni uomini impegnati in una discussione con i consiglieri della città. Tra loro... Sì, era lì! Le mancavano solo pochi passi, ma nella piazza la folla si infittiva. Graffiò il braccio di un uomo che rifiutava di farsi da parte. Lui sguainò un pugnale e per un attimo... ma poi scoppiò a ridere e le cedette il passo. Dietro di lui doveva esserci Arnau, ma quando lo aggirò si trovò davanti solo i consiglieri e il proboviro dei bastaixos,
«Dov'è Arnau? » gli chiese, ansimante e sudata.
L'uomo, imponente, con la chiave della Sacra Urna appesa al
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collo, abbassò gli occhi per guardarla. Era un segreto, l'Inquisizione...
«Sono Mar Estanyol », gli disse mangiandosi le parole. « Sono la figlia del povero Ramon, il bastaix. Devi averlo conosciuto.»
No, non l'aveva conosciuto, ma aveva sentito parlare di lui, e della figlia, quella che Arnau aveva adottato.
«Corri alla piazza», si limitò a dirle.
Mar attraversò la piazza e volò per via del Mar, ormai sgombra della gente della host. Li raggiunse all'altezza del consolato: un gruppo di sei bastaixos portava in spalla Arnau, ancora stordito.
Mar fece per lanciarsi verso di loro, ma prima che potesse farlo uno dei bastaixos la intercettò. Le istruzioni del pisano erano state precise: nessuno doveva sapere dove si sarebbe rifugiato Arnau.
«Lasciami!» gridò Mar scalciando l'aria.
Il bastaix la teneva stretta per la cintura, cercando di non farle male. Non pesava neanche la metà dei macigni o dei colli che sollevava ogni giorno.
«Arnau! Arnau!»
Quante volte aveva sognato di sentire quella voce? Quando apriva gli occhi si vedeva in aria, sulle braccia di uomini di cui non riusciva neanche a scorgere i volti. Lo portavano da qualche parte, in gran fretta, in silenzio. Cosa stava succedendo? Dove si trovava? Arnau! Sì, era lo stesso grido che avevano lanciato in silenzio gli occhi di una ragazza che lui aveva tradito, nella masseria di Felip di Ponts.
Arnau! La spiaggia... I ricordi si confondevano con il rumore delle onde e la brezza profumata di salmastro. Cosa ci faceva, sulla spiaggia?
«Arnau!»
La voce gli giunse lontana.
I bastaixos entrarono in acqua, dirigendosi alla barca che doveva portare Arnau fino al leuto affittato da Guillem, in attesa davanti alla spiaggia. L'acqua del mare schizzò Arnau.
«Arnau...»
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«Aspettate», balbettò lui cercando di tirarsi su, «quella voce... Chi è?»
«Una donna», rispose uno di loro. « Ma non creerà problemi. Dobbiamo...»
Arnau riusciva appena a reggersi in piedi, accanto alla barca, sorretto per le ascelle dai bastaixos. Guardò verso la spiaggia. « Mar ti aspetta.» Le parole di Guillem avevano gettato il silenzio su tutto quello che lo circondava. Guillem, Nicolau, l'Inquisizione, le segrete: tutto gli mulinò nella testa.
«Oddio!» esclamò. « Portatela qui, ve ne supplico!»
Uno dei bastaixos corse verso il punto in cui Mar era stata trattenuta.
Arnau la vide corrergli incontro.
I bastaixos, che la fissavano a loro volta, distolsero lo sguardo quando Arnau si liberò da loro. Sembrava quasi che l'onda più dolce potesse travolgerlo lambendogli appena i polpacci.
Mar si fermò davanti ad Arnau, che aveva le braccia distese lungo i fianchi, e a quel punto vide la lacrima che gli scivolava lungo la guancia. Si avvicinò e la raccolse con le labbra.
Non si dissero una parola. Lei stessa aiutò i bastaixos a issarlo sulla barca.
Non sarebbe servito a nulla affrontare il re in modo tanto diretto.
Da quando Guillem se n'era andato, Nicolau camminava avanti e indietro nel suo ufficio. Se Arnau non aveva più soldi, non gli sarebbe servito a niente condannarlo. Il papa non l'avrebbe mai dispensato dalla promessa che gli aveva fatto. Il pisano lo teneva in pugno: se voleva rispettare i patti con il pontefice...
Alcuni colpi alla porta distrassero il filo dei suoi pensieri, ma dopo aver guardato un attimo in quella direzione, Nicolau proseguì la sua marcia.
Sì, una condanna minore avrebbe salvato la sua reputazione di inquisitore, gli avrebbe evitato uno scontro con il re e gli avrebbe fornito abbastanza denaro per...
Stavano di nuovo bussando alla porta.
Nicolau si girò a fissarla.
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Gli sarebbe piaciuto mandare al rogo quell'Estanyol. E la madre? Cosa ne era stato della vecchia? Sicuramente aveva approfittato della confusione per...
I colpi rimbombarono all'interno della stanza. Nicolau, vicino alla porta, l'aprì con violenza.
«Cosa...?»
Jaume di Bellera, con il pugno levato, stava per bussare di nuovo.
«Cosa volete? » chiese l'inquisitore guardando l'ufficiale che avrebbe dovuto montare la guardia nell'anticamera e che adesso era lì, rannicchiato sotto la spada di Genìs Puig. « Come osate minacciare un soldato del Santo Uffizio? » ruggì.
Genìs allontanò la spada e guardò il suo compare.
«Stiamo aspettando da parecchio», rispose il signore di Navarcles.
«Non desidero ricevere nessuno», disse Nicolau all'ufficiale, ormai libero dall'assillo di Genìs, « ve l'ho già detto.»
L'inquisitore fece per richiudere la porta, ma Jaume di Bellera glielo impedì.
«Sono un barone catalano», disse sottolineando le parole, « e merito il rispetto dovuto alla mia condizione.»
Genìs annuì alle parole dell'amico e, spada alla mano, si mise nuovamente davanti all'ufficiale, che cercava di correre in aiuto dell'inquisitore.
Nicolau guardò negli occhi il signore di Bellera. Poteva chiedere aiuto; il resto della guardia non avrebbe tardato ad accorrere, ma quegli occhi esasperati... Chi poteva dire di cosa erano capaci due uomini abituati a imporre la loro volontà? Sospirò. Evidentemente, quella giornata era proprio nata storta.
«Ebbene, barone», cedette, « cosa volete?»
«Avevate promesso di condannare Arnau Estanyol, e invece l'avete lasciato fuggire.»
«Non ricordo di aver promesso niente. Quanto ad averlo lasciato fuggire... È stato il vostro re, quello la cui nobiltà sbandierate voi per primi, a non essere corso in aiuto della Chiesa. Andate da lui a chiedere spiegazioni.»
Jaume di Bellera balbettò qualche parola incomprensibile, gesticolando.
«Potete ancora condannarlo!» disse alla fine.
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«E fuggito», addusse Nicolau.
«Noi ve lo riporteremo!» gridò Genìs Puig, minacciando di nuovo l'ufficiale, ma senza smettere di guardare loro.
Nicolau posò gli occhi sul cavaliere: perché mai doveva dargli spiegazioni?
«Vi forniremo prove sufficienti del suo peccato», intervenne Jaume di Bellera. « L'Inquisizione non può...»
«Quali prove? » sbraitò Eymerich. Quei due pedanti gli stavano dando modo di salvare il suo onore. Se avesse inficiato quelle prove... «Quali prove?» ripete. «La denuncia di un indemoniato come voi, barone?»
Jaume di Bellera cercò di intervenire, ma Nicolau glielo impedì agitando violentemente una mano.
«Ho cercato i documenti che secondo voi avrebbe redatto il vescovo alla vostra nascita.»
I due si guardarono, fronteggiandosi.
«E non li ho trovati, sapete?»
Genìs Puig lasciò cadere la mano con cui reggeva la spada.
«Devono essere negli archivi del vescovado», si difese Jaume di Bellera.
Nicolau si limitò a scuotere il capo.
«E voi, cavaliere? » gridò Nicolau rivolgendosi a Genìs. « Cosa avete voi, contro Arnau Estanyol? » L'inquisitore riconobbe in Genìs la paura di chi nasconde qualcosa. D'altronde, era il suo mestiere. «Sapete che mentire all'Inquisizione è un crimine?»
Genìs cercò l'appoggio di Jaume di Bellera, ma il nobile aveva lo sguardo perso in un qualche punto dell'ufficio dell'inquisitore. Era solo.
«Cosa mi dite, cavaliere?»
Genìs cercò di evitare lo sguardo dell'inquisitore.
«Cosa vi ha fatto, il banchiere? » si accanì Nicolau. « Vi ha mandato in rovina, forse?»
Genìs rispose. Fu solo un istante, un istante in cui con la coda dell'occhio guardò l'inquisitore. Sì, era così. Cosa poteva fare un banchiere a un nobile, se non rovinarlo?
«Non me», rispose ingenuamente.
«Non voi? Vostro padre, allora?»
Genìs abbassò gli occhi.
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«Avete cercato di approfittare del Santo Uffizio con la menzogna! Avete denunciato il falso per una vendetta personale!»
Jaume di Bellera tornò alla realtà sferzato dalle grida dell'inquisitore.
«Ha bruciato suo padre», insistette Genìs con appena un filo di voce.
Nicolau diede una manata all'aria con il palmo aperto. Cosa gli conveniva fare, adesso? Arrestarli e sottoporli a giudizio significava solo mantener viva l'attenzione su una questione che era preferibile seppellire al più presto.
«Vi presenterete dal notaio e ritirerete entrambi le vostre denunce, in caso contrario... Siamo intesi?» gridò davanti alla passività di entrambi.
I due annuirono.
«L'Inquisizione non può giudicare un uomo basandosi su false testimonianze. Andate», concluse, accompagnando l'ordine con un cenno rivolto all'ufficiale.
«Hai giurato sul tuo onore di vendicarti», ricordò Genìs Puig a Jaume di Bellera quando si avvicinarono alla porta.
Nicolau intercettò l'allusione del cavaliere. E sentì anche la risposta.
«Nessun Navarcles ha mai infranto il giuramento fatto», affermò Jaume di Bellera.
L'inquisitore generale socchiuse gli occhi. Ne aveva abbastanza: aveva lasciato in libertà un prigioniero, aveva appena ordinato a due testimoni di ritirare le rispettive denunce, stava chiudendo un accordo commerciale con... un pisano? Non sapeva neanche chi fosse! E se Jaume di Bellera avesse adempiuto al suo giuramento prima che lui fosse riuscito a mettere le mani sulla fortuna rimasta ad Arnau, il pisano avrebbe ancora rispettato l'accordo? Quella storia doveva essere messa a tacere definitivamente.
«In tal caso», ruggì alle spalle dei due uomini, « lei sarebbe il primo Navarcles a farlo.»
Si girarono entrambi.
«Cosa dite? » esclamò Jaume di Bellera.
«Che il Santo Uffizio non può permettere che due...» e fece un gesto sprezzante con la mano, « secolari mettano in dubbio
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il verdetto che ha emesso. Questa è la giustizia divina. Non esiste altra vendetta! Avete capito, Bellera?»
Il nobile parve esitare.
«Provate ad adempiere a quel giuramento, e io vi processerò in quanto indemoniato. Mi avete capito, adesso?»
«Ma un giuramento...»
«Nel nome della Santa Inquisizione, ve ne dispenso.»
Jaume di Bellera annuì.
«E voi», aggiunse Eymerich rivolgendosi a Genìs Puig, « vi guarderete bene dal vendicare quello che l'Inquisizione ha già giudicato. Sono stato chiaro?»
Genìs Puig annuì.
Il leuto, una piccola imbarcazione di dieci metri di lunghezza con vela latina, aveva cercato riparo in una caletta della costa di Garraf, nascosta dal passaggio di altre imbarcazioni e alla quale si poteva accedere solo dal mare.
Un capanno, precariamente costruito dai pescatori con i detriti che il Mediterraneo gettava nella cala, rompeva la monotonia degli scogli grigi che lottavano con il sole per restituire la luce e il calore con cui li accarezzava.
Il pilota del leuto aveva ricevuto, insieme a una buona borsa di monete, ordini precisi da parte di Guillem: « Lascialo lì con un marinaio di fiducia, acqua e cibo a sufficienza, e poi dedicati al cabotaggio, ma scegliendo porti vicini, per tornare a Barcellona almeno ogni due giorni a ricevere le mie istruzioni; avrai altro denaro quando tutto sarà finito», gli aveva promesso per assicurarsi la sua lealtà. Non sarebbe stato necessario: Arnau era amato dalla gente di mare, che lo considerava un console giusto. L'uomo aveva accettato comunque quel buon compenso, tuttavia non aveva fatto i conti con Mar: la ragazza si era rifiutata di dividere con chiunque altro le attenzioni per Arnau.
«Penserò io a lui», lo aveva rassicurato quando furono sbarcati nella caletta ed ebbero sistemato Arnau nel capanno.
«Ma il pisano...» cercò di intervenire il pilota.
«Di' al pisano che c'è Mar con lui, e se solleva qualche obiezione, torna con il tuo marinaio.»
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Si era espressa con un'autorità davvero insolita in una donna. Il pilota la guardò e cercò di nuovo di imporsi.
«Vattene», si limitò a ordinargli lei.
Quando il leuto scomparve dietro gli scogli che proteggevano la caletta, Mar tirò un respiro profondo e alzò il viso al cielo. Quante volte si era impedita di accarezzare certe fantasie? Quante volte, con il ricordo di Arnau sempre presente, aveva cercato di convincersi che il suo destino fosse un altro? E adesso... Guardò il capanno. Lui stava ancora dormendo. Durante la traversata, Mar aveva verificato che non avesse la febbre e non fosse ferito. Si era seduta sul bordo, a gambe incrociate, tenendo in grembo la testa di Arnau.
Lui aveva aperto gli occhi alcune volte, l'aveva guardata e poi li aveva richiusi con un sorriso sulle labbra. Lei, con entrambe le mani, aveva preso una delle sue, e ogni volta che Arnau la guardava gliela stringeva finché lui, di nuovo, si abbandonava sereno al sonno. Così, una volta dopo l'altra, come se Arnau volesse accertarsi che la sua presenza fosse reale. E adesso... Mar tornò al capanno e si sedette ai piedi dell'uomo.
Per due giorni Guillem girò per Barcellona, ricordando i luoghi che per tanto tempo erano stati parte della sua vita. Le cose erano cambiate poco nei cinque anni in cui era stato a Pisa. Malgrado la crisi, la città era in fermento. Barcellona era sempre aperta sul mare, difesa solo dalle tasques su cui Arnau era andato ad arenarsi con la baleniera quando Pietro il Crudele aveva minacciato con la sua flotta le coste della città comitale. Nel frattempo, si era continuato a innalzare le mura occidentali ordinate da Pietro III. Procedeva anche la costruzione dei cantieri reali. Fino a quando non fossero stati terminati, le imbarcazioni avrebbero attraccato, sarebbero state riparate nei vecchi cantieri, ai piedi della spiaggia, davanti alla torre di Regomir. Lì, Guillem si lasciò portare dal forte odore di catrame con cui i calafati, dopo averlo mescolato con la stoppa, impermeabilizzavano le navi. Osservò il lavoro dei maestri d'ascia, dei fabbricanti di remi, dei fabbri e dei cordaioli. Tempo addietro accompagnava Arnau a ispezionare il lavoro di questi ultimi per verificare che nei canapi destinati a diventare cavi e sartiame
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non mescolassero la canapa vecchia con la nuova. Passeggiavano tra le imbarcazioni, scortati solennemente dai maestri d'ascia. Dopo aver controllato le corde, Arnau andava, immancabilmente, dai calafati. Allontanava chiunque l'avesse accompagnato e, accanto a lui, sotto gli occhi attenti di tutti gli altri, parlava con loro in privato.
«Il loro è un lavoro essenziale. La legge gli proibisce di lavorare a cottimo», aveva spiegato a Guillem la prima volta. Per questo il console parlava con i calafati, per sapere se qualcuno di loro, spinto dalla necessità, venisse meno a quella norma volta a garantire la sicurezza delle navi.
Guillem osservò uno di loro che, in ginocchio, ripassava minuziosamente la giuntura appena calafatata. La scena lo costrinse a chiudere gli occhi. Serrò le labbra e scosse la testa. Avevano lottato spesso l'uno accanto all'altro, e adesso Arnau era bloccato in una caletta in attesa che l'inquisitore lo condannasse a una pena minore. Cristiani! Almeno aveva con sé Mar... la sua bambina. Guillem non si era stupito quando il pilota del leuto, dopo aver lasciato Mar e Arnau, era tornato al mercato del grano e gli aveva riferito l'accaduto. Quella era la sua bambina!
«Buona fortuna, tesoro!» aveva mormorato.
«Come dite?»
«Niente, niente. Avete fatto bene. Uscite dal porto e tornate da loro tra un paio di giorni.»
Il primo giorno non ebbe notizie da Eymerich. Il secondo tornò ad addentrarsi nelle vie di Barcellona. Non poteva continuare ad aspettare al mercato del grano; vi lasciò i propri servi con l'ordine di cercarlo ovunque se qualcuno fosse andato a chiedere di lui.
I quartieri dei mercanti erano rimasti tali e quali. Barcellona si poteva girare a occhi chiusi, lasciandosi guidare dal particolare odore che regnava in ognuno di loro. La cattedrale, come Santa Maria o la chiesa del Pi, erano ancora in costruzione, benché il tempio dedicato al mare fosse a uno stadio molto più avanzato rispetto agli altri due. Anche Santa Clara e Santa Anna erano in cantiere. Guillem si fermò davanti a ogni chiesa per osservare il lavoro dei falegnami e dei muratori. E le mura del mare? E il porto? Curiosi, quei cristiani...
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«Chiedono di voi al mercato», gli disse ansimando uno dei suoi servi, il terzo giorno.
Hai già ceduto, Nicolau? si chiese Guillem affrettandosi a raggiungere il mercato del grano.
Nicolau Eymerich firmò la sentenza in presenza di Guillem, in piedi davanti alla scrivania. Poi la sigillò e gliela consegnò in silenzio. Guillem prese il documento e lo lesse seduta stante.
«In fondo, in fondo», lo incalzò l'inquisitore.
Aveva costretto lo scrivano a lavorare tutta la notte, e non sarebbe rimasto tutto il giorno ad aspettare che quell'infedele lo leggesse.
Guillem guardò Nicolau alzando gli occhi dal documento e poi continuò a leggere le considerazioni dell'inquisitore. Dunque Jaume di Bellera e Genìs Puig avevano ritirato la loro denuncia: come ci era riuscito Nicolau? La testimonianza di Margarida Puig veniva inficiata da Nicolau dopo che il tribunale aveva saputo che la famiglia di questa era stata rovinata a causa degli affari con Arnau. E quella di Elionor... non teneva conto della devozione e della sottomissione che ogni moglie deve al proprio marito!
Inoltre, Elionor sosteneva che l'imputato avesse abbracciato pubblicamente un'ebrea con la quale aveva rapporti carnali, e citava come testimoni di questo fatto risaputo lo stesso Nicolau Eymerich e il vescovo Berenguer d'Erill. Guillem scrutò nuovamente Nicolau staccando gli occhi dalla sentenza, e l'inquisitore resse il suo sguardo. « Non è vero», diceva Nicolau, « che l'imputato abbracciasse una donna ebrea nel momento a cui fa riferimento donna Elionor. Né io né Berenguer d'Erill, cofirmatario della sentenza», Guillem passò all'ultima pagina per controllare che ci fossero la firma e il sigillo del vescovo, « potremmo corroborare tale denuncia. Il fumo, il fuoco, la confusione, l'eccitazione, una qualsiasi di queste circostanze», proseguiva Nicolau, « potrebbero aver fatto credere a una donna, debole per natura, di assistere a una scena del genere. Essendo, dunque, notoriamente falsa l'accusa lanciata da donna Elionor riguardo alla relazione di Arnau con un'ebrea, si può dare ben poca credibilità anche al resto della sua denuncia.»
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Guillem sorrise.
Gli unici fatti che potevano al di là di ogni dubbio considerarsi perseguibili erano quelli denunciati dai sacerdoti di Santa Maria del Mar. Le parole blasfeme, del resto, erano state ammesse dall'imputato, benché lo stesso se ne fosse mostrato pentito davanti al tribunale, obiettivo ultimo di ogni processo inquisitorio. Per questo si condannava Arnau Estayol a una multa consistente nel sequestro di tutti i suoi beni e a una penitenza da scontare tutte le domeniche per un anno, davanti alla chiesa di Santa Maria del Mar, con indosso il tipico scapolare dei penitenti.
Guillem finì di leggere le formule legali e studiò le firme e i sigilli dell'inquisitore e del vescovo: ce l'aveva fatta!
Arrotolò il documento e si frugò addosso in cerca del mandato di pagamento firmato da Abraham Levì per consegnarlo a Nicolau. Guillem restò a guardare in silenzio mentre l'inquisitore leggeva il documento che sanciva la rovina di Arnau, ma anche la sua libertà e la sua sopravvivenza. In ogni modo, non sarebbe mai riuscito a spiegargli da dove fossero spuntati quei soldi e perché quel mandato di pagamento era rimasto nascosto per così tanti anni.
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Arnau dormì per il resto della giornata. Al crepuscolo, Mar accese un fuoco con il fogliame e i piccoli legni che i pescatori avevano ammonticchiato nel capanno. Il mare era calmo. La donna alzò gli occhi al cielo stellato, poi guardò la scogliera che circondava la caletta: la luna giocava con gli spigoli delle rocce illuminandole in modo capriccioso.
Respirò il silenzio e assaporò la calma. Il mondo non esisteva. Barcellona non esisteva, e non esistevano neanche l'Inquisizione, Elionor e Joan: c'erano solo lei... e Arnau.
A mezzanotte sentì dei rumori provenire dal capanno. Si alzò per entrarvi quando Arnau uscì alla luce della luna. I due rimasero immobili, a pochi passi di distanza.
Mar era tra Arnau e il fuoco. La luce delle fiamme contornava la sua sagoma, ma i suoi lineamenti rimanevano nell'ombra. Sono forse in paradiso? si chiese Arnau. Man mano che i suoi occhi si abituavano alla penombra, i lineamenti che aveva inseguito in sogno andavano prendendo forma: prima gli occhi, scintillanti... Quante notti aveva pianto, pensando a essi? Poi il naso, gli zigomi, il mento... e la bocca, quelle labbra... La figura gli aprì le braccia e la luce del fuoco s'infilò sui suoi fianchi, accarezzando un corpo che traspariva attraverso vesti eteree, complici la luce e il buio. Lo chiamava.
Arnau rispose. Cosa succedeva? Dove si trovava? Era davvero Mar? Ebbe la risposta che cercava appena le prese le mani, nel sorriso che gli si apriva, nel bacio caldo che si posò sulle sue labbra.
Poi Mar abbracciò Arnau con tutta la sua forza, e il mondo tornò reale. «Abbracciami», le domandò. Arnau cinse la schiena della ragazza e si strinse a sé. La sentì piangere. Sentì gli spasmi del suo petto contro il proprio e le accarezzò la testa dolcemente. Quanti anni erano dovuti passare per poter assaporare quel momento? Quanti errori aveva dovuto commettere?
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Arnau scostò la testa di Mar dalla sua spalla e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Perdonami», cominciò a dirle, « mi dispiace di averti data...»
«Taci», lo interruppe lei. « Il passato non esiste. Non c'è più nulla da perdonare. Cominciamo a vivere, da oggi. Guarda», gli disse scostandosi da lui e prendendolo per mano, « il mare. Il mare non sa niente del passato. Sta lì, non ci chiederà mai di spiegargli nulla. Le stelle, la luna, stanno lì, e continuano a illuminarci, brillano per noi. Cosa vuoi che importi, a loro, quello che è successo? Ci fanno compagnia e ne sono felici. Vedi come splendono? Brillano nel cielo: lo farebbero, se fossero preoccupate? Se Dio volesse castigarci non scatenerebbe forse una tempesta? Siamo soli, tu e io, senza passato, senza ricordi, senza colpe, senza niente che possa intromettersi nel nostro... amore.»
Arnau osservò il cielo, quindi il mare, le piccole onde che, senza neanche rompersi, arrivavano dolcemente nella caletta. Guardò la parete di roccia che li proteggeva ed esitò, in silenzio.
Si girò verso Mar, che ancora stringeva per mano. Aveva una cosa da raccontarle, una storia dolorosa, un voto che aveva fatto alla Madonna dopo la morte della prima moglie, cui non poteva venir meno. Guardandola negli occhi, in un sussurro, glielo spiegò.
Quando finì il suo discorso, Mar sospirò.
«Io so solo che non intendo lasciarti mai più, Arnau. Voglio stare con te, vicino a te... Alle tue condizioni.»
All'alba del quinto giorno arrivò un leuto da cui sbarcò solo Guillem. I tre s'incontrarono sulla spiaggia. Mar si allontanò dagli uomini per permettere loro di fondersi in un abbraccio.
«Dio!» singhiozzò Arnau.
«Quale Dio? » chiese Guillem con un nodo alla gola, staccandosi da Arnau e scoprendo la sua bianca dentatura in un sorriso.
«Il Dio di tutti», rispose Arnau unendosi alla sua gioia.
«Vieni qui, bambina mia», disse Guillem allargando a lei l'abbraccio.
Mar si avvicinò ai due e li cinse per la cintura.
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«Non sono più la tua bambina», gli disse con un sorriso malizioso.
«Lo sarai sempre», la corresse Guillem.
«Lo sarai sempre», confermò Arnau.
Così, restando tutti e tre abbracciati, andarono a sedersi attorno a quello che restava del fuoco della notte precedente.
«Sei libero, Arnau», gli comunicò Guillem appena si fu accomodato per terra, e gli tese il documento della sentenza.
«Dimmi cosa c'è scritto», gli chiese Arnau rifiutandosi di prenderlo. « Non ho mai letto un documento che mi venisse da te.»
«Dice che sequestrano tutti i tuoi beni...» Guillem guardò Arnau, ma non notò alcuna reazione in lui, « e che ti condannano a portare lo scapolare tutte le domeniche, per un anno, davanti alle porte di Santa Maria. Quanto al resto, l'Inquisizione ti rimette in libertà.»
Arnau si immaginò scalzo, con indosso la tunica dei penitenti lunga fino ai piedi, con sopra le due croci dipinte, davanti ai portoni della chiesa.
«Avrei dovuto capire che l'avresti spuntata quando ti ho visto in tribunale, ma non ero in grado...»
«Arnau», lo interruppe Guillem, « hai sentito cosa ti ho detto? Sequestrano tutti i tuoi beni...»
Arnau rimase in silenzio per alcuni istanti.
«Ero morto, Guillem», rispose; « Eymerich mi aveva in pugno. E d'altra parte, avrei dato tutto quello che ho... che avevo», si corresse prendendo Mar per mano, « in cambio di questi ultimi giorni.»
Guillem spostò gli occhi su Mar e si trovò davanti un sorriso radioso e due occhi scintillanti. La sua bambina! Sorrise a sua volta.
«Ho pensato...»
«Traditore!» lo rimproverò Mar con una smorfia birichina.
Arnau picchiò la ragazza sulla mano.
«Da quel che ricordo, dev'essere costato caro fare in modo che il re non fronteggiasse la host.»
Guillem annuì.
«Grazie», disse Arnau.
I due uomini si guardarono.
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«Bene», aggiunse Arnau decidendo di spezzare l'incantesimo, « e a te? Come è andata in questi anni?»
Il sole era già alto nel cielo quando i tre raggiunsero il leuto, dopo aver indicato a gesti al marinaio di avvicinarsi a riva. Arnau e Guillem si imbarcarono.
«Solo un momento», chiese Mar.
La ragazza si voltò verso la caletta e guardò il capanno. Cosa l'aspettava, adesso? La pena dello scapolare, Elionor...
Abbassò gli occhi.
«Non preoccuparti per lei», la consolò Arnau. «Adesso che non ho più soldi non darà più fastidio. Il palazzo di via Montcada è parte del mio patrimonio, ragione per cui adesso appartiene all'Inquisizione. Le resta solo Montbui. Dovrà trasferirsi lì.»
«Il castello», mormorò Mar. « Non lo prenderà l'Inquisizione?»
«No di certo. Il castello e le terre ci sono state date in dote dal re. L'Inquisizione non può sequestrarli come fa con il mio patrimonio personale.»
«Mi dispiace per i contadini», mormorò Mar ricordando il giorno in cui Arnau aveva abrogato le male usanze.
Nessuno nominò Mataró, la masseria di Felip di Ponts.
«Ce la caveremo...» fece per dire Arnau.
«Cosa stai dicendo?» lo interruppe Guillem. «Avrete tutti i soldi che vi serviranno. Se lo vorrete, potrete addirittura ricomprarvi il palazzo di via Montcada.»
«Ma sono soldi tuoi!» rifiutò Arnau.
«Sono nostri, Arnau. State a sentire», disse a entrambi, « io non ho che voi due al mondo. Cosa vuoi che me ne faccia dei soldi che ho guadagnato grazie alla tua generosità? Sono vostri.»
«No, no», si oppose Arnau.
«Voi siete la mia famiglia. La mia bambina... e l'uomo che mi ha dato la libertà e la ricchezza. Mi state forse dicendo che non mi volete nella vostra famiglia?»
Mar allungò il braccio per toccare Guillem.
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Arnau balbettò: «No... Non volevo dire questo... naturalmente...»
«In tal caso, i soldi vengono con me», lo interruppe di nuovo Guillem. « O vuoi che li ceda all'Inquisizione?»
La domanda strappò un sorriso ad Arnau.
«E ho anche grandi progetti», aggiunse Guillem.
Mar continuò a guardare la caletta. Una lacrima le rigò la guancia, ma lei non si mosse. La lacrima arrivò alle sue labbra e si perse nella commessura. Tornavano a Barcellona, a scontare una condanna ingiusta, con l'Inquisizione, con Joan, il fratello che l'aveva tradito... E con una moglie che disprezzava e di cui non poteva liberarsi.
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Guillem aveva affittato una casa nel quartiere della Ribera. Benché avesse rifuggito il lusso, la casa era abbastanza grande da accogliere tutti e tre. Con una stanza anche per Joan, aveva pensato Guillem quando aveva dato le istruzioni del caso. Arnau venne accolto con affetto dalla gente della spiaggia quando sbarcò nel porto di Barcellona. Alcuni mercanti che sorvegliavano il trasporto delle loro merci o si trovavano a passare dal mercato dei cereali lo salutarono con un cenno del capo.
«Non sono più ricco», disse a Guillem, continuando a camminare e ricambiando i saluti.
«Come corrono le notizie!» gli rispose questi.
Arnau aveva detto che la prima cosa che voleva fare appena sbarcato era andare nella chiesa di Santa Maria a ringraziare la Madonna per la propria liberazione: passata la confusione iniziale, adesso ricordava nitidamente la piccola statua che danzava al di sopra delle teste mentre lui veniva sollevato e portato a braccia dai consiglieri della città. Il suo tragitto però venne interrotto quando si trovò a passare all'angolo tra Canvis Vells e Canvis Nous. La porta e le finestre di casa sua, del suo banco di cambio, erano spalancate. Davanti c'era un gruppo di curiosi che si fecero da parte quando videro sopraggiungere Arnau. Non entrarono. I tre riconobbero alcuni dei mobili e degli effetti che i soldati dell'Inquisizione ammucchiavano su un carro vicino alla porta: il lungo tavolo, che sporgeva dal carro, legato con le corde, il tappeto rosso, le cesoie per tagliare la moneta falsa, l'abaco, i forzieri...
L'apparizione di una figura nera che registrava i beni sequestrati attirò l'attenzione di Arnau. Il domenicano smise di scribacchiare e lo trafisse con lo sguardo. La gente rimase in silenzio mentre Arnau riconosceva quegli occhi: erano gli stessi che l'avevano scrutato durante gli interrogatori, dietro il tavolo, accanto al vescovo.
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«Avvoltoi», borbottò.
Erano le sue cose, il suo passato, le sue gioie e le sue sofferenze. Non avrebbe mai pensato di assistere a una simile spoliazione... Non aveva mai dato importanza ai propri beni, eppure adesso aveva come la sensazione che si stessero portando via la sua vita.
Mar sentì che le mani di Arnau erano sudate.
Qualcuno, da dietro, fischiò il frate; immediatamente, i soldati posarono gli oggetti e sguainarono le spade. Dalla casa ne uscirono altri tre, con le armi in pugno.
«Non tollereranno un'altra umiliazione da parte della folla», avvertì Guillem spingendo via Arnau e Mar.
I soldati si scagliarono contro il gruppo dei curiosi, che si dispersero in tutte le direzioni. Arnau si lasciò condurre via da Guillem, sebbene si voltasse ripetutamente indietro, senza riuscire a staccare gli occhi dal carro.
Dovettero dimenticare Santa Maria, perché alcuni dei soldati si erano spinti fino alle porte della chiesa per inseguire la fella. Aggirarono la chiesa di corsa per raggiungere piazza del Born e, da lì, la loro nuova casa.
La notizia del ritorno di Arnau si diffuse in città. I primi a presentarsi furono alcuni missatges del consolato. L'ufficiale non osava guardare Arnau in faccia, e quando si rivolse a lui lo fece usando il titolo di « onorevole console», sebbene dovesse consegnargli la lettera con cui il Consiglio dei Cento lo destituiva dalla sua carica. Dopo averla letta, Arnau tese la mano all'ufficiale, che finalmente alzò gli occhi.
«E stato un onore lavorare con voi», gli disse.
«L'onore è stato mio», rispose Arnau. « Non vogliono poveracci», spiegò poi a Guillem e a Mar quando l'ufficiale e i soldati ebbero lasciato la loro casa.
«Dobbiamo parlarne», intervenne Guillem.
Ma Arnau scosse la testa. Non ancora, aggiunse.
Molte persone passarono dalla nuova casa di Arnau. Alcune, come il proboviro della confraternita dei bastaixos, vennero ricevute dal padrone di casa; altre, di umili condizioni, si limitarono a esprimere le loro felicitazioni ai servi che aprivano la porta.
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Il secondo giorno arrivò Joan. Da quando aveva saputo del ritorno di Arnau a Barcellona, non aveva fatto che chiedersi cosa poteva avergli raccontato Mar. Quando l'incertezza divenne insopportabile, decise di affrontare le proprie paure e andare a trovare il fratello.
Arnau e Guillem si alzarono quando entrò nella sala da pranzo. Mar rimase seduta a tavola.
Hai bruciato il cadavere di tuo padre! L'accusa di Nicolau Eymerich risuonò nelle orecchie di Arnau non appena vide apparire Joan. Aveva cercato di non pensarci.
Sulla porta della sala, Joan balbettò qualcosa, poi colmò la distanza che lo separava da Arnau con il capo chino.
Arnau socchiuse gli occhi. Era venuto a chiedergli scusa: come aveva potuto suo fratello...?
«Come hai potuto farlo? » gli sputò in faccia quando Joan gli fu vicino.
Lo sguardo di Joan si spostò dai piedi di Arnau a Mar. Non l'aveva forse già punito abbastanza? Doveva anche raccontare ad Arnau... La ragazza, tuttavia, sembrava stupita.
«Perché sei venuto? » chiese Arnau con voce fredda.
Cercò disperatamente una scusa...
«Bisogna pagare le spese della locanda», sentì dire dalla propria voce.
Arnau sferrò un pugno nell'aria e si girò, dandogli le spalle.
Guillem chiamò uno dei servi e gli diede una borsa di denaro.
«Accompagna il frate a saldare il conto», ordinò.
Joan cercò aiuto nel moro, ma questi non batté ciglio. Tornò alla porta, l'imboccò e sparì.
«Cosa è successo tra voi? » chiese Mar non appena Joan fu uscito.
Arnau rimase in silenzio. Dovevano saperlo? Come spiegare loro che aveva bruciato il cadavere di suo padre e che suo fratello l'aveva denunciato all'Inquisizione? Era l'unico che lo sapeva.
«Dimentichiamo il passato», rispose alla fine, «almeno la parte che possiamo.»
Mar rimase in silenzio per qualche istante, poi annuì.
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Joan lasciò la casa seguendo lo schiavo di Guillem. Per tutto il tragitto fino alla locanda, il giovane dovette girarsi parecchie volte verso il domenicano, perché questi continuava a fermarsi in mezzo alla strada, lo sguardo perso nel vuoto.
Giunti in via Montcada, però, lo schiavo non riuscì più a farsi seguire: il frate si era fermato, immobile, davanti alle porte del palazzo di Arnau.
«Va' tu a pagare», gli disse Joan liberandosi dagli strattoni del ragazzo. « Io devo saldare un altro debito», mormorò poi tra sé e sé.
Pere, il vecchio schiavo, lo condusse al cospetto di Elionor. Joan cominciò a ripetere quelle parole con un filo di voce quando varcò la soglia; alzò il volume mentre saliva la scalinata di pietra, con Pere che si girava stupito a guardarlo, e lo gridò con voce tonante quando fu davanti a Elionor, prima che lei potesse dire qualcosa: « So che hai peccato!»
La baronessa, in piedi nella sala, lo guardò, altera.
«Che sciocchezze dici, frate?»
«So che hai peccato», ripeté Joan.
Elionor scoppiò a ridere prima di voltargli le spalle.
Joan osservò l'abito di ricco broccato che la donna indossava. Mar aveva sofferto, lui aveva sofferto, Arnau... Arnau doveva aver sofferto quanto loro.
Elionor, di spalle, continuava a ridere.
«Chi ti credi di essere, frate?»
«Sono un inquisitore del Santo Uffizio», rispose Joan. « E nel tuo caso non mi serve nessuna confessione.»
Elionor si voltò in silenzio, stupita dalla freddezza con cui Joan parlava, e vide che aveva in mano una lampada a olio.
«Cosa...?»
Non le diede il tempo di finire, e le scagliò la lampada addosso. L'olio impregnò i suoi abiti sfarzosi, e prese immediatamente fuoco.
Elionor gridò.
Era ormai una torcia umana quando il vecchio Pere corse in suo aiuto, chiamando a gran voce il resto della servitù. Joan lo vide staccare un arazzo per buttarlo addosso a Elionor. Allontanò lo schiavo con uno spintone, ma sulla porta della sala si stavano già accalcando altri servi, con gli occhi sgranati.
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Qualcuno chiese dell'acqua.
Joan osservò Elionor, che era caduta in ginocchio, avvolta dalle fiamme.
«Perdonami, Signore», balbettò.
Poi cercò un'altra lampada. La prese e si avvicinò a Elionor. Gli orli della sua tonaca presero fuoco.
«Pentiti!» gridò prima che il fuoco lo avvolgesse.
Lasciò cadere la lampada addosso a Elionor e si inginocchiò accanto a lei.
Il tappeto su cui si trovavano fu avvolto dalla fiamma viva, come alcuni dei mobili lì accanto.
Quando gli schiavi tornarono con l'acqua, si limitarono a gettarla dentro la stanza, restando sulla soglia. Poi, coprendosi il viso, fuggirono dalla densa nuvola di fumo.
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15 agosto 1384
Festa dell'Assunzione
Chiesa di Santa Maria del Mar
Barcellona
Erano passati sedici anni.
Dalla piazza di Santa Maria, Arnau alzò gli occhi al cielo. I rintocchi delle campane della chiesa riempivano tutta Barcellona. I peli delle sue braccia risposero alla musica drizzandosi, e un brivido percorse tutto il suo corpo al suono delle quattro campane. Aveva visto quando le avevano issate, desiderando di potersi avvicinare per tirare le corde insieme ai giovani: l'Assumpta, la più grande, di ottocentosettantacinque chili; la Conventual, media, di seicentocinquanta; l'Andrea, di duecento, e la Vedada, la più piccola, di cento, in cima al campanile.
Quel giorno veniva inaugurata Santa Maria, la sua chiesa, e le campane sembravano suonare diversamente da come facevano quando le avevano piazzate lassù... o era lui che le sentiva diverse? Guardò le torri campanarie ottagonali che chiudevano la facciata principale sui due lati: alte, sottili e leggere, a tre corpi, ognuno più stretto man mano che si innalzavano verso il cielo; aperte ai quattro venti grazie a finestre ogivali; circondate da una ringhiera a ogni livello e culminanti in una terrazza. Durante la costruzione avevano detto ad Arnau che sarebbero state semplici, essenziali, senza guglie né capitelli, naturali come il mare, la cui patrona proteggevano... ma imponenti e meravigliose, pensò Arnau nel contemplarle, proprio come il mare.
La gente, vestita a festa, si raccoglieva in Santa Maria; alcuni entravano in chiesa, altri, come Arnau, restavano fuori a bearsi della sua bellezza e ad ascoltare il concerto delle campane. Arnau strinse a sé Mar, che teneva abbracciata contro il fianco destro; alla sua sinistra, dritto, partecipe della soddisfazione di suo padre, un ragazzo di tredici anni con un neo sull'occhio destro.
Mentre le campane continuavano a rintoccare, Arnau entrò con la sua famiglia nella chiesa di Santa Maria del Mar. Quanti avanzavano insieme a loro si fermarono e gli cedettero il passo.
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Quella era la chiesa di Arnau Estanyol: come bastaix aveva trasportato sulle proprie spalle i primi macigni, come banchiere e console del Mare l'aveva beneficiata con importanti donazioni e aveva continuato a farlo in seguito, come commerciante delle assicurazioni marittime. Santa Maria non era comunque sfuggita alle catastrofi: il 28 febbraio del 1373, un terremoto che aveva raso al suolo Barcellona aveva abbattuto il campanile della chiesa, e Arnau era stato il primo a contribuire alla sua ricostruzione.
«Mi servono dei soldi», aveva detto a Guillem.
«Sono tuoi», gli aveva risposto il moro, informato del disastro. Quella stessa mattina aveva ricevuto la visita di un membro della Giunta del Cantiere di Santa Maria.
Perché la fortuna era tornata a sorridergli. Dietro consiglio di Guillem, Arnau aveva scelto di dedicarsi alle assicurazioni marittime. La Catalogna, priva di regolamentazione in materia, a differenza di Genova, Venezia o Pisa, era un paradiso per chiunque decidesse di lavorare nel settore, ma solo i commercianti prudenti come Arnau e Guillem riuscivano a sopravvivere. Il sistema finanziario del principato stava andando a rotoli e, con esso, la gente che pretendeva di ottenere guadagni rapidi, come chi assicurava i carichi per un valore superiore a quello effettivo - motivo per cui difficilmente se ne aveva più notizia -oppure navi e mercanzie quando già avevano saputo della cattura della nave da parte dei corsari, e scommettevano che la notizia fosse falsa. Arnau e Guillem scelsero bene le imbarcazioni e il rischio minore, e presto recuperarono in quel nuovo settore la vasta rete di rappresentanti con cui avevano già lavorato come banchieri.
Il 26 dicembre del 1379 Arnau non aveva potuto chiedere a Guillem di destinare un'altra donazione a Santa Maria: il moro era morto un anno prima, all'improvviso. Arnau l'aveva trovato seduto in giardino, sulla sua sedia sempre orientata verso la Mecca, direzione in cui tutti sapevano che pregava segretamente. Arnau aveva parlato con i membri della comunità musulmana i quali, nottetempo, si erano occupati del cadavere.
La notte del 26 dicembre del 1379, un terribile incendio aveva devastato la chiesa. Il fuoco aveva ridotto in cenere la sagrestia, il coro, gli organi, gli altari e qualsiasi cosa al suo inter632
no non fosse di pietra. Ma anche la pietra riportò danni, specie nelle parti cesellate, e la chiave di volta su cui era rappresentato re Alfonso il Benigno, padre del Cerimonioso, che aveva pagato quella parte del cantiere, era stata completamente distrutta.
Il re montò su tutte le furie vedendo distrutto il suo omaggio al regio genitore, e pretese che venisse ripristinato, ma gli abitanti del quartiere della Ribera avevano già dato abbastanza sovvenzionando una nuova chiave di volta, per poter pensare di soddisfare anche i desideri del monarca. Tutti gli sforzi e i soldi della gente vennero destinati alla sagrestia, al coro, agli organi e agli altari; la figura equestre del re Alfonso venne ingegnosamente ricostruita in gesso, dipinta in rosso e oro e incollata alla chiave di volta.
Il 3 novembre del 1383 era stata collocata l'ultima chiave di volta della navata centrale, la più vicina all'ingresso principale, su cui figurava lo scudo della Giunta del Cantiere, in onore di tutti i cittadini anonimi che avevano permesso la costruzione del tempio.
Arnau alzò gli occhi per guardarla. Mar e Bernat seguirono il suo esempio e tutti e tre sorrisero quando cominciarono a camminare verso l'altare maggiore.
Da quando la chiave di volta era stata issata sull'impalcatura, in attesa che le nervature degli archi la raggiungessero, Arnau non aveva fatto che ripetere le stesse parole: « È la nostra insegna», aveva detto un giorno a suo figlio, Bernat.
Il ragazzo aveva alzato gli occhi.
«Padre», ribatté, « quello è lo scudo del popolo. La gente come voi ha i suoi blasoni incisi negli archi e nelle pietre, nelle cappelle e nei...» Arnau alzò una mano cercando di interrompere le sue parole, ma il ragazzo proseguì: « Non avete neppure un seggio nel coro!»
«Questa è la chiesa della gente, figlio mio. Molti uomini hanno dato la vita per essa e il loro nome non figura da nessuna parte.»
I ricordi di Arnau andarono al ragazzo che portava le pietre dalla cava del re fino a Santa Maria.
«Tuo padre», intervenne Mar, « ha inciso con il proprio sangue molti di questi blocchi di pietra. Non esiste omaggio migliore.»
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Il giovane Bernat si era girato verso suo padre con gli occhi sgranati.
«Come tanti altri, figliolo», gli aveva detto Arnau, « come tanti altri.»
Agosto nel Mediterraneo, agosto a Barcellona. Il sole splendeva con una magnificenza difficile da trovare in qualunque altro posto al mondo, perché prima di filtrare attraverso le vetrate di Santa Maria per giocherellare con il colore e la pietra, il mare restituiva al sole il riflesso della propria luce, e i raggi arrivavano in città intrisi di uno splendore inimitabile. All'interno del tempio, il riflesso colorato dei raggi solari che passavano attraverso le vetrate si confondeva con il baluginare di migliaia di candele accese, distribuite fra l'altare maggiore e le cappelle laterali di Santa Maria. L'incenso impregnava l'aria e la musica dell'organo risuonava nell'interno dall'acustica perfetta.
Arnau, Mar e Bernat si diressero verso l'altare maggiore. Sotto la magnifica abside, circondata da otto colonne sottili, si trovava la piccola statua della Madonna del Mare. Dietro l'altare, ornato con preziose stoffe francesi che il re Pietro aveva prestato per l'occasione, non senza prima ammonire con una lettera da Vilafranca del Penedès che gli dovevano essere restituite subito dopo la celebrazione, il vescovo Pere di Pianella si preparava a officiare la messa della consacrazione del tempio.
Santa Maria era affollata e i tre dovettero fermarsi. Alcuni dei presenti riconobbero Arnau e gli cedettero il passo, ma Arnau li ringraziò e rimase lì, in piedi, tra loro: la sua gente e la sua famiglia. Gli mancavano solo Guillem... e Joan. Arnau preferiva ricordarlo come il bambino insieme al quale aveva scoperto il mondo, non come il monaco amareggiato che si era immolato tra le fiamme.
Il vescovo Pere di Pianella iniziò a officiare.
Arnau sentiva crescere la propria ansia. Guillem, Joan, Maria, suo padre... e la vecchia. Perché ogni volta che pensava alle persone scomparse finiva per ricordare quella vecchia? Aveva chiesto a Guillem di cercarla, e con lei Aledis.
«Sono sparite», gli aveva detto un giorno il moro.
«Dicevano che fosse mia madre», aveva ricordato Arnau ad alta voce. « Insisti.»
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«Non sono riuscito a trovarle», gli aveva riferito Guillem dopo qualche tempo.
«Ma...»
«Dimenticale», l'aveva consigliato l'amico, non senza una nota perentoria nella voce.
Pere di Pianella proseguiva con la celebrazione.
Arnau, che aveva sessantatré anni, era stanco, e cercò sostegno nel figlio.
Bernat strinse con affetto il braccio del padre e questi lo obbligò ad avvicinare l'orecchio alle sue labbra, mentre gli indicava l'altare maggiore.
«Lo vedi come sorride, figlio mio? » gli chiese.
NOTA DELL'AUTORE
Nell'elaborazione di questo romanzo ho voluto seguire la Crònica di Pietro III, con i necessari adattamenti indispensabili in una vicenda di fantasia.
La scelta di Navarcles come localizzazione del castello e delle terre dell'omonimo signore è assolutamente fittizia; non così i baronati di Granollers, Sant Vicenç dels Horts e Caldes de Montbui che il re Pietro concede ad Arnau in dote quando sposa con la sua pupilla Elionor (creazione dell'autore anche quest'ultima). I baronati in questione furono ceduti nel 1380 dall'infante Martino, figlio di Pietro il Cerimonioso, a Guglielmo Raimondo di Montcada, del ramo siciliano dei Montcada, per i suoi fruttuosi interventi in favore del matrimonio fra la regina Maria e uno dei figli di Martino, il quale avrebbe in seguito regnato con il soprannome di l'Umano. Questi domini, però, rimasero in mano a Guglielmo Raimondo di Montcada ancor meno di quanto restano al protagonista del romanzo. Subito dopo averli ricevuti, il signore di Montcada li vendette al conte di Urgell per armare una flotta con il denaro ricavato e dedicarsi alla pirateria.
Il diritto a giacere con la sposa di un servo la prima notte di nozze figurava effettivamente tra quelli concessi dagli Usatges ai signori. L'esistenza delle male usanze nella Vecchia Catalogna, e non nella Nuova, spinse effettivamente i servi della gleba a ribellarsi ai propri signori, con continui conflitti, finché non vennero completamente abrogati dalla sentenza arbitrale di Guadalupe del 1486 mediante, questo sì, il pagamento di un importante indennizzo ai signori, privati dei loro diritti.
La sentenza reale contro la madre di Joan, che la condanna a vivere chiusa in una stanza a pane e acqua fino al giorno della sua morte, venne effettivamente emessa nel 1330 da Alfonso III contro una donna di nome Eulàlia, moglie di Juan Dosca.
L'autore non condivide le considerazioni che in alcuni punti
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del romanzo vengono espresse su donne e contadini: se non tutte, nella stragrande maggioranza sono state trascritte testualmente da Lo crestià, il libro scritto dal monaco Francesc Eiximenis, approssimativamente nell'anno 1381.
Nella Catalogna medievale, diversamente da quanto accadeva nel resto della Spagna, sottomessa alla tradizione del diritto goto plasmato sul Fuero Juzgo che lo proibiva, lo stupratore poteva effettivamente sposare la donna su cui aveva usato violenza, anche quando vi fosse stata violenza nel sequestro, per l'applicazione dell'usatge «Si quis virginem», proprio come succede in occasione del matrimonio tra Mar e il signore di Ponts.
Lo stupratore doveva dare una dote alla donna perché potesse trovare marito o in alternativa contrarre matrimonio con lei. Se la donna era sposata, venivano applicate le pene previste nel caso di adulterio.
Non si sa con certezza se l'episodio in cui re Giacomo di Maiorca cerca di sequestrare suo cognato Pietro III, fallito perché un monaco della famiglia di quest'ultimo lo avverte dopo aver saputo del complotto in confessione - e che nel romanzo avviene con l'aiuto di Joan - sia avvenuto davvero o se fu un'invenzione di Pietro III per giustificare il processo aperto contro il re di Maiorca, poi conclusosi con la confisca dei suoi regni. Quello che sembra certo è la pretesa di re Giacomo di far costruire un ponte di barche coperto che andasse dalle sue galere, ormeggiate davanti alla spiaggia di Barcellona, fino al convento di Framenors, fatto che può aver esacerbato l'immaginazione di re Pietro in merito al complotto di cui si narra nelle sue cronache.
Il tentativo di invasione di Barcellona da parte di Pietro il Crudele, re di Castiglia, appare con minuzia di dettagli nella Crònica di Pietro III. Il porto della città comitale, dopo l'avanzamento della terraferma che aveva reso inagibili gli attracchi precedenti, era rimasto indifeso davanti ai fenomeni naturali e agli attacchi nemici: solo nel 1340, sotto il regno di Alfonso il Benigno, si iniziò la costruzione del nuovo approdo, conforme alle necessità della città.
Detto ciò, la battaglia si svolse esattamente come la riporta Pietro III, e l'armata castigliana non poté sbarcare in città perché una nave - una baleniera, secondo Capmany - si interpose
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nelle tasques (le secche) davanti alla spiaggia, impedendo l'avanzata del re di Castiglia. È in questa battaglia che si trova uno dei primi riferimenti all'uso dell'artiglieria - una briccola montata sulla prua della galera reale - nelle battaglie navali. Poco dopo, quelle che sino ad allora non erano state che mezzi per trasportare truppe, si trasformarono nelle grandi e pesanti navi armate con cannoni, modificando completamente il concetto di battaglia navale. Nella sua Crònica, il re Pietro III si sofferma divertito sulla beffa e sulla lezione che la host catalana, dalla spiaggia o dalle numerose imbarcazioni uscite per difendere la capitale, inflisse alle truppe di Pietro il Crudele, e la considera, insieme all'efficacia dell'uso della briccola, una delle ragioni per cui il re di Castiglia rinunciò successivamente al suo piano di invadere Barcellona.
Nella rivolta di piazza del Blat in quello che viene chiamato il primo anno cattivo, quando la gente di Barcellona scese a reclamare il grano, i promotori della stessa vennero effettivamente sottoposti a giudizio sommario e giustiziati sulla forca, esecuzione che, per coerenza, nel romanzo viene ambientata nella stessa piazza del Blat. Di sicuro le autorità cittadine confidavano che il semplice giuramento potesse vincere la fame del popolo.
Chi venne davvero giustiziato nel 1360 con decapitazione, in questo caso davanti al suo banco di cambio, come previsto dalla legge, nei pressi dell'attuale piazza Palau, fu il banchiere F. Castellò, dichiarato abatut, ovvero fallito.
Sempre nel 1367, a seguito dell'accusa di profanazione di un'ostia e dopo essere stati rinchiusi nella sinagoga senza acqua né cibo, tre ebrei vennero giustiziati per ordine dell'infante Giovanni, luogotenente del re Pietro.
Durante la Pasqua cristiana, agli ebrei era categoricamente proibito uscire dalle loro case; inoltre, gli si imponeva di tenere sempre chiuse le porte e le finestre delle abitazioni per non vedere e non interferire con le numerose processioni dei cristiani. Ma anche così, la Pasqua inaspriva ulteriormente, se possibile, l'astio dei fanatici, e le accuse di celebrazioni di rituali eretici aumentavano in quel periodo che gli ebrei, giustamente, temevano.
Due erano le accuse principali mosse in quei frangenti alla
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comunità ebraica: l'assassinio rituale di cristiani, specie bambini, per crocefiggerli, torturarli e berne il sangue o mangiarne il cuore, e la profanazione dell'ostia, entrambi, secondo la gente, volti a far rivivere il dolore e la sofferenza della passione di Cristo ai cattolici.
La prima accusa di crocefissione di un bambino cristiano si registrò nella Germania del Sacro Romano Impero, a Wùrzburg, nel 1147, anche se, com'era sempre successo con gli ebrei, il delirio morboso della gente fece sì che ben presto le notizie di tali fatti riecheggiassero in tutta Europa. Soltanto un anno dopo, nel 1148, due ebrei inglesi di Norwich vennero accusati di aver crocefisso un altro bambino cristiano. Da lì in avanti le accuse di omicidio rituale, specie durante la Pasqua e mediante crocefissione, si sprecarono: Gloucester, 1168; Fulda, 1235; Lincoln, 1255; Monaco, 1286... La gente odiava a tal punto gli ebrei ed era tanto credula che nel XV secolo un francescano italiano, Bernardino da Feltre, annunciò in anticipo la crocefissione di un bambino a Trento, dove di fatto si avverò la profezia, e il piccolo Simone venne rinvenuto morto sulla croce. La Chiesa beatificò Simone, ma il frate continuò ad annunciare altre crocefissioni: a Reggio, Bassano, Mantova. Solo nella metà del XX secolo la Chiesa rettificò e annullò la beatificazione di Simone, martire del fanatismo e non della fede.
Una delle spedizioni cui concretamente prese parte la host di Barcellona, anche se più tardi rispetto alla data menzionata nel romanzo, visto che risale al 1369, venne mossa contro il paese di Creixell, colpevole di aver impedito il libero transito e pascolo del bestiame destinato alla città comitale, che poteva arrivare solo vivo a Barcellona. Il blocco del bestiame era una delle cause principali per cui la host catalana usciva per difendere i propri privilegi contro altri paesi e signori feudali.
Santa Maria del Mar è indubbiamente uno dei templi più belli al mondo. Priva della magnificenza di altre chiese, contemporanee o posteriori, al suo interno si può però respirare lo spirito che cercò di infonderle Berenguer di Montagut: quello di una chiesa del popolo, costruita dal popolo e per il popolo, come una grande masseria catalana, austera, protetta e protettiva, con la luce del Mediterraneo come sommo elemento distintivo.
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Il grande pregio di Santa Maria, secondo gli esperti, è l'essere stata costruita nell'arco di cinquantacinque anni, senza interruzioni, sotto un'unica influenza architettonica e con scarsi elementi aggiuntivi, cosa che la rende il massimo esempio del cosiddetto gotico catalano. Com'era abitudine per l'epoca, e per non interrompere i servizi religiosi, Santa Maria venne edificata sull'antica chiesa. In un primo tempo, l'architetto Bassegoda Amigó collocava il tempio originario all'angolo di via Espaseria, spiegando che l'attuale era stato costruito davanti alla vecchia chiesa, più a nord, lasciando in mezzo una strada, che oggi si chiama Santa Maria. Tuttavia, nel 1966, a seguito dei lavori per un nuovo presbiterio e una cripta nel tempio, la scoperta di una necropoli romana sotto Santa Maria modificò la teoria originaria di Bassegoda. Il nipote di costui, architetto e studioso del tempio, sostiene oggi che le chiese innalzate in seguito si trovassero tutte nello stesso punto, e che le costruzioni si siano semplicemente sovrapposte le une alle altre. E in questo cimitero che si immagina fosse stato sepolto il corpo di santa Eulalia, patrona di Barcellona, i cui resti vennero trasferiti dal re Pietro dalla chiesa di Santa Maria alla Cattedrale.
La statua della Madonna del Mare cui si allude nel romanzo è quella che attualmente si trova sull'altare maggiore, in precedenza situata nel timpano della porta di via del Born.
Delle campane di Santa Maria non si ha notizia fino al 1714, quando Filippo V sconfisse i catalani. Il re castigliano mise una tassa speciale sulle campane della Catalogna, così punendole per aver costantemente rintoccato chiamando i patrioti catalani a sometent, vale a dire a prendere le armi in difesa delle proprie terre. Comunque, non furono solo i castigliani a infierire sulle campane che chiamavano a raccolta i cittadini. Lo stesso re Pietro il Cerimonioso, quando riuscì a sconfiggere l'opposizione di Valenza, che si era sollevata e aveva impugnato le armi contro di lui, ordinò di giustiziare alcuni dei ribelli costringendoli a bere il metallo fuso della campana dell'Unione, che aveva convocato i valenziani a sometent.
La rappresentatività di Santa Maria era tale che il re Pietro scelse necessariamente la sua piazza per riunire i cittadini e arringarli sulla guerra contro la Sardegna, scartando altri punti della città, come piazza del Blat, sede del palazzo del governatore.
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Gli umili bastaixos, che trasportavano gratuitamente le pietre fino a Santa Maria, sono il più chiaro esempio del fervore popolare grazie al quale la chiesa venne edificata. La parrocchia concesse loro diversi privilegi, e oggi la loro devozione mariana rimane attestata nelle figure di bronzo del portale maggiore, nei rilievi del presbiterio o nei capitelli di marmo, dove sono raffigurate le figure degli scaricatori portuali.
L'ebreo Hasdai Crescas è esistito, come pure un certo Bernat Estanyol, capitano degli almogavari, ma mentre il primo è stato scelto dall'autore, il secondo è frutto di una pura e semplice coincidenza. Il mestiere di banchiere e la vita che gli viene attribuita, ciò nonostante, sono frutto della fantasia di chi scrive. Sette anni dopo l'inaugurazione ufficiale di Santa Maria, nel 1391 - più di cent'anni prima che i Re Cattolici ordinassero l'espulsione degli ebrei dai loro regni - il ghetto di Barcellona venne raso al suolo dalla folla e i suoi abitanti uccisi, e quelli che conobbero sorte migliore, come per esempio quanti riuscirono a rifugiarsi nei conventi, furono costretti a convertirsi. Una volta distrutto il ghetto di Barcellona, abbattuti i suoi edifici e costruite chiese al loro posto, il re Giovanni, preoccupato dei danni economici che la scomparsa degli ebrei comportava per le finanze reali, cercò di farli tornare in città; promise sgravi fiscali a patto che la loro comunità non superasse le duecento persone, e abrogò obblighi come quello di cedere i loro letti e i mobili quando la corte si recava a Barcellona o di alimentare i leoni e le altre fiere del re. Ma gli ebrei non tornarono e nel 1397 il re concesse a Barcellona il privilegio di non avere un ghetto.
Nicolau Eymerich, l'inquisitore generale, finì per rifugiarsi ad Avignone insieme al papa, ma alla morte di re Pietro tornò in Catalogna e continuò a perseguire le opere di Raimondo Lullo. Il re Giovanni lo esiliò dalla Catalogna nel 1393 e l'inquisitore trovò di nuovo riparo presso il papa; tuttavia, quello stesso anno tornò a La Seu d'Urgell e il re Giovanni dovette chiedere al vescovo della città la sua immediata espulsione. Nicolau riparò ancora una volta ad Avignone e, quando re Giovanni morì, ottenne dal re Martino l'Umano di poter trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Gerona, sua città natale, dove morì all'età di ottant'anni. I riferimenti alle massime di Eyme641
rich sulla possibilità di torturare senza tregua, così come le condizioni che deve garantire un carcere per portare alla morte del carcerato, corrispondono a verità.
Dal 1249, diversamente dalla Castiglia, dove l'Inquisizione non venne istituita fino al 1487, anche se il ricordo dei suoi terribili processi sarebbe durato secoli, la Catalogna istituì tribunali dell'Inquisizione del tutto indipendenti dalla tradizionale giurisdizione ecclesiastica esercitata attraverso i tribunali episcopali. L'istituzione anticipata dei tribunali dell'Inquisizione in Catalogna trovava la sua ragion d'essere nell'originario obiettivo degli stessi: quello di lottare contro l'eresia, identificata in quegli anni con i catari del Sud della Francia e i valdesi di Pietro Valdo a Lione. Entrambe le dottrine, considerate eretiche dalla Chiesa, raccolsero adepti nella popolazione della Vecchia Catalogna a causa della vicinanza geografica; arrivarono a contarsi tra loro, come seguaci dei catari, nobili catalani pirenaici, come il visconte Arnaldo e la moglie Ermessenda, Raimondo, signore del Cadì, e Guglielmo di Niort, governatore del conte Nunó Sanç in Cerdana e Conflent.
Per questa ragione, l'Inquisizione iniziò proprio dalla Catalogna la sua triste espansione nella penisola iberica. Nel 1286, però, il movimento cataro venne soffocato e l'Inquisizione catalana, all'inizio del XIV secolo, ricevette ordine da parte di papa Clemente V di rivolgere i propri sforzi verso l'ordine proscritto dei Templari, proprio come stava avvenendo nel vicino regno di Francia. Ma in Catalogna i templari non erano vittima di quell'odio che invece riversava su di loro il monarca francese - anche se per motivi principalmente economici - e in un concilio provinciale convocato dall'arcivescovo di Tarragona per trattare della loro questione tutti i vescovi presenti adottarono unanimemente una risoluzione con la quale venivano dichiarati innocenti e sollevati dall'accusa di eresia loro mossa altrove.
Dopo i templari, l'Inquisizione catalana si occupò dei begardi, che a loro volta erano riusciti a entrare in Catalogna, ed emise alcune condanne a morte eseguite, com'era norma, dal braccio secolare. Con ciò, a metà del XIV secolo, nel 1348, con l'assalto popolare ai ghetti di tutta Europa a seguito dell'epidemia di peste e delle accuse generalizzate verso gli ebrei, l'Inqui642
sizione catalana, priva di eretici, altre sette o movimenti spirituali, cominciò a rivolgere le proprie attenzioni ai giudaizzanti.
Ringrazio mia moglie, Carmen, senza la quale questo romanzo non sarebbe stato scritto, Pau Pérez, per averlo vissuto con il mio stesso entusiasmo, la Escola d'Escriptura dell'Ateneo di Barcellona per il suo straordinario impegno didattico nel mondo delle lettere, così come Sandra Bruna, la mia agente, e Ana Liaràs, il mio editore.
Barcellona, novembre 2005