attratti dal nuovo quartiere della Ribera: vi si trasferirono anche molti nobili, insieme al siniscalco Guglielmo Raimondo di Montcada, cui il conte di Barcellona, Raimondo Berenguer IV, cedette gli appezzamenti su cui venne costruita la strada a lui intitolata e che confluiva in piazza del Born, accanto alla chiesa di Santa Maria del Mar, dove vennero edificati grandi e lussuosi palazzi.
Adesso che il quartiere della Ribera era diventato una zona ricca e prosperosa, la vecchia chiesa romanica in cui si recavano i pescatori e la gente di mare per venerare la loro patrona si era rivelata troppo piccola e misera per gli ormai facoltosi e agiati fedeli. Ciò nonostante, gli sforzi economici della curia barcellonese e della monarchia restavano indirizzati esclusivamente alla ricostruzione della cattedrale della città.
I parrocchiani di Santa Maria del Mar, ricchi e poveri, uniti dalla devozione per la Vergine, non si erano scoraggiati davanti a quel disinteresse e, insieme all'arcidiacono della chiesa, Bernat Llull, fresco di nomina, avevano richiesto alle autorità ecclesiastiche il permesso per erigere quello che volevano diventasse il più grande monumento consacrato alla Vergine. E lo avevano ottenuto.
Avevano cominciato a costruire Santa Maria del Mar, dunque, per il popolo e grazie al popolo, come attestava la prima pietra dell'edificio, collocata nel punto esatto in cui sarebbe sorto l'altare maggiore e dove, diversamente da quanto succedeva con i cantieri che avevano l'appoggio delle autorità, venne scolpito solo lo scudo della parrocchia, a dimostrare che quel tempio, con i relativi diritti, apparteneva solo ed esclusivamente ai parrocchiani che l'avevano voluto: i più ricchi con i loro soldi e i poveri con il loro lavoro. Da quando era stata posata la prima pietra, un gruppo di fedeli e probiviri della città, chiamato la Venticinquesima, si riuniva una volta all'anno con il rettore della parrocchia. Quell'anno, in presenza di un notaio, gli avrebbero consegnato le chiavi della chiesa.
Arnau osservò l'uomo che aveva trasportato la pietra. Ancora sudato, ansimante, sorrideva mentre guardava l'edificio.
«Potrei vederla? » chiese Arnau.
«La Madonna? » chiese a sua volta l'uomo sorridendo al piccolo.
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Magari ai bambini non era permesso entrare in chiesa da soli, pensò Arnau. Magari dovevano farsi accompagnare dai genitori. Cosa gli aveva detto il parroco di Sant Jaume?
«Certo che puoi. La Madonna è felicissima quando dei bambini come voi la vanno a trovare.»
Arnau ridacchiò, nervoso. Poi guardò Joanet.
«Andiamo? » lo incoraggiò.
«Ehi! Un momento!» disse l'uomo. «Io devo tornare alle mie faccende.» Guardò gli operai che lavoravano la pietra. «Àngel », gridò a un ragazzo di circa dodici anni che si avvicinò a loro di corsa, « accompagna questi bambini in chiesa. Di' al parroco che vogliono vedere la Madonna.»
L'uomo scompigliò ancora affettuosamente i capelli di Arnau e sparì verso il mare. Arnau e Joanet rimasero con Àngel, ma quando il ragazzo li guardò abbassarono gli occhi.
«Volete vedere la Madonna?»
L'interessamento suonava sincero. Arnau annuì e gli chiese: «Tu... la conosci?»
«Sicuro!» rispose Àngel ridendo. « È la Madonna del Mare, la mia Madonna. Mio padre fa il barcaiolo!» aggiunse con orgoglio. «Venite.»
I due lo seguirono fino all'entrata della chiesa, Joanet con gli occhi sbarrati, Arnau a capo chino.
«Tu ce l'hai, una madre? » gli chiese all'improvviso.
«Sì, certo», rispose Àngel facendo strada.
Dietro di lui, Arnau sorrise a Joanet. Varcata la porta della chiesa, Arnau e Joanet si fermarono per dare tempo ai loro occhi di abituarsi all'oscurità. L'interno profumava di cera e di incenso. Arnau confrontò le alte e sottili colonne che venivano erette fuori con quelle che vedeva dentro: basse, squadrate e tozze. L'unica luce che entrava proveniva da lunghe e strette finestre che, affondate negli spessi muri della costruzione, proiettavano qua e là sul pavimento rettangoli gialli. Appesi al soffitto e a tutte le pareti c'erano modellini di navi: alcuni eseguiti con maestria, altri piuttosto rozzi.
«Andiamo», sussurrò Àngel
Mentre si dirigevano verso l'altare, Joanet indicò alcune persone inginocchiate cui, in un primo momento, non aveva fatto
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caso. Mentre passavano accanto a loro, il mormorio delle preghiere incuriosì i bambini.
«Cosa fanno? » bisbigliò Joanet all'orecchio di Arnau.
«Pregano», gli rispose questi.
Sua zia Guiamona, quando tornava dalla messa con i cugini, lo obbligava a pregare, inginocchiato nella sua stanza, davanti a una croce.
Quando furono davanti all'altare, un sacerdote magro andò loro incontro. Joanet si nascose dietro Arnau.
«Cosa ti porta qui, Àngel? » chiese l'uomo sottovoce, con lo sguardo rivolto ai bambini.
Il sacerdote tese la mano ad Àngel e questi si inchinò davanti a lui.
«Questi due ragazzini, padre. Vogliono vedere la Madonna.»
Gli occhi del sacerdote luccicarono nell'oscurità quando si rivolse ad Arnau.
«Eccola lì », disse indicando l'altare.
Arnau seguì la direzione che il sacerdote gli indicava fino a scorgere una piccola e semplice figura femminile scolpita nella pietra, con un bambino sulla spalla destra e una barca di legno ai propri piedi. Socchiuse gli occhi; i lineamenti della donna erano sereni. Sua madre!
«Come vi chiamate? » chiese il sacerdote.
«Arnau Estanyol », rispose uno.
«Joan, ma mi chiamano Joanet », fece l'altro.
«E di cognome?»
Il sorriso si spense di colpo sul faccino di Joanet: ignorava quale fosse. Sua madre gli aveva detto che non doveva usare quello di Ponç il calderaio, perché se questi se ne fosse accorto si sarebbe arrabbiato parecchio, ma neanche quello di lei. Non aveva mai dovuto dire a nessuno il proprio cognome. Chissà perché adesso quel sacerdote lo voleva sapere, e lo esortava con lo sguardo.
«Lo stesso», disse alla fine. « Estanyol.»
Arnau si girò verso di lui e lesse una supplica negli occhi dell'amico.
«Allora siete fratelli.»
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«Ehm... Sì », riuscì a balbettare Joanet di fronte alla silenziosa complicità dell'amico.
«Sapete pregare?»
«Sì », rispose Arnau.
«Io no... non ancora», spiegò Joanet.
«Allora fatti insegnare dal tuo fratello maggiore», gli disse il sacerdote. « Potete pregare la Madonna. Seguimi, Àngel, vorrei darti un messaggio per il tuo maestro. Lì ci sono delle pietre...»
La voce del prete si perse man mano che i due si allontanavano; i bambini restarono davanti all'altare.
«Bisognerà inginocchiarsi? » sussurrò Joanet ad Arnau.
Arnau guardò verso l'ombra che gli indicava Joanet, che si stava già dirigendo verso gli inginocchiatoi di seta rossa davanti all'altare maggiore, e lo afferrò per un braccio.
«La gente si inginocchia per terra», gli disse con un filo di voce indicandogli i fedeli presenti. « E poi sta pregando.»
«E tu cos'hai intenzione di fare?»
«Io non prego, sono qui per parlare con mia madre. Tu non ti metti in ginocchio quando parli con tua madre, no?»
Joanet lo guardò. No, non lo faceva...
«Ma il prete non ha detto che potevamo parlare con lei, solo che potevamo pregarla.»
«Non provare a spifferarlo al prete. Se lo fai, gli dirò che hai mentito e che non sei mio fratello.»
Joanet rimase in silenzio accanto ad Arnau e si mise a osservare le numerose barche che adornavano la chiesa. Gli sarebbe piaciuto possederne una. Si chiese se potevano galleggiare. Sicuramente sì; sennò perché le avrebbero intagliate? Poteva mettere una di quelle barchette in riva al mare e...
Arnau teneva lo sguardo inchiodato sulla figura di pietra. Cosa poteva dirle? Chiederle se gli uccelli le avevano portato il suo messaggio? Le aveva mandato a dire, e parecchie volte, che le voleva bene.
«Mio padre mi ha raccontato che anche se era mora adesso è con te, ma che non posso dirlo a nessuno, perché la gente pensa che i mori non vadano in paradiso», disse in un bisbiglio. « Era una brava donna. Non aveva colpa. È stata Margarida.»
Arnau fissava la Madonna. Era circondata da decine di candele accese. L'aria tremolava attorno alla figura di pietra.
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«È lì con te, Habiba? Se la vedi, dille che voglio bene anche a lei. Tu non ti arrabbi se le voglio bene anche se è mora, vero?»
Malgrado il buio, la distanza e il tremolare delle decine di candele, Arnau vide le labbra della piccola scultura curvarsi in un sorriso.
«Joanet!» esclamò.
«Cosa c'è?»
Arnau indicò la Madonna, ma adesso le sue labbra... E se la Madonna preferiva non mostrare il suo sorriso a nessun altro? Forse era un segreto.
«Cosa c'è?»
«Niente, niente.»
«Avete già pregato?»
La presenza di Àngel e del sacerdote li sorprese.
«Sì », rispose Arnau.
«Io no...» fece per giustificarsi Joanet.
«Lo so, lo so», lo interruppe affettuosamente il prete accarezzandogli i capelli. « E tu, cos'hai recitato?»
«L'Ave Maria», rispose Arnau.
«Bella preghiera. Andiamo, allora», suggerì il prete mentre li accompagnava alla porta.
«Padre», disse Arnau quando furono fuori, « possiamo tornare?»
Il sacerdote gli sorrise.
«Naturalmente, ma spero che quando lo farete tu avrai insegnato qualche preghiera a tuo fratello.»
Joanet incassò con solennità i due buffetti che il sacerdote gli diede sulle guance.
«Tornate quando volete», aggiunse questi, «sarete sempre i benvenuti.»
Àngel si avviò verso il punto in cui erano ammassate le pietre. Arnau e Joanet lo seguirono.
«E adesso, dove pensate di andare? » chiese loro il ragazzo.
I bambini si guardarono l'un l'altro e si strinsero nelle spalle.
«Non potete restare nel cantiere. Se il maestro...»
«L'uomo della pietra? » lo interruppe Arnau.
«No», rispose Àngel ridendo. « Quello è Ramon, un bastaix.»
Joanet si unì all'espressione interrogativa dell'amico.
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«I bastaixos sono i mulattieri del mare; trasportano le merci dalla spiaggia ai magazzini dei mercati e viceversa. Caricano e scaricano le merci dopo che i barcaioli le hanno portate fino a riva.»
«Non lavorano per la chiesa di Santa Maria, allora? » chiese Arnau.
«Sì, più di chiunque altro.» Àngel rise davanti all'espressione perplessa dei bambini. « Sono uomini umili, senza mezzi, ma devoti alla Madonna del Mare, i più devoti di tutti. E siccome non hanno soldi da donare per la costruzione, la loro confraternita si è impegnata a trasportare gratuitamente la pietra dalla cava reale, nel Montjuìc, fino al cantiere. La trasportano sulle spalle», Àngel commentò la cosa con lo sguardo perso in lontananza, «e percorrono miglia reggendo macigni che poi devono essere spostati da due persone.»
Arnau ricordò il sasso enorme che il bastaix aveva posato per terra.
«Lavorano eccome per la Vergine!» insistette Àngel. « Più di chiunque altro. Andate a giocare», aggiunse poi prima di tornare al lavoro.
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«Perché continuano a salire con le impalcature?»
Arnau indicò la parte posteriore della chiesa di Santa Maria. Àngel alzò gli occhi e con la bocca piena di pane e formaggio borbottò una spiegazione incomprensibile. Joanet cominciò a ridere, Arnau si unì a lui e, alla fine, lo stesso Àngel fu contagiato dall'ilarità generale; il boccone però gli andò di traverso e la risata si trasformò in un attacco di tosse.
Tutti i giorni Arnau e Joanet si recavano a Santa Maria, entravano in chiesa e si inginocchiavano. Spronato dalla madre, Joanet aveva deciso di imparare a pregare e ripeteva incessantemente le orazioni che Arnau gli insegnava. Poi, quando i due amici si separavano, il piccolo correva alla finestra e le spiegava quanto avesse pregato quel giorno. Arnau invece parlava con sua madre per tutto il tempo, salvo quando il sacerdote si avvicinava; allora si univa al mormorio di Joanet.
Quando uscivano da Santa Maria, e sempre da una certa distanza, Arnau e Joanet osservavano i lavori del cantiere, i muratori, i tagliapietre e i falegnami; quindi si sedevano per terra nella piazza aspettando che Àngel facesse una pausa e si sedesse con loro a mangiare. Padre Albert li guardava con affetto, gli operai di Santa Maria li salutavano con un sorriso e persino i bastaixos, quando arrivavano con il loro carico di pietre sulle spalle, osservavano i due piccoli seduti davanti alla chiesa.
«Perché continuano a salire con le impalcature? » chiese di nuovo Arnau.
I tre guardarono la parte posteriore della chiesa, dove venivano innalzate le dieci colonne; otto disposte a semicerchio e due più in disparte. Dietro avevano cominciato a innalzare i contrafforti e i muri che avrebbero costituito l'abside vera e propria. Ma se le colonne giù superavano in altezza la piccola chiesa romanica, i ponteggi si spingevano ancora più in alto, senza un motivo apparente, senza colonne al loro interno, co104
me se gli operai fossero impazziti e volessero costruire una scala fino in cielo.
«Non lo so», rispose Àngel.
«Tutte quelle impalcature non reggono niente», intervenne Joanet.
«Ma lo faranno», affermò con sicurezza una voce maschile.
I tre si girarono. Tra le risate e i colpi di tosse non si erano accorti che alle loro spalle erano arrivati diversi uomini, alcuni riccamente vestiti, altri con l'abito talare ma agghindato con croci d'oro e pietre preziose sul petto, grandi anelli e cinture ricamate con fili d'oro e d'argento.
Padre Albert li vide dalla porta della chiesa e corse ad accoglierli. Àngel balzò in piedi facendosi andare di nuovo di traverso il boccone. Non era la prima volta che incontrava l'uomo che gli aveva appena risposto, ma raramente l'aveva visto circondato da tanta pompa. Era Berenguer di Montagut, il maestro del cantiere di Santa Maria del Mar.
Si alzarono in piedi anche Arnau e Joanet. Padre Albert si unì al gruppo e salutò i vescovi baciando l'anello.
«Cosa reggeranno?»
La domanda di Joanet fece bloccare padre Albert a metà strada tra un bacio e l'altro, e dalla sua scomoda posizione fulminò il bambino. Non parlare se non ti rivolgono una domanda, gli disse il suo sguardo. Uno dei prevosti fece il gesto di proseguire verso la chiesa, ma Berenguer di Montagut strinse Joanet per una spalla e si chinò su di lui.
«I bambini spesso riescono a cogliere quello che noi non vediamo», disse ad alta voce ai suoi accompagnatori, « e dunque non mi stupirebbe che avessero notato qualcosa che a noi forse è sfuggito. Vuoi sapere perché continuiamo ad alzare i ponteggi?»
Joanet annuì, non senza prima aver guardato padre Albert.
«Vedi dove finiscono le colonne? Da lì in su, dalla sommità di ciascuna di queste colonne, partiranno sei archi, e il più importante di tutti sarà quello su cui poggerà l'abside della nuova chiesa.»
«Cos'è un'abside? » chiese Arnau.
Berenguer sorrise e guardò dietro di sé. Alcuni dei presenti
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aspettavano la sua spiegazione con la stessa attenzione dei bambini.
«Un'abside è qualcosa di simile a questo.» Il maestro unì le dita delle mani formando una cupola. I bambini si concentrarono su quelle parole magiche; alcune delle persone più lontane si sporsero in avanti, compreso padre Albert. « Ebbene, su tutto, nella parte più alta», proseguì Berenguer separando le mani e indicando con una la punta dell'indice dell'altra, «va collocata una grande pietra, che prende il nome di chiave di volta. Prima dobbiamo issarla più in alto dei ponteggi, lassù, vedete? » Tutti alzarono gli occhi al cielo. « Una volta che l'avremo messa lì, porteremo su le nervature degli archi, fino a congiungerle con la chiave. Ecco perché ci servono impalcature così alte.»
«E perché tanta fatica? » chiese di nuovo Arnau.
Il sacerdote sobbalzò quando sentì ancora il bambino, anche se ormai cominciava ad abituarsi a tutte le sue domande e osservazioni.
«Tutto questo non si vedrà dall'interno della chiesa. Resterà sul tetto.»
Berenguer scoppiò a ridere, imitato da alcuni dei suoi accompagnatori. Padre Albert sospirò.
«Sì che si vedrà, ragazzo, perché il tetto della chiesa che c'è ora scomparirà man mano che costruiremo la nuova struttura. Sarà come se da questa chiesetta ne nascesse una nuova, più grande, più...»
L'espressione incredula di Joanet lo sorprese. Il bambino si era ormai abituato all'intimità della chiesa minore, al suo odore, alla sua penombra, alla sensazione di calore che provava quando pregava.
«Vuoi bene alla Madonna del Mare? » gli chiese Berenguer.
Joanet guardò Arnau, ed entrambi annuirono.
«Ebbene, quando avremo costruito la sua nuova chiesa, la Madonna che amate tanto avrà più luce di tutte le altre Vergini del mondo. Non starà più al buio come ora, e avrà il tempio più bello che si possa immaginare; non sarà più rinchiusa tra muri grossi e bassi, sarà circondata da pareti alte e sottili, snelle, con colonne e absidi che arriveranno fino al cielo, là dove la Madonna deve stare.»
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Guardarono tutti verso l'alto.
«Sì», proseguì Berenguer di Montagut, «la nuova chiesa della Madonna del Mare arriverà fin lassù.» Poi si avviò verso l'interno di Santa Maria, seguito dalla comitiva; alle sue spalle, i bambini e padre Albert rimasero a contemplare i lavori.
«Padre», chiese Arnau quando ormai gli altri non li potevano più sentire, « cosa ne sarà della Madonna quando abbatteranno la chiesa minore e prima che venga terminata quella maggiore?»
«Vedi quei contrafforti?» gli rispose il sacerdote indicando due di quelli che si stavano costruendo per chiudere l'ambulacro, dietro l'altare maggiore. «Lì in mezzo, edificheranno la prima cappella, dedicata al Santissimo, in cui provvisoriamente, insieme al corpo di Cristo e al sepolcro che contiene i resti di santa Eulalia, verrà ospitata la Madonna, per proteggerla da eventuali danni.»
«E chi la vigilerà?»
«Non temere», gli rispose il prete, stavolta sorridendo, «la Madonna sarà ben sorvegliata. La cappella del Santissimo appartiene alla confraternita dei bastaixos; hanno loro la chiave dell'inferriata e provvederanno a vigilare la tua Madonna.»
Ormai Arnau e Joanet conoscevano i bastaixos. Àngel ne recitava i nomi quando li vedevano apparire in fila, con il loro enorme carico in spalla: Ramon, il primo che avevano conosciuto; Guillem, forte come una delle rocce che portava, abbronzato e con il volto orribilmente sfigurato da un incidente, ma dai modi dolci e affettuosi; un altro Ramon, soprannominato il Piccolo perché più basso e tozzo del suo omonimo; Mi-quel, un uomo legnoso che non sembrava in grado di reggere il peso dei carichi che portava, e che invece ci riusciva tendendo tutti i nervi e i tendini del suo corpo, al punto che sembrava dovesse scoppiare da un momento all'altro; Sebastià, il più antipatico e taciturno, e suo figlio Bastianet; Pere, Jaume e una infinità di altri nomi, che corrispondevano a quei lavoratori della Ribera che si erano presi l'incarico di trasportare dalla cava reale di La Roca fino a Santa Maria del Mar le migliaia di pietre necessarie alla costruzione.
Arnau pensò ai bastaixos, al modo in cui guardavano la chiesa quando, curvi, arrivavano davanti a Santa Maria, a come sor107
ridevano quando scaricavano i massi, alla forza che dimostravano di avere nella schiena. Era sicuro che si sarebbero presi cura della sua Madonna.
Quanto Berenguer di Montagut aveva anticipato non tardò neanche sette giorni a realizzarsi.
«Domani venite all'alba», consigliò Àngel, «isseremo la chiave di volta.»
E i bambini erano già lì, a correre dietro a tutte le maestranze riunite ai piedi delle impalcature. C'era più di un centinaio di persone tra lavoratori, bastaixos e religiosi; padre Albert si era spogliato dei suoi abiti e appariva vestito come uno dei tanti, con un grosso scampolo di stoffa rossa arrotolato in vita a mo' di fascia.
Arnau e Joanet si unirono alla folla, salutando gli uni e sorridendo agli altri.
«Bambini», disse uno dei maestri muratori, «quando cominceremo a tirare su la chiave di volta non vi voglio vedere in giro.»
I due annuirono.
«E la chiave? » chiese Joanet, alzando gli occhi verso il maestro.
Corsero verso il punto indicato dall'uomo, ai piedi del primo ponteggio, il più basso di tutti.
«Madre Santissima!» esclamarono all'unisono quando si raccolsero attorno alla grande pietra circolare.
Erano in tanti a guardarla come loro, pur restando in silenzio; sapevano che quello era un giorno importante.
«Pesa più di sei tonnellate», disse qualcuno.
Joanet, con gli occhi sgranati, guardò Ramon, il bastaix che aveva visto accanto al masso.
«No», gli disse questi leggendogli nel pensiero, « quella non l'abbiamo trasportata noi.»
Il commento suscitò qualche risatina nervosa che, tuttavia, si spense subito. Arnau e Joanet videro gli uomini sfilare, arrivare davanti alla pietra, guardarla e alzare gli occhi al punto più alto dei ponteggi: dovevano issare più di sei tonnellate a un'altezza di trenta metri, tirando delle funi!
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«Se qualcosa va storto...» sentirono dire da uno, mentre si faceva il segno della croce.
«Ci cadrà addosso», proseguì un altro storcendo le labbra.
Nessuno stava fermo; persino padre Albert, con il suo strano abbigliamento, si muoveva inquieto dietro di loro, incoraggiandoli, impartendo pacche sulle spalle a destra e a manca e chiacchierando animatamente. La chiesa antica si stagliava tra la gente e le impalcature. Erano in molti a guardarla. I cittadini di Barcellona cominciarono a raccogliersi a una certa distanza dai ponteggi.
Finalmente apparve Berenguer di Montagut e, senza dare alla gente il tempo di fermarlo o di salutarlo, si avviò verso il ponteggio più basso e si rivolse agli uomini lì riuniti. Mentre parlava, molti dei muratori che lo accompagnavano legarono una grande troclea alla pietra.
«Come vedete», gridò, « in cima all'impalcatura sono stati montati diversi paranchi che ci serviranno per issare la chiave di volta. Le troclee, tanto quelle in alto quanto quelle che stanno legando alla pietra, sono composte da tre ordini di pulegge composte a loro volta da tre pulegge ciascuna. Come già sapete, non utilizzeremo né argani né ruote, dal momento che dovremo continuamente spingere la chiave di lato. Ci sono tre funi che passano per le pulegge, salgono fino in cima e poi ridiscendono a terra.» Il maestro, seguito da un centinaio di teste, ne indicò il percorso. « Voglio che vi dividiate in tre gruppi, attorno a me.»
I maestri muratori cominciarono a dividere la gente. Arnau e Joanet si ritirarono verso il lato posteriore della chiesa e da lì, con la schiena appoggiata al muro, seguirono i preparativi.
Quando Berenguer verificò che attorno a lui i tre gruppi erano pronti e schierati, proseguì: « Ciascuno dei tre gruppi tirerà una delle funi. Voi», aggiunse rivolgendosi a uno dei gruppi, « sarete Santa Maria. Ripetete con me: Santa Maria!»
Gli uomini gridarono quel nome.
«Voi Santa Clara.»
Il secondo gruppo ripeté in coro quel nome.
«E voi, Santa Eulalia. Mi rivolgerò a voi con questi nomi. Quando dirò 'tutti' mi starò rivolgendo ai tre gruppi insieme. Dovete tirare in linea retta, in base a come vi disporremo, senza
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perdere di vista la schiena del vostro compagno e ascoltando gli ordini del maestro che dirigerà ciascuna fila. Ricordate: dovete stare sempre dritti! Mettetevi in fila.»
Ogni gruppo aveva un maestro muratore che dispose la fila. Le funi erano già pronte e gli uomini le impugnarono. Berenguer di Montagut non diede loro nemmeno il tempo di pensare.
«Tutti! All'ordine di 'issa!' comincerete a tirare, all'inizio piano, finché non sentirete che le corde si tendono. Issa!»
Arnau e Joanet videro muoversi le file finché le funi non cominciarono a tendersi.
«Tutti! Forza!»
I bambini trattennero il respiro. Gli uomini piantarono i talloni per terra, cominciarono a tirare e le loro braccia, le spalle e le facce si contrassero. Arnau e Joanet inchiodarono lo sguardo sul masso. Non si muoveva.
«Tutti! Più forte!»
L'ordine risuonò nello spiazzo. Le facce degli uomini si fecero paonazze. Il legno dei ponteggi scricchiolò e la chiave si alzò di un palmo dal suolo. Sei tonnellate!
«Avanti!» urlò Berenguer senza perdere di vista la chiave.
Un altro palmo. I bambini si erano persino scordati di respirare.
«Santa Maria, più forte! Issa!»
Arnau e; Joanet posarono lo sguardo sulla fila di Santa Maria. C'era anche padre Albert, che chiuse gli occhi e tirò la corda.
«Così, Santa Maria! Così! Tutti! Forza!»
Il legno continuò a scricchiolare. Arnau e Joanet guardarono i ponteggi e poi Berenguer di Montagut, il quale prestava attenzione solo alla chiave di volta, che saliva piano, pianissimo.
«Più forte! Più forte! Avanti! Tutti insieme! Issa!»
Quando la chiave arrivò all'altezza del primo ponteggio, Berenguer comandò alle file di smettere di tirare e di afferrare la pietra che oscillava nel vuoto.
«Santa Maria e Santa Eulalia, prendetela!» ordinò quindi, « Santa Clara, tirate verso di voi!» La chiave si spostò lateralmente verso il ponteggio su cui Berenguer impartiva gli ordini. «Adesso tutti! Lasciate, piano piano.»
Tutti, compresi quelli che tiravano le funi, trattennero il re110
spiro quando la chiave si posò sull'impalcatura, ai piedi di Berenguer.
«Lentamente!» gridò il maestro del cantiere.
Le assi si piegarono sotto il peso della chiave.
«E se cedesse? » sussurrò Arnau a Joanet.
Se cedesse, Berenguer...
Resse. Tuttavia, quel ponteggio non era strutturato per sopportare a lungo il peso della chiave. Bisognava arrivare più in alto dove, secondo i calcoli di Berenguer, le impalcature avrebbero tenuto. I muratori cambiarono le funi fino al successivo paranco e gli uomini ripresero a tirare. E così via, di ponteggio in ponteggio; le sei tonnellate di pietra si alzavano verso il punto in cui dovevano convergere le nervature degli archi, sopra la testa della gente, nella cupola.
Gli uomini sudavano e avevano ormai i crampi. Di quando in quando, qualcuno cadeva e il maestro della fila accorreva per toglierlo da sotto i piedi di quanti lo precedevano. Alcuni cittadini robusti si erano avvicinati e quando qualcuno crollava il maestro sceglieva uno dei nuovi arrivati per rimpiazzarlo.
Dall'alto, Berenguer impartiva gli ordini che un altro maestro, rimasto su un ponteggio più basso, trasmetteva agli uomini. Quando la chiave arrivò all'ultimo ponteggio, le labbra serrate di alcuni cominciarono a distendersi in un sorriso, sebbene quello fosse il momento più delicato. Berenguer di Montagut aveva calcolato in quale punto esatto andava collocata la chiave perché le nervature degli archi vi si congiungessero perfettamente. Aveva triangolato per giorni con corde e puntoni tra le dieci colonne, aveva gettato fili a piombo dal ponteggio e teso corde e corde che dai puntoni a terra andavano fino all'ultima impalcatura. Per giorni aveva scarabocchiato sulle pergamene, le aveva grattate per poi riscriverci sopra. Se la chiave non fosse stata collocata nel punto esatto, non avrebbe sostenuto gli sforzi degli archi e l'abside avrebbe rischiato di crollare.
Alla fine, dopo mille calcoli e un'infinità di disegni, aveva segnato il punto esatto sulla piattaforma dell'ultimo ponteggio. Era lì che bisognava mettere la chiave, né un palmo più in qua né uno più in là. Gli uomini si scoraggiarono quando, diversamente da com'era andata con le precedenti piattaforme, Berenguer di Montagut non permise di posare la chiave sul ponteg111
gio e continuò invece a impartire ordini: «Ancora un po', Santa Maria. No. Santa Clara, tirate, adesso reggete. Santa Eulalia! Santa Clara! Santa Maria... Giù...! Più su...! Ora!» gridò all'improvviso. « Reggete tutti! Giù! Piano, più piano. Lentamente!»
D'un tratto le funi smisero di pesare. In silenzio, tutti gli uomini guardarono in alto, dove Berenguer di Montagut si era inginocchiato per controllare la posizione della chiave. Girò intorno alla pietra, di due metri di diametro, si alzò e salutò quelli in basso alzando le braccia.
Arnau e Joanet sentirono alle loro spalle, incollate al muro della vecchia chiesa, qualcosa di simile a un ruggito uscire dalle gole degli uomini rimasti lì per ore a tirare le corde. Molti si lasciarono cadere a terra. Altri, in minor numero, si abbracciarono e fecero salti di gioia. Le centinaia di spettatori che avevano seguito le operazioni gridavano e applaudivano, e Arnau si accorse di avere un nodo alla gola e la pelle d'oca.
«Mi piacerebbe essere già grande», sussurrò quella notte a suo padre, quando furono coricati sul pagliericcio, circondati dai colpi di tosse e dal russare di schiavi e apprendisti.
Bernat cercò di indovinare da dove gli venisse quel desiderio. Quel giorno, Arnau era arrivato esultante e gli aveva raccontato mille e una volta come era stata issata la chiave di volta dell'abside di Santa Maria. Persino Jaume lo aveva ascoltato con attenzione.
«Perché, figlio mio?»
«Tutti fanno qualcosa. A Santa Maria ci sono molti bambini che aiutano i loro padri o i loro maestri, mentre io e Joanet...»
Bernat passò un braccio intorno alle spalle del ragazzo e lo strinse a sé. In effetti, salvo quando gli si affidava qualche sporadica commissione, Arnau passava le sue giornate lì al cantiere. Cosa poteva fare di utile?
«Ti piacciono i bastaixos, vero?»
Bernat aveva percepito l'entusiasmo con cui il figlio gli spiegava in che modo quegli uomini trasportassero la pietra fino alla chiesa. I bambini li seguivano fino alle porte della città e poi restavano lì ad aspettarli per riaccompagnarli lungo la spiaggia, da Framenors fino a Santa Maria.
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«Sì », rispose Arnau, mentre suo padre frugava sotto il pagliericcio con l'altro braccio.
«Tieni», gli disse affidandogli il vecchio otre per l'acqua che li aveva accompagnati nella loro fuga.
Arnau lo prese nel buio.
«Offri loro un po' d'acqua fresca. Vedrai che te ne saranno grati.»
Il giorno dopo, come sempre all'alba, trovò Joanet ad aspettarlo davanti alla porta della bottega di Grau. Arnau gli mostrò l'otre, se l'appese al collo e corsero alla spiaggia, alla fonte dell'Angelo, vicino agli Encants, l'unica che si trovava sul tragitto dei bastaixos. Quella successiva era già a Santa Maria.
Quando i bambini videro avvicinarsi la fila dei bastaixos, che procedevano lentamente, curvi sotto il peso dei macigni, salirono su una delle barche tirate in secca sulla spiaggia. Il primo bastaix gli arrivò davanti e Arnau gli mostrò l'otre. L'uomo sorrise e si fermò accanto alla barca perché Arnau potesse fargli cadere l'acqua direttamente in bocca. Gli altri, dietro, aspettarono che il primo finisse di bere e arrivasse il loro turno. Quando, scaricati i massi al cantiere, i bastaixos tornarono leggeri alle cave, si fermarono nei pressi della barca per ringraziare i bambini dell'acqua fresca.
Da quel giorno, Arnau e Joanet divennero gli acquaioli dei bastaixos. Li aspettavano alla fonte dell'Angelo, e anche quando i bastaixos non lavoravano per Santa Maria perché c'era da scaricare qualche nave, li accompagnavano per la città per continuare a dissetarli senza che questi dovessero posare i pesanti fardelli che si caricavano in spalla.
Non per questo smisero di andare a Santa Maria per seguire i lavori, parlare con padre Albert o sedersi per terra e guardare Àngel che ingoiava il suo pranzo. Chiunque li vedesse poteva cogliere nei loro occhi una luce diversa quando osservavano la chiesa. Anche loro aiutavano a costruirla! Glielo avevano detto i bastaixos, e persino padre Albert.
Con la chiave di volta al proprio posto, i bambini poterono vedere come da ciascuna delle dieci colonne che la circondavano cominciassero a spuntare le nervature degli archi; i muratori predisposero delle centine sulle quali incastonavano una pietra dopo l'altra e che si alzavano curve, verso la chiave. Dietro le
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colonne, attorno alle prime otto, erano già state erette le mura dell'ambulacro, con i contrafforti rivolti all'interno, dentro la chiesa. Tra quei due contrafforti, spiegò loro padre Albert indicandone due, sarebbe sorta la cappella del Santissimo, quella dei bastaixos, che avrebbe ospitato la Madonna.
Perché mentre innalzavano le mura dell'ambulacro, mentre cominciavano a costruire le nove volte appoggiate alle nervature che partivano dalle colonne, avevano intrapreso anche la demolizione della vecchia chiesa.
«Sull'abside», spiegò ancora il sacerdote mentre Àngel annuiva alle sue parole, « verrà costruito il tetto. Sapete con cosa verrà fatto?»
I bambini fecero segno di no con la testa.
«Con tutti i cocci di ceramica difettosi della città. Prima verranno messi dei conci e sopra tutti i cocci, uno accanto all'altro, in fila. E sopra ancora, il tetto della chiesa.»
Arnau aveva visto i cocci ammucchiati accanto alle pietre di Santa Maria. Aveva chiesto a suo padre perché li avessero portati lì, ma Bernat non aveva saputo rispondergli. « So solo», gli aveva detto, « che ci hanno chiesto di ammucchiare tutti i cocci difettosi in attesa che venissero a prenderli. Non sapevo che fossero destinati alla tua chiesa.»
Fu così che la nuova chiesa cominciò a prendere forma dietro l'abside della vecchia, che nel frattempo avevano preso a demolire con attenzione per poterne riutilizzare la pietra. Il quartiere della Ribera non voleva restare senza un luogo di culto, neppure per l'intervallo dei lavori di costruzione del nuovo e magnifico tempio mariano, e gli uffizi religiosi non conobbero interruzione. Ed era una sensazione strana. Arnau, come tutti, entrava dal portale rampante della piccola costruzione romanica e, una volta dentro, l'oscurità in cui aveva cercato riparo per parlare con la sua Madonna si dissolveva per lasciare il posto alla luce che entrava dalle invetriate della nuova abside. La vecchia chiesa assomigliava a una piccola scatola circondata dalla magnificenza di un'altra più grande, un contenitore destinato a scomparire man mano che cresceva il nuovo, un recipiente più piccolo al termine del quale si apriva altissima l'abside già coperta.
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Malgrado tutto, la vita di Arnau non si riduceva a Santa Maria e a portare l'acqua ai bastaixos. I suoi compiti, in cambio di vitto e alloggio, comprendevano, tra gli altri incarichi, aiutare la cuoca quando andava a fare la spesa in città.
Ogni due o tre giorni, Arnau abbandonava il laboratorio di Grau all'alba per accompagnare Estranya, la schiava mulatta che camminava a gambe larghe, insicura, agitando pericolosamente le proprie carni esuberanti. Appena Arnau appariva sulla soglia della cucina, la schiava, senza rivolgergli la parola, gli affidava i primi carichi: due ceste con le pagnotte da portare a cuocere al forno di Ollers Blancs. In una c'era il pane per Grau e la sua famiglia, impastato con farina di grano di prima qualità, che sarebbe diventato uno squisito pane bianco; nell'altra, le pagnotte per i domestici, di farina di orzo, di miglio o addirittura di fave o di ceci, che uscivano dal forno scure, stoppose e dure.
Consegnato l'impasto del pane, Estranya e Arnau lasciavano il quartiere dei vasai e varcavano le mura diretti al centro di Barcellona. All'inizio del tragitto, Arnau seguiva senza difficoltà la schiava e si divertiva a guardare le sue carni scure che traballavano.
«Di cosa ridi? » gli aveva chiesto la mulatta in più d'una occasione.
Allora Arnau le guardava la faccia, tonda e piatta, e si sforzava di assumere un'espressione seria.
«Hai voglia di ridere? Allora fallo adesso», gli diceva in piazza del Blat, quando gli caricava in spalla un sacco di frumento. « Dove è finito il tuo bel sorriso? » lo rimbeccava nella discesa della Llet, quando gli passava il latte destinato ai suoi cugini; e ripeteva la domanda nella piazzetta dei Cols, dove compravano cavoli, legumi o verdure, e nella piazza dell'Oli, quando acquistava olio, cacciagione o pollame.
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Da quel momento in poi, Arnau, a capo chino, seguiva la schiava per tutta Barcellona. Nei giorni di astinenza, centosessanta, quasi la metà dell'anno, le forme della mulatta ondeggiavano fino alla spiaggia, nei pressi di Santa Maria, e lì, in una delle due pescherie della città, la nuova o la vecchia, Estranya si contendeva con gli altri i migliori delfini, tonni, storioni, e i locali palomides, neros, reigs o corballs.
«Adesso andiamo a prendere il tuo pesce», gli diceva sorridente quando aveva ottenuto ciò che desiderava.
A quel punto si spostavano sul retro e la mulatta comprava gli avanzi. C'era molta gente anche sul retro delle due pescherie, ma lì Estranya non litigava con nessuno.
Malgrado ciò, Arnau preferiva i giorni di astinenza a quelli in cui Estranya acquistava la carne, dato che per comprare gli avanzi del pesce bastava passare nel retrobottega, mentre per quelli della carne Arnau doveva attraversare mezza Barcellona e uscirne carico dei pacchi della mulatta.
Nelle macellerie annesse ai mattatoi della città compravano la carne per Grau e la sua famiglia. Era di prima qualità, come tutta quella che si vendeva dentro le mura di Barcellona; in città, infatti, non potevano essere introdotti animali morti: tutta la carne che si vendeva nella città comitale vi entrava viva, e veniva macellata al suo interno.
Per cui, per comprare le frattaglie con cui sfamare i servi e gli schiavi bisognava uscire dalla città da porta Ferrissa e arrivare al mercato in cui si accatastavano le carcasse di ogni genere di animali di provenienza sconosciuta. Estranya sorrideva ad Arnau mentre comprava quella carne e gliela caricava addosso; poi dopo essere passati dal forno a ritirare le pagnotte, tornavano alla casa di Grau, lei sempre dimenando i fianchi e lui trascinando i piedi.
Una mattina, Estranya e Arnau stavano facendo acquisti al macello principale, accanto a piazza del Blat, quando cominciarono a risuonare le campane della chiesa di Sant Jaume. Non era domenica, e neanche un giorno di festa. Estranya rimase immobile in tutta la sua mole, a gambe aperte. Qualcuno nella piazza gridò. Arnau non riuscì a capire le parole, ma al grido si unirono in tanti e la gente cominciò a correre in tutte le direzioni. Il ragazzo si girò verso Estranya, ma non riuscì a for116
mulare la domanda che aveva sulle labbra. Lasciò cadere i pacchi. I mercanti di grano presero a smontare i loro banchi in fretta e furia. La gente continuava a correre e a gridare, e le campane di Sant Jaume rintoccavano senza tregua. Arnau fece il gesto di andare verso piazza Sant Jaume, ma... quello che sentiva non era anche lo scampanio di Santa Clara? Ascoltò con attenzione in direzione del convento delle suore e proprio in quell'istante cominciarono a rintoccare anche quelle di Sant Pere, di Framenors, di Sant Just. Tutte le campane della città suonavano a raccolta! Arnau rimase dov'era, a bocca aperta, assordato, fissando la gente che correva tutt'intorno a lui.
D'un tratto si trovò davanti il faccino di Joanet. L'amico, nervoso, non riusciva a tacere.
«Via fora! Via fora!» gridava.
«Come? » chiese Arnau.
«Via fora!» gli gridò Joanet all'orecchio.
«Cosa significa?...»
Joanet lo zittì e gli indicò la vecchia porta Maggiore, sotto il palazzo del governatore.
Arnau guardò in quella direzione proprio mentre la varcava una guardia del governatore in abiti da battaglia, con una corazza argentata e una grande spada alla cintola. Nella mano destra, appesa a un'asta dorata, stringeva il vessillo di Sant Jordi: la croce rossa su campo bianco. Dietro di lui un'altra guardia, sempre in assetto da battaglia, portava il vessillo della città. I due uomini si diressero al centro della piazza, dove si trovava la pietra che divideva la città in quartieri. Quando furono lì, innalzando i pennoni di Sant Jordi e di Barcellona, le guardie gridarono all'unisono: « Via fora! Via fora!»
Le campane continuavano a rintoccare e il «Via fora!» correva per le strade della città, sulla bocca dei suoi cittadini.
Joanet, che aveva osservato la scena in un silenzio deferente, cominciò a strillare come un ossesso.
Finalmente, Estranya parve reagire e spronò Arnau ad allontanarsi da lì. Il ragazzo, affascinato dalle due guardie in piedi al centro della piazza, con le corazze splendenti e le spade, ieratiche sotto i pennoni colorati, sfuggì di mano alla donna.
«Andiamo, Arnau!» gli ordinò Estranya.
«No», si oppose lui, istigato da Joanet.
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Estranya lo prese per le spalle, scrollandolo.
«Andiamocene, non è roba per noi.»
«Cosa dici, schiava? » Le parole venivano da una donna, ferma accanto ad altre, che incantata come loro osservava la scena e aveva seguito il battibecco tra Arnau e la mulatta. « Il ragazzo è forse uno schiavo?»
Estranya fece segno di no con la testa.
«È un cittadino?»
Arnau annuì.
«E allora con che coraggio vieni a dire che il 'Via fora!' non lo riguarda?»
Estranya esitò e i suoi piedi si mossero come quelli di un'anatra che non voleva camminare.
«Chi sei tu, schiava», le chiese un'altra donna, «per negare al ragazzo l'onore di difendere i diritti di Barcellona?»
Estranya chinò la testa. Cosa avrebbe detto il suo padrone, se avesse saputo? Lui, che ambiva tanto agli onori della città. Le campane continuavano a rintoccare. Joanet si era avvicinato al gruppo delle donne e incitava Arnau a unirsi a lui.
«Le donne non vanno con la host della città», ricordò a Estranya la donna che aveva parlato.
«Gli schiavi neanche», aggiunse un'altra.
«Chi credi che debba assistere i nostri mariti, se non dei ragazzi come loro?»
Estranya non osava più alzare gli occhi.
«Chi credi che cucini i loro pasti o sbrighi le loro faccende, chi gli leva gli stivali o gli pulisce le balestre?»
«Va' dove devi andare», le intimarono. «Questo non è posto da schiavi.»
Estranya prese i sacchi che Arnau aveva portato fin lì e s'incamminò portandosi dietro le sue carni traballanti. Joanet, sorridendo soddisfatto, guardò con ammirazione il gruppo di donne. Arnau non si era ancora mosso da dove stava.
«Andate, ragazzi», li incoraggiarono le donne, « e prendetevi cura dei nostri uomini.»
«Avvisa tu mio padre!» gridò Arnau a Estranya, che era riuscita ad avanzare solo di pochi passi.
Joanet si accorse che Arnau non riusciva a staccare gli occhi dalla schiava e indovinò i suoi dubbi.
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«Non hai sentito le donne? » gli disse. « Siamo noi che dobbiamo assistere i soldati di Barcellona. Tuo padre capirà.»
Arnau annuì, prima lentamente e poi con forza. Certo che avrebbe capito! Non aveva forse lottato perché loro potessero diventare cittadini di Barcellona?
Quando si girarono verso la piazza, videro che accanto agli stendardi delle guardie se n'era aggiunto un terzo: quello dei mercanti. Il gonfaloniere non era in assetto da guerra, ma portava una balestra a tracolla e una spada alla cintura. Poco dopo arrivò un altro vessillo, quello degli orafi, e così, poco a poco, la piazza si riempì di drappi colorati con ogni genere di simboli e figure: lo stendardo dei conciatori, quello dei cerusici o dei barbieri, quello dei falegnami, dei calderai, dei vasai...
Sotto gli stendardi si raggruppavano, in base al loro mestiere, i cittadini liberi di Barcellona; tutti, come richiedeva la legge, armati con una balestra, una faretra con cento frecce e una spada o una lancia. In meno di due ore il sagramental di Barcellona era pronto a partire in difesa dei privilegi della città.
Nel corso di quelle due ore, Arnau poté capire cosa stesse accadendo, grazie alle spiegazioni di Joanet.
«Barcellona non si limita a difendersi quando è necessario», disse, « può anche attaccare chi ci minaccia.» Il piccolo parlava con veemenza, indicando soldati e stendardi, chiaramente orgoglioso di potergli spiegare quelle cose. « E fantastico! Vedrai, se saremo fortunati staremo qualche giorno fuori. Quando qualcuno offende un cittadino o minaccia i diritti della città, viene denunciato... Be', non so bene a chi viene denunciato, se al governatore o al Consiglio dei Cento, ma quando le autorità hanno verificato che l'accusa è fondata, allora convocano la host sotto lo stendardo di Sant Jordi; eccolo lì, lo vedi? Al centro della piazza, sopra tutti gli altri. Le campane suonano e la gente si lancia per strada gridando 'Via fora!' perché la notizia corra per tutta la città. I probiviri delle confraternite vanno a prendere i loro vessilli e i membri vi si raccolgono attorno per andare in battaglia.»
Arnau, con gli occhi sgranati, guardava tutto quello che accadeva intorno a lui e intanto seguiva Joanet attraverso i gruppi raccolti in piazza del Blat.
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«E cosa bisogna fare? È pericoloso? » chiese davanti allo spiegamento di armi che si vedeva nella piazza.
«Di solito non è pericoloso», rispose Joanet sorridendogli. « Pensa che se il governatore ha dato il nullaosta alla chiamata, l'ha fatto in nome della città, ma anche in quello del re, per cui non c'è mai il rischio di dover combattere contro le truppe reali. Dipende sempre da chi è l'aggressore, ma appena un signore feudale vede che gli si avvicina la host di Barcellona, il più delle volte si piega alle sue richieste.»
«Non si combatte, allora?»
«Dipende da quello che decidono le autorità e dalla posizione del signore. L'ultima volta hanno raso al suolo una fortezza, e allora sì che c'è stata battaglia, con tanto di morti e assalti e... Guarda, lì dev'esserci tuo zio», disse Joanet indicando il vessillo dei vasai, « andiamo!»
Sotto lo stendardo e in compagnia degli altri tre probiviri della confraternita, c'era Grau Puig in assetto da combattimento, con gli stivali, una giubba di cuoio che lo copriva dal petto a metà polpaccio e una spada alla cintura. Attorno ai quattro probiviri si accalcavano i vasai della città. Non appena Grau si accorse della presenza del nipote, fece un cenno a Jaume e questi bloccò il passo ai bambini.
«Dove andate? » domandò.
Arnau cercò con lo sguardo l'appoggio di Joanet.
«Andiamo a offrire il nostro aiuto al maestro», rispose Joanet. « Potremmo portargli la bisaccia con le provviste... o qualsiasi altra cosa desideri.»
«No, mi dispiace», si limitò a dire Jaume.
«Adesso cosa si fa? » chiese Arnau a Joanet quando l'altro si girò.
«Che t'importa!» gli rispose l'amico. «Non preoccuparti, qui è pieno di gente che sarà felicissima di farsi aiutare; e poi non si accorgeranno neanche di noi.»
I due bambini cominciarono a camminare tra la gente; osservavano le spade, le balestre e le lance, guardavano ammirati quanti indossavano un'armatura o cercavano di carpire brandelli dalle conversazioni animate.
«Allora, dov'è finita l'acqua?» sentirono urlare alle loro spalle.
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Arnau e Joanet si voltarono. L'espressione dei due ragazzi si illuminò di gioia nel vedere Ramon, che sorrideva rivolto a loro. Insieme a lui, più di venti macips, tutti imponenti e armati, li guardavano.
Arnau si tastò la schiena in cerca dell'otre e tale dovette essere la sua delusione nel non trovarlo che alcuni dei bastaixos, ridendo, gli si avvicinarono e gli offrirono il loro.
«Bisogna farsi trovare sempre pronti quando la città ti chiama», scherzarono.
Il sagramental lasciò Barcellona seguendo la croce rossa dello stendardo di Sant Jordi, diretto alla cittadina di Creixell, nei pressi di Tarragona. Gli abitanti di quel borgo avevano trattenuto un gregge appartenente ai macellai della città comitale.
«È tanto grave? » chiese Arnau a Ramon, che avevano deciso di scortare.
«Certo che lo è. Il bestiame che appartiene ai macellai di Barcellona gode di libero passaggio e pascolo in tutta la Catalogna. Nessuno, neppure il re, può fermare un gregge destinato a questa città. I nostri figli devono mangiare la migliore carne del principato», aggiunse spettinando entrambi i ragazzini. « Il signore di Creixell ha bloccato il gregge e pretende che il pastore paghi i diritti di pascolo e di passaggio sulle sue terre. Vi immaginate cosa accadrebbe se tutti i nobili e i baroni, da Tarragona a Barcellona, pretendessero il pagamento del passaggio e del pascolo? Non potremmo più mangiare!»
Se sapessi che razza di carne ci dà Estranya... pensò Arnau.
Joanet indovinò i pensieri dell'amico e fece una smorfia disgustata. Arnau l'aveva raccontato solo a lui. Era stato tentato di spiegare al padre la provenienza della carne che galleggiava nella pentola nei giorni in cui non era vietata, ma quando lo vedeva mangiare con gusto, quando vedeva tutti gli schiavi e i lavoranti di Grau lanciarsi sulla zuppa, faceva di necessità virtù, taceva e mangiava a sua volta.
«Ci sono altri motivi per far uscire il sagramental} » chiese Arnau con un cattivo sapore in bocca.
«Naturalmente. Qualsiasi minaccia ai privilegi di Barcellona o ai danni di un cittadino può far scattare una missione del sagramental. Per esempio, se qualcuno rapisce un cittadino di Barcellona, il sagramental correrà a liberarlo.»
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Camminando e chiacchierando, Arnau e Joanet percorsero la costa - Sant Boi, Castelldefels e Garraf - sotto lo sguardo attento delle persone che incrociavano, che si facevano da parte e assistevano in silenzio alla sfilata del sagramental. Persino il mare sembrava rispettare la host di Barcellona e attutiva il suo fragore al passaggio di quelle centinaia di uomini armati, in marcia dietro il vessillo di Sant Jordi. Il sole li accompagnò per tutta la giornata, e quando il mare cominciò a coprirsi d'argento si fermarono per passare la notte nella cittadina di Sitges. Il signore di Fonollar accolse nel suo castello i probiviri della città e il resto del sagramental si accampò alle porte del borgo.
«Daremo battaglia? » chiese Arnau.
Tutti i bastaixos lo guardarono. Il crepitare del fuoco ruppe il silenzio. Joanet, coricato, dormiva con la testa su una coscia di Ramon. Alcuni bastaixos si scambiarono un'occhiata alla domanda di Arnau: Daremo battaglia?
«No», rispose Ramon. « Il signore di Creixell non è in grado di affrontarci.»
Arnau sembrava deluso.
«Forse sì », cercò di accontentarlo un altro dei probiviri della confraternita, dall'altro lato del falò. « Parecchi anni fa, quando ero giovane, più o meno come te», e Arnau rischiò di bruciarsi tanto si avvicinò al fuoco per sentire, « il sagramental venne radunato per accorrere a Castellbisbal, il cui signore aveva bloccato una mandria, proprio come ha fatto ora il signore di Creixell. Il signore di Castellbisbal non si arrese e affrontò il sagramental, probabilmente era convinto che i cittadini di Barcellona, mercanti, artigiani o bastaixos come noi, non fossero in grado di combattere. Barcellona prese il castello e lo rase al suolo dopo aver catturato il signore e i suoi soldati.»
Arnau si vedeva già a impugnare una spada, a salire una scala o a gridare vittorioso sul merlo del castello di Creixell: Chi osa opporsi al sagramental di Barcellona? Tutti i bastaixos notarono la sua espressione: il ragazzo con gli occhi persi nelle fiamme, teso, con le mani strette al palo con il quale aveva giocherellato prima, che attizzava il fuoco, tremando. Io, Arnau Estanyol... Le risate lo riportarono a Sitges.
«Va' a dormire», gli consigliò Ramon che si stava alzando
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con Joanet in braccio. Arnau fece una smorfia. « Così potrai sognare la guerra», lo consolò il bastaix.
La notte era fresca e qualcuno cedette una coperta ai due bambini.
Il giorno dopo, all'alba, si rimisero in marcia verso Creixell. Passarono per le cittadine di Geltrù, Vilanova, Cubelles, Segur e Barà, tutti borghi con un castello, e da Barà svoltarono verso l'interno, in direzione di Creixell. Era un paese distante poco meno di un miglio dal mare, situato su un'altura sulla cui cima si ergeva il castello del signore di Creixell, una fortificazione costruita su un terrapieno di pietra di undici lati, con varie torri difensive e attorno alla quale si stringevano le case del borgo. Mancavano alcune ore all'imbrunire. I probiviri delle confraternite vennero convocati dai consiglieri e dal governatore. L'esercito di Barcellona si dispose in formazione da combattimento davanti a Creixell, con gli stendardi di fronte. Arnau e Joanet camminavano fra le linee offrendo acqua ai bastaixos, ma quasi tutti la rifiutavano, gli occhi fissi sul castello.
Nessuno fiatava e i bambini non si azzardavano a infrangere il silenzio. I probiviri tornarono e si unirono alle rispettive confraternite. Tutto l'esercito poté vedere tre ambasciatori di Barcellona che s'incamminavano verso Creixell; altrettanti ne uscirono dal castello per incontrare i negoziatori a metà strada.
Arnau e Joanet, come tutti i loro concittadini, osservavano la scena in silenzio.
Non avrebbero dato battaglia. Il signore di Creixell era riuscito a scappare attraverso un passaggio segreto che metteva in comunicazione il castello con la spiaggia, alle spalle dell'esercito assediante. L'alcalde del borgo, davanti ai cittadini di Barcellona schierati per il combattimento, diede l'ordine di accettare le richieste della città comitale. I suoi compaesani restituirono il bestiame, misero in libertà il pastore, accettarono di pagare una forte somma in riparazione, si impegnarono a obbedire e a rispettare in futuro i privilegi della città e consegnarono due dei loro compaesani, che consideravano responsabili dell'offesa, i quali vennero immediatamente presi in consegna.
«Creixell si è arreso», annunciarono i consiglieri all'esercito.
Un brusio si levò dalle fila dei barcellonesi. I soldati improvvisati rifoderarono le spade, posarono le balestre e le lance e si
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spogliarono della tenuta da combattimento. Tra le fila dell'esercito cominciarono a correre risate, frizzi e lazzi.
«Il vino, ragazzi!» li spronò Ramon. « Che cosa vi prende? » chiese poi, vedendoli immobili. «Vi sarebbe piaciuto vedere uno scontro, vero?»
L'espressione dei ragazzi era eloquente.
«Chiunque di noi avrebbe potuto uscirne ferito o addirittura morto. Questo vi sarebbe piaciuto?»
Arnau e Joanet si affrettarono a fare segno di no con la testa.
«Provate a vederla diversamente: appartenete alla più grande e potente città del principato e tutti hanno paura di affrontarci.»
Arnau e Joanet ascoltarono Ramon con gli occhi sgranati.
«Andate a prendere il vino, ragazzi. Anche voi brinderete a questa vittoria.»
Il vessillo di Sant Jordi tornò con onore a Barcellona e, con esso, i due bambini, orgogliosi della loro città, dei concittadini e di far parte della loro schiera. I prigionieri di Creixell entrarono in città incatenati e vennero portati in mostra per le strade. Le donne e quanti vi si erano accalcati applaudivano l'esercito e sputavano sui prigionieri. Arnau e Joanet accompagnarono la comitiva lungo tutto il percorso, seri e alteri, e con la stessa espressione, quando i prigionieri furono definitivamente rinchiusi nel palazzo del governatore, si presentarono a Bernat, il quale, sollevato nel rivedere il figlio sano e salvo, dimenticò la predica che aveva intenzione di fargli e ascoltò sorridente il racconto della loro avventura.
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Erano trascorsi parecchi mesi dall'avventura che li aveva portati a Creixell, ma la vita di Arnau era cambiata poco, nel frattempo. In attesa di compiere dieci anni, età in cui sarebbe entrato come apprendista nel laboratorio dello zio Grau, continuava a gironzolare insieme a Joanet nell'affascinante Barcellona, sempre piena di sorprese; portava l'acqua ai bastaixos e, soprattutto, stava volentieri nella chiesa di Santa Maria del Mar, la vedeva crescere e pregava la Madonna, cui confidava le proprie pene, beandosi del sorriso che credeva di scorgere sulle labbra della figura di pietra.
Come gli aveva detto padre Albert, quando l'altare maggiore della chiesa romanica sparì, la Madonna venne trasferita nella piccola cappella del Santissimo, situata nell'ambulacro, dietro il nuovo altare maggiore di Santa Maria, tra due dei contrafforti, chiusa da alte e robuste inferriate. Nessuno, tranne i bastaixos incaricati di averne cura, proteggerla, pulirla e mantenere sempre accesi i ceri che la illuminavano, poteva avanzare diritti su di essa. Era la più importante del tempio perché destinata a conservare il corpo di Cristo, eppure la parrocchia l'aveva ceduta proprio a loro, gli umili scaricatori portuali. Molti nobili e mercanti avrebbero pagato per costruire e vantare benefici sulle trentatré restanti cappelle che sarebbero sorte nella chiesa, disse loro padre Albert, tra i contrafforti dell'ambulacro o delle navate laterali, ma quella del Santissimo apparteneva ai bastaixos e il giovane acquaiolo non ebbe mai alcun problema ad avvicinarsi alla sua Madonna.
Una mattina, mentre Bernat stava riordinando le proprie cose sotto il pagliericcio dove nascondeva la borsa con i soldi che, ormai nove anni prima, era riuscito a mettere in salvo nella fuga precipitosa dalla masseria, oltre ai pochi che gli pagava il cognato - soldi che sarebbero serviti ad Arnau per farsi strada quando avesse imparato il mestiere - Jaume entrò nello stanzo125
ne degli schiavi. Bernat, stupito, lo guardò. Non era normale che Jaume mettesse piede lì.
«Cosa...?»
«Tua sorella è morta», lo interruppe Jaume.
Le gambe di Bernat cedettero e lui cadde seduto sul pagliericcio, con la borsa dei soldi in mano.
«Co...? Come è successo? Cosa le è capitato? » balbettò.
«Il maestro non lo sa. È morta stanotte, nel sonno.»
Bernat lasciò andare la borsa e si portò le mani al viso. Quando le scostò e alzò gli occhi, Jaume se n'era andato. Con un nodo alla gola, Bernat ricordò la bambina che lavorava i campi insieme a lui e al loro padre, la ragazza che non si stancava mai di cantare mentre si occupava delle bestie. Bernat aveva spesso sorpreso il padre interrompere le proprie faccende e chiudere gli occhi lasciandosi rapire qualche istante dalla sua voce allegra e spensierata. E adesso...
La faccia di Arnau rimase impassibile quando, all'ora di cena, ricevette la notizia per bocca di suo padre.
«Mi hai sentito, figliolo? » insistette Bernat.
Arnau annuì. Non vedeva Guiamona da un anno, tranne le ormai remote occasioni in cui si era arrampicato sull'albero per guardarla mentre giocava con i cugini: lui era lì, a spiarla, a piangere in silenzio, mentre loro ridevano e correvano, e nessuno... Provò l'impulso di dire a suo padre che non gli importava, che Guiamona non gli voleva bene, ma l'espressione di tristezza che gli lesse negli occhi glielo impedì.
«Padre», gli disse avvicinandosi a lui.
Bernat lo abbracciò.
«Non piangete», sussurrò Arnau appoggiandogli la testa sul petto.
Bernat lo strinse a sé e Arnau rispose stringendolo forte.
Stavano mangiando in silenzio, insieme agli schiavi e agli apprendisti, quando udirono il primo lamento. Un grido straziante che parve lacerare l'aria. Guardarono tutti verso la casa. « Prefiche», disse uno degli apprendisti; « c'è anche mia madre. Questa potrebbe anche essere lei. E la migliore della città », aggiunse con orgoglio.
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Arnau guardò il padre; poi giunse un altro urlo e Bernat vide che suo figlio si irrigidiva.
«Ne sentiremo parecchi», lo avvisò. « Mi hanno detto che Grau ha assunto molte prefiche.»
E così fu. Per tutta la sera e la notte, mentre la gente si recava a casa dei Puig per le condoglianze, molte donne piansero la morte di Guiamona, e né Bernat né suo figlio riuscirono a prendere sonno per colpa del costante gemito di quelle donne.
«Lo sa tutta Barcellona», spiegò Joanet ad Arnau quando riuscì a trovarlo, la mattina dopo, tra la folla che si accalcava alle porte della casa di Grau.
Arnau fece spallucce.
«Sono venuti tutti al funerale», aggiunse Joanet di fronte al gesto dell'amico.
«Perché?»
«Perché Grau è ricco e regalerà un capo di vestiario a chiunque venga a fargli le condoglianze.» Joanet mostrò ad Arnau una lunga camicia nera. « Come questo», aggiunse sorridendo.
A metà mattina, quando tutta quella gente si fu vestita a lutto, il corteo funebre partì in direzione della chiesa di Nazaret, dove si trovava la cappella di San Ippolito, il patrono della confraternita dei ceramisti. Le prefiche seguivano il feretro, piangendo, urlando e strappandosi i capelli.
La chiesa era piena di personalità: probiviri delle diverse confraternite, consiglieri della città e la maggior parte dei membri del Consiglio dei Cento. Adesso che Guiamona era morta nessuno si preoccupava degli Estanyol, ma Bernat, trascinandosi dietro il figlio, riuscì ad avvicinarsi al punto in cui giaceva il corpo, dove gli abiti semplici regalati da Grau si mescolavano a sete e bissi, costosi teli di lino nero, ma non gli permisero neanche di dire addio a sua sorella.
Da lì, mentre i sacerdoti celebravano la messa funebre, Arnau riusciva a scorgere le facce congestionate dei cugini: Josep e Genìs se ne stavano composti, Margarida restava eretta ma non riusciva a soffocare il tremito costante del labbro inferiore. Avevano perso la madre, come lui. Lo sapranno, della Madonna? si chiese Arnau; dopo di che posò gli occhi sullo zio, ieratico. Era sicuro che Grau Puig non l'avrebbe raccontato ai suoi figli. I
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ricchi sono diversi, gli avevano sempre detto: probabilmente loro avrebbero saputo come trovare una nuova madre.
Come volevasi dimostrare. Un ricco vedovo di Barcellona, un vedovo ambizioso... Grau non aveva ancora smesso il lutto quando cominciò a ricevere proposte di matrimonio, e non si fece scrupolo di contrattare. Alla fine, la prescelta per diventare la nuova madre dei figli di Guiamona fu Isabel, una ragazza giovane e poco aggraziata, ma nobile. Grau aveva soppesato le qualità di tutte le candidate e aveva optato per l'unica di sangue aristocratico. In dote gli portò solo un titolo privo di benefici, terre o ricchezze, ma che gli avrebbe permesso di accedere a una classe che gli era preclusa. Che interesse potevano mai avere le doti che gli offrivano alcuni mercanti, bramosi di unirsi alla ricchezza di Grau? Alle grandi famiglie nobili della città non preoccupava che fosse rimasto vedovo un semplice ceramista, per ricco che fosse; solo il padre di Isabel, senza grandi risorse economiche, intuì nel carattere di Grau la possibilità di una conveniente alleanza per entrambe le parti, e non si sbagliava.
«Come capirai», pretese il futuro suocero, « mia figlia non può vivere in una bottega da ceramista.»
Grau annuì.
«E non può neanche sposarsi con un semplice ceramista.»
Stavolta Grau cercò di rispondere, ma l'altro lo zittì con un cenno sprezzante della mano.
«Grau», aggiunse, «noi nobili non possiamo dedicarci all'artigianato, capisci? Possiamo anche essere poveri in canna, ma non saremo mai artigiani...»
Noi nobili non possiamo... Grau nascose la propria soddisfazione nel sentirsi includere nella categoria. E aveva ragione: s'erano mai visti nobili della città proprietari di laboratori d'artigianato? Signor barone: d'ora in avanti gli avrebbero dato quel titolo, nelle sue negoziazioni commerciali, nel Consiglio dei Cento... Signor Barone! Come poteva un barone catalano avere una bottega?
Con l'aiuto di Grau, che era ancora un proboviro della confraternita, Jaume non ebbe alcun problema a ottenere la qualifica di maestro. Gestirono la faccenda con la pressione della
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premura di Grau di sposare Isabel, spaventato all'idea che quei nobili, sempre capricciosi, si potessero pentire. Il futuro barone non aveva più tempo di andare al mercato. Jaume sarebbe diventato un maestro e Grau gli avrebbe venduto laboratorio e casa, a rate. C'era solo un problema...
«Ho quattro figli», gli disse Jaume. « Già mi sarà difficile pagarvi le rate...»
Grau lo incoraggiò a continuare.
«Non posso accollarmi tutte le spese cui voi facevate fronte: schiavi, lavoranti e apprendisti! Non saprei neanche come sfamarli! Se voglio farmi strada, devo cavarmela da solo, con i miei quattro figli.»
La data delle nozze era fissata. Grau, grazie al padre di Isabel, acquistò un costoso palazzo sulla Montcada, dove vivevano le famiglie nobili di Barcellona.
«Ricorda», l'aveva avvertito il suocero quando erano usciti dalla proprietà appena comprata, «non entrare neanche in chiesa se prima non ti sei liberato della bottega.»
Ispezionarono fino all'ultimo angolo della nuova casa; il barone approvava la scelta e Grau calcolava mentalmente quanto gli sarebbe costato riempire tutto quello spazio. Dietro le grandi porte che si affacciavano su via Montcada si apriva un patio lastricato; davanti, le scuderie, che occupavano la maggior parte del piano terra, insieme alle cucine e allo stanzone degli schiavi. Sulla destra, una grande scalinata di pietra all'aperto saliva al primo piano nobile, dove si trovavano i saloni e le altre stanze; più su, al secondo piano, le camere da letto. Tutto il palazzo era di pietra; i due piani nobili avevano finestre ogivali, collegate da un ballatoio, che si affacciavano sul patio.
«D'accordo», disse a colui che per anni era stato il suo garzone, « ti affranco da ogni mio impegno.»
Firmarono il contratto quello stesso giorno e Grau, tutto soddisfatto, corse dal suocero sbandierando il documento.
«Ho venduto la bottega», gli annunciò.
«Signor barone», gli rispose l'altro, tendendogli la mano.
E adesso? pensò Grau quando si ritrovò solo. Gli schiavi non sono un problema; mi terrò quelli che mi servono e gli altri... al mercato. Quanto a lavoranti e apprendisti...
Grau parlò con i membri della confraternita e sistemò tutti i
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suoi dipendenti in cambio di somme modeste. Restavano solo suo cognato e il ragazzino. Bernat non aveva nessuna qualifica agli occhi della confraternita, neanche il grado di garzone. Nessuno l'avrebbe preso in un laboratorio, oltre al fatto che non era permesso. Il bambino non aveva neanche iniziato l'apprendistato ma c'era un contratto e, in ogni modo, come poteva chiedere a qualcuno di assumere degli Estanyol? Avrebbero saputo tutti che quei due fuggiaschi erano suoi parenti. Si chiamavano come Guiamona. Avrebbero scoperto tutti che aveva dato rifugio a due servi della gleba, giusto adesso che stava per diventare un nobile... Non erano forse proprio i nobili i più acerrimi nemici dei servi fuggiaschi? Non erano forse gli stessi nobili a far pressioni sul re perché sospendesse le disposizioni che permettevano ai servi della gleba di affrancarsi? Come poteva farsi considerare un nobile se il caso degli Estanyol fosse trapelato? Cosa avrebbe detto il suocero?
«Verrete con me», disse a Bernat, che già da qualche giorno seguiva con preoccupazione l'evolversi della situazione.
Jaume, nella sua nuova veste di padrone della bottega, non più alle dipendenze di Grau, si sedette con Bernat e gli parlò con tranquillità: « Non avrà il coraggio di fare niente con voi due. Lo so, me l'ha confessato; non vuole rischiare che venga resa pubblica la vostra situazione. Io ho trovato un buon accordo. Ha fretta, deve sbrigarsi a sistemare tutte le questioni in sospeso prima di sposarsi con Isabel. Tu hai un contratto firmato per tuo figlio. Approfittane. Stagli addosso, quello è un uomo senza cuore, minaccialo di rivolgerti a un tribunale. Sei una brava persona, e vorrei che capissi che tutto quello che è successo in questi anni...»
Bernat capiva. E spinto dalle parole dell'ex garzone trovò il coraggio di affrontare di petto il cognato.
«Cosa dici?!» gridò Grau quando Bernat gli rispose con un diretto: Dove? E a fare cosa? « Verrete dove voglio io e a fare quello che decido io», proseguì strillando, gesticolando nervoso.
«Non siamo i tuoi schiavi, Grau.»
«Non hai molta scelta.»
Bernat dovette schiarirsi la voce prima di rispondere secondo i consigli di Jaume.
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«Posso rivolgermi a un tribunale.»
Rigido, tremante, piccolo e magro, Grau si alzò dalla sedia, ma Bernat non batté ciglio, benché avrebbe dato qualunque cosa per scappare di lì a gambe levate. E lasciò che la minaccia risuonasse nelle orecchie del vedovo.
Avrebbero curato i cavalli che Grau si era visto costretto a comprare insieme al palazzo. « Come si fa a tenere le stalle vuote? » aveva detto il suocero a mo' di suggerimento, come se parlasse con un bambino sprovveduto. Grau faceva a mente somme su somme. « Mia figlia ha sempre montato», aveva aggiunto.
La cosa più importante per Bernat fu comunque il buon salario che ottenne per se stesso e per Arnau, che avrebbe a sua volta cominciato a lavorare con i cavalli. Avrebbero potuto vivere fuori dal palazzo, in un'abitazione tutta per loro, senza schiavi né apprendisti; lui e suo figlio avrebbero avuto i soldi necessari per cavarsela.
Fu Grau in persona che si affrettò ad annullare il contratto da apprendista di Arnau per firmargliene uno nuovo.
Anche se ormai gli avevano concesso la cittadinanza, Bernat lasciava la bottega solo in rare occasioni, sempre solo o in compagnia di Arnau. A quanto sembrava, nessuno aveva sporto denuncia contro di lui, e il suo nome figurava nel registro dei cittadini ufficiali. Altrimenti sarebbero già andati a cercarlo, pensava ogni volta che metteva piede in strada. Di solito raggiungeva la spiaggia e lì si mescolava alle decine di lavoratori del mare, lo sguardo sempre all'orizzonte, lasciandosi accarezzare dalla brezza, assaporando la salsedine che avvolgeva la spiaggia, le imbarcazioni, il catrame...
Erano passati dieci anni da quando aveva colpito il garzone della fucina, e sperava che non fosse morto. Arnau e Joanet gli saltellavano attorno. Correvano avanti, poi tornavano verso di lui alla stessa velocità, e lo guardavano con gli occhi luccicanti e un sorriso sulle labbra.
«Una casa tutta nostra!» aveva gridato Arnau. «Andiamo a vivere nel quartiere della Ribera, vi prego!»
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«Temo che sarà solo una stanza», cercava di spiegargli Bernat, ma il bambino continuava a sorridergli come se si trattasse del più bel palazzo di Barcellona.
«Non è un brutto posto», gli aveva detto Jaume quando Bernat gli aveva riferito del desiderio del figlio. « Una stanza la troverai di sicuro.»
Ed era proprio lì che si stavano recando tutti e tre. I due bambini lo anticipavano, correndo, mentre Bernat avanzava sotto il peso delle loro poche cose.
Per tutto il tragitto fino a Santa Maria, Arnau e Joanet non smisero un attimo di salutare la gente che incrociavano.
«È mio padre!» gridò Arnau a un bastaix che trasportava un sacco di grano, indicando Bernat che li seguiva a una ventina di metri di distanza.
Il bastaix sorrise senza fermarsi, curvo sotto il suo fardello. Arnau si girò verso Bernat e cominciò a corrergli incontro, ma quando fu a pochi passi da lui si fermò. Joanet non lo aveva seguito.
«Dai», lo spronò con un cenno delle mani.
Ma Joanet fece segno di no con la testa.
«Che cos'hai, Joanet? » gli chiese andandogli incontro.
Il piccolo abbassò gli occhi.
«E per tuo padre», mormorò. « Cosa farò io, adesso?»
Aveva ragione: lì tutti li credevano fratelli. Arnau non ci aveva pensato.
«Corri. Vieni con me», gli disse attirandolo a sé.
Bernat li vide avvicinarsi; Arnau strattonava Joanet, che sembrava recalcitrante. « Complimenti per i suoi ragazzi», gli disse il bastaix quando gli passò accanto. Lui sorrise. Era più di un anno che scorrazzavano insieme. E la madre del piccolo Joanet? Bernat lo immaginò seduto sulla cassa, mentre si faceva accarezzare da un braccio senza volto, e sentì un nodo in gola.
«Padre...» attaccò Arnau quando arrivarono alla sua altezza.
Joanet si nascose dietro l'amico.
«Bambini», lo interruppe Bernat, « credo che...»
«Padre, potreste essere il padre di Joanet? » chiese tutto d'un fiato Arnau.
Bernat vide la testa del piccolo sporgersi da dietro il suo bambino.
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«Vieni qui, Joanet », gli disse Bernat. « Tu vuoi essere mio figlio? » continuò quando il piccolo fece capolino da dietro il suo rifugio.
Il faccino di Joanet s'illuminò.
«Questo sarebbe un sì? » chiese Bernat.
Il bambino s'aggrappò alla sua gamba, e Arnau sorrise a suo padre.
«Andate a giocare», ordinò loro Bernat, con la voce incrinata.
I bambini portarono Bernat da padre Albert.
«Lui saprà aiutarci di sicuro», disse Arnau, con Joanet che sorrideva.
«Nostro padre», disse il piccolo, anticipando Arnau e ripetendo la presentazione che questi aveva fatto per tutto il tragitto, persino con gente che conosceva solo di vista. Padre Albert chiese ai bambini di lasciarli soli e offrì a Bernat un bicchiere di vino dolce mentre ascoltava le sue parole.
«So dove potrete alloggiare», gli disse. « Sono brava gente. Dimmi, Bernat: hai trovato un buon lavoro per Arnau, prenderà un buono stipendio e imparerà un mestiere, e i palafrenieri sono sempre necessari. Ma cosa ne sarà dell'altro tuo ragazzo? Cosa pensi di fare, con Joanet?»
Bernat fece una strana smorfia, e poi si confidò con il sacerdote.
Padre Albert li accompagnò tutti a casa di Pere e di sua moglie, due anziani senza famiglia che vivevano in una piccola casa a due piani, sulla spiaggia, con il focolare al piano terra e tre stanze al piano superiore, una delle quali, come il religioso sapeva, avevano in mente di affittare.
Per tutta la strada, e anche mentre presentava gli Estanyol a Pere e alla moglie e osservava Bernat che mostrava i suoi soldi, padre Albert non tolse mai la mano dalla spalla di Joanet. Come poteva essere stato tanto cieco? Come aveva fatto a non rendersi conto del calvario di quel piccolo? Quante volte l'aveva visto rimanere assorto, lo sguardo perso nel vuoto...
Strinse a sé il bambino. Joanet si girò verso di lui e gli sorrise.
La stanza era semplice ma pulita, e l'unico mobilio era costi133
tuito da due pagliericci gettati a terra. Il rumore costante delle onde teneva loro compagnia. Arnau tese l'orecchio per cogliere il viavai degli operai di Santa Maria, proprio dietro di loro. Cenarono con il classico bollito, preparato dalla moglie di Pere. Arnau osservò il piatto, alzò gli occhi e sorrise a suo padre. Com'erano lontani, ormai, gli intrugli di Estranya! Mangiarono tutti e tre con appetito, sotto lo sguardo attento dell'anziana donna, sempre pronta a riempire di nuovo le scodelle.
«A dormire!» annunciò Bernat quando fu sazio, «domani dobbiamo lavorare.»
Joanet parve esitare. Guardò Bernat e, quando ormai tutti si furono alzati da tavola, si avviò verso la porta.
«Non è questa l'ora di uscire, figliolo», gli disse Bernat davanti ai due vecchi.
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«Sono il fratello di mia madre e suo figlio», spiegò Margarida alla matrigna quando questa si stupì del fatto che Grau avesse assunto altre due persone per solo sette cavalli.
Il marito le aveva detto che non voleva saperne niente e, di fatto, non era neanche andato a ispezionare le magnifiche stalle del piano terra. Si era occupata lei di tutto: aveva scelto gli animali e aveva portato con sé il suo cavallerizzo maggiore, Jesus, che a sua volta le aveva consigliato di assumere ai propri servizi un palafreniere esperto, Tomàs.
Ma quattro persone per sette cavalli erano un'esagerazione, persino per le abitudini della baronessa, e lo rimarcò in occasione della sua prima visita alle stalle, dopo l'arrivo degli Estanyol. Incoraggiò quindi Margarida a continuare.
«Erano contadini, servi della gleba.»
Isabel non disse niente, ma il sospetto le germinò dentro.
La ragazza proseguì: « Il figlio, Arnau, è il responsabile della morte del mio fratellino Guiamon. Li odio! Non so perché mio padre gli abbia dato quell'incarico».
«Lo scopriremo», borbottò la baronessa inchiodando lo sguardo sulla schiena di Bernat, che in quell'istante stava strigliando uno dei cavalli.
Quella sera, comunque, Grau non badò troppo alle parole della moglie.
«L'ho ritenuto opportuno», si limitò a rispondere dopo aver confermato i sospetti che fossero due fuggiaschi.
«Se mio padre lo dovesse scoprire...»
«Ma non succederà, vero, Isabel? » Grau osservò la sua sposa, già vestita per la cena, una delle nuove abitudini che aveva introdotto nella vita di Grau e della sua famiglia. Aveva solo vent'anni ed era estremamente magra, come Grau. Poco aggraziata e priva delle voluttuose curve con cui in passato lo accoglieva Guiamona, era tuttavia nobile, e doveva esserlo anche di
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carattere, pensava Grau. « Sono sicuro che non ti farebbe piacere se tuo padre dovesse scoprire che vivi con due fuggiaschi.»
Lei gli rivolse uno sguardo infuocato e uscì dalla stanza.
Malgrado l'ostilità della baronessa e dei suoi figliastri, Bernat dimostrò di saperci fare con i cavalli. Era bravo a nutrirli, a pulire zoccoli e fettoni, a curarli, se necessario, e a muoversi tra loro; se c'era un aspetto in cui era un tantino carente era quello delle mansioni volte a curarne l'estetica.
«Li vogliono scintillanti», spiegò un giorno ad Arnau mentre tornavano a casa, « senza traccia di polvere. Bisogna fregare e fregare ancora per levare la sabbia che si infila nel pelo, e poi spazzolarli finché brillano.»
«E le criniere e le code?»
«Vanno tagliate, intrecciate e bardate.»
«Perché vorranno dei cavalli con tanti nastrini?»
Ad Arnau avevano proibito di avvicinarsi agli animali. Li ammirava nelle stalle; vedeva come rispondevano alle cure di suo padre ed era felice quando, nelle occasioni in cui erano loro due soli, lui gli permetteva di accarezzarli. In via del tutto eccezionale, in un paio di occasioni, al riparo da sguardi indiscreti, Bernat gliene fece montare uno, a pelo, dentro la stalla. Le mansioni che gli avevano affidato non gli consentivano di abbandonare la selleria; ingrassava il cuoio e lo fregava con uno straccio finché non assorbiva il grasso e finimenti e redini splendevano; puliva i morsi e le staffe e spazzolava le coperte e gli altri adorni finché non spariva anche l'ultimo crine, compito che doveva eseguire usando le dita e le unghie a mo' di pinze per poter estrarre quegli aghi sottili che si conficcavano nell'ordito della stoffa. Poi, se gli avanzava tempo, lo passava lustrando e lucidando la carrozza che Grau aveva comprato.
Con il passare dei mesi, persino Jesus dovette ammettere la bravura del contadino. Quando Bernat entrava in una qualsiasi delle stalle, i cavalli restavano fermi dov'erano e, nella maggior parte dei casi, addirittura lo cercavano. Lui li toccava, li accarezzava e sussurrava qualcosa per tranquillizzarli. Quando era Tomàs a entrare, le bestie abbassavano le orecchie e si addossavano al muro più lontano al palafreniere, che strillava per tutto il tempo. Cosa stava succedendo a quell'uomo? Fino a poco
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tempo prima aveva un comportamento esemplare, pensava Jesus ogni volta che lo sentiva alzare la voce.
Tutte le mattine, quando padre e figlio andavano al lavoro, Joanet si faceva in quattro per aiutare Mariona, la moglie di Pere. Puliva, riordinava e l'accompagnava a fare la spesa. Poi, quando lei si metteva a cucinare, lui raggiungeva di corsa la spiaggia, in cerca di Pere. Questi aveva dedicato la vita alla pesca e, oltre all'aiuto sporadico che riceveva dalla confraternita, si guadagnava ancora qualche soldo lavorando alla manutenzione delle alberature. Joanet lo accompagnava, attento alle sue spiegazioni, e filava da una parte all'altra della città quando all'anziano pescatore serviva qualcosa.
Poi, appena poteva, correva a trovare sua madre.
«Stamattina», le spiegò un giorno, « quando Bernat è andato a pagare Pere, questo gli ha abbuonato qualche soldo. Gli ha detto che il piccolo... Il piccolo sono io, sapete, madre? Mi chiamano il piccolo. Be', gli ha detto che siccome il piccolo dava una mano in casa e sulla spiaggia, non doveva pagargli la mia parte.»
La prigioniera ascoltava, con la mano sulla testa del bambino. Com'era cambiato tutto quanto! Da che viveva con gli Estanyol, il suo piccino non restava più lì seduto, a singhiozzare, in attesa delle sue carezze silenziose e di qualche parola d'amore, un amore cieco. Adesso parlava, le raccontava cose, rideva persino!
«Bernat mi ha abbracciato», proseguì Joanet, « e Arnau mi ha fatto i complimenti.»
La mano si chiuse sul capo del bambino.
E Joanet continuò a parlare. Concitatamente. Di Arnau e di Bernat, di Mariona, di Pere, della spiaggia, degli alberi che riparavano, ma la donna ormai non l'ascoltava più, contenta che suo figlio finalmente sapesse cosa fosse un abbraccio, contenta che il suo piccolo fosse felice.
«Adesso va', figlio mio», lo interruppe a un certo punto, cercando di nascondergli il tremito della propria voce. « Ti staranno aspettando.»
Dall'interno della sua prigione, Joana sentì che il suo picci137
no saltava giù dalla cassa e correva via, e se lo immaginò intento a scavalcare quel muro che si sforzava di cancellare dai ricordi.
Che senso aveva, ormai? Aveva resistito a pane e acqua per anni, chiusa tra quelle quattro pareti che con le dita aveva frugato centinaia di volte, fin nel più piccolo interstizio. Aveva lottato contro la solitudine e la follia guardando il cielo dalla minuscola finestra che il re, magnanimo sovrano! le aveva concesso. Aveva vinto la febbre e la malattia e aveva fatto tutto ciò per il suo bambino, per potergli accarezzare la testa, per dargli coraggio, per fargli sentire che, malgrado tutto, non era solo al mondo.
Ma adesso non lo era più. Bernat lo abbracciava! Le sembrava di conoscere quell'uomo. L'aveva sognato quando le ore le parevano eterne. Abbine cura, Bernat, gli mandava a dire nell'aria. Adesso Joanet era felice, rideva, correva e...
Joana si lasciò cadere a terra e rimase seduta. Quel giorno non toccò il pane né l'acqua; il suo corpo non li desiderava più.
Joanet tornò, giorno dopo giorno, e lei lo ascoltò ridere e parlare del suo mondo pieno di speranza. Dalla finestra ormai uscivano solo suoni attutiti: sì, no, va', corri, corri a vivere.
«Corri a godere di quella vita che per colpa mia non hai avuto», aggiungeva in un sussurro, dopo che il bambino aveva scavalcato il muro.
Il pane si ammucchiò dentro la sua prigione.
«Sapete cos'è successo, madre? » Joanet avvicinò la cassa al muro e vi si sedette; con i piedi non toccava ancora per terra. « No, certo, come fate a saperlo? » Accucciatosi, posò la schiena alla parete, lì dove sapeva che la mano della madre avrebbe cercato la sua testa. «Adesso ve lo racconto. È divertente. A quanto pare, ieri uno dei cavalli di Grau...»