Si concesse di piangere. Un lusso che, in quanto schiavo, gli era proibito.
Guillem non varcò nemmeno le porte di Barcellona. Arrivò in città che era ancora notte e si fermò davanti alla porta di San Daniele, chiusa. Gli avevano portato via la sua bambina. Forse non se n'era neppure reso conto, ma Arnau l'aveva venduta quasi fosse stata una schiava. Cosa ci tornava a fare, lui, a Barcellona? Come poteva sedersi dove si era seduta Mar? Con che forza avrebbe passeggiato dove l'aveva fatto con la sua bambina, mentre chiacchierava, rideva con lei o ne condivideva i sen462
timenti più nascosti? Cosa poteva fare a Barcellona, se non pensare a lei giorno e notte? Che futuro lo aspettava, accanto all'uomo che aveva messo fine alle speranze di entrambi?
Guillem continuò a risalire lungo la costa e nel giro di due giorni arrivò al porto di Salou, il secondo per importanza della Catalogna. Lì guardò il mare, l'orizzonte, e la brezza marina gli riportò i ricordi della sua infanzia a Genova, della madre e dei fratelli da cui era stato crudelmente strappato dopo essere stato venduto a un commerciante, con il quale aveva cominciato a imparare il mestiere. Poi, durante un viaggio per mare, padrone e schiavo erano stati catturati dai catalani, perennemente in guerra contro i genovesi. Guillem era passato di mano in mano finché Hasdai Crescas aveva intuito in lui qualità molto superiori a quelle di un semplice manovale. Guardò di nuovo il mare e le navi, con i passeggeri... Perché non tornare a Genova?
«Quando salpa la prossima nave per la Lombardia, per Pisa?»
Il giovane rivoltò nervoso le carte che si ammucchiavano sul tavolo del magazzino. Non conosceva Guillem e all'inizio lo trattò con disprezzo, come avrebbe fatto con qualsiasi schiavo sporco e maleodorante, ma quando il moro si presentò, gli tornarono in mente le parole che era solito ripetergli suo padre: « Guillem è il braccio destro di Arnau Estanyol, console del Mare di Barcellona, da cui dipende la nostra vita».
«Ho bisogno dell'occorrente per scrivere una lettera e di un posto tranquillo per farlo», aggiunse Guillem.
«Accetto la tua offerta di libertà», scrisse. « Parto per Genova, via Pisa, dove viaggerò a tuo nome, come schiavo, e dove aspetterò la tua lettera di affrancamento.» Cos'altro dirgli? Che senza Mar non poteva vivere? E il suo amico e padrone Arnau ci sarebbe riuscito? Perché ricordarglielo? «Vado alla ricerca delle mie origini, della mia famiglia», aggiunse. «Insieme a Hasdai, tu sei stato il migliore amico che abbia avuto. Abbi cura di lui, te ne sarò eternamente grato. Che Allah e la Santa Vergine ti proteggano. Pregherò per te.»
Il giovane che l'aveva servito partì per Barcellona appena la galera sulla quale si era imbarcato Guillem iniziò le manovre per uscire dal porto di Salou.
463
Arnau siglò lentamente la lettera di affrancamento di Guillem, curando ogni tratto del documento. La peste, il combattimento, il banco di cambio, giorni e giorni di lavoro, di chiacchiere, di amicizia, d'allegria...
Giunta all'ultimo carattere, la sua mano tremò. Sapevano entrambi che erano ben altre le ragioni che l'avevano spinto ad andarsene.
Arnau tornò alla Borsa, dove ordinò di consegnare la lettera di affrancamento al suo corrispondente a Pisa. E vi aggiunse il mandato di pagamento di una piccola fortuna.
«Non aspettiamo Arnau? » chiese Joan a Elionor dopo essere entrato in sala da pranzo, dove la baronessa lo attendeva già seduta al tavolo.
«Avete appetito?»
Joan fece segno di sì.
«Allora, se volete cenare è meglio che lo facciate adesso.»
Il frate si sedette di fronte a Elionor, a un lato del lungo tavolo di Arnau. Due servi gli portarono pane bianco finissimo, vino, brodo e oca arrosto insaporita con pepe e cipolle.
«Non avevate detto di avere appetito? » indagò Elionor vedendolo giocherellare con il cibo.
Joan si limitò ad alzare gli occhi verso la baronessa. Quella fu l'unica frase che si sentì in tutta la serata.
Diverse ore dopo essersi ritirato nella sua stanza, Joan percepì del movimento. Alcuni servi si apprestavano a ricevere Arnau. Gli avrebbero offerto un pasto che lui avrebbe rifiutato, come aveva già fatto nelle tre occasioni in cui lui aveva deciso di aspettarlo: si sedeva in una delle tre sale del palazzo, e rimandava indietro la tarda cena con un'espressione stanca.
Joan sentì i passi dei servitori che tornavano, quindi quelli di Arnau davanti alla sua porta, lenti, diretti alla sua camera da letto. Cosa avrebbe potuto dirgli, se anche fosse uscito? Aveva già cercato di parlare con lui altre volte, ma Arnau si era sempre chiuso in se stesso e rispondeva a monosillabi alle domande del fratello. « Stai bene? » « Sì.» « Hai avuto molto da fare alla Bor464
sa?» «No.» «Vanno bene le cose?» Silenzio. «Santa Maria?» « Bene.» Nel buio della sua stanza, Joan si portò le mani al viso. I passi di Arnau si erano persi in lontananza. E di cosa voleva che gli parlasse, di lei? Come avrebbe fatto a sentirgli dire che l'amava?
Joan aveva visto Mar che raccoglieva la lacrima sulla guancia di Arnau. « Padre? » le aveva sentito dire, e aveva visto Arnau tremare. Poi si era voltato e aveva sorpreso Elionor a sorridere. Era stato necessario vederlo soffrire per capire... Ma come faceva a confessargli la verità? Come faceva a dirgli che era stato lui...? Quella lacrima gli riapparve davanti agli occhi. L'amava fino a quel punto? Sarebbe riuscito a dimenticarla? Nessuno andò a consolare Joan quando, una notte, si inginocchiò e pregò fino all'alba.
«Vorrei lasciare Barcellona.»
Il priore dei domenicani scrutò il frate: era dimagrito, gli occhi erano affossati, segnati da profonde occhiaie viola, e indossava un abito sbiadito.
«Ti senti in grado, fra' Joan, di assumere la carica di inquisitore?»
«Sì », garantì Joan. « Ho solo bisogno di lasciare Barcellona, per riprendermi.»
«E sia. La settimana prossima partirai per il Nord.»
La sua destinazione era una zona di piccoli villaggi dediti all'agricoltura o all'allevamento, sperduti fra vallate e montagne, le cui genti vedevano con timore l'arrivo di un inquisitore. La sua presenza non sarebbe stata una novità. Da più di cento anni, quando Raimondo di Penyafort aveva ricevuto da papa Innocenzo IV l'incarico di occuparsi dell'Inquisizione nel regno di Aragona e nel principato di Navarra, quei Paesi sperimentavano le indagini dei frati neri. La maggior parte delle dottrine considerate eretiche dalla Chiesa erano passate dalla Francia alla Catalogna: i catari e i valdesi prima, i begardi poi, e per ultimi i templari, perseguitati dal re francese. Le zone di frontiera erano state le prime a essere contagiate dalle eresie, e in quelle terre erano stati condannati e giustiziati molti nobili: il visconte Arnau con la moglie Ermessenda, Ramon, signore del Cadi, o
465
Guillem di Niort, governatore del conte Nunó Sanç in Cerdana e Coflent, terre nelle quali fra' Joan avrebbe dovuto esercitare il suo ministero.
«Eccellenza», lo accolse in uno di quei villaggi una comitiva dei più importanti probiviri, inchinandosi a lui.
«Non sono un'eccellenza», rispose lui, ordinando a gesti di rialzarsi. « Chiamatemi semplicemente fra' Joan.»
Sapeva per esperienza, seppure la sua fosse ancora poca, che quella scena si ripeteva sempre. La notizia dell'arrivo dell'inquisitore, del segretario che lo accompagnava, e della mezza dozzina di soldati del Santo Uffizio, li aveva preceduti. Si trovavano nella piccola piazza del paese. Joan osservò i quattro uomini, che si rifiutavano di alzarsi del tutto: tenevano la testa bassa, erano ancora a capo scoperto e non riuscivano a stare tranquilli. Non c'era nessun altro sulla piazza, eppure Joan sapeva di avere su di sé molti occhi nascosti. Avevano dunque così tante cose da celargli?
Dopo l'accoglienza, tutto si sarebbe svolto come sempre: gli avrebbero offerto la migliore sistemazione in paese, e lì avrebbe trovato ad aspettarlo una tavola imbandita, troppo ricca per le possibilità di quella gente.
«Voglio solo un po' di pane, pane e acqua. Portate via tutto il resto, e premuratevi che i miei uomini siano assistiti», ripeté dopo essersi seduto a tavola.
Un'altra casa uguale alle altre. Umile e semplice, ma costruita nella pietra, diversamente dalle capanne di fango o di legno marcio che crescevano l'una accanto all'altra in quei paesi. Un tavolo e alcune sedie costituivano tutto il mobilio di una stanza che girava attorno al caminetto.
«Vostra eccellenza sarà stanca.»
Joan guardò il formaggio che aveva davanti. Avevano viaggiato per ore camminando per sentieri sassosi, sopportando il freddo dell'alba, con i piedi nel fango e bagnati dalla rugiada. Sotto il tavolo, accavallando le gambe si fregò il polpaccio indolenzito e il piede destro.
«Non sono un'eccellenza», ripeté con monotonia, «e non sono neanche stanco. Dio non vuole sentir parlare di stanchezza quando si tratta di difendere il suo nome. Cominceremo subito, appena avrò mangiato qualcosa. Riunite la gente in piazza.»
466
Prima di partire da Barcellona, Joan aveva chiesto al monastero di Santa Caterina il trattato scritto da papa Gregorio IX nel 1231, e aveva studiato il modo di procedere degli inquisitori itineranti.
«Peccatori, pentitevi!» Prima di tutto, il sermone alla folla. Gli bastò pronunciare quelle prime parole perché le settanta persone o poco più che si erano raccolte nella piazza abbassassero gli occhi, paralizzate dalle occhiate del frate nero. « Il fuoco eterno vi sta aspettando!» All'inizio dubitò di essere in grado di rivolgersi alla gente, ma poi le parole gli vennero fuori l'una dopo l'altra, sempre più facilmente man mano che avvertiva il potere che esercitava su quei contadini spaventati. « Nessuno di voi sfuggirà! Dio non vuole pecore nere nel suo gregge.» Dovevano denunciarsi, l'eresia doveva emergere. Era questa la sua missione: scovare il peccato commesso lontano da sguardi indiscreti, quello noto solo ai vicini di casa, agli amici, ai congiunti...
«Dio lo sa, vi conosce, vi sorveglia. Chi rimane impassibile a guardare il peccato brucerà nel fuoco eterno, perché chi tollera il peccato è peggiore di chi lo commette; chi lo commette può essere perdonato, ma chi lo nasconde...» E a quel punto li scrutava, per registrare chiunque facesse un movimento di troppo, chi lanciasse uno sguardo furtivo. Avrebbe cominciato da loro. « Chi nasconde il peccato...» Joan fece un'altra pausa, una sospensione che prolungava ad arte, finché non li vedeva crollare sotto la sua minaccia, « non verrà perdonato.»
Paura. Fuoco, dolore, peccato, castigo...: il frate nero gridava e allungava le invettive fino a impossessarsi dei loro spiriti, una comunione che aveva cominciato a sentire fin dal suo primo sermone.
«Vi do tempo tre giorni», disse alla fine. « Chiunque si presenterà di sua volontà per confessare le proprie colpe sarà trattato con benevolenza. Al termine di questi tre giorni, il castigo sarà esemplare.» Si rivolse poi all'ufficiale: « Indaga sul conto di quella donna bionda, dell'uomo senza scarpe e anche di quello con la cintura nera. La ragazza con il bambino...» Glieli indicò in modo discreto. « Se non dovessero presentarsi spontaneamente, me li porterai insieme ad altrettante persone scelte a caso.»
467
Nei tre giorni di tregua, Joan rimase seduto dietro un tavolo, ieratico, accanto a un segretario e ad alcuni soldati che si davano continuamente il cambio mentre, lente e silenziose, passavano le ore.
Solo quattro persone vennero a rompere la monotonia: due uomini che avevano mancato al dovere di recarsi a messa, una donna che aveva disobbedito in varie occasioni al marito e un bambino con due occhioni enormi che fece capolino dalla porta.
Qualcuno da dietro lo spinse, ma lui si rifiutò di entrare e rimase mezzo fuori e mezzo dentro.
«Entra, piccolo», gli disse Joan.
Il bambino indietreggiò, ma una mano lo spinse di nuovo dentro, chiudendo poi la porta.
«Quanti anni hai? » chiese Joan.
Il bambino guardò i soldati, il segretario, già concentrato sui propri compiti, e Joan.
«Nove», balbettò.
«Come ti chiami?»
«Alfons.»
«Avvicinati, Alfons. Cosa vuoi dirci?»
«Che... due mesi fa ho preso dei fagioli dall'orto del vicino.»
«Preso? » chiese Joan.
Alfons abbassò gli occhi.
«Rubato», si corresse sottovoce.
Joan si alzò dal pagliericcio e smoccolò la candela. Da diverse ore il paese taceva e da altrettante lui stava cercando di prendere sonno. Chiudeva gli occhi e si assopiva, ma poi la lacrima che scivolava lungo la guancia di Arnau lo risvegliava. Aveva bisogno di luce. Ci riprovava, continuamente, ma finiva sempre per rialzarsi, a volte di scatto, altre tutto sudato, e altre lentamente, soppesando i ricordi che gli impedivano di dormire.
Aveva bisogno di luce. Verificò che ci fosse ancora olio nella lampada.
La faccia triste di Arnau gli apparve nel buio.
Si coricò di nuovo sul pagliericcio. Faceva freddo, faceva sempre freddo. Osservò per qualche secondo il baluginare della fiamma e le ombre che si muovevano al suo ritmo. L'unica fine468
stra della camera da letto era priva di persiane, e l'aria filtrava dentro. Balliamo tutti una stessa danza: la mia...
Si rannicchiò sotto le coperte e si costrinse a chiudere gli occhi.
Perché non si decideva ad albeggiare? Un altro giorno, e sarebbero terminati i tre di tregua.
Cadde nel dormiveglia e nel giro di poco più di mezzora si risvegliò, sudato.
La lampada era sempre accesa. Le ombre stavano ancora danzando. Nel paese regnava il silenzio. Perché non albeggiava?
Si avvolse nelle coperte e si avvicinò alla finestra.
Un altro paese. Un'altra notte passata ad attendere l'alba.
L'arrivo del nuovo giorno...
La mattina, una fila di cittadini, scortata dai soldati, era in coda davanti alla casa.
Joan finse di non prestare particolare attenzione alla donna bionda che entrò dopo tre persone. Disse di chiamarsi Peregrina. Non aveva ottenuto niente da chi l'aveva preceduta. Peregrina rimase in piedi davanti al tavolo cui sedevano Joan e il segretario. Il fuoco crepitava nel camino. Non c'era nessun altro, dentro. I soldati restavano davanti alla casa. D'un tratto, Joan alzò gli occhi, e la donna tremò.
«Tu sai qualcosa, vero, Peregrina? Dio ci vede», affermò Joan.
Peregrina annuì senza mai staccare gli occhi dal pavimento.
«Guardami. Ho bisogno che tu mi guardi. Vuoi forse bruciare nel fuoco eterno? Guardami. Hai figli?»
La donna alzò gli occhi, lentamente.
«Sì, ma...» balbettò.
«Non sono loro i peccatori», la interruppe Joan. « Chi è, dunque, Peregrina?»
La donna esitava.
«Chi è, Peregrina?»
«Bestemmia», affermò.
«Chi bestemmia, Peregrina?»
Il segretario si accinse a scrivere.
«Lei...»
469
Joan aspettò in silenzio. Ormai non c'era più via d'uscita.
«L'ho sentita bestemmiare quando si arrabbia...» Peregrina inchiodò di nuovo gli occhi a terra. « La sorella di mio marito, Marta. Dice cose terribili quando si arrabbia.»
Lo scribacchiare del segretario coprì ogni altro rumore.
«C'è altro, Peregrina?»
Stavolta la donna alzò la testa tranquilla.
«Niente.»
«Sicuro?»
«Ve lo giuro. Dovete credermi.»
Si era sbagliato solo sul conto dell'uomo con la cintura nera. Quello senza scarpe denunciò due pastori che non osservavano l'astinenza: affermò di averli visti mangiare carne durante la Quaresima. La ragazza con il bambino, rimasta vedova di recente, fece altrettanto con un vicino, un uomo sposato che la tormentava con proposte disoneste... e che le aveva addirittura toccato un seno.
«E tu? Gliel'hai permesso? » le chiese Joan. « Hai provato piacere?»
La ragazza scoppiò in lacrime.
«Hai goduto? » insistette Joan.
«Avevamo fame», singhiozzò alzando il bambino.
Il segretario prese nota del nome della ragazza. Joan la trafisse con lo sguardo. E cosa ti ha dato in cambio? pensò, un tozzo di pane secco? È questo che vale il tuo onore?
«Confessa!» sentenziò puntandole un dito contro.
Altre due persone denunciarono altrettanti vicini. Eretici, assicurarono.
«Certe notti mi svegliano degli strani rumori e vedo delle luci in casa», disse uno. « Sono adoratori del demonio.»
Cosa può aver fatto il tuo vicino perché tu lo venga a denunciare? pensò Joan. Sai bene che non verrà mai a sapere chi è stato a tradirlo. Cosa ci guadagni, tu, se lo condanno? Un pezzo di terra, magari?
«Come si chiama il tuo vicino?»
«Anton, il panettiere.»
Il segretario annotò il nome.
Quando Joan diede per terminato l'interrogatorio era già calata la notte. Fece entrare l'ufficiale e il segretario, e dettò i no470
mi delle persone che il giorno dopo, all'alba, dovevano comparire davanti all'Inquisizione, appena il sole fosse spuntato.
Di nuovo il silenzio della notte, il freddo, il baluginare della fiamma... e i ricordi. Joan si alzò di nuovo.
Una blasfema, un libidinoso e un adoratore del demonio. «All'alba sarete miei», borbottò. Era poi vera, l'ultima di quelle accuse? Fino a quel momento ne aveva ricevute molte di simili, ma solo una aveva avuto un seguito. Era fondata, stavolta? Come avrebbe fatto a dimostrarlo?
Si sentì stanco e tornò al suo pagliericcio per chiudere gli occhi. Un adoratore del demonio...
«Giuri sui quattro Vangeli? » chiese Joan quando la luce cominciava a filtrare dalla finestra del piano terra.
L'uomo annuì.
«So che hai peccato», sostenne Joan.
Affiancato da due soldati impettiti, l'uomo che aveva comprato un secondo di piacere alla giovane vedova impallidì. Gocce di sudore cominciarono a imperlargli la fronte.
«Come ti chiami?»
«Gaspar», si sentì.
«So che hai peccato, Gaspar », ripeté Joan.
L'uomo balbettò.
«Io... Io...»
«Confessa.» Joan aveva alzato la voce.
«Io...»
«Frustatelo finché non confessa!» Juan si alzò e picchiò il tavolo con entrambi i pugni.
Uno dei soldati si portò la mano alla cintura, cui era appesa una frusta di cuoio. L'uomo cadde in ginocchio davanti al tavolo di Joan e del segretario.
«No, vi prego, non mi frustate!»
«Confessa!» gridò Joan.
Il soldato, con la frusta ancora arrotolata, colpì Gaspar alla schiena.
«Confessa!» gridò ancora Joan.
471
«Io... io non ne ho colpa. È quella donna. Mi ha stregato.» L'uomo parlava concitatamente. « Suo marito non la possiede più.»
Joan rimase impassibile.
«E lei mi cerca, mi perseguita. L'abbiamo fatto solo poche volte, ma... non si ripeterà, non la rivedrò più. Ve lo giuro.»
«Hai fornicato con lei?»
«S... sì.»
«Quante volte?»
«Non lo so...»
«Quattro? Cinque? Dieci?»
«Quattro. Sì, ecco, quattro.»
«Come si chiama questa donna?»
Il segretario prese di nuovo nota del nome.
«Quali altri peccati hai commesso?»
«No... Nessun altro, lo giuro.»
«Non spergiurare.» Joan strascicò le parole. « Frustatelo.»
Dopo dieci frustate l'uomo confessò di aver fornicato con quella donna e con alcune prostitute, quando andava al mercato di Puigcerdà; aveva anche bestemmiato, mentito e commesso un'infinità di peccati. Altre cinque frustate gli servirono per ricordare la giovane vedova.
«Reo confesso», sentenziò Joan. « Domattina, nella piazza, dovrai presentarti per il sermo generalis in cui ti verrà comunicato il tuo castigo.»
L'uomo non ebbe nemmeno il tempo di protestare. Ancora in ginocchio, venne trascinato fuori dai soldati.
Marta, la cognata di Peregrina, confessò senza bisogno di ulteriori minacce e, dopo averla convocata il giorno dopo, Joan fece fretta al segretario con un'occhiata.
«Portate Anton Sinom», ordinò questi all'ufficiale dopo aver letto la lista.
Appena vide entrare l'adoratore del demonio, Joan si drizzò sulla dura sedia di legno. Il naso aquilino di quell'uomo, la sua fronte spaziosa, gli occhi scuri...
Voleva sentire la sua voce.
«Giuri sui quattro Vangeli?»
«Sì.»
472
«Come ti chiami? » gli chiese, prima ancora che l'uomo fosse giunto al suo cospetto.
«Anton Sinom.»
Quell'uomo piccolo, piuttosto curvo, rispose alle sue domande affiancato dai soldati, che lo scortavano con un'aria rassegnata che non sfuggì all'inquisitore.
«Ti sei sempre chiamato così?»
Anton Sinom esitò, e Joan aspettò la risposta.
«Qui tutti mi hanno sempre conosciuto sotto questo nome», disse alla fine.
«E altrove?»
«Altrove avevo un altro nome.»
Joan e l'uomo si guardarono. L'ometto non aveva mai abbassato gli occhi.
«Un nome cristiano?»
Anton fece segno di no con la testa. Joan smorzò un sorriso sul nascere. Come cominciare? Dicendogli che sapeva che aveva peccato? Quell'ebreo converso non ci sarebbe cascato. Nessuno in paese l'aveva scoperto; in caso contrario sarebbero fioccate le denunce, come i conversi sapevano per esperienza. Doveva essere intelligente, quel Sinom. Joan lo studiò per qualche secondo mentre si chiedeva cosa mai potesse nascondere quell'uomo, per illuminare la casa di notte.
Joan si alzò e uscì. Né il segretario né i soldati si mossero. Quando chiuse la porta dietro di sé, i curiosi che si accalcavano davanti alla casa rimasero come paralizzati. Joan non badò loro e si rivolse all'ufficiale: « Sono qui i familiari dell'uomo che sta dentro?»
L'ufficiale gli indicò una donna e due ragazzi che lo guardavano. C'era qualcosa...
«Che lavoro fa quell'uomo? Com'è la sua casa? Cos'ha fatto quando l'avete convocato in tribunale?»
«Fa il panettiere», rispose l'ufficiale. « Ha il laboratorio sotto casa. La sua casa...? E normale, pulita. Non abbiamo parlato con lui per convocarlo, abbiamo riferito alla moglie.»
«Lui non era in laboratorio?»
«No.»
«Siete andati all'alba, come vi ho ordinato?»
«Sì, fra' Joan.»
473
Certe notti mi sveglia... Il vicino aveva detto così. Un panettiere... un fornaio, si alza prima dell'alba. Non dormi, Sinom? Se devi alzarti così presto... Joan guardò di nuovo la famiglia del converso, un po' distanziata dal resto dei curiosi. Camminò girando loro intorno per alcuni istanti. D'improvviso tornò dentro: il segretario, i soldati e il converso erano esattamente dove lui li aveva lasciati.
Joan si avvicinò all'uomo finché i loro volti non arrivarono a sfiorarsi. Poi tornò a sedersi al proprio posto.
«Denudatelo!» ordinò ai soldati.
«Sono circonciso. Ho già ammesso...»
«Denudatelo!»
I soldati si girarono verso Sinom e, prima che si avventassero su di lui, dallo sguardo che gli rivolse il converso Joan si convinse di avere ragione.
«E adesso? » gli disse quando lo vide completamente nudo, « cos'hai da dirmi?»
Il converso cercò di conservare la compostezza meglio che poté.
«Non so a cosa vi riferiate», gli rispose.
«Mi riferisco», Joan abbassò la voce e scandì bene le parole, « al fatto che hai la faccia e il collo sporchi, mentre dal petto in giù la tua pelle è perfettamente pulita. Mi riferisco al fatto che le tue mani e i tuoi polsi sono sporchi, mentre l'avambraccio è immacolato. Mi riferisco al fatto che hai i piedi e le caviglie sporchi, ma le gambe pulite.»
«Sporco dove non mi coprono i vestiti e pulito dove mi coprono», spiegò Sinom.
«Neanche un po' di farina, panettiere? Vorresti forse dirmi che l'abito di un panettiere lo protegge dallo sporcarsi? Vorresti farmi credere che nel forno lavori con gli stessi abiti con cui accogli l'arrivo dell'inverno? Dov'è la farina sulle tue braccia? Oggi è lunedì, Sinom. Hai santificato la festa del Signore?»
«Sì.»
Joan diede un pugno sul tavolo e alzò la voce.
«Ma ti sei anche purificato come prevedono i tuoi riti eretici!» gridò puntandogli contro il dito.
«No», gemette Sinom.
474
«Vedremo, Sinom, vedremo. Incarceratelo, e portate qui la moglie e i figli.»
«No!» supplicò Sinom quando i soldati lo stavano già trascinando per le ascelle nei sotterranei, « loro non c'entrano niente.»
«Alto là!» ordinò Joan. I soldati si fermaron e fecero girare il converso verso l'inquisitore. « In cosa non c'entrano, Sinom? In cosa?»
Sinom confessò, cercando di salvare la sua famiglia. Quando ebbe finito, Joan ordinò di imprigionarlo... insieme alla famiglia. Poi ordinò che fossero portati alla sua presenza gli altri accusati.
Non era ancora sorta l'alba quando Joan scese in piazza.
«Ma non dorme mai? » chiese uno dei soldati tra uno sbadiglio e l'altro.
«No», gli rispose un altro. « Lo sentono sempre camminare avanti e indietro, la notte.»
I due soldati osservarono Joan che ultimava i preparativi per il sermone finale. L'abito nero, consunto, sporco e incartapecorito, sembrava rifiutarsi di accompagnare i suoi movimenti.
«Ma se non dorme e non mangia...» commentò il primo. « Vive d'odio», intervenne l'ufficiale che aveva ascoltato la conversazione.
Il paese cominciò a mostrarsi alle prime luci. Gli accusati stavano in prima linea, separati dalla gente e scortati dai soldati. Tra loro c'era anche Alfons, il bambino di nove anni.
Joan diede inizio all'autodafé e le autorità locali si avvicinarono per rendere voto d'obbedienza all'Inquisizione e giurare che avrebbero eseguito le condanne comminate. Il frate cominciò a leggere le accuse e le pene. Chi si era presentato durante il periodo di grazia ricevette una punizione minore: andare in pellegrinaggio alla cattedrale di Gerona. Alfons fu condannato ad aiutare gratis, un giorno alla settimana, il vicino che aveva derubato. Quando lesse l'accusa di Gaspar, un grido interruppe il suo discorso: « Puttana!»
Un uomo si lanciò sulla donna che era giaciuta con l'accusato, e i soldati corsero a difenderla. « Dunque era questo il pec475
cato che non volevi confessarmi? » continuò a gridarle, tenuto a bada dai soldati.
Quando lo sposo oltraggiato tacque, Joan emise la sentenza: « Per tre anni, tutte le domeniche, con uno scapolare addosso, resterai in ginocchio davanti alla chiesa, dall'alba al tramonto. Quanto a te...» fece, rivolto alla donna.
«Reclamo il diritto di castigarla!» gridò lo sposo.
Joan guardò la donna. Hai figli? fu sul punto di chiederle. Che male potevano aver fatto i suoi bambini per dover parlare con la madre salendo su una cassa, attraverso una piccola finestra, con l'unica consolazione di una carezza sui capelli? Ma quell'uomo aveva diritto...
«Quanto a te», ripeté, « ti consegno alle autorità secolari, che adempieranno alla legge catalana in base alla richiesta di tuo marito.»
Joan continuò con le accuse e le pene imposte.
«Anton Sinom. Tu e la tua famiglia sarete giudicati dall'inquisitore generale.»
«In marcia», ordinò Joan quando ebbe sistemato su una mula le poche cose che possedeva.
Il domenicano si congedò da quel paese con lo sguardo, ascoltando le proprie parole, che ancora risuonavano nella piccola piazza. Quello stesso giorno sarebbero entrati in un altro, e poi in un altro e un altro ancora. E ovunque, pensò, la gente mi guarderà e mi ascolterà terrorizzata. Dopo di che si denunceranno gli uni con gli altri tirando fuori i loro peccati. E io dovrò interrogarli, dovrò interpretare i loro movimenti, le loro espressioni, i loro silenzi, i loro sentimenti, per scovare il peccato.
«Affrettatevi, ufficiale, desidero arrivare prima di mezzogiorno.»
PARTE QUARTA
SERVI DEL DESTINO
46
Pasqua del 1367 Barcellona
Arnau se ne stava inginocchiato davanti alla sua Madonna del Mare, mentre i sacerdoti officiavano i riti pasquali. Era entrato al fianco di Elionor nella chiesa che straripava di fedeli, ma la gente si appartò per consentirgli di arrivare alla prima fila. Riconosceva i sorrisi tra la folla: chi gli aveva chiesto un prestito per una barca nuova; chi gli aveva affidato i propri risparmi; chi ancora gli aveva chiesto un prestito per la dote della figlia; e infine un tizio che non gli aveva ancora restituito quanto concordato e se ne stava a testa bassa. Arnau si fermò davanti a lui e, per la disperazione di Elionor, gli tese la mano.
«La pace sia con te», gli disse.
Gli occhi dell'uomo si illuminarono e Arnau proseguì fino all'altare maggiore. Non aveva altro, diceva alla sua Madonna: la gente umile che ricambiava il suo aiuto con la stima. Joan stava perseguendo il peccato e di Guillem non sapeva più niente. Quanto a Mar, che dire di lei?
Elionor gli diede un lieve calcio alla caviglia, e quando Arnau la guardò gli fece cenno di alzarsi. Dove s'è mai visto che un nobile resti in ginocchio così a lungo come te? gli aveva già rinfacciato in varie occasioni. Arnau non le fece caso, ma lei non si arrese.
Non ho altro, Madre. Una moglie che mette in cima alle sue preoccupazioni, oltre alla speranza di concepire un figlio, le apparenze. Quanto al figlio, dovrei metterlo al mondo? Lei vuole solo un erede, un figlio che le garantisca un futuro.
Elionor gli sferrò un altro calcio. Quando Arnau si girò verso la moglie, lei gli indicò con lo sguardo gli altri nobili presenti. Alcuni erano in piedi, ma la maggior parte di loro se ne stava seduta. Solo Arnau era ancora inginocchiato.
«Sacrilegio!»
Il grido risuonò in tutta la chiesa. I sacerdoti tacquero, Ar480
nau si alzò e tutti si girarono verso l'ingresso principale di Santa Maria.
«Sacrilegio!» si udì di nuovo.
Alcuni uomini si fecero largo fino all'altare, al grido di « sacrilegio», « eresia», « demonio»... ed « ebrei»! Stavano per parlare con i sacerdoti quando uno di loro si rivolse all'assemblea: « Gli ebrei hanno profanato l'ostia consacrata!» gridò.
Un brusio si levò dalla folla.
«Non gli basta aver ucciso Gesù Cristo!» esclamò di nuovo il primo che aveva raggiunto l'altare, « devono anche profanarne il corpo.»
Il brusio iniziale diventò un boato. Arnau si guardava intorno, e incrociò gli occhi di Elionor.
«I tuoi amici ebrei», gli disse lei.
Arnau sapeva a cosa si riferiva la moglie. Da quando Mar si era sposata non riusciva più a stare in casa e spesso, la sera, andava a trovare il suo vecchio amico, Hasdai Crescas, e si fermava a chiacchierare con lui fino a tarda ora. Prima che Arnau potesse rispondere a Elionor, i nobili e i probiviri che erano andati a messa si unirono ai commenti e cominciarono a discutere tra loro.
«Vogliono continuare a perseguitare Gesù Cristo anche da morto», disse uno.
«La legge li costringe a restare nelle loro case nel periodo pasquale, con le porte e le finestre chiuse: come avranno fatto? » chiese uno lì accanto.
«Saranno scappati», affermò un altro.
«E i bambini?» intervenne un terzo. «Avranno sicuramente rapito un bambino cristiano per crocefiggerlo e mangiare il suo cuore...»
«E bere il suo sangue...» si sentì.
Arnau non poteva staccare gli occhi da quel gruppo di nobili infuriati. Come potevano...? Il suo sguardo incrociò di nuovo quello di Elionor: sorrideva.
«I tuoi amici», gli ripeté con ironia.
In quel momento tutta Santa Maria cominciò a reclamare vendetta. Al quartiere ebraico! si istigavano gli uni con gli altri, al grido di « eretici» e « sacrileghi». Arnau li vide correre verso l'uscita della chiesa. I nobili restarono indietro.
481
«Se non ti sbrighi», sentì che gli diceva Elionor, « resterai fuori dal ghetto.»
Arnau rivolse lo sguardo alla moglie, poi alla Madonna. Il boato si allontanò lungo via del Mar.
«Perché tanto odio, Elionor? Non hai forse tutto quello che desideri?»
«No, Arnau. Lo sai che non ho quello che desidero, e chissà che non sia proprio quello che invece tu dai ai tuoi amici ebrei.»
«A cosa ti riferisci, donna?»
«A te, Arnau, a te. Lo sai perfettamente che non hai mai adempiuto ai tuoi doveri coniugali.»
Per qualche istante, Arnau ricordò le numerose occasioni in cui aveva rifiutato gli approcci di Elionor; prima con delicatezza, cercando di non ferirla, poi bruscamente, senza tanti riguardi.
«Il re mi ha costretto a sposarmi con te, non mi ha chiesto di soddisfare i tuoi bisogni», sibilò.
«Il re no», rispose lei, « ma la Chiesa sì.»
«Dio non può costringermi a giacere con te!»
Elionor incassò le parole del marito con lo sguardo fisso su di lui. Poi, molto lentamente, girò la testa verso l'altare maggiore. Erano rimasti soli nella chiesa... fatta eccezione per tre sacerdoti che restavano in silenzio ad ascoltare la discussione della coppia. Anche Arnau si girò verso di loro. Quando i coniugi incrociarono di nuovo i loro sguardi, Elionor socchiuse gli occhi.
Non disse altro. Arnau le diede le spalle e s'incamminò verso l'uscita.
«Vattene dalla tua amante ebrea», sentì che gridava Elionor alle sue spalle.
Un brivido corse lungo la colonna vertebrale di Arnau.
Era appena stato rieletto console del Mare per un anno. In abito di gala, s'incamminò verso il quartiere ebraico. Le grida della folla crescevano man mano che si avvicinava lungo via del Mar, piazza del Blat, la discesa della Presò, per arrivare alla chiesa di Sant Jaume. La folla urlava chiedendo vendetta e si accalcava alle porte del ghetto difese dai soldati del re. Malgrado il tumulto, Arnau si fece largo con relativa facilità.
482
«Non si può entrare nel quartiere ebraico, onorevole console», gli disse l'ufficiale di guardia. « Stiamo aspettando gli ordini del luogotenente reale, l'infante don Giovanni, figlio di Pietro III.»
E gli ordini arrivarono. La mattina dopo l'infante ordinò di rinchiudere tutti gli ebrei di Barcellona nella sinagoga maggiore, senza cibo né acqua, finché non si fossero trovati i responsabili della profanazione dell'ostia.
«Cinquemila persone», borbottò Arnau quando gli comunicarono la notizia nel suo ufficio alla Borsa. « Cinquemila persone stipate nella sinagoga, senza cibo né acqua! Cosa ne sarà dei bambini, dei neonati? Quale imbecille può aspettarsi che qualche ebreo si dichiari colpevole della profanazione di un'ostia? Quale stupido può pensare che qualcuno si condanni a morte da solo?»
Picchiò un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare il messo che gli aveva portato la notizia, e si alzò.
«Avvisa la guardia», ordinò Arnau all'uomo.
L'onorevole console del Mare attraversò la città di corsa, scortato da mezza dozzina di missatges armati. Le porte del ghetto, ancora sorvegliate dai soldati del re, erano spalancate. La folla davanti era scomparsa, ma erano rimasti poco più di un centinaio di curiosi che cercavano di sbirciare dentro, a dispetto dei soldati che provavano a disperderli.
«Chi comanda qui? » chiese Arnau all'ufficiale sulla porta.
«Il governatore è dentro», gli indicò l'altro.
«Avvisatelo.»
Il governatore non si fece attendere.
«Cosa vuoi, Arnau? » gli chiese tendendogli la mano.
«Voglio parlare con gli ebrei.»
«L'infante ha ordinato...»
«Lo so», lo interruppe Arnau. « Proprio per questo voglio parlare con loro. Ho in sospeso molti procedimenti che riguardano ebrei. Ho bisogno di parlare con loro.»
«Ma l'infante...» cominciò a dire il governatore.
«L'infante viene mantenuto dalle comunità ebraiche! Devono versargli dodicimila soldi all'anno, per disposizione del re!»
Il governatore annuì.
«L'infante vorrà anche trovare i colpevoli della profanazio483
ne, ma non dimenticare che gli interessa che le attività commerciali degli ebrei continuino a prosperare; in caso contrario... Ricorda, il ghetto di Barcellona è quello che più contribuisce a coprire quella cifra.»
Il governatore parve convincersi e lasciò passare Arnau e la sua comitiva.
«Sono nella sinagoga maggiore», gli disse mentre gli passava accanto.
«Lo so, lo so.»
Benché tutti gli ebrei fossero reclusi, l'interno del ghetto pareva un formicaio. Senza fermarsi, Arnau vide uno sciame di frati neri intenti a ispezionare una a una tutte le case degli ebrei, in cerca dell'ostia insanguinata.
All'ingresso della sinagoga, s'imbatte in un'altra guardia reale.
«Sono qui per parlare con Hasdai Crescas.»
L'ufficiale in capo cercò di opporsi, ma quello che li accompagnava gli fece un cenno affermativo.
Mentre aspettava che Hasdai uscisse, Arnau si girò verso il quartiere ebraico. Le porte delle case erano tutte spalancate, e offrivano uno spettacolo desolante. I frati entravano e uscivano, spesso portando oggetti che mostravano ad altri frati, i quali li esaminavano e scuotevano la testa per poi gettare a terra ogni cosa. Chi sarebbero i profanatori? si chiese Arnau.
«Onorevole console», si sentì chiamare.
Arnau si girò e si trovò davanti Hasdai. Per qualche istante scrutò quegli occhi, in lacrime davanti al saccheggio che la sua gente stava subendo nella propria intimità. Arnau ordinò a tutti i soldati di allontanarsi. I missatges obbedirono, ma i soldati del re restarono accanto ai due.
«Siete forse interessati alle questioni del Consolato del Mare? » chiese loro Arnau. « Ritiratevi vicino ai miei uomini. Le questioni del Consolato sono segrete.»
I soldati obbedirono controvoglia. Arnau e Hasdai si guardarono.
«Vorrei abbracciarti», gli disse Arnau quando nessuno poteva più sentirli.
«Non dobbiamo.»
«Come stai?»
«Male, Arnau, male. Noi vecchi contiamo poco, i giovani ce
484
la faranno, ma i bambini ormai non bevono e non mangiano da ore. Ci sono parecchi neonati; quando le madri avranno finito il latte... Siamo qui da alcune ore, ma le necessità corporali...»
«Posso aiutarvi?»
«Abbiamo cercato di negoziare, ma il governatore non vuole aiutarci. Sai bene che c'è solo un modo: compra la nostra libertà.»
«Quanto può arrivare a...?»
Lo sguardo di Hasdai gli impedì di proseguire. Quanto valeva la libertà di cinquemila ebrei?
«Confido in te, Arnau. La mia comunità è in pericolo.»
Arnau gli tese una mano.
«Confidiamo in te», ripeté Hasdai accettando il commiato di Arnau.
Questi passò di nuovo in mezzo ai frati neri. Avevano trovato l'ostia insanguinata? Gli oggetti personali, cui adesso si aggiungevano anche i mobili, continuavano a essere ammassati per le strade del ghetto. Uscendo salutò il governatore. Quella sera stessa gli avrebbe chiesto udienza, ma quanto doveva offrire per la vita di un uomo? E per quella di tutta una comunità? Arnau aveva trattato ogni genere di merce - stoffe, spezie, cereali, animali, navi, oro e argento - e conosceva il prezzo degli schiavi, ma quanto valeva un amico?
Uscì dal ghetto, girò a sinistra e svoltò in via Banys Nous; attraversò piazza del Blat e quando raggiunse Carders, vicino all'incrocio con la Montcada, dove risiedeva, si fermò di colpo. Perché rincasare, per incontrare Elionor? Tornò verso via del Mar e scese al suo banco di cambio. Dal giorno in cui aveva acconsentito alle nozze di Mar... Da quel giorno Elionor l'aveva perseguitato senza tregua. Prima in modo subdolo, e dire che fino ad allora non l'aveva mai neppure chiamato « caro»! Non si era mai interessata ai suoi affari, a cosa mangiava e neanche a come stava. Quando quella tattica si era rivelata inutile, Elionor aveva deciso di sferrare un attacco frontale.
«Sono una donna», gli disse un giorno, e probabilmente non gradì lo sguardo con cui Arnau le rispose, perché non ag485
giunse altro... Se non alcuni giorni dopo: «Dobbiamo consumare il nostro matrimonio; stiamo vivendo nel peccato».
«Da quando ti interessa la salvezza della mia anima? » le rispose Arnau.
Malgrado gli sgarbi del marito, Elionor non si arrese e alla fine decise di parlare con padre Juli Andreu, uno dei sacerdoti di Santa Maria, per esporgli il problema. Lui sì che, per forza di cose, era interessato alla salvezza dell'anima dei suoi parrocchiani, e Arnau era una delle persone che amava di più. Davanti al prete, Arnau non poteva trovare giustificazioni come faceva con lei.
«Non ci riesco, padre», disse Arnau al sacerdote quando un giorno questi l'affrontò in chiesa.
Era vero. Subito dopo aver consegnato Mar al cavaliere di Ponts, Arnau aveva provato a dimenticare la ragazza e, perché no? a farsi una famiglia sua. Era rimasto solo. Tutte le persone che amava erano uscite dalla sua vita. Poteva avere dei bambini, giocarci, dedicarsi loro anima e corpo e trovare in quella vita ciò che gli mancava... Tutte cose che poteva fare solo con Elionor. Ma quando vedeva che gli si avvicinava, lo inseguiva per le stanze del palazzo, o quando sentiva la sua voce, falsa, forzata, così diversa dalla voce con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento, tutti i buoni propositi crollavano.
«Cosa volete dire, figliolo? » gli chiese il prete.
«Il re mi ha costretto a sposare Elionor, padre, ma non mi ha mai chiesto se la sua pupilla mi piaceva.»
«La baronessa...»
«La baronessa non mi attrae, padre. Il mio corpo si rifiuta.»
«Posso raccomandarvi un bravo dottore...»
Arnau sorrise.
«No, padre, no. Non è questo il punto. Fisicamente sto bene; è solo...»
«Allora dovreste sforzarvi di adempiere ai vostri doveri coniugali. Nostro Signore si aspetta...»
Arnau incassò la predica del sacerdote, finché non intuì le mille storie che Elionor poteva avergli raccontato. Cosa si credevano?
«Sentite, padre», lo interruppe, « io non posso costringere il mio corpo a desiderare una donna che non vuole.»
486
Il sacerdote fece per intervenire, ma Arnau glielo impedì con un cenno.
«Ho giurato che sarei stato fedele a mia moglie, ed è quello che faccio: nessuno può accusarmi del contrario. Vengo spesso qui a pregare e dono soldi alla chiesa. Contribuendo a erigere questo tempio, ho come la sensazione di espiare le debolezze che il mio corpo può avere.»
Il prete smise di fregarsi le mani.
«Figliolo...»
«Voi cosa pensate, padre?»
Il sacerdote cercò nei suoi scarsi fondamenti di teologia per ribattere agli argomenti che Arnau aveva usato. Non ci riuscì, e alla fine sgattaiolò a nascondersi tra gli operai del cantiere. Quando Arnau rimase solo, andò a cercare la sua Madonna e le si inginocchiò davanti.
Penso solo a lei, Madre. Perché hai permesso che la dessi al signore di Ponts?
Non aveva più visto Mar dal giorno del suo matrimonio con Felip di Ponts. Quando questi era morto, pochi mesi dopo la cerimonia, aveva cercato di avvicinarla, ma lei non aveva mai accettato di riceverlo. Forse è meglio così, si disse Arnau. Il giuramento alla Madonna lo legava, ora più che mai: era condannato a essere fedele a una donna che non l'amava e che lui non poteva amare. E a rinunciare all'unica persona con cui avrebbe potuto essere felice...
«Hanno già trovato l'ostia? » chiese Arnau al governatore quando si furono seduti l'uno di fronte all'altro nel palazzo che dava su piazza del Blat.
«No», rispose questi.
«Ho parlato con i consiglieri della città », gli disse Arnau, « e sono d'accordo con me. L'incarcerazione di tutta la comunità ebraica può compromettere assai gravemente gli interessi commerciali di Barcellona. Abbiamo appena iniziato la stagione della navigazione. Se vai al porto, vedrai diverse navi pronte a salpare. Hanno commende degli ebrei: se non le scaricano, devono aspettare i commercianti che le detengono. Il guaio è che non tutto il carico è degli ebrei: ci sono anche merci dei cristiani.»
487
«Perché non scaricano quelle?»
«Farebbe alzare troppo il prezzo del trasporto.»
Il governatore aprì le mani in segno di impotenza.
«Raccogliete quelle degli ebrei in alcune navi e quelle dei cristiani in altre», suggerì alla fine.
Arnau scosse la testa.
«Non è possibile. Non tutte le navi hanno la stessa destinazione. Sai che la stagione della navigazione è breve. Se le navi non salpano alla svelta, tutto il commercio subirà un ritardo irrecuperabile e non potranno mai tornare in tempo; perderanno alcuni viaggi, e questo farà alzare ancora di più i prezzi di alcune mercanzie. Ci rimetteremo tutti», disse Arnau e pensò: Te compreso. « D'altra parte, le navi ferme nel porto di Barcellona sono a rischio; se arrivasse un temporale...»
«Allora? Cosa suggerisci?»
Che liberiate tutti, avrebbe voluto dire. Che ordiniate ai frati di smettere di perquisire le loro case. Che restituiate quello che gli appartiene, che... «Multate il ghetto», propose invece.
«La gente vuole i colpevoli, e l'infante si è impegnato a scovarli. La profanazione di un'ostia...»
«La profanazione di un'ostia», lo interruppe Arnau, « sarà pagata più cara di un altro delitto.»
Perché discutere? Gli ebrei erano stati processati e condannati, che apparisse o no l'ostia insanguinata. Il governatore aggrottò la fronte, assalito dal dubbio.
«Perché non ci provi? Se funziona, saranno gli ebrei a pagare, e solo loro. In caso contrario, sarà un brutto anno per il commercio, e la pagheremo tutti quanti.»
Circondato dagli operai, dal rumore e dalla polvere, Arnau alzò gli occhi verso la chiave che chiudeva la seconda delle quattro volte della navata centrale di Santa Maria, l'ultima costruita. Nella grande chiave di volta era raffigurata l'Annunciazione, con la Madonna inginocchiata, coperta da un mantello ricamato d'oro, intenta a ricevere per bocca di un angelo l'annuncio della sua prossima maternità. I colori vivaci, rossi e blu, ma soprattutto gli ori, catturarono lo sguardo di Arnau. Splendida
488
scena. Il governatore aveva soppesato le argomentazioni di Arnau e finalmente aveva ceduto.
Venticinquemila libbre e quindici colpevoli! Quella era stata la risposta che il governatore gli aveva dato il giorno seguente, dopo essersi consultato con la corte dell'infante don Giovanni.
«Quindici colpevoli? Volete giustiziare quindici uomini per l'inganno di quattro folli?»
Il governatore diede un pugno sul tavolo.
«Quei folli sono la Santa Chiesa Cattolica!»
«Sai benissimo che non è così », insistette Arnau.
I due uomini si guardarono.
«Senza colpevoli», disse Arnau.
«Non è possibile. L'infante...»
«Senza colpevoli! Venticinquemila libbre sono una fortuna!»
Arnau uscì dal palazzo del governatore senza sapere dove andare. Cosa avrebbe detto a Hasdai? Che quindici di loro dovevano morire? Tuttavia, non poteva cancellare dalla sua mente l'immagine di cinquemila persone accalcate nella sinagoga, senza acqua, senza cibo...
«Quando avrò una risposta? » aveva chiesto al governatore.
«L'infante è a caccia.»
A caccia! Cinquemila persone recluse per ordine suo, e lui se ne andava a caccia... Da Barcellona a Gerona, le terre dell'infante, duca di Gerona e di Cervera, non dovevano esserci più di tre ore a cavallo, ma Arnau dovette aspettare fino al giorno dopo, a pomeriggio inoltrato, per essere ricevuto dal governatore.
«Trentacinquemila libbre e cinque colpevoli.»
Mille libbre in più a ebreo. Probabilmente è il prezzo di un uomo, pensò Arnau.
«Quarantamila, senza colpevoli.»
«No.»
«Mi rivolgerò al re.»
«Sai bene che il re ha già abbastanza problemi con la guerra contro la Castiglia per inimicarsi il suo figlio e luogotenente. Ci sarà pure un motivo, se l'ha nominato.»
«Quarantacinquemila libbre ma senza colpevoli.»
«No, Arnau, no...»
«Chiediglielo...!» esplose. « Te ne prego», si corresse.
489
Il fetore che usciva dalla sinagoga investì Arnau già a parecchi metri di distanza. Le strade del ghetto erano sottosopra, con i mobili e gli oggetti degli ebrei accatastati ovunque. Dalle case rimbombavano i colpi dei frati neri che abbattevano pareti e staccavano pavimenti in cerca del corpo di Cristo. Arnau dovette farsi forza per fingersi sereno con Hasdai, accompagnato per l'occasione da due rabbini e da altrettanti capi della comunità. Gli bruciavano gli occhi. Che fosse colpa dei vapori di orina provenienti dalla sinagoga o solo delle notizie che doveva dar loro?
Per qualche istante, con un sottofondo di lamenti per tutta compagnia, Arnau osservò quegli uomini che cercavano di respirare aria pulita: come poteva essere, lì dentro? Tutti guardarono con la coda dell'occhio lo spettacolo offerto dalle strade del ghetto e il loro respiro accelerato si spezzò.
«Esigono dei colpevoli», disse loro Arnau quando i cinque si ricomposero. «All'inizio erano quindici. Adesso siamo scesi a cinque e spero...»
«Non possiamo aspettare ancora, Arnau Estanyol », lo interruppe uno dei rabbini. « Oggi è morto un anziano. Era ammalato, ma i nostri medici non hanno potuto fare nulla per lui, neppure bagnargli le labbra. Non ci permettono di seppellirlo. Sai cosa significa?»
Arnau annuì.
«Domani, il fetore del suo corpo in decomposizione si sommerà agli...»
«Nella sinagoga», lo interruppe Hasdai, «non possiamo muoverci, la gente... la gente non si può alzare per fare i propri bisogni. Le madri non hanno già più latte, si sono attaccate al seno i loro piccoli e anche gli altri bambini, per saziare la loro sete. Se aspettiamo ancora, cinque colpevoli saranno un'inezia.»
«Oltre a quarantacinquemila libbre», aggiunse Arnau.
«Cosa c'importa del denaro, quando rischiamo di morire tutti? » intervenne l'altro rabbino.
«E allora? » chiese Arnau.
«Insisti, Arnau», lo supplicò Hasdai.
Altre diecimila libbre misero le ali ai piedi al messo dell'in490
fante... o forse non si recò neanche da lui. La mattina dopo Arnau venne convocato. Tre colpevoli.
«Sono uomini!» rinfacciò Arnau al governatore nel corso della discussione.
«Sono ebrei, Arnau. Sono solo ebrei. Eretici che appartengono alla Corona. Senza il suo favore oggi sarebbero già tutti morti, e il re ha deciso che tre di loro devono pagare per la profanazione dell'ostia. La gente lo pretende.»
Da quando in qua al re importa tanto della gente? pensò Arnau.
«Inoltre», proseguì il governatore, « in questo modo si risolveranno i problemi del Consolato.»
Il cadavere del vecchio, le mammelle aride delle madri, i bambini in lacrime, i gemiti e il fetore: tutte queste cose spinsero Arnau a un cenno di consenso. Il governatore si rilassò sulla sua poltrona.
«Due condizioni», aggiunse Arnau, costringendolo a prestargli di nuovo attenzione. « La prima: saranno loro a scegliere i colpevoli...»
Il governatore acconsentì.
«... e la seconda: il patto deve essere approvato dal vescovo che si impegnerà a placare i fedeli.»
«Questo l'ho già fatto, Arnau. Credi che mi piacerebbe assistere a una nuova mattanza?»
La processione partì proprio dal ghetto. Al suo interno, le porte e le finestre delle case erano chiuse e le strade sembravano deserte, disseminate di mobili. Il silenzio del quartiere ebraico pareva sfidare il clamore che giungeva da fuori, dove la gente si accalcava attorno al vescovo, splendente d'oro sotto il sole mediterraneo, e all'infinità di sacerdoti e frati neri che aspettavano lungo la strada della Boqueria, separati dalla folla da due file di soldati.
Le grida squarciarono il cielo quando alle porte del ghetto apparvero tre figure. La gente levò i pugni chiusi e gli insulti si confusero con il clangore delle spade sguainate dai soldati che si accingevano a difendere il corteo. Le tre figure, incatenate mani e piedi, vennero condotte fino al centro delle due file di frati
491
neri e così, con il vescovo di Barcellona in testa, la processione si mise in marcia. La presenza dei soldati e dei domenicani non impedì alla folla di lanciare sassi e sputare sui tre colpevoli che camminavano in mezzo a loro trascinando i piedi.
Arnau pregava nella chiesa di Santa Maria. Aveva portato la notizia al ghetto, dove, ancora una volta, era stato ricevuto all'ingresso della sinagoga da Hasdai, dai rabbini e dai capi della comunità.
«Tre colpevoli», gli aveva detto, cercando di reggere il loro sguardo. « Potete... potete sceglierli voi.»
Nessuno di loro aveva detto una parola: si erano limitati a osservare le strade del ghetto lasciando che i gemiti e i lamenti che uscivano dal tempio avvolgessero i loro pensieri. Arnau non aveva avuto il coraggio di prolungare la sua intercessione e si era scusato con il governatore quando si era allontanato.
Tre innocenti... Perché tu e io sappiamo bene che la storia della profanazione del corpo di Cristo è un'invenzione, aveva pensato.
Arnau cominciò a sentire il boato della folla che si avvicinava lungo via del Mar. Il vociare riempì Santa Maria, filtrò dai vani delle porte ancora incomplete e salì per le impalcature di legno che reggevano le strutture in costruzione con l'agilità di un muratore, fino a raggiungere le volte. Tre innocenti! Come li avranno scelti? L'avranno fatto i rabbini o si saranno presentati volontariamente? In quel momento Arnau rivide gli occhi con cui Hasdai aveva osservato le strade del ghetto. Cosa c'era in quello sguardo? Rassegnazione? Non era forse lo sguardo di chi... sta dicendo addio? Arnau rabbrividì, le gambe gli cedettero e dovette reggersi all'inginocchiatoio. La processione si avvicinava a Santa Maria, e il boato aumentò. Arnau si alzò e rivolse lo sguardo verso l'uscita sulla piazza. Presto il corteo sarebbe entrato in chiesa. Rimase nel tempio, guardando fuori, finché gli insulti della gente non si materializzarono.
Arnau corse verso la porta. Nessuno lo sentì gridare. Nessuno lo vide piangere. Nessuno lo vide cadere in ginocchio quando scorse Hasdai incatenato, che strascicava i piedi, sotto una raffica di insulti, sassi e sputi. Hasdai passò davanti a Santa Maria posando gli occhi sull'uomo inginocchiato, che picchiava i pugni per terra. Arnau non lo vide e continuò a sfogare la pro492
pria rabbia finché la processione non si fu allontanata, finché la terra non cominciò a tingersi di rosso. Allora qualcuno si accucciò davanti a lui e gli prese le mani con dolcezza.
«Mio padre non vorrebbe che ti ferissi per colpa sua», gli disse Raquel quando Arnau alzò gli occhi.
«Lo.... Lo uccideranno.»
«Sì.»
Arnau guardò il viso di quella bambina ormai fattasi donna. Proprio lì, tra le fondamenta di quella chiesa, l'aveva nascosta parecchi anni prima. Raquel non piangeva e, malgrado il pericolo, portava i suoi abiti da ebrea e la rotella gialla che rivelava la sua condizione.
«Dobbiamo essere forti», gli disse la bambina che ricordava.
«Perché, Raquel? Perché lui?»
«Per me. Per Jucef. Per i miei figli e per quelli di Jucef, i suoi nipoti. Per i suoi amici. Per tutti gli ebrei di Barcellona. Ha detto di essere ormai vecchio, di aver già vissuto abbastanza.»
Arnau si alzò con l'aiuto di Raquel e, sorretto da lei, seguì le grida.
Li bruciarono vivi. Legarono ciascuno a un palo in mezzo a mucchi di legna e fascine e gli diedero fuoco, senza che mai, in nessun momento, si spegnessero le grida di vendetta dei cristiani. Quando le fiamme raggiunsero il suo corpo, Hasdai levò gli occhi al cielo. Allora fu Raquel che scoppiò in lacrime, abbracciò Arnau e soffocò il pianto contro il suo petto.
Erano leggermente appartati dalla folla. Arnau, stretto alla figlia di Hasdai, non poteva staccare gli occhi dal corpo in fiamme del suo amico. Gli parve di vederlo sanguinare, ma il fuoco lo avvolse in fretta. D'un tratto non sentì più le grida della folla: intorno a sé vedeva solo pugni inferociti e minacciosi... Poi, di colpo, qualcosa lo costrinse a guardare a destra. A una cinquantina di metri c'erano il vescovo e l'inquisitore generale e, lì accanto, con il braccio teso a indicare lui, Elionor che parlava con loro. Al suo fianco c'era un'altra dama vestita in abiti eleganti che Arnau, in un primo tempo, non riconobbe. Incrociò lo sguardo dell'inquisitore mentre Elionor gesticolava e gridava, continuando ad additarlo.
«Quella, quell'ebrea è la sua amante. Guardateli. Guardate come l'abbraccia.»
493
In quel preciso istante, Arnau strinse forte a sé la donna ebrea che piangeva sul suo petto, mentre le fiamme, accompagnate dal ruggito della folla, salivano fino al cielo. Poi, per sfuggire a tanto orrore, gli occhi di Arnau incrociarono quelli di Elionor. Vedendo la sua espressione, l'odio profondo, la malignità della vendetta consumata, rabbrividì. E solo allora sentì la risata della donna che accompagnava sua moglie, una risata inconfondibile, sarcastica, che Arnau conservava impressa nella memoria da quando era bambino: la risata di Margarida Puig.
47
Una vendetta architettata da tempo, nella quale non era implicata solo Elionor. E l'accusa contro Arnau e l'ebrea Raquel non era che l'inizio.
Le decisioni di Arnau Estanyol come barone di Granollers, Sant Vicenç dels Horts e Caldes de Montbui avevano fatto tremare gli altri nobili, che vedevano venti di ribellione soffiare tra i loro contadini. Più d'uno si vide costretto a soffocare, con più determinazione di quanta ne avesse dovuta impiegare fino a quel momento, una rivolta che chiedeva a gran voce l'abolizione dei privilegi cui Arnau, quel barone nato servo, aveva rinunciato. Tra i nobili risentiti c'era Jaume di Bellera, il figlio del signore di Navarcles, che Francesca aveva allattato quando era piccolo. E accanto a lui, un uomo che Arnau aveva privato della sua casa, del suo patrimonio e del suo stile di vita: Genìs Puig, il quale, dopo lo sfratto, si era dovuto trasferire nella vecchia casa di Navarcles che era stata di suo nonno, il padre di Grau. Una casa che aveva ben poco a che vedere con il palazzo di via Montcada in cui aveva trascorso gran parte della sua vita. Entrambi avevano passato ore e ore a lamentare la mala sorte e a concepire piani di vendetta. Piani che, adesso, se si credeva alle lettere della sorella di Genìs, Margarida, stavano per dare il loro frutto...
Arnau chiese di tacere al marinaio che stava testimoniando e interrogò la guardia del tribunale del Consolato del Mare che aveva interrotto il processo.
«Un ufficiale e alcuni soldati dell'Inquisizione vogliono vedervi», gli sussurrò questi, piegandosi su di lui.
«Cosa vogliono? » domandò Arnau. Dalla faccia dell'usciere capì che lo ignorava. « Dovranno aspettare che finisca il processo», ordinò, prima di chiedere al marinaio di continuare la sua deposizione.
495
Un altro marinaio era morto durante la traversata, e l'armatore della nave voleva corrispondere agli eredi solo due mesi di paga, quando la vedova sosteneva che il suo contratto non era basato su mensilità e dunque, essendo morto in alto mare, al marito spettava la metà della cifra complessiva pattuita.
«Proseguite», lo spronò Arnau, posando gli occhi sulla vedova e sui tre figli del defunto.
«Nessun marinaio accetta paghe mensili...»
Di colpo, le porte del tribunale si spalancarono. Un ufficiale e sei soldati dell'Inquisizione, armati, fecero irruzione nella sala spingendo sgarbatamente la guardia del tribunale.
«Arnau Estanyol?» chiese l'ufficiale rivolgendosi direttamente a lui.
«Cosa significa tutto ciò? » ruggì Arnau. « Come osate interrompere...?»
L'ufficiale avanzò fino a piantarsi davanti a lui.
«Siete Arnau Estanyol, console del Mare, barone di Granollers...?»
«Lo sapete perfettamente», lo interruppe Arnau, « ma...»
«Per ordine del tribunale della Santa Inquisizione, siete in arresto. Seguitemi.»
I missatges del tribunale fecero per difendere il loro console, ma Arnau li fermò con un cenno.
«Fatemi il favore di allontanarvi», chiese Arnau all'ufficiale dell'Inquisizione.
L'uomo esitò per qualche istante. Il console, con un'espressione serena, insistette, indicandogli di mettersi accanto alla porta, e finalmente, senza perdere di vista il detenuto, l'ufficiale indietreggiò abbastanza perché Arnau potesse vedere i parenti del marinaio morto.
«Mi pronuncio a favore della vedova e dei figli», espose chiaramente. « Dovranno avere la metà del salario totale pattuito per la traversata e non i due mesi che pretende l'armatore della nave. Lo stabilisce questo tribunale.»
Arnau batté le mani, si alzò in piedi e si rivolse all'ufficiale dell'Inquisizione.
«Andiamo», gli disse.
496
La notizia dell'arresto di Arnau Estanyol corse per tutta la città e da lì, sulla bocca di nobili, mercanti o semplici contadini, si diffuse in gran parte della regione.
Alcuni giorni più tardi, in un piccolo borgo del principato, un inquisitore che in quel momento stava intimidendo un gruppo di cittadini ne veniva informato da un ufficiale dell'Inquisizione.
Joan guardò l'ufficiale.
«Sembra che sia vero», ribadì questi.
L'inquisitore si rivolse alla folla. Cosa gli stavano dicendo? Arnau arrestato? Fissò di nuovo l'ufficiale, che annuì.
Arnau?
La gente cominciò a muoversi, inquieta. Joan cercò di riprendere il filo del discorso, ma non riuscì a dire una parola. Si rivolse ancora una volta all'ufficiale e lo sorprese con un sorriso sulle labbra.
«Non proseguite, fra' Joan? » lo incalzò questi. « I peccatori stanno aspettando.»
Joan scrutò nuovamente la folla.
«Partiamo per Barcellona», ordinò.
Per tornare alla città comitale, Joan passò accanto alle terre del barone di Granollers. Se avesse fatto una semplice deviazione dalla strada principale, avrebbe potuto vedere il precedente castellano di Montbui e gli altri vassalli di Arnau che percorrevano la regione intimidendo i contadini e ripristinando quelle male usanze che, a suo tempo, Arnau aveva abrogato. « Dicono sia stata la baronessa a denunciare Arnau», assicurò qualcuno.
Ma Joan non attraversò le terre di Arnau. Da quando prese la via del ritorno non scambiò una parola con l'ufficiale né con altri della sua scorta, neppure con il segretario. Ciò nonostante, non poteva impedirsi di ascoltare.
«Sembra che l'abbiano arrestato per eresia», disse uno dei soldati a voce sufficientemente alta perché Joan potesse sentirlo.
«Il fratello di un inquisitore? » aggiunse un altro sempre con un tono sostenuto.
«Nicolau Eymerich riuscirà a fargli confessare tutto quello che nasconde», intervenne allora l'ufficiale.
Joan ricordava Nicolau Eymerich: quante volte costui si era congratulato con lui per il suo operato?
497
Bisogna combattere l'eresia, fra' Joan... Bisogna cercare il peccato sotto l'apparente bontà delle persone, nel loro letto, nei loro figli, nei loro coniugi, gli aveva detto.
E lui l'aveva fatto. Non bisogna esitare a far ricorso alla tortura per ottenere una confessione. E aveva fatto anche quello, instancabilmente. In che modo avrebbe torturato Arnau per fargli confessare di essere un eretico?
Joan affrettò il passo. La veste sporca e consumata gli cadeva a piombo sulle gambe.
«È colpa sua se mi trovo in questa situazione», commentò Genìs Puig camminando avanti e indietro nella stanza. « Io, che ho avuto...»
«Denaro, donne e potere», lo interruppe il barone.
Ma il suo interlocutore non udì neanche le sue parole e continuò a camminare.
«I miei genitori e mio fratello sono morti come semplici contadini, affamati, aggrediti da malattie che solitamente si accaniscono sulla povera gente, e io...»
«Un semplice cavaliere senza eserciti da portare al re», aggiunse annoiato il barone, terminando la frase sentita altre migliaia di volte.
Genìs Puig si fermò davanti a Jaume, figlio di Llorenç di Bellera.
«Lo trovi divertente?»
Il signore di Bellera non si mosse dalla poltrona da dove aveva seguito la ronda di Genìs, nella torre maestra del castello di Navarcles.