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Era stata una giornata dura. Era appena passato il solstizio d'estate, la luce durava fino a tarda ora e i bastaixos lavoravano dall'alba al tramonto, caricando e scaricando le navi che approdavano in città, sempre incalzati dai mercanti e dai piloti, che non volevano restare nel porto di Barcellona più dello stretto indispensabile.

Arnau rientrò in casa di Pere trascinando i piedi, con la capçana in mano. Otto facce si voltarono verso di lui. Pere e Mariona erano a tavola con un uomo e una donna. Joan, un ragazzo e due ragazze lo guardavano dal pavimento, dove sedevano appoggiati al muro. Stavano tutti mangiando dalle rispettive scodelle.

«Arnau», gli disse Pere, « ti presento i nostri nuovi inquilini. Gastó Segura, garzone conciatore.»

L'uomo si limitò a fare un cenno con la testa, senza smettere di mangiare.

«Sua moglie, Eulàlia.»

Lei sì che gli sorrise.

«E i loro tre figli: Simò, Aledis e Alesta.»

Arnau, che era sfinito, rivolse un lieve cenno a Joan e ai figli del conciatore e si accinse a prendere dalle mani di Mariona la scodella che lei già gli tendeva. Eppure, qualcosa lo costrinse a girarsi di nuovo verso i tre nuovi arrivati. Cosa...? Gli occhi! Gli occhi delle due ragazze erano fissi su di lui. Erano... immensi, castani, vivaci. Le due fanciulle sorrisero insieme.

«Mangia, ragazzo!»

Il sorriso sparì. Alesta e Aledis abbassarono gli occhi sulle rispettive scodelle e Arnau si rivolse al conciatore, che aveva smesso di mangiare e con la testa gli indicava Mariona, accanto al fuoco, con la scodella tesa verso di lui.

Mariona gli cedette il proprio posto a tavola e Arnau cominciò a mangiare il bollito, mentre Gastó Segura, davanti a lui,

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sorbiva e masticava a bocca aperta. Ogni volta che Arnau alzava gli occhi dalla scodella scopriva di avere quelli del conciatore fissi su di sé.

Poco dopo, Simò si alzò da tavola per dare a Mariona la scodella sua e delle sorelle, già vuote.

«A letto», ordinò Gastó rompendo il silenzio. Il conciatore socchiuse le palpebre guardando Arnau, e così facendo costrinse il ragazzo, a disagio, a concentrarsi sul cibo; poté sentire solo il rumore delle ragazze che si alzavano e il loro timido saluto. Quando i loro passi si furono allontanati, Arnau alzò finalmente gli occhi. L'attenzione di Gastó sembrava essere scemata.

«Come sono? » chiese a Joan quella notte, la prima che passavano insieme davanti al camino, l'uno accanto all'altro, sui pagliericci disposti a terra.

«Chi? » indagò a sua volta Joan.

«Le figlie del conciatore.»

«Come sarebbe, come sono? Normali», disse Joan con un'espressione interrogativa che il fratello, al buio, non poté distinguere, «ragazze normali, immagino.» Esitò. «A essere sinceri, non lo so. Non mi hanno lasciato parlare con loro; il fratello non ha neanche permesso che stringessi loro la mano. Quando gliel'ho tesa, me l'ha stretta lui e poi mi ha allontanato.»

Ma Arnau non lo ascoltava più. Come facevano a essere normali, quegli occhi? E poi gli avevano sorriso, entrambe.

All'alba scesero Pere e Mariona. Arnau e Joan avevano già ritirato i pagliericci. Poco dopo apparvero il conciatore e suo figlio. Le donne non li accompagnavano, perché Gastó aveva proibito loro di scendere fino a quando i ragazzi non fossero usciti. Arnau lasciò la casa di Pere con quegli immensi occhi castani impressi sulle retine.

«Oggi ti tocca la cappella», gli disse uno dei probiviri quando arrivò alla spiaggia. Il giorno prima l'aveva visto posare traballante l'ultimo carico.

Arnau annuì. Non gli rincresceva più che lo destinassero alla cappella. Nessuno ormai metteva in discussione la sua condizione di bastaix; i probiviri l'avevano confermato e benché non potesse ancora portare gli stessi carichi di Ramon o della mag212

gior parte di loro, si impegnava a fondo in un lavoro che lo soddisfaceva. Gli volevano tutti bene. E poi, quegli occhi castani... probabilmente non gli avrebbero permesso di concentrarsi sullo sforzo; inoltre era stanco, non aveva dormito bene, accanto al fuoco. Entrò in Santa Maria dalla porta principale della chiesa vecchia, che non era ancora stata abbattuta. Gastó Segura non gli aveva permesso di guardarle: perché non poteva neanche osservare due normali ragazze? E quella mattina, sicuramente aveva proibito loro di... Inciampò in una corda e per poco non cadde. Barcollò per qualche passo, inciampando in altre corde, e alla fine sentì due mani che lo sorreggevano. Prese una storta alla caviglia e lanciò un gemito di dolore.

«Eh!» sentì che gli diceva l'uomo che l'aveva aiutato. « Devi stare attento. Guarda cos'hai fatto!»

Gli faceva male la caviglia, ma guardò per terra. Aveva staccato le corde e i chiodi che Berenguer di Montagut indicava... Ma... No! Non poteva essere lui! Si girò verso il suo soccorritore. Non poteva essere addirittura il maestro! Arrossì, trovandosi faccia a faccia con lui, quindi notò gli operai che avevano interrotto la propria opera e li stavano osservando.

«Io...» esitò. «Se volete...» aggiunse indicando il groviglio di corde ai suoi piedi, «potrei aiutarvi... Io... sono mortificato, maestro.»

A quel punto il viso di Berenguer di Montagut si rilassò. Lo stava ancora tenendo per un braccio.

«Ma tu sei il bastaix», disse con un sorriso. Arnau annuì. « Ti ho visto già diverse volte.»

Il sorriso di Berenguer si allargò, e i manovali tirarono un sospiro di sollievo. Arnau tornò a esaminare le corde che gli si erano ingarbugliate intorno ai piedi.

«Mi dispiace», ripeté.

«Pazienza!» Il maestro fece un cenno rivolgendosi ai muratori. «Rimediate voi», ordinò loro. «Vieni, andiamo a sederci. Ti fa male?»

«Non vi dovete disturbare», disse Arnau con una smorfia di dolore, dopo essersi chinato per cercare di liberarsi dalle corde.

«Aspetta.»

Berenguer di Montagut lo costrinse ad alzarsi e si inginocchiò per sbrogliare l'intrico. Arnau non osava guardarlo, e posò

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gli occhi sugli operai, che seguivano attoniti la scena. Lui, il maestro, inginocchiato davanti a un semplice bastaix!

«Dobbiamo avere cura di questi uomini!» gridò a tutti i presenti quando riuscì a liberare i piedi di Arnau. « Senza di loro non avremmo la pietra. Vieni, accompagnami. Andiamo a sederci. Ti fa male?»

Arnau fece segno di no con la testa, ma poi zoppicò, cercando di non appoggiarsi al maestro.

Berenguer di Montagut lo strinse forte per un braccio e lo guidò verso alcune colonne distese sul pavimento, pronte per essere issate, su cui si andarono a sedere. « Ti voglio confidare un segreto», gli disse appena si furono accomodati.

Arnau si girò verso Berenguer. Stava per confidargli un segreto! Il maestro! Cos'altro gli sarebbe successo quella mattina?

«L'altro giorno ho provato a sollevare il masso che avevi appena scaricato e ci sono riuscito a stento.» Berenguer scuoteva la testa. «E comunque non sarei stato in grado di muovere neanche un passo con quel peso sul groppone. Questo tempio è vostro», affermò lasciando scorrere lo sguardo sui lavori del cantiere, e Arnau rabbrividì. « Un giorno, quando vivranno i nostri nipoti, o i loro figli, o i figli dei loro figli, la gente che guarderà quest'opera non parlerà di Berenguer di Montagut: parlerà di te, ragazzo.»

Arnau sentì un groppo in gola. Cosa gli stava dicendo, il maestro!? Come faceva un bastaix a essere più importante di Berenguer di Montagut, maestro del cantiere della chiesa di Santa Maria e della cattedrale di Manresa? Lui sì, che era un uomo importante!

«Ti fa male? » insistette il maestro.

«No... Un po'. È solo una storta.»

«Lo spero.» Berenguer di Montagut gli diede una pacca sulla schiena. «Abbiamo bisogno dei vostri massi. C'è ancora parecchio lavoro da fare.»

Arnau seguì lo sguardo che il maestro posava sul cantiere.

«Ti piace? » gli chiese all'improvviso.

Gli piaceva? Non se l'era mai chiesto. Vedeva crescere la chiesa, le sue mura, le absidi, le magnifiche colonne sottili, i contrafforti, ma... Gli piaceva?

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«Dicono che sia il più bel tempio mai stato costruito al mondo per la Vergine», pensò di dire alla fine.

Berenguer si girò verso di lui e sorrise. Come faceva a spiegare a un ragazzo, a un bastaix, come sarebbe diventato quel tempio, quando neanche i vescovi o i nobili erano in grado di figurarsi il suo progetto?

«Come ti chiami?»

«Arnau.»

«Ebbene, Arnau, non so se sarà il più bel tempio del mondo.»

Arnau, dimentico della propria caviglia, fissava il maestro.

«Quello che ti posso dire con certezza è che sarà unico, e l'unico non vuol dire né meglio né peggio: è semplicemente unico.» Berenguer di Montagut abbracciò con lo sguardo il cantiere, e proseguì: « Hai mai sentito parlare della Francia, o della Lombardia, di Genova, Pisa e Firenze?»

Arnau annuì; era impossibile non aver mai sentito nominare i nemici del suo Paese.

«Be', anche in tutti quei posti vengono costruite delle chiese; sono cattedrali magnifiche, grandiose e ricche di elementi decorativi. I principi di quei luoghi vogliono che le loro chiese siano le più grandi e le più belle del mondo.»

«E noi? Non vogliamo la stessa cosa?»

«Sì e no.»

Alla risposta del maestro, Arnau scosse la testa. Berenguer di Montagut si girò verso di lui e gli sorrise.

«Vediamo se riesco a spiegarmi: noi vogliamo che sia il migliore tempio della storia, ma cerchiamo di realizzarlo usando strumenti diversi rispetto a quelli degli altri; vogliamo che la casa della Patrona del Mare sia la casa di tutti i catalani, uguale a quella in cui vivono i suoi fedeli, ideata e costruita con lo stesso spirito che ci ha portato a essere come siamo, approfittando delle nostre ricchezze: il mare, la luce. Capisci?»

Arnau ci rifletté per qualche istante, ma alla fine fece segno di no con la testa.

«Almeno tu sei sincero», disse il maestro ridendo. « I principi fanno le cose per la loro gloria personale; noi le facciamo per noi stessi. Ho visto che, a volte, invece di portare il carico sulla schiena, lo trasportate legato a un palo, in due.»

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«Sì, quando è troppo grosso per reggerlo sulle spalle.»

«Cosa accadrebbe se raddoppiassimo la lunghezza del palo?»

«Si romperebbe.»

«Ecco, questo è quanto accade alle chiese dei principi... No, non voglio dire che si romperanno», aggiunse vedendo l'espressione stupita del ragazzo. « Intendo dire che dal momento che le vogliono così grandi, alte e lunghe, le devono fare molto strette. Alte, lunghe e strette, capisci?»

Stavolta Arnau annuì.

«La nostra sarà l'esatto contrario; non sarà tanto lunga e neanche altissima, ma ampia, perché ci stiano dentro tutti i catalani, al cospetto della loro Madonna. Un giorno, quando sarà finita, lo vedrai: ci sarà uno spazio comune per tutti i fedeli, senza distinzioni, e la luce, la luce del Mediterraneo, sarà l'unico decoro. Non ce ne servono altre: solo lo spazio e la luce che entrerà di lì.» Berenguer di Montagut indicò l'abside e poi abbassò la mano fino a terra, con Arnau che seguiva il movimento. « Questa chiesa sarà per la gente, non per la maggior gloria di qualche principe.»

«Maestro...» Gli si era avvicinato uno dei muratori, che avevano terminato di risistemare le corde e i pioli.

«Hai capito adesso?»

Sarebbe stata per la gente!

«Sì, maestro.»

«I tuoi macigni sono oro per questa chiesa, ricordatelo», aggiunse Montagut alzandosi. « Ti fa male?»

Arnau non pensava neanche più alla sua caviglia, e fece segno di no con la testa.

Quella mattina, dispensato dal lavoro degli altri bastaixos, Arnau rincasò prima del solito. Aveva pulito rapidamente la cappella, smoccolato i ceri, sostituito quelli consumati, e dopo aver recitato una breve preghiera si era congedato dalla Madonna. Padre Albert lo aveva visto uscire di corsa da Santa Maria, e sempre di corsa Mariona lo vide entrare in casa.

«Cosa succede? » gli chiese l'anziana. « Cosa ci fai a casa così presto?»

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Arnau ispezionò la stanza con un'occhiata: erano lì, madre e figlie, a cucire al tavolo; e tutte e tre lo stavano guardando.

«Arnau», insistette Mariona, « cosa succede?»

Lo vide arrossire.

«No...» Non aveva pensato a una scusa! Come poteva essere stato tanto stupido? E lo fissavano. Lo fissavano tutte, lì, fermo sulla porta, ansimante. « No...» ripeté, « è che oggi ho... ho finito prima.»

Mariona sorrise e guardò le ragazze. La madre, Eulàlia, a sua volta non poté evitare di lasciarsi sfuggire un sorrisetto.

«Be', dal momento che hai finito prima», disse Mariona, interrompendo i suoi pensieri, « va' a prendermi l'acqua.»

Lo aveva guardato ancora, pensò il ragazzo mentre andava con il secchio alla fonte dell'Angelo. Che volesse dirgli qualcosa? Arnau fece dondolare il secchio. Era sicuramente così.

Tuttavia, non ebbe modo di verificarlo. Quando non era Eulàlia, Arnau si trovava davanti i denti neri di Gastó, i pochi che gli restavano, e se nessuno dei due era presente era Simò a sorvegliare le due ragazze. Per giorni Arnau dovette accontentarsi di osservarle con la coda dell'occhio. A volte riusciva a fissare per qualche istante i loro volti dai lineamenti puliti: il mento marcato, gli zigomi alti, il naso dritto e sobrio di una statua romana, i denti bianchi e dritti e gli impressionanti occhi castani. Altre volte, quando il sole entrava nella casa di Pere, Arnau aveva come la sensazione di poter toccare il riflesso quasi azzurrino dei loro lunghi capelli serici e corvini. E raramente, solo quando credeva di non rischiare di essere visto, lasciava che il suo sguardo scendesse oltre il collo di Aledis, la sorella maggiore, nel punto dove il seno si intuiva a dispetto della ruvida camicia che portava. Allora sentiva uno strano brivido corrergli per tutto il corpo e, se nessuno lo guardava, continuava a scendere con gli occhi per dilettarsi con le curve della ragazza.

Durante la carestia Gastó Segura aveva perso tutto quello che aveva e il suo carattere, già di per sé aspro, si era oltremodo indurito. Suo figlio Simò lavorava con lui come apprendista conciatore, ma la sua grande preoccupazione erano quelle due ragazze, cui non avrebbe potuto garantire la dote per trovare un buon marito. Tuttavia, la loro bellezza era promettente, e Ga217

stò sperava di riuscire a sposarle bene. Almeno avrebbe avuto due bocche in meno da sfamare.

Per questo, pensava l'uomo, le ragazze dovevano restare immacolate, nessuno a Barcellona avrebbe dovuto nutrire il benché minimo sospetto sulla loro decenza. Solo in questo modo, ripeteva incessantemente a Eulàlia o a Simò, Alesta e Aledis avrebbero potuto trovare un buon marito. I tre, padre, madre e primogenito, l'avevano presa come una vera e propria missione, ma se Gastó ed Eulàlia si auguravano di non incontrare ostacoli, man mano che la convivenza con Arnau e Joan si prolungava, Simò cominciò a nutrire qualche dubbio.

Joan era diventato l'alunno più brillante della scuola della cattedrale. In poco tempo aveva imparato il latino alla perfezione, e gli insegnanti seguivano con estremo interesse quel ragazzo calmo, sensato, riflessivo e, soprattutto, credente; tali erano le sue virtù che solo in pochi dubitavano che avrebbe fatto strada nella Chiesa. Joan arrivò a conquistare il rispetto di Gastó ed Eulàlia, che spesso condividevano con Pere e Mariona, attenti e incantati, le spiegazioni che il ragazzino dava sulle Scritture. Solo i sacerdoti potevano leggere quei libri, scritti in latino, e lì, in un'umile casa in riva al mare, i quattro potevano assaporare il Sacro Verbo, le storie antiche, i messaggi del Signore che prima arrivavano solo dall'alto dei pulpiti!

Ma se Joan si era guadagnato il rispetto di quanti lo circondavano, Arnau non era da meno: persino Simò lo guardava con invidia: era un bastaix! Erano poche le persone del quartiere della Ribera che ancora non sapevano delle fatiche che Arnau doveva affrontare per trasportare la pietra per la Vergine. « Dicono che il grande Berenguer di Montagut si sia inginocchiato davanti a lui per aiutarlo», gli aveva detto, aprendo le mani e alzando la voce, uno degli apprendisti del laboratorio. Simò immaginò il grande maestro, rispettato da nobili e vescovi, ai piedi di Arnau. Quando il maestro parlava, tutti, persino suo padre, se ne stavano zitti, e quando gridava... Quando gridava, tremavano. Simò osservava sempre Arnau quando rientrava, la sera. Era sempre l'ultimo ad arrivare. Tornava stanco e sudato, con la capçana in mano, eppure... Sorrideva! Quando mai aveva sorriso, lui, al ritorno dal lavoro? Qualche volta l'aveva incrociato quando camminava con il suo masso in spalla verso la chiesa di

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Santa Maria: le gambe, le braccia, il petto, tutte le sue membra sembravano di ferro. Simò guardava la pietra e poi la faccia congestionata di Arnau. Non l'aveva forse visto sorridere?

Per questo, quando doveva sorvegliare le sue sorelle e apparivano Arnau o Joan, l'apprendista conciatore si ritirava, e le due ragazze potevano assaporare un po' di quella libertà di cui si vedevano private in presenza dei genitori.

«Andiamo a passeggiare sulla spiaggia!» propose un giorno Alesta.

Simò tentò di opporsi. Passeggiare sulla spiaggia... Se li avesse visti il padre....

«D'accordo», disse Arnau.

«Ci farà bene», affermò Joan.

Simò tacque. I cinque, con Simò a chiudere la spedizione, uscirono al sole, Aledis vicino ad Arnau, Alesta accanto a Joan. Le ragazze lasciavano che la brezza accarezzasse loro i capelli e facesse aderire capricciosamente le ampie camicie ai corpi, al seno, al ventre e all'inguine.

Passeggiarono in silenzio, guardando il mare e lanciando calci alla sabbia, finché non incrociarono un gruppo di bastaixos in pausa. Arnau li salutò con la mano.

«Vuoi che te li presenti? » chiese ad Aledis.

La ragazza guardò gli uomini. Avevano tutti gli occhi fissi su di lei. Ma cosa...? Il vento le incollava la camicia al seno e ai capezzoli. Oddio! Sembrava che cercassero di vedere attraverso la stoffa. Arrossì e rifiutò proprio quando Arnau stava già andando loro incontro. Aledis fece dietro front e Arnau rimase fermo a metà strada.

«Corrile dietro, Arnau», gli gridò uno dei confratelli.

«Non lasciartela scappare», gli suggerì un secondo.

«E proprio bella!» concluse un terzo.

Arnau accelerò il passo fino a raggiungere Aledis.

«Che c'è?»

La ragazza non gli rispose. Gli nascondeva il volto e teneva le braccia incrociate sulla camicia, ma non sembrava neanche intenzionata a tornare a casa. E così continuarono a passeggiare, con il rumore delle onde come unica compagnia.

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Quella sera stessa, mentre cenavano accanto al camino, la ragazza premiò Arnau posando i suoi enormi occhi castani su di lui per un istante più del necessario.

Per quell'istante Arnau tornò a sentire il rumore del mare, mentre lui sprofondava nella sabbia della spiaggia. Spostò lo sguardo sugli altri, per vedere se qualcuno avesse notato quell'impudenza: Gastó stava ancora parlando con Pere e nessuno sembrava prestargli la minima attenzione. Nessuno sembrava sentire il rumore delle onde.

Quando Arnau si azzardò a posare di nuovo gli occhi su Aledis, la ragazza aveva chinato la testa e giocherellava con il cibo della scodella.

«Mangia, bambina!» le ordinò Gastó il conciatore, nel vedere che rigirava il cucchiaio senza portarlo alla bocca. « Non si gioca con il cibo.»

Le parole di Gastó riportarono Arnau alla realtà e, per il resto della cena, Aledis non solo non lo guardò più, ma lo evitò in modo palese.

Aledis aspettò alcuni giorni prima di rivolgersi ancora ad Arnau nel modo silenzioso in cui l'aveva cercato quella prima sera, dopo la passeggiata sulla spiaggia. Nelle rare occasioni in cui si incontravano, Arnau avrebbe desiderato incrociare gli occhi castani di lei, ma la ragazza lo schivava e sfuggiva il suo sguardo.

«Ciao, Aledis », le disse distrattamente una mattina, mentre apriva la porta di casa per andare verso la spiaggia.

Capì che in quel momento erano soli. Arnau stava chiudendo la porta dietro di sé quando qualcosa lo spinse a girarsi verso la ragazza. Lei era lì, accanto al fuoco, dritta, bella, ad allettarlo con i suoi occhi castani.

Finalmente, finalmente! Arnau arrossì e abbassò gli occhi. Turbato, cercò di chiudere la porta, ma a metà movimento qualcosa richiamò di nuovo la sua attenzione: Aledis era sem220

pre lì, ad attirarlo con i suoi grandi occhi castani, sorridente. Aledis gli sorrideva.

La mano scivolò sul catenaccio, lui inciampò e per poco non cadde. Non ebbe il coraggio di guardarla di nuovo e scappò via a passo leggero verso la spiaggia, lasciando la porta aperta.

«Si vergogna», sussurrò Aledis alla sorella quella sera, prima che i genitori e il fratello si ritirassero, quando si ritrovarono coricate sul pagliericcio che dividevano.

«E perché dovrebbe? » le chiese l'altra. « È un bastaix. Lavora sulla spiaggia e trasporta la pietra per la Madonna. Tu sei solo una bambina. Lui è un uomo», aggiunse con una punta di ammirazione.

«Qui la bambina sei tu!» sbottò Aledis.

«Sentitela, ha parlato la gran donna!» rispose Alesta dandole le spalle e ricorrendo alla stessa espressione che usava la madre quando una di loro pretendeva qualcosa per cui era ancora troppo piccola.

«Va bene, va bene», rispose l'altra.

Ha parlato la gran donna. Non lo sono, forse? Aledis pensò alla madre, alle amiche della madre, a suo padre. Ma forse... Forse sua sorella aveva ragione. Perché uno come Arnau, un bastaix che aveva dimostrato a tutta la città di Barcellona quanto fosse devoto alla Madonna del Mare, avrebbe dovuto essere imbarazzato se lei, che era solo una bambina, lo guardava?

«Si vergogna. Te lo dico io, si vergogna», insistette Aledis la sera dopo.

«Come sei cocciuta! Perché dovrebbe?»

«Non lo so», rispose Aledis, «ma è così. È in imbarazzo quando mi guarda. E in imbarazzo quando lo guardo io. Si agita, diventa rosso e mi sfugge...»

«Sei impazzita!»

«Può darsi, ma...» Aledis sapeva quello che diceva. Se la sera precedente la sorella era riuscita a insinuare il dubbio nel suo cuore, stavolta era diverso. Ne aveva avuto la prova. Aveva osservato Arnau, aveva aspettato il momento più opportuno,

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quando nessuno li poteva scoprire, e si era avvicinata a lui, quanto bastava per sentire l'odore del suo corpo. Ciao, Arnau. Un semplice saluto accompagnato da un'occhiata affettuosa, da vicino, più vicino che aveva potuto, fin quasi a sfiorarlo, e Arnau era nuovamente arrossito, dopo di che aveva schivato il suo sguardo cercando di allontanarsi. Quando aveva visto che se ne andava, Aledis aveva sorriso, fiera di un potere che fino ad allora non aveva mai saputo di avere. « Domani lo vedrai con i tuoi occhi», disse alla sorella.

La presenza indiscreta di Alesta le diede il coraggio di spingersi oltre con il suo discreto civettare. Non poteva fallire. La mattina, quando Arnau si accingeva a uscire di casa, Aledis gli chiuse il passo piantandosi sulla porta, appoggiata allo stipite. Se l'era figurato nei minimi particolari mentre la sorella dormiva.

«Perché non vuoi parlare con me? » gli disse con una voce mielosa, guardandolo ancora una volta negli occhi.

Fu lei la prima a sorprendersi nello scoprirsi tanto ardita. Dentro di sé aveva ripetuto quella semplice frase infinite volte, e in ogni occasione si era chiesta se sarebbe stata capace di pronunciarla senza esitare. Se Arnau le avesse risposto, lei si sarebbe ritrovata vulnerabile, ma con sua grande soddisfazione lui non lo fece. Cosciente della presenza di Alesta, Arnau si rivolse verso Aledis con il solito rossore sulle guance. Non poteva uscire, ma non riusciva neanche a guardare Alesta.

«Io, sì... Io...»

«Tu, tu, tu», lo interruppe Aledis, arrogante, « tu mi eviti. Prima parlavamo e ridevamo e adesso, invece, ogni volta che provo a rivolgerti la parola...»

Aledis si drizzò, impettita, e i suoi giovani seni si profilarono, sodi, sotto la camicia. A dispetto della tela grezza, i capezzoli spuntarono appuntiti come frecce. Arnau li vide, e neanche tutti i massi della cava reale avrebbero potuto distogliere il suo sguardo da quello che Aledis gli offriva. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

«Bambine!»

La voce di Eulàlia, che scendeva dalla scala, riportò tutti all'ordine. Aledis aprì la porta e uscì in strada prima che sua madre arrivasse di sotto. Arnau si girò verso Alesta, che stava anco222

ra osservando la scena a bocca aperta, e uscì a sua volta di casa. Aledis si era già dileguata.

Quella notte le sorelle bisbigliarono a lungo, senza trovare una risposta alle domande che sorgevano da quella nuova esperienza, e che non potevano condividere con nessuno. Se c'era una cosa di cui Aledis era certa, pur non sapendo come spiegarla alla sorella, era che il suo corpo esercitava un certo potere su Arnau. Quella sensazione la soddisfaceva, la colmava completamente. Si chiese se tutti gli uomini reagivano nello stesso modo, ma poi riusciva a immaginarsi solo davanti ad Arnau. Non le sarebbe mai passato per la testa di comportarsi così con Joan, o con qualcuno degli apprendisti amici di Simò; neanche se lo sognava... Eppure, con Arnau, qualcosa dentro di lei si liberava...

«Cos'ha il ragazzo? » chiese Josep, il proboviro della confraternita, a Ramon.

«Non lo so proprio», gli rispose questi con sincerità.

I due uomini guardarono verso i barcaioli, dove Arnau chiedeva gesticolando che gli caricassero sulle spalle uno dei colli più pesanti. Quando finalmente la spuntò, Josep, Ramon e gli altri colleghi lo videro partire con passo incerto, le labbra serrate e la faccia paonazza.

«Non reggerà a lungo, a questo ritmo», sentenziò Josep.

«È giovane», cercò di difenderlo Ramon.

«Non reggerà.»

Se n'erano accorti tutti. Arnau chiedeva i carichi e i massi più pesanti e li trasportava come se fosse una questione di vita o di morte. Poi tornava quasi di corsa al punto di partenza, dove reclamava di nuovo un peso maggiore di quello che gli toccava. Alla fine della giornata si trascinava esausto fino alla casa di Pere.

«Cosa ti prende, ragazzo? » si interessò Ramon il giorno dopo, mentre entrambi trasportavano delle merci ai depositi municipali.

Arnau non rispose. Ramon si chiese se il suo silenzio fosse dovuto al fatto che non voleva parlarne o se invece, per qualche motivo, non poteva farlo. Anche in quel momento era paonazzo per via del peso che reggeva sulla schiena.

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«Se hai un problema, io potrei...»

«No, no», riuscì appena a dire Arnau. Come faceva a spiegargli che il suo corpo bruciava di desiderio per Aledis? Come poteva spiegargli che riusciva a calmarsi solo caricandosi pesi sempre più grandi sulle spalle, fino a quando la sua mente, ossessionata dall'idea di arrivare a destinazione, non riusciva a dimenticare quegli occhi, quel sorriso, quei seni, quel corpo? Come faceva a dirgli che, ogni volta che Aledis giocava con lui, perdeva il controllo dei suoi pensieri e la vedeva nuda, accanto a sé, intenta ad accarezzarlo? Allora gli tornavano in mente le parole di padre Albert sulle relazioni proibite: « Peccato! Peccato!» ammoniva con voce ferma i parrocchiani. Come faceva a dirgli che desiderava solo arrivare a casa, sfinito, per buttarsi sul pagliericcio e riuscire a prendere sonno malgrado la vicinanza della ragazza?

«No, no», ripeté. « Grazie... Ramon.»

«Crollerà», insistette Josep alla fine di quella giornata.

E stavolta Ramon non osò contraddirlo.

«Non credi di esagerare? » chiese una notte Alesta alla sorella.

«Perché?»

«Se nostro padre scoprisse...»

«Cosa dovrebbe scoprire?»

«Che sei innamorata di Arnau.»

«Io non sono innamorata di Arnau! È solo... è solo... Che mi sento bene, Alesta. Mi piace. Quando mi guarda...»

«Ne sei innamorata», insistette la piccola.

«No. Come faccio a spiegartelo? Quando vedo che mi guarda, quando arrossisce, mi sento come se avessi un vermiciattolo che mi striscia su tutto il corpo.»

«Ne sei innamorata.»

«No. Dormi. Cosa vuoi saperne, tu? Dormi.»

«Lo ami, lo ami, lo ami.»

Aledis decise di non rispondere, ma... E se era vero? Le bastava sentirsi guardata e desiderata per godere, la lusingava il fatto che Arnau non riuscisse a staccare gli occhi dal suo corpo; l'appagava il palese sconforto di lui quando lei smetteva di tentarlo: era quello, l'amore? Aledis cercò di darsi una risposta, ma

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ben presto la sua mente tornò a perdersi in quel senso di soddisfazione prima di cadere nel sonno.

Una mattina, Ramon si allontanò dalla spiaggia appena vide uscire Joan dalla casa di Pere.

«Cosa sta succedendo a tuo fratello? » gli chiese senza nemmeno salutarlo.

Joan ci rifletté qualche secondo.

«Credo che sia innamorato di Aledis, la figlia di Gastó il conciatore.»

Ramon scoppiò a ridere.

«Be', quest'amore lo sta facendo impazzire», lo avvisò. « Se va avanti così crollerà. Non può lavorare a questi ritmi, non è pronto per uno sforzo del genere. Non sarebbe il primo bastaix a scoppiare... E tuo fratello è troppo giovane per restare invalido. Fa' qualcosa, Joan.»

Quella stessa notte Joan cercò di parlare con suo fratello.

«Cosa ti prende, Arnau? » gli domandò dal suo pagliericcio.

L'altro rimase in silenzio.

«Devi dirmelo. Sono tuo fratello e voglio... voglio aiutarti. Tu l'hai sempre fatto con me, permettimi di condividere i tuoi problemi.»

Joan gli lasciò il tempo di riflettere sulle sue parole.

«È... è per Aledis », ammise Arnau, e Joan preferì non interromperlo. « Non so cosa mi sia preso con quella ragazza. Da quando siamo andati a passeggiare sulla spiaggia... è cambiato qualcosa tra noi. Mi guarda come se volesse... Non so. E poi...»

«E poi cosa? » chiese Joan di fronte all'esitazione del fratello.

Gli dirò solo degli sguardi, decise Arnau, con il seno di Aledis impresso nella memoria.

«Niente.»

«Allora, qual è il problema?»

«È che faccio dei cattivi pensieri, la vedo nuda. Be', mi piacerebbe vederla nuda. Mi piacerebbe...»

Joan aveva sollecitato i suoi maestri a trattare in modo approfondito l'argomento e loro, ignorando che il suo interesse rispondeva alla preoccupazione per il fratello, temendo che il ragazzo potesse cadere in tentazione e abbandonare il percorso

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che aveva intrapreso con tanta tenacia, si erano profusi nelle spiegazioni delle teorie sul carattere e sulla natura perniciosa della donna.

«Non è colpa tua», sentenziò Joan.

«No?»

«No. La malizia», gli spiegò sussurrando davanti al camino ai cui lati dormivano, « è uno dei quattro peccati innati dell'uomo, che insorgono in lui per colpa del peccato originale, e la malizia della donna è maggiore di qualsiasi altra forma di malizia al mondo», disse Joan ripetendo a memoria le spiegazioni dei maestri.

«E quali sono gli altri tre?»

«L'avarizia, l'ignoranza e l'accidia, o l'incapacità di fare il bene.»

«E cosa c'entra la malizia con Aledis?»

«Le donne sono maliziose per natura, e si divertono a tentare gli uomini al peccato», recitò Joan.

«Perché?»

«Perché le donne sono come aria in movimento, eteree. Non smettono un attimo di andare da una parte all'altra, quasi fossero correnti d'aria.» Joan ricordò quando il sacerdote gli aveva fatto quel paragone, con le braccia che roteavano tutt'intorno alla testa, le mani tese e le dita che vibravano senza posa. « In secondo luogo», ripeté, « perché le donne, per loro natura, per come sono state create, hanno poco buonsenso, e dunque non sanno mettere freno alla loro malizia naturale.»

Joan aveva letto tutte queste cose, e molte di più, ma non era in grado di esprimerlo a parole. I saggi affermavano che la donna, sempre per sua natura, era fredda e flemmatica, e si sapeva che se un elemento freddo prendeva fuoco, ardeva in fretta. A detta dei sapienti la donna era, in definitiva, l'antitesi dell'uomo, e dunque incoerente e assurda. Bastava considerare che anche il suo corpo era l'opposto di quello maschile: largo sotto e sottile sopra, mentre quello maschile, quando era ben fatto, doveva essere il contrario, snello dal petto in giù, largo di petto e di spalle, con il collo grosso e corto e la testa grande. Quando nasceva una donna, la prima lettera che pronunciava era la E, che serviva per brontolare, mentre la prima lettera che pronunciava un uomo era la A, la prima dell'alfabeto e opposta alla E.

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«Non è possibile. Aledis non è così», lo smentì Arnau alla fine.

«Non ti illudere. Con la sola eccezione della Madonna, che ha concepito Gesù senza peccato, tutte le altre sono uguali. Lo contemplano persino le ordinanze della tua confraternita! Non vietano forse le relazioni adulterine? Non prevedono forse l'espulsione di chiunque abbia un'amichetta o conviva con una donna disonesta?»

Arnau non poteva opporsi a quell'argomento. Ignorava le tesi di saggi e filosofi e, benché Joan ce la stesse mettendo tutta per convincerlo, poteva tranquillamente ignorarle. Con i precetti della confraternita, però, era un'altra storia. Quelle regole le conosceva eccome. I probiviri l'avevano informato al riguardo, e l'avevano avvertito che se le avesse violate sarebbe stato espulso. La confraternita non poteva essere in errore!

Annuì, tremendamente confuso.

«Allora, cosa bisogna fare? Se tutte le donne sono cattive...»

«Prima di tutto bisogna sposarle», lo interruppe Joan, « e una volta contratto il matrimonio, agire come ci insegna la Chiesa.»

Sposarsi... Sposarsi... Non aveva mai preso in considerazione quella possibilità, ma... se proprio non c'era altra soluzione...

«E cosa bisogna fare, una volta sposati? » indagò, con voce tremante all'ipotesi di vedersi unito ad Aledis per tutta la vita.

Joan ritrovò il filo delle spiegazioni che gli avevano fornito i professori della cattedrale: «Un buon marito deve cercare di controllare la malizia naturale della moglie in base ad alcuni principi: il primo di questi è che la donna si trova sotto la potestà dell'uomo, a lui sottomessa: 'Sub potestate viri eris', recita la Genesi. Il secondo, dall'Ecclesiaste: 'Mulier, si prirnatum haber...' » Joan si impappinò, « 'Mulier, si prirnatum habuerit, contraria est viro suo', il che significa che se in casa la donna spadroneggia, finisce per contrastare il marito. Un altro principio è quello che si legge nei Proverbi: 'Qui delicate nutrit servum suum, inveniet contumacem, che vuol dire che chi tratta con affetto quanti devono servirlo, tra cui si annovera anche la moglie, verrà ricompensato con la ribellione invece che con l'umiltà, la sottomissione e l'obbedienza. E se, malgrado tutto, la

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malizia dovesse continuare a manifestarsi nella moglie, il marito deve castigarla con la vergogna e la paura: correggerla all'inizio, quando è giovane, senza aspettare che invecchi».

Arnau ascoltò in silenzio le parole del fratello.

«Joan », gli disse quando l'altro ebbe finito, « tu credi che io potrei sposare Aledis?»

«Ma certo! Solo che dovresti aspettare un po', finché non avrai fatto fortuna nella confraternita e potrai mantenerla. In ogni modo, sarà utile parlare con suo padre prima che combini il matrimonio con un altro, perché a quel punto non potresti più farci niente.»

L'immagine di Gastó Segura con i suoi pochi denti, tutti neri, apparve agli occhi di Arnau come una barriera invalicabile. Joan intuì le paure del fratello.

«Devi farlo», insistette.

«Mi aiuteresti?»

«Ma certo!»

Per qualche istante calò di nuovo il silenzio tra i due pagliericci ai lati del camino della casa di Pere.

«Joan », fece Arnau, rompendo la quiete.

«Dimmi.»

«Grazie.»

«Non c'è di che», rispose.

I due fratelli cercarono di dormire, ma non ci riuscirono. Arnau, entusiasta al pensiero di sposare la sua desiderata Aledis, Joan, perso tra i ricordi della madre. Aveva dunque ragione Ponç, il calderaio? La malizia è innata nella donna, la donna deve essere sottomessa all'uomo, l'uomo deve castigare la donna... Aveva ragione lui? Come poteva onorare il ricordo di sua madre, e impartire certi consigli? Joan ricordò la mano di Joana che usciva dalla piccola finestra della prigione e gli accarezzava la testa. Rammentò l'odio che aveva provato, e ancora provava, per Ponç... Eppure... Aveva forse ragione?

Nei giorni che seguirono nessuno dei due si azzardò a rivolgersi all'accigliato Gastó, al quale la permanenza presso Pere non faceva che ricordare la propria rovina e la conseguente perdita della dimora di famiglia. Il duro carattere del conciatore peg228

giorava quando era a casa, e sfortunatamente era solo lì che i due fratelli avevano l'opportunità di fargli la famosa proposta; ogni volta, però, i suoi grugniti, le proteste e le imprecazioni li facevano desistere.

Nel frattempo, Arnau restava prigioniero della scia che Aledis schiudeva al suo passaggio. La vedeva, la seguiva con gli occhi e con la fantasia, e non c'era momento del giorno in cui non pensasse a lei, tranne quando appariva Gastó: allora tutta la sua baldanza svaniva.

Perché a prescindere dalle proibizioni di sacerdoti e confratelli, il ragazzo non poteva staccare gli occhi da Aledis quando lei, sapendosi sola con il suo balocco preferito, approfittava di qualsiasi mestiere dovesse sbrigare per fare in modo che la larga veste sbiadita le aderisse al corpo. Arnau restava incantato davanti a quella visione: i capezzoli, i seni, tutto il corpo di Aledis esercitava su di lui un richiamo irresistibile. Sarai mia moglie, un giorno sarai mia moglie, pensava eccitato. Allora cercava di immaginarla nuda, e la sua mente viaggiava verso luoghi sconosciuti e proibiti perché, tranne il corpo torturato della povera Habiba, non aveva mai visto una donna senza gli abiti.

Altre volte Aledis si chinava davanti ad Arnau, piegando la schiena invece di accucciarsi, per mostrargli le natiche e le curve dei fianchi; approfittava della minima opportunità per sollevare l'orlo della veste, scoprire le ginocchia e le cosce; si portava la mano alla schiena, sulle reni, per simulare un dolore inesistente, inarcare la colonna vertebrale mostrando così il ventre piatto e sodo. Quindi sorrideva o, fingendo di notare all'improvviso la presenza di Arnau, si mostrava turbata. Quando spariva, Arnau doveva lottare per scacciare quelle immagini dalla mente.

Negli stessi giorni in cui viveva quelle esperienze, Arnau cercava disperatamente di trovare il momento opportuno per parlare con Gastó.

«Cosa diavolo ci fate, lì impalati?» sbottò lui una volta, quando i due ragazzi gli si erano piantati davanti con l'ingenua intenzione di chiedergli la figlia in sposa.

Il sorriso con cui Joan aveva cercato di rivolgersi a Gastó era svanito appena il conciatore era passato in mezzo a loro spingendoli via senza tanti riguardi.

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«Vacci tu», disse un'altra volta Arnau al fratello.

Gastó era solo al tavolo del piano terra. Joan gli si sedette davanti, si schiarì la gola e, quando stava per parlare, il conciatore alzò gli occhi dal capo che stava esaminando.

«Gastó...» disse Joan.

«Lo spellerò vivo! Gli strapperò le palle!» vomitò il conciatore sputando saliva dai buchi che si aprivano tra i denti neri. « Simooó!»

Joan si girò a guardare Arnau, nascosto dietro un angolo con un'espressione d'impotenza. Nel frattempo, Simò era accorso al richiamo paterno.

«Come puoi aver fatto una cucitura del genere? » gli gridò il padre sbattendogli sotto il naso l'oggetto di cuoio.

Joan si alzò dalla sedia e si allontanò dalla discussione. Ma lui e Arnau non desistettero.

«Gastó», tornò alla carica Joan una sera che, apparentemente di buon umore, dopo cena il conciatore era uscito a fare una passeggiata sulla spiaggia ed entrambi si erano lanciati al suo inseguimento.

«Cosa vuoi? » gli chiese l'altro senza fermarsi.

Almeno ci lascia parlare, pensarono i due ragazzi.

«Volevo... parlarvi di Aledis...»

Sentendo il nome della figlia, Gastó si fermò di colpo e si avvicinò a Joan, tanto che il suo alito fetido investì il ragazzo come una vampata.

«Cos'ha fatto? » Gastó rispettava Joan; lo reputava un giovane serio. L'accenno ad Aledis e la sua innata sfiducia gli fecero credere che volesse accusarla, e il conciatore non poteva permettere che qualcosa macchiasse il suo gioiello.

«Niente», gli disse Joan.

«Come sarebbe, niente?» proseguì Gastó concitato, senza allontanarsi di un'unghia da Joan. «Allora perché vuoi parlarmi di Aledis? Dimmi la verità, cos'ha fatto?»

«Niente, non ha fatto niente, davvero.»

«Niente? E tu», disse rivolgendosi ad Arnau, «cos'hai da dirmi? Cosa sai sul conto di Aledis?»

«Io... niente...» L'esitazione di Arnau aumentò i sospetti maniacali di Gastó.

«Dimmelo!»

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«Non c'è niente... Non...»

«Eulàlia!» Gastó non rimase ad aspettare oltre e gridando come un ossesso il nome della moglie tornò verso la casa di Pere.

Quella notte i due ragazzi, oppressi dai sensi di colpa, sentirono le grida che lanciava Eulàlia mentre Gastó, a legnate, cercava di strapparle una confessione impossibile.

Ci provarono in altre due occasioni, ma non riuscirono neanche a cominciare a spiegarsi. Qualche settimana dopo, scoraggiati, confidarono il loro problema a padre Albert il quale, sorridendo, si impegnò a parlarne con Gastó.

«Mi dispiace, Arnau», annunciò una settimana dopo padre Albert. Aveva dato appuntamento ad Arnau e a Joan sulla spiaggia. « Gastó Segura non approva il tuo matrimonio con sua figlia.»

«Perché? » chiese Joan. « Arnau è una brava persona.»

«Vorreste che dia mia figlia in sposa a uno schiavo della Ribera? » gli aveva risposto il conciatore, « uno schiavo che non guadagna a sufficienza per affittare una stanza?»

Il sacerdote aveva cercato di convincerlo: «Alla Ribera non c'è più nessuno schiavo; è acqua passata. Lo sai benissimo che gli schiavi non possono lavorare in...»

«È un mestiere da schiavi.»

«Questo era vero prima», aveva insistito il sacerdote. « Inoltre», aveva aggiunto, « ho trovato una buona dote per tua figlia.»

Gastó Segura, che stava già dando per terminata la conversazione, si era girato di colpo verso il sacerdote. « Con quella potrebbero comprarsi una casa...»

Gastó lo aveva interrotto di nuovo: « Mia figlia non ha bisogno della carità dei ricchi! Risparmiate gli sforzi per qualcun altro».

Dopo aver ascoltato le parole di padre Albert, Arnau guardò il mare; la luce della luna tremolava dall'orizzonte fino a riva e si perdeva nella schiuma delle onde che s'infrangevano sulla spiaggia.

Padre Albert lasciò che il fragore delle onde li avvolgesse. E se Arnau gli avesse chiesto spiegazioni? Cosa gli avrebbe detto?

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«Perché? » balbettò infatti lui, senza staccare gli occhi dall'orizzonte.

«Gastó Segura è... è un uomo strano.» Non poteva mortificare ulteriormente il ragazzo! « Vuole un nobile per sua figlia! Come fa un semplice conciatore ad avere queste pretese?»

Un nobile. Se l'era bevuta? Nessuno poteva sentirsi disprezzato se c'era in ballo la nobiltà. Persino il fragore costante e paziente delle onde sembrava aspettare la risposta di Arnau.

Sulla spiaggia riecheggiò un singhiozzo.

Il sacerdote passò un braccio sulla spalla di Arnau e sentì che il ragazzo era scosso dalle convulsioni. Quindi fece altrettanto con Joan e rimasero tutti e tre lì, davanti al mare.

«Troverai una brava moglie», gli disse il prete dopo un po'.

Non come lei, pensò Arnau.

PARTE TERZA

SERVI DELLA PASSIONE

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Seconda domenica di luglio del 1339

Chiesa di Santa Maria del Mar

Barcellona

Erano passati quattro anni da quando Gastó Segura si era rifiutato di concedere la mano di sua figlia ad Arnau il bastaix. Qualche mese più tardi Aledis era stata data in sposa a un vecchio vedovo, maestro conciatore, che aveva accettato con lascivia la mancanza di dote della ragazza. Fino al momento in cui la consegnarono al marito, Aledis fu sempre accompagnata dalla madre.

Dal canto suo, Arnau era ormai un uomo di diciotto anni, alto, forte e bello. Per quei quattro anni era vissuto grazie e in funzione della confraternita, della chiesa di Santa Maria del Mar e di suo fratello Joan. Era infaticabile quando si trattava di trasportare merci e pietre, versava la sua parte nella cassa dei bastaixos e partecipava con devozione alle cerimonie religiose, ma non si era sposato, e i probiviri vedevano con preoccupazione il fatto che un ragazzo come lui rimanesse celibe: se avesse ceduto alle tentazioni della carne avrebbero dovuto espellerlo, e le probabilità che ciò accadesse erano alte.

Ciò nonostante, Arnau non voleva sentir parlare di prendere moglie. Quando il prete gli aveva detto che Gastó non voleva saperne di lui, Arnau, guardando il mare, aveva ripensato alle donne che erano passate nella sua vita: non era neanche riuscito a conoscere sua madre; Guiamona lo aveva accolto con un affetto che in seguito gli aveva negato; Habiba era morta nel sangue e nel dolore - erano ancora molte le notti in cui gli tornava in sogno la frusta di Grau che schioccava sul suo corpo nudo -; Estranya lo aveva trattato come uno schiavo; Margarida si era fatta beffe di lui nel momento più umiliante della sua vita, e Aledis, che dire di Aledis? Insieme a lei aveva scoperto l'uomo dentro di sé, ma poi lei l'aveva abbandonato.

«Devo provvedere a mio fratello», rispondeva ai probiviri ogni volta che tiravano in ballo la questione. « Lo sapete, no? Si è consacrato alla Chiesa, al servizio di Dio», aggiungeva, men236

tre gli altri soppesavano le sue parole. « Esiste proposito migliore di questo?»

E a quel punto i probiviri tacevano.

Arnau aveva trascorso così quei quattro anni: sereno, concentrato sul lavoro, sulla chiesa di Santa Maria e, soprattutto, su Joan.

La seconda domenica di luglio dell'anno 1339 era una data di fondamentale importanza per Barcellona. Nel gennaio del 1336 nella città comitale era morto re Alfonso il Benigno, e dopo la Pasqua di quello stesso anno era stato incoronato a Saragozza suo figlio Pietro, che regnava con il titolo di Pietro III di Catalogna, IV di Aragona e II di Valenza.

Per quasi quattro anni, dal 1336 al 1339, il nuovo monarca non aveva visitato Barcellona, la città comitale, la capitale della Catalogna, e tanto la nobiltà quanto i commercianti vedevano con preoccupazione la sua riluttanza a rendere omaggio alla città più importante del regno. L'avversione del nuovo monarca per la nobiltà catalana era ben nota a tutti: Pietro III era figlio della prima moglie del defunto Alfonso, Teresa di Entenza, contessa di Urgell e viscontessa di Ager. Teresa era morta prima che il marito fosse incoronato re, e Alfonso aveva sposato in seconde nozze Eleonora di Castiglia, donna ambiziosa e crudele, con la quale aveva avuto due figli.

Re Alfonso, che aveva conquistato la Sardegna, era però un uomo dal carattere debole e influenzabile, e la regina Eleonora ben presto aveva ottenuto per i suoi figli importanti concessioni di terre e titoli. Dopo di che si era messa a perseguitare senza pietà i figliastri, i figli di Teresa di Entenza, eredi del trono paterno. Negli otto anni di regno di Alfonso il Benigno, sotto gli occhi di questi e della corte catalana, che non fecero niente per impedirglielo, Eleonora attaccò in tutti i modi possibili l'infante Pietro, all'epoca ancora un bambino, e suo fratello, Giacomo, conte di Urgell. Solo due nobili catalani, Ottone di Montcada, padrino di Pietro, e Vidal di Vilanova, commendatore di Montalbàn, avevano appoggiato la causa dei figli di Teresa di Entenza e suggerito al re Alfonso e agli stessi infanti di fuggire prima di venire avvelenati. Pietro e Giacomo si erano messi in salvo nascondendosi sulle montagne di Jaca, in Aragona, avevano ottenuto l'appoggio della nobiltà aragonese e si erano rifu237

giati nella città di Saragozza, sotto la protezione dell'arcivescovo, Pietro di Luna.

Per questo l'incoronazione di Pietro mise fine a una tradizione che durava da quando i regni di Aragona erano stati uniti al principato di Catalogna. Se lo scettro di Aragona veniva consegnato al re a Saragozza, il principato di Catalogna, che spettava al monarca nella sua qualità di conte di Barcellona, doveva essergli dato in terra catalana. Fino all'incoronazione di Pietro III, i sovrani giuravano prima a Barcellona, per essere poi incoronati a Saragozza. Perché se il re riceveva la corona per il semplice fatto di essere il monarca di Aragona, come conte di Barcellona otteneva il principato solo se giurava fedeltà al corpus delle leggi e delle ordinanze di Catalogna. Il giuramento era sempre stato considerato il preliminare necessario a qualsiasi intronizzazione.

Infatti il conte di Barcellona, principe di Catalogna, era solo un primus inter pares per la nobiltà catalana, come attestava il giuramento di vassallaggio che gli si rendeva: « Noi, che siamo nobili come Voi, giuriamo a Vostra Grazia, che non è migliore di noi, di accettarvi come re e signore sovrano, a patto che rispettiate le nostre indipendenze e leggi; altrimenti ci neghiamo». Ecco perché, quando Pietro III stava per essere incoronato re, la nobiltà catalana si era recata a Saragozza per chiedergli di giurare prima a Barcellona, come avevano fatto i suoi antenati. Il re si era rifiutato e i catalani avevano abbandonato la cerimonia. Tuttavia, il re doveva ricevere il giuramento di fedeltà dei catalani e, a dispetto delle proteste della nobiltà e delle autorità di Barcellona, Pietro il Cerimonioso decise di farlo nella città di Lérida, dove nel giugno del 1336, dopo aver prestato il proprio giuramento sugli Usatges e le leggi catalane, gli venne reso omaggio.

Quella seconda domenica di luglio del 1339, re Pietro visitava per la prima volta Barcellona, la città che aveva umiliato. Erano tre gli avvenimenti che portavano il re nella città comitale: il giuramento che, come vassallo della Corona di Aragona, doveva prestargli il cognato Giacomo III, re di Maiorca, conte del Rosellón e della Cerdana e signore di Montpellier; il consiglio generale dei prelati della provincia di Tarragona - cui agli effetti ecclesiastici Barcellona apparteneva - e il trasferimento

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dei resti di santa Eulalia martire dalla chiesa di Santa Maria alla cattedrale.

Le prime due cerimonie si svolsero senza la presenza del popolo. Giacomo III aveva espressamente chiesto che il suo giuramento di vassallaggio non si tenesse davanti alla folla, ma in un luogo più intimo, nella cappella del palazzo, e alla sola presenza di un selezionato gruppo di nobili.

Il terzo evento, però, divenne uno spettacolo pubblico. I nobili, il clero e tutto il popolo si riversarono in strada, alcuni per vedere e altri, i più fortunati, per accompagnare il re e il suo seguito che, dopo aver sentito messa nella cattedrale, si sarebbero recati in processione a Santa Maria per poi tornare alla cattedrale con le reliquie della martire.

Tutto il tragitto, dalla cattedrale fino a Santa Maria del Mar, era gremito della gente desiderosa di acclamare il suo re. Nella chiesa di Santa Maria un'abside era già stata coperta e al momento si lavorava alle nervature della seconda volta, mentre restava ancora in piedi una piccola parte dell'originaria chiesa romanica.

Santa Eulalia era stata martirizzata in epoca romana, nell'anno 303. Le sue spoglie avevano riposato prima nel cimitero romano e poi nella chiesa di Santa Maria de les Arenes, costruita sulla necropoli quando l'editto dell'imperatore Costantino aveva concesso libertà di culto al cristianesimo. A seguito dell'invasione araba, i custodi della chiesa minore avevano deciso di nascondere le reliquie della martire. Nell'801, quando il re francese Ludovico il Pio aveva liberato la città, l'allora vescovo di Barcellona, Frodoi, aveva deciso di cercare i resti della santa. Da quando erano stati ritrovati, riposavano in una piccola arca nella chiesa di Santa Maria.

Benché fosse ancora coperta di ponteggi e circondata di massi e di altri materiali da costruzione, la chiesa era splendidamente addobbata per l'occasione. L'arcidiacono, Bernat Roseli, con i membri del consiglio del cantiere, i nobili, i beneficiati e gli altri rappresentanti del clero, nei loro abiti migliori, aspettavano l'arrivo del corteo reale. I colori dei paramenti erano spettacolari. Il sole della mattina di luglio filtrava a fiotti dalle volte e dalle invetriate ancora incomplete, facendo splendere gli ori e

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gli altri metalli che indossavano i privilegiati cui era consentito aspettare il re all'interno della chiesa.

Ma il sole brillò anche sul pugnale brunito e smussato di Arnau, perché accanto a quegli importanti personaggi si trovavano gli umili bastaixos. Alcuni, tra cui lo stesso Arnau, davanti alla cappella del Santissimo, la loro cappella, altri a guardia del portale maggiore, vicino all'antico accesso alla vecchia chiesa romanica.

I bastaixos, ex schiavi o macips de ribera, godevano di innumerevoli privilegi riguardo alla chiesa di Santa Maria del Mar, privilegi cui Arnau aveva partecipato negli ultimi quattro anni. Oltre al diritto alla cappella più importante del tempio e alla custodia del portale principale, le messe delle loro feste venivano celebrate all'altare maggiore, e il proboviro più importante della confraternita custodiva la chiave della Sacra Urna. Nelle processioni del Corpus, poi, era a loro che veniva affidato il trasporto della statua della Madonna e, sebbene meno importanti, quelle di santa Tecla, santa Caterina e sant Macià. Quando un bastaix era in punto di morte il Sacro Viatico usciva dalla chiesa di Santa Maria, qualunque fosse l'ora, dalla porta principale e in pompa magna. Quella mattina Arnau oltrepassò con i suoi confratelli gli sbarramenti dei soldati del re che controllavano il percorso del corteo reale, consapevole di essere invidiato dai numerosissimi cittadini che si accalcavano per vedere il sovrano. Lui, un umile lavoratore del porto, poteva entrare nella chiesa di Santa Maria insieme ai nobili e ai ricchi mercanti, come uno di loro. Mentre stava attraversando la navata per raggiungere la cappella del Santissimo, si trovò di fronte Grau Puig, Isabel e i suoi tre cugini, tutti in abiti di seta, coperti d'oro, alteri.

Arnau esitò, sotto lo sguardo degli altri cinque, e abbassò gli occhi quando passò loro accanto.

«Arnau», si sentì chiamare mentre superava Margarida. Non si accontentavano di aver rovinato la vita a suo padre? Volevano umiliarlo ancora una volta, adesso, davanti ai suoi confratelli, nella sua chiesa?

«Arnau», sentì di nuovo.

Alzò gli occhi e vide Berenguer di Montagut. I Puig erano a meno di un passo da lui.

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«Eccellenza», disse il maestro rivolgendosi all'arcidiacono della chiesa, « vi presento Arnau...»

«Estanyol », completò Arnau balbettando.

«E il bastaix di cui vi ho tanto parlato. Era appena un bambino quando ha cominciato a trasportare i massi per la Vergine.»

Il prelato annuì e tese l'anello verso Arnau, che si inchinò per baciarlo. Berenguer di Montagut gli diede una pacca sulla spalla. Arnau vide Grau e la sua famiglia che si inchinavano davanti al prelato e al maestro, i quali però non li degnarono di un'occhiata e passarono oltre, dirigendosi verso altri nobili. Arnau si rialzò e, a passo deciso, lo sguardo rivolto all'ambulacro, si allontanò dai Puig diretto alla cappella del Santissimo, dove prese posto insieme ai confratelli.

Le grida della folla annunciarono l'arrivo del re e della sua scorta. Re Pietro III, re Giacomo di Maiorca, la regina Maria, moglie di Pietro, la regina Elisenda, vedova del re Giacomo, nonno di Pietro, gli infanti Pietro, Raimondo Berenguer e Giacomo, i primi due zii e l'ultimo fratello del re; la regina di Maiorca, a sua volta sorella di Pietro; il cardinale Rodés, legato pontificio, l'arcivescovo di Tarragona, vescovi, prelati, nobili e cavalieri si dirigevano in processione verso la chiesa di Santa Maria attraverso via del Mar. A Barcellona non si era mai visto un simile sfoggio di personalità, lusso e pompa.

Pietro III il Cerimonioso voleva impressionare la città che aveva abbandonato a se stessa per più di tre anni, e ci riuscì perfettamente.

I due re, il cardinale e l'arcivescovo avanzavano sotto un baldacchino sorretto da diversi vescovi e nobili. Sull'altare provvisorio ricevettero dalle mani dell'arcidiacono della chiesa di Santa Maria del Mar la piccola arca con i resti della martire, sotto gli occhi attenti dei presenti e il controllato nervosismo di Arnau. Il re in persona, protetto dal baldacchino, trasportò la cassa con le sante reliquie fino alla cattedrale, dove la martire venne inumata nella cappella costruita appositamente per lei sotto l'altare maggiore.

22

Dopo che i resti di santa Eulalia furono tumulati, Pietro III tenne un banchetto nel suo palazzo. Al tavolo reale trovarono posto anche il cardinale, i re di Maiorca, la regina di Aragona e la regina madre, gli infanti della casa reale e vari prelati, per un totale di venticinque persone; ad altri tavoli i nobili e, per la prima volta nella storia dei banchetti reali, una grande quantità di gentiluomini. Ma non solo il re e i suoi favoriti festeggiarono l'evento: tutta Barcellona rimase in festa per otto giorni interi.

Di prima mattina, Arnau e Joan si recavano a messa e prendevano parte alle solenni processioni che percorrevano la città, accompagnate dai rintocchi delle campane. Poi, come tutti, si perdevano per le strade e assistevano alle giostre e ai tornei in piazza del Born, dove nobili e cavalieri esibivano la loro abilità bellica a piedi, armati di grandi spade, o a cavallo, lanciandosi gli uni contro gli altri al galoppo, le lance tese contro il rivale. I due ragazzi restavano incantati a guardare la rievocazione delle grandi battaglie navali. « Fuori dal mare sembrano molto più grandi», spiegò Arnau a Joan, indicandogli le navi e le galere che, montate sui carri, venivano portate in giro per la città e a bordo delle quali i marinai simulavano abbordaggi e scontri. Joan censurava Arnau con lo sguardo quando questi scommetteva qualche soldo alle carte o ai dadi, ma non ebbe niente in contrario, anzi sorrise, quando gli propose qualche partita ai birilli, al bòlit o alla escampella, dove il giovane studente si dimostrò incredibilmente bravo a fare filotto o a colpire le monete.

Ma quello che più divertiva Joan era sentir decantare per bocca dei tanti trovatori convenuti in città le grandi gesta guerriere dei catalani. « Queste sono le cronache di Giacomo , spiegò ad Arnau dopo aver ascoltato la storia della conquista di Valenza. « Questa, invece, la cronaca di Bernardo d'Esclot », gli spiegò un'altra volta, quando il trovatore finì di narrare le im242

prese epiche di re Pietro il Grande nella conquista della Sicilia o nella crociata contro la Catalogna.

«Oggi dobbiamo andare al Pla d'en Llull », gli disse Joan quando fu terminata la processione della giornata.

«Perché?»

«Ho saputo che c'è un trovatore di Valenza che conosce la Cronaca di Raimondo Muntaner.» Arnau lo interrogò con lo sguardo. « Raimondo Muntaner è un noto cronista dell'Ampurdàn che ha guidato gli almogavari durante la conquista dei ducati di Atene e Neopatria. Sette anni fa ha scritto la cronaca di queste guerre, e sono sicuro che sarà interessante... o quanto meno sarà veritiera.»

Il Pla d'en Llull, uno spiazzo tra la chiesa di Santa Maria e il convento di Santa Clara, straripava di gente. La folla si era seduta per terra e chiacchierava senza staccare gli occhi dal punto in cui doveva apparire il trovatore valenziano; la sua fama era tale che erano venuti ad ascoltarlo anche alcuni nobili, accompagnati dagli schiavi che avevano portato le sedie per tutta la famiglia. « Non ci sono», disse Joan ad Arnau quando si accorse che suo fratello cercava con diffidenza in mezzo al pubblico. Arnau gli aveva raccontato del suo incontro con i Puig in chiesa. Riuscirono a trovare un buon posto vicino a un gruppo di bastaixos che aspettava già da parecchio tempo l'inizio dello spettacolo. Arnau si sedette per terra, non senza aver dato un'altra occhiata alle famiglie nobili che spiccavano in mezzo al popolino.

«Dovresti imparare a perdonare», gli sussurrò Joan, ma Arnau si limitò a rispondergli con un'occhiata dura. « Il buon cristiano...»

«Joan », lo interruppe Arnau, « non lo farò mai. Non dimenticherò mai cos'ha fatto quella strega a mio padre.»

Proprio in quel momento apparve il trovatore, e la gente cominciò ad applaudire. Marti di Xàtiva, un uomo alto e magro che si muoveva con agilità ed eleganza, chiese a gesti il silenzio.

«Vi racconterò la storia di come e perché seimila catalani conquistarono il Levante e sconfissero turchi, bizantini, alani e qualsiasi altro popolo guerriero avesse cercato di fermarli.»

Nel Pla d'en Llull scrosciarono di nuovo gli applausi, cui si unirono Arnau e Joan.

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«Vi racconterò, inoltre, di come l'imperatore di Bisanzio assassinò il nostro ammiraglio Ruggero da Flor e numerosi catalani che aveva prima invitato a una festa...»

Qualcuno inveì: « Traditore!» suscitando gli insulti del pubblico.

«... E, infine, di come i catalani vendicarono la morte del loro comandante e travolsero il Levante seminando ovunque morte e distruzione. Questa è la storia della compagnia degli almogavari catalani che nell'anno 1305 si imbarcarono al comando dell'ammiraglio Ruggero da Flor...»

Il valenziano sapeva come catturare l'attenzione del pubblico. Gesticolava, recitava e si faceva accompagnare da due aiutanti che, dietro di lui, rappresentavano le scene narrate, e costringeva il pubblico a prendere parte allo spettacolo.

«Adesso tornerò a parlare del Cesare», disse cominciando il capitolo sulla morte di Ruggero da Flor, « che, accompagnato da trecento uomini a cavallo e da mille fanti, si recò ad Adrianopoli invitato da xor Miqueli, figlio dell'imperatore, a un festeggiamento in suo onore.» A quel punto il trovatore si rivolse a uno dei nobili meglio vestiti e gli chiese di raggiungerlo sul palco per rappresentare il ruolo di Ruggero da Flor. Se coinvolgi il pubblico, gli aveva spiegato il suo maestro, soprattutto i nobili, ti pagheranno di più. « Davanti alla gente, Ruggero da Flor venne adulato dagli aiutanti per tutti i sei giorni del suo soggiorno ad Adrianopoli, e al settimo, xor Miqueli fece chiamare Girgan, capo degli alani, e Melic, capo dei turcopoli, con ottomila uomini a cavallo.»

Il valenziano si mosse agitato sulla scena. Il pubblico ricominciò a gridare, alcuni si alzarono e solo gli accompagnatori impedirono loro di correre in aiuto di Ruggero da Flor. Fu il trovatore in persona ad assassinare quest'ultimo, e il nobile che lo impersonava si lasciò cadere a terra. La gente cominciò a urlare vendetta per il tradimento dell'ammiraglio catalano. Joan ne approfittò per osservare Arnau che, immobile, teneva gli occhi inchiodati sul personaggio ucciso. Gli aiutanti si colpirono ripetutamente a vicenda per rappresentare gli ottomila alani e i turcopoli che assassinavano i mille e trecento catalani che avevano accompagnato Ruggero da Flor.

«Si salvarono solo in tre», riprese il trovatore alzando la vo244

ce. « Ramon di Arquer, cavaliere di Castellò d'Empùries, Ramon di Tous...»

La storia proseguì con la vendetta dei catalani e la distruzione della Tracia, della Calcidia, della Macedonia e della Tessalia. I cittadini esultavano ogni volta che il trovatore menzionava uno di quei posti. « Che la vendetta dei catalani ti perseguiti!» continuavano a gridare. Tutti avevano preso parte alle conquiste degli almogavari quando questi arrivarono al ducato di Atene. Anche lì vinsero dopo aver eliminato più di ventimila uomini e aver eletto capitano Roger des Laur, cantò il trovatore, e avergli dato in moglie la vedova del signore di la Sola, presso il castello omonimo. Il valenziano cercò un altro nobile, lo invitò a salire sul palco e gli concesse una donna, la prima che trovò fra il pubblico, e che accompagnò verso il nuovo capitano.

«E così », disse il trovatore, accanto al nobile e alla donna che si tenevano per mano, « si divisero la città di Tebe e tutti i borghi e i castelli del ducato, e unirono tutte le donne in matrimonio ai soldati della compagnia degli almogavari, ciascuno secondo i suoi meriti.»

Mentre il trovatore cantava la Cronaca di Muntaner, i suoi aiutanti sceglievano uomini e donne tra il pubblico e li disponevano in due file, una di fronte all'altra. Molti volevano essere i prescelti: erano nel ducato di Atene, e impersonavano i catalani che avevano vendicato la morte di Ruggero da Flor. Il gruppo dei bastaixos richiamò l'attenzione degli aiutanti. L'unico scapolo era Arnau, e i suoi compagni lo sollevarono indicandolo come il loro candidato ad approfittare della festa. Gli aiutanti lo scelsero per la gioia dei suoi compagni, che si misero ad applaudire, e Arnau salì in scena.

Quando il giovane si mise nella fila degli almogavari, una donna tra il pubblico si alzò inchiodando i suoi immensi occhi castani sul giovane bastaix. Gli aiutanti la videro. Nessuno poteva levarle gli occhi di dosso, perché era giovane e bella e chiedeva provocatoriamente di essere scelta. Quando gli aiutanti andarono verso di lei, un anziano imbronciato la prese per il braccio e cercò di farla sedere di nuovo, suscitando l'ilarità della gente. La ragazza resistette agli strattoni del vecchio. Gli aiutanti guardarono il trovatore e questi li incoraggiò con un cenno. Non preoccuparti di offendere qualcuno, gli avevano inse245

gnato, se così facendo ti guadagnerai il favore della folla. E la folla rideva del vecchio che, in piedi, litigava con la ragazza.

«È mia moglie», rinfacciò a uno degli aiutanti mentre lei si divincolava.

«I vinti non hanno più moglie», rispose il trovatore da lontano. «Tutte le donne del ducato di Atene adesso appartengono ai catalani.»

L'anziano esitò un momento e gli aiutanti ne approfittarono per strappargli la ragazza dalle grinfie e metterla nella fila delle donne, tra le acclamazioni della gente.

Mentre il trovatore proseguiva la recita e consegnava le ateniesi agli almogavari, levando grida di gioia a ogni nuova unione, Arnau e Aledis si guardavano negli occhi. Quanto tempo è passato, Arnau? gli chiedevano quegli occhi castani. Quattro anni? Arnau si rivolse verso i bastaixos che gli sorridevano e lo incoraggiavano. Evitò, però, di affrontare lo sguardo di Joan. Guardami, Arnau. Aledis non aveva aperto bocca, ma quell'ordine gli arrivò chiarissimo, e Arnau si perse nei suoi occhi. Il valenziano prese per mano la ragazza e le fece attraversare lo spazio che separava le due file. Alzò la mano di Arnau e vi posò quella di Aledis.

Si levarono altre acclamazioni fra il pubblico. Tutte le coppie erano in fila, capeggiate da Arnau e Aledis, in piedi davanti al pubblico. Il corpo della ragazza tremava dalla testa ai piedi, e strinse dolcemente la mano di Arnau mentre il bastaix osservava con la coda dell'occhio il vecchio che, in piedi tra la gente, lo trafiggeva con lo sguardo.

«Così riordinarono le proprie vite gli almogavari», continuò a cantare il trovatore indicando le coppie. « Si stabilirono nel ducato di Atene e lì, nel Lontano Oriente, vivono tuttora per la grandezza della Catalogna.»

Dal Pla d'en Llull si levarono gli applausi. Aledis richiamò l'attenzione di Arnau stringendogli la mano. Si guardarono. Prendimi, Arnau, gli chiedevano quegli occhi castani. Poi, di colpo, Arnau sentì che la sua mano era vuota. Aledis era sparita: il vecchio l'aveva acciuffata per i capelli e la trascinava via, tra i lazzi del pubblico, verso la chiesa di Santa Maria.

«Qualche moneta, signore», chiese il trovatore, avvicinandosi al vecchio.

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Questi sputò e continuò ad allontanarsi, tirandosi dietro la giovane moglie.

«Sgualdrina! Perché l'hai fatto?»

Il vecchio maestro conciatore aveva ancora forza nelle braccia, ma Aledis non sentì neanche lo schiaffo.

«Non... non lo so. La folla, le grida; d'un tratto mi sono sentita trasportata in Oriente... Come facevo a permettere che lo dessero a un'altra?»

«In Oriente? Puttana!»

Il conciatore afferrò una striscia di cuoio e Aledis dimenticò Arnau.

«Ti supplico, Pau, ti supplico. Non so perché l'ho fatto, te lo giuro. Perdonami. Perdonami, ti prego.» Aledis s'inginocchiò davanti al marito e chinò la testa. La frusta di cuoio tremò nella mano dell'anziano.

«Resterai in questa casa e non uscirai fino a quando non te lo dirò io», cedette l'uomo.

Aledis non disse altro e non si mosse finché non sentì il rumore della porta che dava sulla strada.

Erano quattro anni che suo padre l'aveva data in sposa. Senza nemmeno una dote, era stato il migliore partito che Gastó era riuscito a trovare per la figlia: un vecchio maestro conciatore, vedovo e senza figli. « Un giorno erediterai», le aveva detto come unica spiegazione. Non aveva aggiunto che a quei punto lui, Gastó Segura, avrebbe preso il posto del maestro e la sua bottega perché, pensava, le figlie non avevano bisogno di conoscere certi dettagli.

Il giorno delle nozze, il vecchio non aveva neanche aspettato che finissero i festeggiamenti per portare la giovane sposa in camera da letto. Aledis si era lasciata spogliare dalle sue mani tremanti e baciare il seno da quella bocca bavosa. Quando il vecchio l'aveva toccata, il corpo di Aledis si era ritratto al contatto di quelle mani ruvide e callose. Pau l'aveva portata sul letto e si era buttato su di lei ancora vestito, sbavando e tremando. L'aveva palpeggiata e le aveva mordicchiato i seni, pizzicandola fra le gambe. Poi, sempre sopra di lei, si era messo ad ansimare e a

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muoversi sempre più in fretta finché, con un sospiro, non era approdato nel silenzio e nel sonno.

La mattina dopo, Aledis aveva perso la verginità sotto quel corpo fragile e debilitato che la penetrava in modo goffo, e si era chiesta se sarebbe mai riuscita a provare qualcosa che non fosse disgusto.

Aledis osservava i giovani apprendisti del marito ogni volta che per una ragione o per l'altra doveva scendere in bottega. Perché non la guardavano? Lei lo faceva eccome. I suoi occhi seguivano i loro muscoli e si soffermavano con piacere sulle perle di sudore che sgorgavano dalla loro fronte, rigavano il volto e scendevano lungo il collo per spandersi sul busto, forte e possente. Il desiderio di Aledis ballava al ritmo della danza costante delle loro braccia impegnate a lavorare la pelle, un movimento dietro l'altro, e poi ancora, ancora... Gli ordini del marito erano stati chiari: « Dieci frustate a chi guarderà mia moglie la prima volta, venti la seconda, il digiuno la terza». E Aledis continuava, notte dopo notte, a chiedersi dove fosse il piacere di cui le avevano parlato, il piacere che reclamava la sua gioventù, quello che il marito decrepito che le avevano imposto non avrebbe mai potuto darle.

C'erano notti in cui il vecchio maestro la graffiava con le sue mani ruvide, altre in cui la costringeva a masturbarlo e altre in cui la penetrava, intimandole di farsi trovare pronta prima che la debolezza gli impedisse di farlo. Poi, ogni volta, s'addormentava.

Una di quelle notti, Aledis si alzò in silenzio, timorosa di svegliarlo, ma il vecchio non cambiò neanche posizione.

Scese in bottega. I tavoli da lavoro che si profilavano nella penombra l'attirarono, e lei vi passeggiò in mezzo, accarezzando con le dita i ripiani levigati. Non mi desiderate? Non vi piaccio? Aledis, sognando gli apprendisti, girava fra i tavoli accarezzandosi il seno e i fianchi, quando un tenue bagliore in un angolo della bottega attirò la sua attenzione. Nelle assi che separavano la bottega dal dormitorio degli apprendisti c'era un foro, e Aledis vi guardò dentro, per poi indietreggiare di colpo. Tremava, ma poi avvicinò di nuovo l'occhio al buco. Erano nudi! Per un attimo temette che il suo respiro la tradisse. Uno di loro, sdraiato sul pagliericcio, si stava toccando!

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«A cosa pensi?» gli chiese un altro, il più vicino alla parete dietro la quale si trovava Aledis. «Alla moglie del maestro?»

L'altro non rispose e continuò a frizionarsi il pene, su e giù, su e giù... Aledis sudava. Senza rendersene conto, lasciò che una mano le si infilasse tra le gambe e, guardando il ragazzo che si toccava pensando a lei, imparò a darsi il piacere da sola. Raggiunse l'orgasmo prima ancora del giovane apprendista e si lasciò scivolare a terra, la schiena contro la parete.

La mattina dopo, Aledis passò davanti al tavolo del ragazzo trasudando desiderio. Inconsapevolmente, rimase ferma davanti a lui, finché l'apprendista non alzò gli occhi per un attimo. Aledis ebbe la conferma che il giovane si masturbava pensando a lei, e sorrise.

Verso sera venne mandata a chiamare in bottega. Il maestro l'aspettava dietro il ragazzo.

«Mia cara», le disse quando lei gli si fu avvicinata, «lo sai che non mi piace che i miei apprendisti vengano distratti.»

Aledis guardò la schiena del ragazzo: dieci sottili righe di sangue l'attraversavano. Non rispose. Quella notte non scese in bottega, e neanche quella dopo, ma in seguito lo fece, eccome, per accarezzarsi con le mani di Arnau: era solo, glielo aveva letto negli occhi. Doveva essere suo!

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Barcellona era ancora in festa.

La casa era umile, come tutte quelle dei bastaixos, benché appartenesse a Bartolomé, uno dei probiviri della confraternita. Come la maggior parte delle dimore dei bastaixos, era incastonata nei vicoli stretti che dalla chiesa di Santa Maria, dal Born o dal Pla d'en Lull portavano alla spiaggia. Il pavimento del piano terra, dove si trovava il camino, era di mattoni crudi, e il piano superiore, costruito in un secondo tempo, di legno.

Arnau aveva l'acquolina in bocca di fronte alla cena preparata dalla moglie di Bartolomé: pane bianco di farina raffinata, carne di vitello con verdure fritte con pancetta, una grande paella sul fuoco, oltretutto speziata con pepe, cannella e zafferano! E ancora vino mielato; formaggi e torte.

«Cosa festeggiamo? » chiese seduto al tavolo, con Joan davanti, Bartolomé alla sua sinistra e padre Albert alla destra.

«Lo scoprirai presto», gli rispose il prete.

Arnau guardò Joan, ma questi non aprì bocca.

«Lo scoprirai presto», insistette Bartolomé, «adesso mangia.»

Arnau fece spallucce mentre la figlia maggiore di Bartolomé gli porgeva una scodella piena di carne e mezza focaccia di pane.

«Mia figlia Maria», gli disse Bartolomé.

Arnau le rivolse un cenno del capo, tutto concentrato sulla scodella. Quando i quattro uomini furono serviti e il sacerdote ebbe benedetto il cibo, cominciarono a mangiare, in silenzio. La moglie di Bartolomé, sua figlia e gli altri quattro bambini cenarono seduti a terra, sparsi per la stanza. Nelle loro scodelle c'era solo il solito bollito.

Arnau assaporò la carne con le verdure. Che strani sapori! Pepe, cannella e zafferano: era quello che mangiavano i nobili e i ricchi mercanti. « Quando noi barcaioli scarichiamo una di queste spezie», gli avevano spiegato un giorno, « preghiamo. Se

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ci cadesse in acqua o si danneggiasse non avremmo i soldi per ripagarne il valore; sarebbe la prigione sicura.» Staccò un pezzo di pane e se lo portò alla bocca; poi levò il bicchiere del vino mielato... Ma perché lo guardavano tutti? I tre lo stavano studiando, ne era sicuro, benché cercassero di nasconderlo. Vide che Joan non alzava gli occhi dal piatto. Arnau si concentrò di nuovo sulla carne; uno, due, tre bocconi, e poi alzò gli occhi all'improvviso, sorprendendo Joan e padre Albert intenti a comunicare a gesti.

«Allora, volete dirmi cosa succede? » chiese Arnau, posando il cucchiaio sul tavolo.

Bartolomé storse la bocca. Pazienza, sembrò voler dire agli altri.

«Tuo fratello avrebbe deciso di prendere i voti ed entrare nell'ordine francescano», disse allora padre Albert.

«Dunque era questo.» Arnau prese il bicchiere di vino e volgendosi verso Joan lo alzò con il sorriso sulle labbra. « Congratulazioni!»

Ma Joan non brindò con lui. E non lo fecero neanche Bartolomé e il sacerdote. Arnau restò con il braccio levato. Cosa succedeva, insomma? Tranne i quattro bambini, che continuavano a mangiare estranei a tutto, tutti gli altri sguardi convergevano

su di lui.

Arnau posò il bicchiere sul tavolo.

«Allora? » chiese rivolgendosi direttamente a suo fratello.

«Il punto è che non posso farlo.»

Arnau fece una smorfia.

«Non voglio lasciarti solo. Prenderò i voti solo quando ti vedrò... insieme a una brava donna, la futura madre dei tuoi figli.» Joan accompagnò le sue parole con un'occhiata furtiva alla figlia di Bartolomé, che nascondeva la faccia.

Arnau sospirò.

«Devi sposarti e mettere su famiglia», intervenne a quel punto padre Albert.

«Non puoi restare solo», gli ripeté Joan.

«Mi sentirei davvero onorato se accettassi mia figlia Maria in sposa», intervenne Bartolomé, guardando la giovane che cercava riparo dietro la madre. « Sei una brava persona e un lavoratore, sano e devoto. Ti offro una brava moglie alla quale

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darei una dote sufficiente perché possiate trasferirvi in una casa tutta vostra; inoltre, come sai, la confraternita paga di più i confratelli sposati.»

Arnau non ebbe l'ardire di seguire la direzione dello sguardo di Bartolomé.

«Ci abbiamo pensato molto e crediamo che Maria sia la persona piò giusta per te», aggiunse il sacerdote.

Arnau guardò il prete.

«Ogni bravo cristiano deve sposarsi e mettere al mondo dei figli», gli fece notare Joan.

Arnau si girò verso il fratello, ma questi non aveva neanche finito di parlare che una voce alla sua sinistra attirò la sua attenzione.

«Non pensarci troppo, figliolo», lo consigliò Bartolomé.

«Non prenderò i voti se tu non ti sposi», ripeté Joan.

«Ci faresti tutti molto felici se ti sposassi», disse il parroco.

«La confraternita non vedrebbe di buon occhio se rifiutassi di contrarre matrimonio, e per questo motivo tuo fratello dovesse rinunciare a seguire la sua strada nella Chiesa.»

Nessuno aggiunse altro. Arnau strinse le labbra. La confraternita! A questo punto non c'erano più scuse!

«Allora, fratello? » gli chiese Joan.

Arnau si girò verso di lui e per la prima volta si trovò davanti una persona diversa rispetto a quella che conosceva: un uomo che lo interrogava con gravità. Come aveva fatto a non accorgersene? Era rimasto ancorato al suo sorriso, al ragazzino che gli aveva mostrato la città, con le gambe penzoloni da una cassa mentre la mano di sua madre gli accarezzava i capelli. Quanto poco avevano parlato negli ultimi quattro anni! Non aveva fatto altro che lavorare, scaricare imbarcazioni e rincasare al tramonto, sfinito, senza più voglia di chiacchierare, dopo aver assolto il proprio dovere. Di sicuro, non era più il piccolo Joanet.

«Davvero rinunceresti a prendere i voti per me?»

Era come se all'improvviso fossero rimasti loro due soli.

«Sì.»

Soli, lui e Joan.

«Abbiamo faticato molto per arrivare fin qui.»

«Sì.»

Arnau si portò la mano al mento e rifletté per qualche istante.

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La confraternita. Bartolomé era uno dei probiviri, cosa avrebbero detto i suoi compagni? Non poteva deludere Joan, non dopo tanti sacrifici. E inoltre, se Joan se ne fosse andato, cosa avrebbe fatto lui? Si girò verso Maria.

Bartolomé la chiamò con un cenno e la ragazza si avvicinò timidamente.

Arnau vide una giovane semplice, con i capelli ricci e un'espressione buona.

«Ha quindici anni», sentì che gli diceva Bartolomé quando Maria si fermò davanti al tavolo. Sentendosi osservata dai quattro, giunse le mani in grembo e abbassò lo sguardo. « Maria!» la esortò suo padre.

La ragazza alzò gli occhi verso Arnau, il volto in fiamme,

stringendo le mani.

E allora fu Arnau a distogliere lo sguardo, suscitando la preoccupazione di Bartolomé.

La giovane sospirò. Piangeva? Lui non aveva voluto offenderla.

«D'accordo», disse.

Joan levò il bicchiere, al quale si unirono rapidamente quelli di Bartolomé e del sacerdote. Arnau prese il suo.

«Mi hai reso molto felice», gli disse Joan.

«Agli sposi!» esclamò Bartolomé.

Centosessanta giorni all'anno! Su prescrizione della Chiesa, i cristiani dovevano evitare la carne centosessanta giorni all'anno, e ognuno di quei giorni Aledis, come tutte le donne di Barcellona, scendeva fino alla spiaggia, nei dintorni di Santa Maria, per comprare il pesce in una delle due pescherie della città comitale: la vecchia o la nuova.

Dove sei...? Appena scorgeva un'imbarcazione, Aledis guardava verso riva, dove i barcaioli raccoglievano o scaricavano le merci. Dove sei, Arnau? A volte lo vedeva, con i muscoli tesi che sembravano volergli esplodere sotto la pelle. Dio! Aledis rabbrividiva e cominciava a contare le ore che la separavano dalla notte, quando il marito si sarebbe addormentato e lei sarebbe scesa in bottega per stare con lui, così vivo nel ricordo. A forza di giorni a dieta di pesce, Aledis arrivò a conoscere le abi253

tudini dei bastaixos: quando non scaricavano una nave, trasportavano la pietra per la chiesa di Santa Maria e, dopo il primo viaggio, la fila di bastaixos si rompeva e ciascuno faceva la strada per conto suo, senza aspettare gli altri.

Quella mattina Arnau stava tornando alla cava per caricare un altro masso. Solo. Era estate e camminava facendo oscillare la capçana che stringeva in mano, a torso nudo! Aledis lo vide passare davanti alla pescheria. Il sole si rifletteva sul sudore che gli copriva la pelle, e lui sorrideva, sorrideva a chiunque incontrasse. Aledis si staccò dalle persone in coda. Arnau! Il grido lottava per sfuggirle di bocca. Arnau! No, non poteva. Le donne della fila la guardavano, e la vecchia che aspettava dopo di lei fece un cenno interrogativo verso lo spazio tra Aledis e la donna che la precedeva: Aledis le fece segno di passare avanti, ma come distrarre l'attenzione di tutte quelle curiose, adesso? Finse di essere sul punto di vomitare. Qualcuna si fece avanti per aiutarla, ma Aledis la respinse; a quel punto tutte sorrisero. Un altro finto conato e poté andarsene di corsa mentre alcune donne incinte si scambiavano occhiate d'intesa.

Arnau andava al Montjuìc, alla cava reale, passando dalla spiaggia. Come raggiungerlo? Aledis corse lungo via del Mar fino a piazza del Blat e da lì, girando a sinistra sotto l'antica porta delle mura romane, accanto al palazzo del governatore, proseguì sempre dritto fino alla strada della Boqueria e alla porta omonima. Doveva raggiungerlo. La gente la guardava: qualcuno l'avrebbe riconosciuta? Cosa le importava! Arnau era solo. La ragazza attraversò la porta della Boqueria e volò sul sentiero che portava al Montjuìc. Doveva essere lì...

«Arnau!» Stavolta sì che gridò.

Lui si fermò a metà della salita e si girò verso la donna che gli correva incontro.

«Aledis! Cosa ci fai qui?»

Aledis prese fiato. Cosa poteva dirgli, adesso?

«È successo qualcosa, Aledis?»

Cosa poteva dirgli?

Si piegò in avanti, le mani premute sullo stomaco, e finse di nuovo di avere il vomito. Perché no? Arnau le si avvicinò e la prese per le braccia. Quel semplice contatto fece rabbrividire la ragazza.

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«Cos'hai?»

Che mani! La tenevano con forza, stringendole l'avambraccio. Aledis alzò gli occhi, si trovò davanti il petto ancora sudato di Arnau e respirò il suo odore.

«Cos'hai? » ripeté Arnau cercando di farla raddrizzare.

Aledis ne approfittò per abbracciarlo.

«Dio!» sussurrò.

Nascose la testa nella curva del suo collo e cominciò a baciarlo e a leccargli il sudore.

«Cosa fai?!» Arnau cercò di allontanarla, ma la ragazza gli si avvinghiava.

Oltre una curva del sentiero giunsero delle voci che fecero sussultare Arnau: i bastaixos! Come spiegare...? Poteva essere Bartolomé in persona, e se lo trovavano lì, con Aledis che l'abbracciava, lo baciava... lo avrebbero espulso dalla confraternita! Arnau sollevò Aledis per la cintura e abbandonò il sentiero per nascondersi dietro alcuni cespugli, e lì le coprì la bocca con la

mano.