Prologo
A nord del fiume Danubio
Dicembre, 378 d.C.
Rivoli di sangue colavano sul viso dell’ambasciatore Vitale mentre gli spogli rami invernali gli sferzavano la testa calva. Ma lui accelerò il passo attraverso la fitta foresta, spronato dal terrore, con i sandali che scivolavano sul terreno ghiacciato e i lembi del pallium bianco che si impigliavano negli arbusti. Nella sua mente riecheggiava, riemersa all’improvviso dai ricordi della giovinezza, la voce del suo tutore che gli parlava degli unni e di quello che avevano fatto agli uomini dell’impero… e lo scalpiccio fin troppo reale degli zoccoli che lo inseguivano, sempre più forte e sempre più vicino.
Con i polmoni in fiamme e il sangue che gli pulsava nelle orecchie, non osò rallentare per guardarsi alle spalle. L’esploratore armato che correva al suo fianco – l’ultimo uomo di scorta che gli restava – si voltò e una freccia con la punta d’osso gli si conficcò nell’occhio. L’esploratore fece una piroetta e si accasciò, spruzzando sangue come pioggia calda sul suo comandante. Un roco «Whooop!» alle loro spalle espresse in una lingua straniera la propria approvazione per il colpo andato a segno e poi il rumore degli zoccoli dei cavalieri neri diventò sempre più forte e più vicino. Vitale si alzò, accecato dal panico, con le caviglie che non lo reggevano, un sandalo slacciato, le spine che gli laceravano la veste. Cercò di liberarsi dagli arbusti e dai rami, ma era intrappolato come una mosca nella tela di un ragno. Agitò le braccia e scalciò, ma non servì a nulla. Con il cuore che gli martellava nel petto, sentì uscirgli dalle labbra un verso animale e immaginò le lame e i cappi che avrebbero usato per ucciderlo.
Poi, calò… il silenzio.
Ansimando, Vitale girò la testa per guardarsi alle spalle. Gli unni si erano fermati poco più indietro. La distanza e la scarsa luce non gli permettevano di vederli bene. Ma poteva sentire le loro strane parole concitate, quasi avessero paura. Stavano guardando il sentiero davanti a Vitale, come se conducesse a un regno degli spiriti. Poi, il loro capo impartì un breve e secco ordine e ripresero il cammino allontanandosi.
Vitale li guardò ritirarsi finché la neve che scrollavano dagli alberi al loro passaggio non si posò a terra. Liberò un braccio dall’intrico del sottobosco e, con un violento scossone della mano, portò alle labbra il monogramma cristiano del chi-rho e lo baciò sussurrando una preghiera con voce tremante. Si divincolò gradualmente dagli altri arbusti e si incamminò da solo, arrancando lungo il sentiero che attraversava il bosco, terrorizzato dal solo rumore del suo respiro.
Dopo un po’, gli alberi si diradarono e raggiunse una radura di felci. Un’alta parete di roccia bianca si stagliava contro il cielo grigio. Vitale, impaziente, accelerò il passo. «Non può essere vero! Sono arrivato?», si chiese, scorgendo un bagliore arancione in cima alla parete.
Qualcosa gli diceva che aveva commesso un errore, che quello era il posto sbagliato. Ma le parole del generale Teodosio erano state chiare come una sorgente: I goti di Arimer non sono nemici dell’impero. Vogliono essere addestrati come legioni per combattere contro l’orda di Fritigerno… con loro potremo porre fine alla guerra e reclamare la Tracia. Sono intrappolati a nord del Danubio, su un’altura rocciosa che sovrasta la foresta. Va’ da Arimer e riporta con te lui e i suoi guerrieri.
Un nuovo terrore assalì Vitale: cosa c’era in cima a quell’altura? E se gli unni l’avevano sottratta alla tribù che stava cercando? Strinse di nuovo il suo chi-rho e pensò alla terra il cui destino dipendeva da lui. Le verdi colline e i pascoli a sud del fiume. «Tracia, dolce Tracia», mormorò, vedendo la sua terra natale come era stata un tempo e come era ora: invasa dalle orde di goti dello iudex Fritigerno, disseminata delle ossa delle legioni sconfitte quell’estate a Adrianopoli.
«Per la Tracia», sussurrò con voce ferma. La sua convinzione si rafforzò, Vitale respirò a fondo e avanzò verso l’altura.
Mentre si incamminava, la miriade di ombre accucciate dietro le felci si alzò: alti goti con le facce striate di rosso. «Vesiii…», sussurrarono all’unisono convergendo alle spalle dell’ignaro Vitale come gli artigli di una belva…