Nota dell’autore

Come scrittore, raccogliere i pezzi dopo la battaglia di Adrianopoli non è stato facile. Si può solo immaginare come dev’essere stata quella sconfitta per la gente che l’ha vissuta e ha combattuto, e che è sopravvissuta per vederne poi le orribili conseguenze. Il mondo – la Tracia e il cuore dell’impero d’Oriente – era in frantumi. In un’era in cui gli uomini si rivolgevano unicamente agli dèi per avere una guida, la sconfitta dev’essere stata come l’ultimo rimprovero da parte di quelle antiche divinità; l’inizio della fine, addirittura. Naturalmente, l’impero non cadde subito dopo Adrianopoli, ma come vi mostrerà questo libro e il resto della serie, la battaglia ha catalizzato il successivo crollo di gran parte dei territori di Roma.

Come sempre, ora proverò a evidenziare le parti di questo volume in cui sono stato fedele alla storia o quelle in cui mi sono allontanato dai fatti realmente accaduti per esigenze di trama. La prima cosa che dovrei dire è che – forse comprensibilmente, considerato il caos del periodo – le fonti storiche sono esigue e spesso contraddittorie. La cronaca della nostra “accurata e fedele guida”, Ammiano Marcellino, termina dopo la battaglia di Adrianopoli e per continuare siamo costretti ad affidarci a fonti meno accurate come Eunapio, Temistio e Zosimo. Di conseguenza, ho introdotto una gran quantità di elementi congetturali che mi auguro servano a legare insieme i fatti scarni.

Possiamo essere sicuri che nell’ultima metà del 378 e all’inizio del 379 d.C. l’orda vittoriosa di Fritigerno dominava in Tracia. Soltanto le città dalle alte mura come Adrianopoli, Costantinopoli e Perinto, restarono nelle mani imperiali, grazie alla mancanza di tattiche d’assedio di Fritigerno. Ma con le legioni dell’impero orientale distrutte e i pochi sopravvissuti tutti sparpagliati, lo iudex goto regnava nelle campagne, bloccando così le comunicazioni imperiali, i convogli dei rifornimenti e qualsiasi tentativo di consolidamento militare. In ogni caso, il trono imperiale a Costantinopoli era rimasto vacante e la maggior parte dei generali orientali erano morti o dispersi, perciò c’era una netta mancanza di una leadership che potesse incitare qualsiasi forma di rinascita o resistenza. E la situazione cambiò quando Teodosio, magister militum dell’armata pannonica di Graziano, fu messo sul trono vuoto.

Dopo essere stato incoronato da Graziano a Sirmio, il 19 gennaio 379 d.C., Teodosio si affrettò verso Tessalonica, annidata nella relativa isola felice che era la diocesi di Macedonia, per far rinascere l’armata orientale. Frammenti delle legioni si nascondevano nelle città della Tracia o sulle regioni dell’altopiano: da qui, la mia descrizione dell’XI Claudia che cercava disperatamente di resistere sui monti Rodopi. Il nuovo imperatore convocò quei legionari alla sua base operativa e un immenso muro di torba fu eretto intorno a Tessalonica, per proteggere la città in caso di avanzata gotica verso sud, e anche per ospitare l’armata che era stata convocata. Ma quando ciò che rimase delle legioni giunse in questo gigantesco accampamento, Teodosio capì immediatamente quanti pochi soldati fossero sopravvissuti al disastro di Adrianopoli, e agì di conseguenza. A partire dal 379 d.C. promulgò una serie di decreti per consentire che i ranghi svuotati fossero riempiti e le legioni distrutte riformate. I veterani in pensione furono costretti a ritornare in servizio, e così i loro figli, e i tentativi di sfuggire all’arma ora sarebbero stati puniti severamente. In effetti, ai nobili venne chiesto di dare i loro schiavi all’esercito, e se si fossero rifiutati, sarebbero stati bruciati sul rogo! Persino i contadini, i mendicanti e i disertori furono rastrellati nel tentativo di sopperire alla mancanza di soldati.

Contemporaneamente a questo reclutamento di massa, e continuando negli anni successivi, Teodosio addestrò cinque nuovi generali per il comando delle truppe. Le fonti non elencano questi generali per nome, ma i quattro che nella mia descrizione sono stati nominati nel 379 d.C. possono essere dei probabili candidati, considerato il ruolo che hanno avuto nelle cronache successive: Saturnino e Bacurio, sopravvissuti di Adrianopoli, Modares il goto (e nipote di Atanarico), e Julius, famigerato per avere massacrato i legionari di stirpe gotica nel tardo 378 d.C. Ho descritto questi quattro che assumono la carica di magistri militum, tuttavia, i titoli di questo nuovo gruppo di generali differiscono in base alla fonte storica di riferimento (questa fu l’era in cui cominciò a emergere il nuovo titolo di magister utriusque militiae).

Con le nuove reclute e i nuovi capi, le cose iniziavano a mettersi bene. Ora tutto ciò di cui aveva bisogno Teodosio era una vittoria per cementare il suo posto sul trono. Una delle prime azioni di rappresaglia contro l’orda gota che occupava la Tracia fu condotta dal generale Modares, al quale era stata affidata una piccola armata e la missione di trovare e sconfiggere una costola dell’orda di Fritigerno (condotta dal mio immaginario reiks Ortwin). Modares era comparso nella sfera imperiale solo di recente: proveniva dalla corte del belligerante goto Atanarico, descritto come un “rozzo” guerriero tribale, ma la sua lealtà all’imperatore e le sue capacità belliche erano indiscutibili; con la copertura del buio, riuscì a superare in astuzia i goti, piombando sui guerrieri sbronzi e addormentati di Ortwin dal fianco della collina e rivendicando una vittoria decisiva.

Le novità del trionfo furono molto ben accolte a Tessalonica, ma l’imperatore Teodosio sapeva che erano stati sconfitti dei soldati qualunque, senza scalfire più di tanto l’orda. Le legioni erano ancora troppo poche, e con troppi pochi legionari, per intraprendere un’azione contro l’armata principale di Fritigerno. E così, alla ricerca di altri uomini da arruolare, Teodosio fu costretto a volgere lo sguardo a nord, oltre i disordini della Tracia, oltre il fiume Danubio e nel Barbaricum.

Sappiamo solo che nel 379 d.C. una tribù di goti – staccata dall’orda tribale di Fritigerno e stanziata a nord del Danubio – fu portata nell’impero per contribuire alla causa imperiale. L’identità di questi goti è sconosciuta, e così ho scelto “i goti di Arimer” com’erano noti, presumibilmente perché erano condotti da un uomo di nome Arimer, per adempiere a questo ruolo. Dei goti di Arimer si sa soltanto che vivevano a nord del fiume negli anni Ottanta del Trecento d.C. (successivamente alla mia descrizione della loro fuga da quelle zone e del loro ingresso nell’impero), ma i particolari sono scarsi, e altrettanto scarsa è la solidità delle informazioni, perciò mi sono preso la libertà di dare loro un ruolo centrale nella mia storia.

Le avventure di Pavone e dell’XI Claudia nelle lande selvagge per stabilire un contatto con i goti di Arimer sono puramente immaginarie, ma è stato gettato un seme storico importante. A cominciare dal 376 d.C., e per tutta la migrazione e la ribellione dell’orda di Fritigerno, c’erano alcuni personaggi all’interno delle masse gote che desideravano la pace e il trattato con l’impero, e altri che, comprensibilmente, mantennero un forte sentimento antiromano. E lo stato d’animo di quest’ultimo gruppo fermentò nel corso degli anni, fino al 395 d.C., quando Alarico e i suoi visigoti emersero come un gruppo culturale distinto. “Visi” o più correttamente “vesi”, è spesso interpretato come “occidentale”, vale a dire “goti occidentali”, una conclusione logica per lo storico Cassiodoro, che li avrebbe visti vivere e dominare le terre della Gallia, nel caduto impero d’Occidente. Tuttavia, è quasi di certo un equivoco. “Vesi” è più accuratamente la parola gotica per “valoroso” o “meritevole”. Non sappiamo se i primi, pre-alarici antiromani si sarebbero descritti come “vesi”, ma in assenza di prove alternative, sembra una scelta ragionevole. Ma ciò ci lascia con una domanda: quando si è formata questa setta, come si è evoluta e chi erano i capi? Solo alcune parti di questa storia sono state verificate, e coinvolgono un certo Eriulf, un guerriero tribale che migrò nell’impero durante la guerra gotica. Non sappiamo a quale tribù fosse inizialmente affiliato (e perciò l’ho fatto diventare figlio di Arimer), ma soltanto che era considerato pericolosamente potente perché era antiromano (presumibilmente in segreto) e aveva un rango elevato all’interno dell’entourage militare di Teodosio. La sua storia verrà svelata nei volumi successivi della serie.

Tornando alla cronologia dei nostri eventi: con i goti di Arimer addestrati come legioni per unirsi all’impero, l’esercito orientale era quasi in grado di mettere in campo una forza sufficientemente forte da affrontare, o almeno respingere, l’orda di Fritigerno. Ma le cose non andarono così lisce: i nuovi arrivati – forse per prudenza, forse per eccessiva durezza – furono scambiati con un gruppo di legioni egizie guidate dal comes Hormisdas. Ma questo trasferimento andò storto, e a Filadelfia (nella Turchia sud-occidentale, contrariamente alla mia ambientazione a Tessalonica) le due forze furono coinvolte in un incidente: i goti, diretti in Egitto, furono accusati di furto in un mercato ed esplose una violenta rissa tra le legioni egizie e i goti, che furono sconfitti e imbarcati per l’Egitto.

Se i goti si fossero infuriati per l’espulsione nel remoto sud o per i recenti editti religiosi dell’imperatore Teodosio, non ci è dato sapere. Di certo, la proclamazione del cristianesimo di Nicea come nuova religione di stato (cementando il processo avviato da Costantino il Grande circa settant’anni prima) e la condanna del cristianesimo ariano e del paganesimo non erano state ben accolte dai goti di Arimer (forse pagani, forse ariani, ma di sicuro non niceni). E a questo proposito, l’aneddoto del vescovo Demofilo è tristemente vero. Per avere rifiutato il credo di Nicea, fu spogliato di tutto ciò che aveva a parte la sua fede ariana, e fu costretto a vivere come mendicante. La proscrizione dell’arianesimo non si verificò fino al 381 d.C., ma a quel punto fu soltanto una procedura formale.

A parte gli incidenti di percorso, l’esercito orientale fu comunque rinnovato – fino a un certo punto. Inoltre, nel 379 d.C. l’orda di Fritigerno era stata divisa in due, con una metà diretta a nord-ovest, nella Dacia, sotto la guida di Alateo e Safrace, e il resto a sud in Macedonia. “L’Orda nera” e “i Figli di Fritigerno” sono miei nomi di fantasia per questi due gruppi, per renderli più facilmente identificabili dal lettore.

Fu l’esercito di Fritigerno a spingersi maggiormente contro la porta dell’imperatore Teodosio. Muovendosi sulle colline vicino a Scupi, lungo una strada che conduceva alla preziosa roccaforte di Tessalonica e agli altri insediamenti costieri, Fritigerno costituiva una grave insidia e l’esercito d’Oriente si mise in marcia per affrontarlo. I particolari dello scontro sono scarsi, sappiamo soltanto che si è verificato da qualche parte nella regione di Scupi, nella primavera o nell’estate del 380 d.C. Quello stesso anno, possibilmente durante la stessa campagna, un gruppo di goti di Arimer che non erano stati spediti in Egitto, si rivoltarono contro i loro compagni romani e, probabilmente durante la stessa campagna, un altro gruppo di goti fece addirittura irruzione nella tenda di Teodosio e quasi uccise l’imperatore d’Oriente. Ho messo insieme questi due eventi e lo scontro con Fritigerno nella mia narrazione del “crinale di Scupi”. Il risultato fu una sconfitta imbarazzante per Teodosio, che per la prima volta era sceso in campo come imperatore. Dopo essersi ritirato a Tessalonica, rimase a guardare da dietro le alte mura di terra, mentre Fritigerno razziava e imponeva dazi alla Macedonia, così come aveva fatto con la Tracia nei due anni precedenti. L’imperatore d’Oriente non aveva altra scelta che aumentare le tasse per riparare la sua armata nuovamente distrutta e rimediare alle devastazioni in Macedonia.

Un altro scontro si sarebbe verificato quello stesso anno. L’Orda nera si spinse attraverso la Dacia e poi dall’altra parte del confine con l’impero d’Occidente e nella Pannonia. Graziano doveva prenderne atto e agire di conseguenza. Ancora una volta ci sono pochi particolari, ma sembra che le forze di Graziano avessero incontrato e sconfitto l’Orda nera nei pressi di Sirmio. Gli altri colpi di scena relativi a questo scontro sono puramente immaginati. Non sappiamo se le legioni orientali si fossero precipitate in soccorso, ma non è un’idea improbabile. In ogni caso, questa fu la fine per Alateo e Safrace e un momento felice per l’impero. Un gran numero di goti erano stati sconfitti e si era aperta una porta per Graziano, che poteva andare a est e braccare Fritigerno.

Riguardo a Graziano, l’ho presentato sotto una cattiva luce, come un giovane egoista e squilibrato. Ma molte prove suggeriscono che fosse un personaggio provocatorio e pericoloso. Come nella scena del mio romanzo, decise di comparire davanti alla folla radunata subito dopo la sconfitta a Adrianopoli vestito come un goto, e ciò sconvolse molte persone. Edward Gibbon tesse le lodi di Graziano, affermando che era un appassionato cacciatore, ma non versò mai il sangue di un essere umano. Contesto quest’affermazione alla luce del suo atteggiamento sfrontato e sanguinario con i rivali politici, nei giorni successivi alla morte del padre per accaparrarsi il trono dell’impero d’Occidente. Fece rimuovere l’Altare della vittoria dal Senato di Roma per provocare ed eliminare gli avversari, nonché stabilire la conformità religiosa. Il vescovo Ambrosio fu sempre vicino a Graziano. In generale, sembra fosse un uomo molto pio e “bravo”, se non per il fatto che aveva manifestato la propria disponibilità ad approvare un genocidio pagano. Forse sono colpevole di cercare il peggio in alcuni personaggi storici, o forse, come scrittore sono affascinato da questi aspetti sinistri e intriganti.

Infine, alcune annotazioni varie. La storia del gruppo di candidati che aiutarono i goti ad assaltare le porte di Adrianopoli, nella scia della disastrosa battaglia, per poi essere bloccati e decapitati, deriva da fonti storiche. Per quanto riguarda le pratiche e le forniture militari: nel quarto secolo d.C. il costo dell’equipaggiamento legionario non sarebbe mai stato dedotto dalla paga di un soldato, ma io l’ho descritto così, («Libone dà, Libone toglie») perché mi serviva per introdurre la regola, considerato che all’epoca c’era bisogno di un’alta tassazione, e per collegare alla mia storia la scomparsa del magister militum Julius, il “Macellaio di Calcedonia”, come l’ho ribattezzato, che esce dalla storia nel 380 d.C., e non è chiaro se morì durante le due battaglie cruciali con i goti o semplicemente si ritirò. Ma è plausibile farlo morire per mano di un goto.

Ci sarebbero molti altri particolari da approfondire, ma penso che per ora sia abbastanza. Per favore, scrivetemi due righe o visitate il mio sito (l’indirizzo è alla fine della nota) per avere ulteriori informazioni, per farmi qualsiasi domanda o semplicemente per lasciarmi un saluto. Sono sempre contento di fare due chiacchiere.

Per ora è tutto. La guerra gotica sta arrivando alla conclusione, e spero che marcerete e combatterete con i ragazzi della Claudia nel prossimo volume della serie.

Sinceri saluti,

Gordon Doherty

www.gordondoherty.co.uk

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