Capitolo 17

Il fango inzaccherava la tunica di Graziano, il mantello porpora era già zuppo d’acqua. Nella luce fioca riuscì a scorgere ben poco, a parte qualche squarcio del crepuscolo porpora, oltre la maledetta palude. Sferzò le redini del suo stallone argenteo e affondò il tacco nel fianco del cavallo, tutto sporco di fango, per farlo girare prima da una parte, poi dall’altra. Là, nella palude fangosa, udì un lieve sguazzare e un guaito delicato. Ma da dove veniva, e quanto era lontano?

«Sii maledetto, schiavo», ringhiò. «Guardia», sbottò girandosi appena, «lascia stare, ci penseranno i cani a finirlo».

L’enorme guerriero alano che lo seguiva a piedi, ma a una certa distanza, si accovacciò e slacciò il gancio di ferro che teneva legati alla sua cintola i quattro cani da caccia, che già sbavavano. I segugi si scagliarono come dardi, superarono Graziano e si tuffarono nella palude. Una manciata di minuti dopo, Graziano udì un ringhio, poi un urlo, infine la carne che veniva lacerata con foga, con un rumore quasi umido. «La caccia è finita», mormorò, strascicando le parole.

Fece voltare il suo stallone e cavalcò nel fango alto fino alle ginocchia, mentre la sua mente si trastullava con l’imminente visita a Sirmio. Una volta là, forse avrebbe potuto annunciare la sua grandiosa campagna per salvare l’impero d’Oriente. La notizia della vittoria schiacciante di Fritigerno su Teodosio nei pressi di Scupi era arrivata un mese fa, a maggio. Graziano era sia disgustato dall’imprudenza dell’altro imperatore, sia deliziato che l’opportunità in cui aveva tanto sperato gli fosse capitata tra le mani: l’Oriente era in ginocchio, la nuova armata di Teodosio aveva vacillato… e Fritigerno di sicuro aveva subito delle grosse perdite, nonostante la vittoria. “Sì”, rifletté, “salverò l’Oriente e assicurerò il mio nuovo status di vero imperatore dell’intero regno. A quel punto, né Merobaude e quel moccioso di Valentiniano, né Teodosio, o qualsiasi altro stupido dalla mente debole oserà incrociare il mio cammino”.

Con un rombo di zoccoli, il cavallo cominciò a galoppare di nuovo sul terreno solido. Graziano si rese conto che la squadra della sua battuta di caccia era scomparsa. «Siamo da soli?», chiese alla guardia alana.

«Sì, signore. Abbiamo perso gli altri un’ora fa». L’uomo voltò di scatto la testa all’orizzonte, ma Graziano vide soltanto l’oscurità. «Dannazione!», borbottò, poi si girò per guardare nella direzione di Mursa. La città dalla quale erano partiti – la città in cui era attraccata la flotta per la visita a Sirmio – era solo un minuscolo alone di luce arancione, all’orizzonte settentrionale. Guardò con dolcezza il buio che lo circondava, godendosi il fresco dell’aria notturna. «Trova un angolo al sicuro», disse notando la tenda arrotolata che la guardia alana portava sulla schiena, «e prepara l’accampamento per me».

La guardia annuì, fischiò per richiamare i cani, poi si mise a correre davanti a Graziano, conducendolo in alto su un monticello. La guardia si accovacciò per mettere il guinzaglio ai cani, che erano ritornati col muso imbrattato di sangue, e poi cominciò a montare la tenda.

Graziano attendeva impaziente, gli occhi sfrecciavano in direzione dei tanti rumori della notte, dall’altra parte della landa scura. I grilli frinivano, i pipistrelli stridevano, le volpi si aggiravano furtive. Non aveva mai passato una notte all’addiaccio, non in quelle condizioni. In quel momento provò un brivido, immaginandosi la creatura ripugnante lì nell’oscurità. Il sogno infernale si era evoluto di nuovo nelle ultime notti, per ora la creatura ombrosa non era né troppo lontana né ferma: era soltanto una freccia scagliata, ancora distante; oscillava lenta ma si avvicinava sempre più, inesorabile. E si rese conto quanto la terra là fuori fosse simile a quel sogno tetro. Per di più, per tutta la giornata non era riuscito a scrollarsi di dosso la strana sensazione che mentre lui stava dando la caccia agli schiavi pagani… qualcuno, qualcosa, stava dando la caccia a lui.

«La tenda è pronta, signore», annunciò l’alano, facendolo sussultare.

Graziano lo superò sfiorandolo. Era una tenda spaziosa: l’alano ci aveva messo dentro una lampada, una sedia, un letto, una brocca di acqua potabile e un’altra con l’acqua per lavarsi. Graziano si slacciò il mantello e si accasciò sulla sedia, allungando d’istinto la mano a cercare una coppa di vino che però non c’era. Inghiottì l’aria con un ringhio. Gli ricadde la testa in avanti e gli tornò alla mente quel sogno orribile. L’ultima notte aveva addirittura sentito lo scalpiccio dei passi di quella cosa, il fiato viscido…

Oh sì, la predizione irritante della vecchia megera gli riecheggiava in testa. Avrai… anni. Adesso le tenebre là fuori parevano un sudario.

«Sbrigati con quel dannato fuoco», gridò stizzito dal faldone della tenda alla guardia alana, che se ne stava inginocchiata fuori, cercando di accendere i rametti bagnati della palude. Ma la guardia si alzò in piedi, dando la schiena alla tenda, il fuoco ancora spento. «Mi hai sentito, accendi quel fu…». Si zittì all’improvviso, quando udì cos’era stato a far alzare la guardia: uno scalpiccio di zoccoli. «Stanno arrivando gli altri?», chiese. Un braccio rigido e un indice puntato contro di lui si materializzarono attraverso il lembo della tenda. Graziano restò zitto, poi vide l’alano che sollevava e puntava la sua lancia. La guardia gridò con un accento rabbioso. Un grido di sfida. E a Graziano venne la pelle d’oca.

Vrummm… zac!

L’alano barcollò all’indietro, dentro la tenda, con una freccia conficcata nella schiena. Con un ruggito la guardia si lanciò verso l’uscita, proprio quando un guerriero biondo e barbuto s’intrufolò all’interno, come se fosse sbucato dalla notte stessa. Un goto? Graziano si fece indietro sulla sedia, come se potesse farla camminare al contrario. La spada dell’intruso si abbatté sulla fronte della guardia alana, ma il gigante anticipò il colpo, sferrò un pugno nella pancia dell’avversario e poi gliel’aprì in due con la lancia.

«Signore…», cominciò l’alano prima che un’altra freccia si conficcasse nella sua schiena, attutita solo in parte dal farsetto di pelle. La faccia della guardia si contorse per il dolore, tornò all’entrata della tenda giusto in tempo per schivare un affondo di spada, poi caricò con la lancia e la conficcò nell’occhio di un secondo goto. Accasciandosi su un ginocchio, l’alano estrasse la lancia dal viso del goto e la puntò contro il faldone della tenda, piantando l’impugnatura a terra per reggersi in piedi.

«Signore», boccheggiò. «I goti… quattro… là fuori. Ora due».

Graziano si alzò, indietreggiando quasi fino al retro della tenda. «Altri due?», sussurrò e prese la sua spada decorata con i gioielli, custodita tra gli oggetti personali, accanto al giaciglio ancora arrotolato.

Con uno zing sussurrato sguainò la spada mentre gli ultimi due goti entravano nella tenda. Avanzarono lentamente con le armi nei foderi, a mani vuote. Graziano guardò prima uno, poi l’altro. Non erano guerrieri: erano più vecchi, più ricchi.

«Dovresti stare più attento, imperatore», disse quello pelato e tozzo.

«Più attento alla caccia… e più attento alle promesse che non mantieni», aggiunse quello alto con i capelli bianchi e lisci, la faccia stretta illuminata dalla lampada.

«Non ci hanno mai presentati», riprese quello tozzo. «Io sono Safrace, e questo è Alateo».

«Reiks goti? Qui?». Graziano ansimò, spostando la punta della spada da uno all’altro. «Com’è possibile?»

«L’Orda nera si sta avvicinando al confine tra Oriente e Occidente. Abbiamo saputo del tuo viaggio verso Sirmio e ti abbiamo preceduto. Anche noi siamo stati a caccia tutto il giorno», spiegò Alateo. «A caccia di te».

«Non riuscivamo a credere alla nostra fortuna, o alla tua follia, quando abbiamo visto che ti allontanavi dal gruppo», sorrise Safrace.

«Cosa volete?», ringhiò Graziano, indietreggiando.

«Solo ciò che ci spetta», rispose cupo Safrace, avanzando assieme ad Alateo.

«Nominaci veri re dei goti», disse Alateo. «Dacci le ricchezze di cui ci hai parlato nelle tue lettere. Cedici le terre che ci hai promesso. Per ora ci accontentiamo della Dacia e della Pannonia. Tracia e Macedonia subito dopo, una volta che ci saremo sbarazzati di Fritigerno».

L’alano riprese un po’ le forze e si alzò barcollando per puntare la spada contro la coppia di goti che si stavano avvicinando all’imperatore.

Graziano si sentì improvvisamente rassicurato, raddrizzò le spalle e si riaccomodò sulla sedia. «E perché mai dovrei?».

Alateo si sporse in avanti, le sopracciglia nere si unirono, incurvandosi in una “V” minacciosa. «Perché se non ci accontenti, faremo sapere ampiamente in giro ciò che hai fatto».

Graziano notò che l’alano drizzò le orecchie, confuso.

«Hai collaborato con noi per assicurarti che l’imperatore Valente sparisse. Abbiamo fatto la nostra parte», disse Safrace con un sorrisetto.

Girandosi appena l’alano lanciò uno sguardo incerto a Graziano, che restò seduto senza scomporsi e dissipò i suoi dubbi. Alateo alzò i palmi delle mani per rassicurare la guardia che non avrebbe fatto nulla, ma l’alano brandì la lancia per fermare i due goti.

Graziano sorrise, sapendo che la guardia non si sarebbe rivoltata contro di lui. Intrecciò le dita e vi posò sopra il mento. «Al momento, solo voi due siete a conoscenza dei nostri accordi, vero?».

Alateo e Safrace si scambiarono un’occhiata furtiva.

«Lo sapevo. Avreste dovuto prestare maggiore attenzione, invece di venire da me insieme. Uccidili, guardia».

L’alano si irrigidì, preparandosi a colpire con la lancia, ma Safrace sguainò la sua spada. «Forse riuscirai ad abbattere il mio compagno, ma poi ti taglierò la testa».

I tre si immobilizzarono in un agonizzante momento d’incertezza. E poi in lontananza si udì uno scalpiccio di zoccoli. «Il resto della battuta di caccia?», sussurrò Alateo a Safrace.

Graziano rise voce a alta. «Forse dovrei riportarvi ad Augusta Treverorum, là ci sono tante meraviglie: torri, giardini, grandi terme. Anche sotto le strade c’è tanto da ammirare. Il pozzo nero giace proprio in una di quelle celle sotterranee, e laggiù potete gridare e urlare quanto volete, ma nessuno vi sentirà». Graziano si sporse in avanti, giocando con l’elsa della spada, facendola ruotare sulla punta. «Un uomo viene calato nell’acqua fino al collo. All’inizio, di solito, ne è divertito, guarda avanti e indietro e studia con attenzione le pareti per trovare un modo per arrampicarsi e uscire, perché di sicuro ci dev’essere un modo. Ma alla fine scopre che i muri sono stati levigati fino a diventare lisci: poche torture riescono a portare le vittime a una tale disperazione, quando si rendono conto che non hanno speranza; alla fine la stanchezza ha il sopravvento e si accasciano sotto la superficie dell’acqua. Per giorni, a volte settimane, quei disgraziati si ritrovano a soffocare e a svegliarsi ripetutamente in preda allo shock prima di arrendersi, e allora tengono la testa sottacqua finché non annegano. Uno si è addirittura sfracellato la testa contro la fiancata del pozzo, a furia di sbatterla contro».

Il sudore colava dalla testa calva di Safrace, la spada era ancora sguainata a metà, pronta a colpire l’alano in posizione d’attacco. Lo scalpiccio degli zoccoli diventò più forte.

Gli occhi di Safrace sfrecciarono dalla lancia puntata dell’alano alla direzione da cui proveniva il rumore, poi indietro. Infine sfoderò la spada, colpendo la punta della lancia dell’alano. Il gigante barcollò all’indietro, mentre Safrace e Alateo si lanciavano prontamente verso il faldone della tenda.

«Paga ciò che ci devi», disse Alateo mentre indietreggiava per uscire dalla tenda, «altrimenti le tue province occidentali bruceranno».

«Non avrete né oro, né prestigio sociale, né terre», rispose Graziano con sdegno. «E se avete coraggio, diffondete pure le vostre storie».

La faccia di Alateo si contorse in un ghigno feroce. «Hai avuto la tua occasione, hai fatto la tua scelta. L’Orda nera avanzerà, ridurrà queste terre in una poltiglia rossa e ti schiaccerà il cranio nella mischia».

Con quelle parole che riecheggiavano nelle orecchie di Graziano, la coppia di goti si allontanò furtiva nell’oscurità. Il rimbombo dei loro cavalli al galoppo svanì in lontananza, e quello dei destrieri in arrivo diventò più forte. Con una serie di grida e urla confuse, il gruppo della battuta di caccia si avvicinò.

«Imploro il tuo perdono, signore», disse l’alano chinandosi di nuovo su un ginocchio. «Avrei dovuto fermare la loro fuga. E…», si guardò nervosamente attorno, «…non ho sentito nulla e non dirò nulla».

Graziano si alzò dalla sedia e diede una pacca sulla spalla alla guardia. «So che non lo farai», disse, poi ritirò la mano, e con destrezza usò l’anello con lo spuntone per squarciargli la giugulare. La guardia fece una smorfia inorridita e si portò la mano al sangue che zampillava prima di accasciarsi a terra, in preda agli spasmi, accanto ai goti morti.

«Signore!», Lanzo, il tribuno degli eruli, restò a bocca aperta quando fece irruzione nella tenda, dando una spallata a due alani per toglierli di mezzo, con fare sospetto.

«Sto bene», lo rassicurò Graziano mentre altri tre soldati entravano nella tenda. «Ma forse ci dovremmo dirigere in gran fretta a Sirmio».

«Sì, signore», disse Lanzo. «Quando ti stavamo cercando, abbiamo incrociato un esploratore. Ci ha raccontato di avere visto qualcosa di minaccioso sul confine occidentale della Dacia. L’Orda nera è pronta a invadere le tue terre».

Graziano arricciò il naso. Non doveva andare così: “Io devo salvare l’Oriente!”, urlò la sua mente, “e non avanzare alla rinfusa e in preda al panico, per difendere l’Occidente!”. Pensò alle poche guarnigioni che aveva stanziato nelle regioni vicine. A parte la frotta di ufficiali che infestavano ogni visita imperiale, a Sirmio con lui ci sarebbe stata soltanto la legione degli eruli, un manipolo dei suoi alani e qualche turma di cavalieri. I suoi occhi lampeggiarono come saette al pensiero delle legioni lì vicino: quelle legioni che avrebbe potuto impiegare per contenere la crisi a Oriente. Merobaude e quel moccioso di Valentiniano erano nella fortezza della legione dei Petulantes, a soli pochi giorni di distanza. Anche le stalle dei cavalieri dell’Armatura erano a meno di una settimana da lì. «Manda subito dei messaggeri ai Petulantes, all’Armatura, ai… ai…».

«Anche ai Celtae», aggiunse Lanzo, percependo l’urgenza dell’imperatore. «Possiamo allertare l’VIII Augusta e anche la I Noricorum, se troviamo le galee per trasportarli».

«Voglio che tutte le legioni nelle vicinanze si rendano disponibili», sbottò Graziano. «E anche ogni cavaliere. E manda un dispaccio alla corte di Teodosio, mi deve sostegno per questa operazione».

«Ma le voci sono state confermate, signore», disse Lanzo. «Teodosio è stato sconfitto dalle forze di Fritigerno in Macedonia. Sarà a corto di soldati».

«Ti ho dato degli ordini, tribuno», ringhiò Graziano. Lo superò con una spinta e fissò la notte, in direzione di Sirmio, dove Oriente e Occidente si incontravano. «Sì, la terra sarà una melma rossa… rossa con il sangue dei goti».

Mentre gli uomini si affaccendavano a svolgere i suoi ordini, Graziano continuò a fissare il buio della notte. Nell’oscurità si levarono di nuovo i ricordi del sogno nella brughiera. Quella creatura oscura che lo veniva a cercare ancora. Uccidere i goti che avevano invaso la tenda non aveva cambiato nulla. Accigliandosi nel buio che lo circondava, con la paura che gli montava dentro, raggiunse infine il suo stallone e ringhiò alle guardie: «Portatemi via da questa dannata palude».