Smsiano? No, grazie!
Siamo alla fine di una riunione di lavoro. C’è un tizio vestito elegante che è appena uscito dall’ufficio insieme a due colleghe. Dice di aver dimenticato il cellulare, chiede scusa e saluta: poi, mentre le due si allontanano, torna sui suoi passi. Con fare furtivo, tira fuori il telefono dalla tasca interna della giacca e guarda lo schermo. Era solo una scusa. Ha appena riposto il telefono in un’altra tasca, quando un suono lo avverte che è arrivato un messaggio. Senza smettere di camminare, comincia a leggere. Alza lo sguardo e sorride, scuotendo leggermente la testa. L’inquadratura si allarga e una macchina lo colpisce in pieno.
Così prende l’avvio la trama delle Fate ignoranti, il film di Ferzan Özpetek che in Italia è stato tra i più visti del 2000. Ed è proprio nel 2000 che l’attenzione dei grandi mezzi di comunicazione comincia ad appuntarsi, anche in Italia, sui fenomeni linguistici legati a quelle che ancora oggi chiamiamo «le nuove tecnologie». Al centro dell’attenzione ci sono soprattutto i messaggini SMS, che da noi – grazie alla straordinaria diffusione dei telefoni cellulari – si affermano in maniera molto più rapida e pervasiva rispetto alla comunicazione via computer.
Il 19 agosto 2000, il “Corriere della Sera” dedica a questo tema un’intera pagina, con due articoli (firmati rispettivamente da Giulio Ferroni e da Michele Cortelazzo) raccolti sotto un titolo comune: “6 proprio 3mendo”: dalla lettera ai messaggini in codice. Come spiega l’occhiello, Fino a pochi anni fa lo scambio epistolare era un genere letterario. Ora, con fax, e-mail e SMS è diventato una pratica veloce e immateriale. Già il 16 marzo, d’altra parte, della questione si era occupato il settimanale “L’espresso”, sostenendo che «quella degli SMS» era «una giungla misteriosa», anche per via di uno specifico «slang».
Un linguaggio basato su acrostici mutuati dal vocabolario delle chat line di Internet e popolato di emoticon (neologismo nato fondendo «emotion» e «icon», icona emotiva): simboletti che combinano lettere e segni. Poi ci sono le abbreviazioni, spesso molto ardite. I neofiti sappiano che «xk» vuol dire perché e «XXX» sta per «tanti baci», «6» è la seconda persona del verbo «essere». Mentre «xk 6 :-(? XXX» va tradotto: «perché sei triste? Tanti baci». 29 battute che diventano 13: mica male.
Allontanandosi dalle considerazioni dei linguisti, la vulgata giornalistica prenderà rapidamente la strada dell’allarmismo apocalittico. Perfettamente in linea, peraltro, con gli atteggiamenti che in tutto il mondo si stavano diffondendo riguardo al rapporto tra lingue e nuove tecnologie. Un particolare filone della mitizzazione di Internet (cominciata già alla metà degli anni Novanta) si specializza infatti nella descrizione di una favoleggiata «lingua di Internet» a cui vengono dati nomi fantasiosi come netlingo, weblish o globespeak. Una lingua globalizzata che avrebbe dovuto, in breve, scardinare l’impianto delle lingue nazionali.
Si è molto insistito – in quegli anni – sulle conseguenze di questa pericolosa «rivoluzione linguistica», diffondendo una generalizzata sensazione di allarme. Anche se tutti gli studi scientifici, in Italia e all’estero, sono sempre stati concordi nel ridimensionare la portata di abbreviazioni e grafie a rebus (del tipo di Gr8 per great o RU per are you), le preoccupazioni espresse a più riprese nel mondo anglosassone e le campagne contro la lingua degli SMS svolte all’epoca in Francia (dove era attivo un KomiT contr le langage SMS é le fot volontR) hanno trovato corrispondenza anche da noi.
Era facile, all’epoca, incontrare in rete banner come Questo blog non è un essemmesse. Nel manifesto sottoscritto dai promotori dell’iniziativa si diceva, tra l’altro: «non se ne può più di leggere commenti, e post nei forum, scritti come se si trattasse di uno Short Message Service». Ed era perfettamente normale trovare in rete violente prese di posizione contro quello che veniva chiamato smsese o smsiano («l’smsese fa schifo», «sono d’accordo sull’abolire l’smsese dai pc…», «io non scrivo in smsese neanche negli SMS…»), spesso polemicamente contrapposto all’italiano: «potresti per favore scrivere in italiano e non in smsiano? Grazieeee!», «X ki nn kpisce + litaliano: io nn kpisko lo smsiano».
Per qualche tempo ha circolato nel web anche un minaccioso proclama messo in scena (con tanto di divise e armi finte: non proprio di buon gusto) da un sedicente Movimento nazionale xsolventi: «abbiamo un cervello, non siamo analfabeti e non sentiamo l’irrefrenabile bisogno di deturpare la lingua italiana con inglesismi, neologismi, kappa e altre oscene abbreviazioni».
Nei primi anni Duemila, va detto, il linguaggio degli SMS andava molto di moda. Un connubio particolare era, ad esempio, quello che in tutto il mondo riguardava messaggini e religione. Nelle Filippine, il 40% degli studenti universitari intervistati nel 2005 dichiarava di essere abbonato a servizi di SMS religiosi. Il 6 ottobre di quell’anno, il “Sidney Morning Herald” riportava la notizia che la Bible Society of Australia aveva tradotto in SMS l’intera Bibbia, con esiti come: «wrk hard at wateva u do. U will soon go 2 da wrld of da dead, where no 1 wrks or thinks or reasons or knws NEting. (Ecclesiastes, chapter nine, verse 10)». Dal febbraio 2008 veniva attivato in Italia un servizio che consentiva di ricevere sul proprio cellulare anche frasi celebri di Giovanni Paolo II: ad esempio, «Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo». (A differenza di quanto accadeva per la Bibbia in inglese, qui il testo rimaneva integro: fare diversamente sarebbe risultato irrispettoso).
In Giappone, il romanzo diffuso via SMS ha rappresentato a lungo un importante genere letterario (chiamato keitai shosetsu, appunto “romanzo da cellulare”): testi lunghi tra le 200 e le 500 schermate e rivolti soprattutto a un pubblico di adolescenti. Già nel 2007 questo filone poteva contare su oltre 700.000 titoli, con successi clamorosi come quello di Ayu no monogatari (“Amore profondo”), che in sette anni aveva accumulato oltre 20 milioni di contatti e venduto – nell’edizione a stampa – un milione e settecentomila copie.
Anche in Europa si era sviluppata una produzione editoriale che aveva provato ad adeguarsi all’egemonia del modello SMS, soprattutto per andare incontro ai gusti del pubblico giovanile. Si trattava di romanzi basati su una scrittura che – per legittimarsi come «linguaggio degli SMS» – ricorreva a una sistematica ipercaratterizzazione, tutta puntata sui tratti più clamorosi e celebrati dai media, finendo col dar vita a una specie di modesto macaronico.
A volte la struttura era quella del romanzo epistolare, come nel caso di The Last Messages del finlandese Hannu Luntiala (2007), composto da mille messaggini per un totale di circa trecento pagine. Altre volte quella di un giallo pedagogico, come in Pa sage a Taba (ovvero Passage à tabac, 2004), libretto scritto da Phil Marso per mettere in guardia i giovani contro i rischi del fumo. Oppure quella di un diario, come in Cuore Nuovo (30 giorni ai 18) della venticinquenne Luana Modini (2007): «Però è 1 tale figo. Ke ironia qnd alla Ale kiedevo ke c trovasse in quel bastardo di Guido xkè io ero certa al 101% ke lui fosse 1 bastardo, bastava guardarlo negli occhi x capirlo, e i fatti mi hanno dato ragione».
Un gioco molto diffuso all’epoca era quello di riassumere nel formato degli SMS (massimo 160 caratteri) i grandi classici della letteratura.
Questa è la versione di Romeo and Juliet da cui il gioco ha preso le mosse nel 2005 in Inghilterra: «RomeoM falls_w/_ JulietC@mary Secretly Bt R kils J’s Coz&isbanishd. Jfakes Death. As Part of Plan2b-w/R Bt_leter Bt It Nvr Reachs Him. Evry1confuzd--- bothLuvrs kil Emselves». (Ovvero, sciogliendo tutte le varie abbreviazioni: «Romeo Montague falls in love with Juliet Capulet and they marry secretly, but Romeo kills Juliet’s cousin and is banished. Juliet fakes her own death. As part of the plan to be with Romeo she writes him a letter but it never reaches him. Everyone is confused and both lovers kill themselves»).
Questa, invece, la versione dei Promessi sposi inviata da un lettore al sito Corriere.it: «1 tvb sul lago 2 giovani 1 prete pavido 2 bravi 1 cattivo 1 monaca tormentata la peste a Mi nel 1600 1 frate impavido cmq x end 1 matr.nio bene vince su male».
Nel testo inglese, come si vede, tutti i tratti sono più esasperati. Si ha una sorta di scriptio continua segmentata solo dalle lettere maiuscole e una concentrazione di gergalismi grafici che rende il testo decisamente criptico. Nel testo italiano, invece, la densità di tratti riconducibili al linguaggio degli SMS è piuttosto bassa e legata a forme banali come il TVB, i numerali, il x, il cmq: quasi tutte diffuse indipendentemente dagli SMS. La sintassi è quella telegrafica (priva di verbi di modo finito) e l’unico elemento linguistico notevole è l’anglicismo end “fine”, legato oltretutto a un vecchio immaginario cinematografico.
Da quanti anni non si vede più al cinema quel vecchio The end che un tempo concludeva tutti i film hollywoodiani? Come diceva in un libro di interviste intitolato Io mi ricordo la signora Angiolina (morta centenaria proprio all’inizio degli anni Duemila): «i film mi piacciono quasi tutti, ma questi qui del signor The End sono i migliori».