XVII

Nel corso di un caso difficile come quello che stava seguendo, aveva bisogno di molte informazioni, notizie, risorse, buoni consigli e, soprattutto, di avere mano libera. La cosa di cui non aveva bisogno nel modo più assoluto era un avvocato fra i piedi. Se poi quel legale era il Laghi, lo considerava un inasprimento della pena.

Bussarono.

«Buongiorno illustrissimo delegato Beretta» fece un signore magro, vestito in modo raffinato e con parlata adulatoria. Aveva i bulbi oculari opachi, infossati in orbite scure e sormontate da sopracciglia folte che, affusolate, terminavano a spillo. Un naso adunco, grondante peli, ne accentuava l’aspetto sinistro, tant’è che con quel contrasto tra chiaro e scuro lo si sarebbe potuto confondere con il Nosferatu di Murnau. I capelli neri, spalmati all’indietro, erano della stessa consistenza del suo essere: viscidi.

«Buongiorno, avvocato Laghi. Si accomodi».

L’azzeccagarbugli si sedette davanti alla scrivania del Beretta e, per qualche istante, trafficò con le mani in una borsa di pelle nera cercando carte e scartoffie. Dalla medesima agguantò un plico di documenti e, guardingo come se avesse tra le mani i codici per la cifratura della Macchina Enigma, li depose rovesciati sul piano del mobile.

«La ringrazio per avermi concesso un poco del suo preziosissimo tempo».

«Mi dica».

«Vengo subito al dunque. Un mio cliente – un uomo apprezzato, generoso e filantropo in questa città ha subito per interposta persona un abuso nella sua proprietà».

Ci siamo, pensò il Beretta. Il barone von Günther ha incaricato il Laghi di rompermi le scatole.

«A causa di un gigantesco abbaglio, illustrissimo signor delegato, lei ha invaso senza nessuna autorizzazione la villa del mio cliente, gettando nel panico il personale».

Il Laghi manteneva una sorta d’incomprensibile discrezione non facendo né nomi né luoghi, sebbene fosse chiaro a entrambi di chi e di cosa si parlasse.

«Quale abbaglio? Le prove ci hanno condotto a villa Herminones, di proprietà del barone von Günther, alla ricerca di un tale di nome Folker Meissen, sospettato di un efferato crimine». Il Beretta spiattellò senza nessuna remora nomi e cognomi di tutti facendo innervosire l’avvocato.

«Prove...» fece quello ridacchiando. «Un ciuffo d’erba e un mozzicone che, magari, ha fumato lei nella città della Limmat».

La rete d’informatori e ruffiani, al soldo di quest’individuo, deve essere estesa fin oltre i confini del Cantone, pensò il Beretta. A distanza di un paio di giorni sapeva già della sua inchiesta a Zurigo, di Nikita Volkov e delle papirosa.

«Senta avvocato, mi dica cosa vuole».

«Voglio sentire la sua versione a proposito del grave abuso che è stato fatto nella villa di proprietà del mio cliente, il signor barone von Günther».

«Di quale abuso parla?».

«La perquisizione di spazi privati, senza l’autorizzazione di un giudice».

«Non c’è stato nessun abuso. I custodi ci hanno autorizzato a ispezionare sia l’abitazione sia l’auto».

«Sotto intimidazioni e minacce di arresto».

Il legale aveva in mente qualcosa, ma il Beretta non riusciva a capire cosa. Era evidente che sapeva tutto, quindi anche che non avevano trovato nulla, e quella misera prova, rinvenuta nell’auto, inconsistente per allestire un impianto accusatorio, non poteva impensierirlo. Decise allora di assecondare il battibecco.

«Arresto? Figuriamoci. Un normale accertamento da perfezionare in gendarmeria e relativa verbalizzazione non è un arresto».

«Il signor Rudolf Berger afferma invece che un gendarme gli ha messo le manette».

«Una spudorata bugia».

Il batti e ribatti continuò ancora per qualche minuto, scendendo sempre più di livello. Il Laghi sembrava mirasse a ottenere una sorta di ammissione sul fatto che il delegato avesse oltrepassato la soglia della legalità, ma non ottenne nulla. Inviperito dall’indifferenza del Beretta davanti alle pesanti accuse, con un gesto plateale girò il plico di documenti che in precedenza aveva posto sulla scrivania. Un ghigno satanico gli contorse i muscoli facciali, tant’è che il contorno dei suoi occhi si oscurò e le sopracciglia gli si rizzarono a capanna.

«Illustrissimo signor Beretta, davanti a lei c’è una copiosa documentazione che, con certezza, comprova l’abuso di potere e la palese violazione della legge da lei perpetrati nei confronti del mio cliente».

Il delegato, disgustato dall’uomo che gli stava di fronte, cominciava a essere stufo di tutte quelle smaccate pantomime, messe in atto con il solo scopo di intimidirlo; era una strategia già provata altre volte e sempre con risultati fallimentari. Aveva capito cosa avesse in mente quell’uomo e cosa si celava nel retroscena del suo teatrino: il Laghi voleva farlo cacciare dal caso insinuando una pesante accusa, che di certo avrebbe divulgato ai quattro venti.

«Oggi stesso inoltrerò denuncia al pubblico procuratore».

«Faccia quello che crede» rispose Ezechiele alzandosi e congedandolo in malo modo.

Il barone von Günther, tramite quel viscido avvocato, voleva che fosse estromesso dall’indagine e la questione lo allarmò non poco. Il principale sospettato non era più in Svizzera e chissà se sarebbero mai riusciti a ottenerne l’estradizione. In Germania, dall’inizio di agosto, erano cambiate molte cose: Adolf Hitler, unendo le maggiori cariche dello Stato, era diventato capo supremo facendosi chiamare Führer, e non gli pareva che ciò avesse consolidato la democrazia e lo stato di diritto tanto da soddisfare le richieste di una piccola nazione come la sua. Altro non aveva sul barone e i suoi ospiti. Ora, perché mai tutto quell’accanimento, con tanto di denuncia fatta dal noto legale luganese se tutto stava finendo in una bolla di sapone?

Forse questa vicenda ha una coda, pensò, non so ancora come e dove, ma credo di averla pestata.