V
Anche se la teoria del Bernasconi era la più attendibile e verosimile, il Beretta intendeva percorrere il sentiero che il bambino faceva tutte le mattine anche se era convinto che il giovane Guerreschi stesse fantasticando su un’avventura che di vero aveva solo la brutta caduta. L’auto nera, quadrata e con tre ruote, ne era la dimostrazione eppure, per tranquillizzare la coscienza di tutti, volle perlustrare di persona la zona dell’incidente.
Giunto nei pressi di vicolo Brandiz, si diresse verso via Tassino per poi lasciare l’abitato e costeggiare i campi. Per raggiungere il luogo dell’accaduto, doveva camminare qualche minuto verso la sommità del pendio che racchiudeva la città verso il lago. Lassù, vicino alla fermata della funicolare degli Angioli, abitava Miranda Tosetti, la donna che aveva trovato il bambino ferito. Nelle vicinanze ci doveva anche essere il dirupo dov’era caduto il piccolo Agostino.
A metà strada si fermò. Era da qualche tempo che non passava da quelle parti ma nulla sembrava cambiato. Lungo il sentiero, tra orti e campi, l’odore delle erbe aromatiche, seppure assopito dall’autunno, sapeva d’antico, d’altri tempi. La menta, la salvia, la maggiorana e il profumo del rosmarino gli risvegliarono vecchi ricordi. Pensava agli anni addietro con nostalgia e qualche rammarico. Quante corse tra quei pendii! Giù, intrepidi per le discese ripide, decollare e infine credere di volare! O sfuggire a chi stava sotto, per poi raggiungere strisciando la tana e gridare sudati fradici: «Libero per tutti!». E intanto rifletteva sulla spensieratezza e su come l’infanzia avesse qualcosa d’ineguagliabile rispetto alle altre fasi della vita.
Si concentrò sulla città, sulla sua Lugano appena lì sotto: i tetti rossi; il lago azzurro che a mezzogiorno le impediva di espandersi; le montagne dipinte d’autunno che in circolo le toglievano il fiato. Da Nord a Sud, dal Monte Baro al Monte San Salvatore, quelle cime erano tutte in fila, l’una a ridosso dell’altra, soffocanti, ingombranti eppure rassicuranti come le pareti di un rifugio. Amava quei luoghi, con la loro prospettiva domestica che non sfuocava mai all’orizzonte: tutto era chiaro e nessun mistero era offuscato dalla lontananza.
Giunto alla stazione della funicolare controllò l’orologio: sottraendo il tempo della breve fermata dedicata al panorama, non ci aveva messo più di cinque minuti.
Nei pressi dei binari il terreno era impervio e, senza la dovuta attenzione, era facile perdere l’equilibrio e cadere tra le rupi e i sassi.
A pochi passi dalla linea e verso la città, edificato sul pendio prativo, vi era un rustico consumato dal tempo. Alcune casupole malandate, di legno grigio, occupavano a monte i rari pianori e, circondando l’edificio, formavano una sorta di aia. Diverse galline, sparuti polli e alcune oche stavano ruspando e beccheggiando speranzosi. Mentre si avvicinava al casale cercando l’ingresso, sentiva il frenetico tambureggiare dei conigli nelle gabbie e l’odore del pollaio farsi più acuto.
«Buongiorno» disse a una donna che si reggeva al manico di un forcone e lo osservava di soppiatto dietro una porta. Un cenno del capo fu tutto quello che ottenne in risposta.
«Sono il delegato di polizia Ezechiele Beretta. Lei è Miranda Tosetti?».
Ottenne un secondo cenno. Sapeva che gli abitanti del posto non erano loquaci, specialmente con i tutori dell’ordine, ma non vi diede troppa importanza.
«Mi potrebbe mostrare dove ha trovato il piccolo Agostino Guerreschi?».
La Tosetti uscì dal locale, posò l’attrezzo contro lo stipite e, con passo militare, si diresse verso i binari seguita da Ezechiele. Nei pressi del ponte di ferro si fermò.
«Laggiù» disse, e indicò un anfratto scosceso a fianco del muraglione in sasso su cui viaggiavano i ripidi binari della funicolare.
Il delegato si guardò attorno e cercò di ricostruire la dinamica dell’incidente. Dapprima soppesò l’ipotesi del Bernasconi, la più plausibile: un passo falso mentre giocava ed ecco che Agostino si deve inventare una storia perché nei guai; poi immaginò quella narrata dal piccolo, voleva dargli credito fino all’ultimo: se ci fosse stato un ladro di bambini, avrebbe potuto posteggiare l’auto nel piazzale sotto la chiesa anglicana, vicino alla fermata della funicolare; era poco distante dal punto in cui si trovava e, immettendosi in via Clemente Maraini con una semplice manovra, avrebbe potuto lasciare la città in un attimo. L’uomo nero avrebbe potuto nascondersi dietro il pilone del ponte di ferro, attendere il bambino che arrivava spensierato, agguantarlo e poi portarlo nell’auto nera. Oppure avrebbe potuto, con una scusa, chiamarlo e una volta vicino, afferrarlo a tradimento per rapirlo. Tutto era possibile, tranne l’auto quadrata nera a tre ruote.
In entrambe le ricostruzioni ipotizzate s’insinuava però una tormentosa incognita: perché Agostino non era entrato subito a prendere le uova nella casa della Tosetti, situata fra il Sassello e la linea della funicolare e quindi prima del fianco scosceso? Perché mai salire per poi tornare indietro?
Mentre osservava la cima del pendio, si chiese se qualche ospite dell’Hotel Bristol, posto lì sopra a poche decine di metri, avesse visto qualcosa, magari qualche ospite mattiniero o qualcuno del personale.
«Signora Tosetti, mi può dire com’erano queste visite mattutine del bambino?».
Lei lo guardò accigliata, come se le avesse chiesto chissà che.
«Che cosa intende? Veniva a prendere due uova, uno per sé e uno per la sorellina».
«Intendevo come si muoveva: correva, camminava, si guardava attorno...».
«Agostino saltellava come un grillo tra l’erba».
Come immaginavo, pensò il Beretta. Il bambino non faceva un percorso razionale come avrebbe fatto qualunque adulto. Il suo compito mattutino era anche un’occasione di svago, un giocare e un correre continui in cui, con tutta probabilità, oltrepassava la meta per poi tornare sui suoi passi trascinato da un infantile sfogo di energie, in quel momento di spensieratezza gli era bastato un attimo di disattenzione per cadere in malo modo nel dirupo tra le pietre.
«E il ritorno? Com’era?».
«Con le uova nelle mani diventava prudente. Non le ha mai rotte».
«E mi dica, cosa rammenta della mattina dell’incidente?».
«L’ho visto partire dal Sassello».
Il delegato la fissò. «Come?».
«Una mezz’ora dopo l’ora Prima, mi affaccio alla finestra della camera che è sopra l’ingresso e da lì vedo tutta la città. Non appena Agostino compare da via Tassino, scendo nel pollaio. Faccio così tutte le mattine, tranne la domenica».
«Compariva sempre verso le 6.30?» chiese il poliziotto.
«A volte un po’ prima e a volte un po’ dopo».
«E quanto rimane nel pollaio?».
«Finché non arriva Agostino. Assieme cerchiamo le uova e guardiamo le galline».
Questa possente donna, pensò il Beretta, deve avere davvero un animo gentile. Aspetta il bambino e gli fa passare qualche momento in compagnia delle sue galline, magari raccontandogli qualche episodio di ordinaria vita dell’aia.
«Lui preferisce i conigli, ma da qualche tempo Nerofumo è irritabile e non vuole nessuno nella conigliera».
«Un coniglio da guardia» ironizzò l’uomo. «L’ho sentito anch’io quando sono arrivato».
«Se non si calma, a Pasqua finirà in umido».
«E poi cos’è successo?».
«Il piccolino non arrivava e sono uscita a vedere. Mi sono guardata attorno. Non c’era nessuno».
«Ha sentito rumori?».
«Nulla. Solo le galline e Nerofumo».
Il Beretta osservò il pollaio e la conigliera: all’interno di quella baracca di legno, il rimbombo delle attività degli animali poteva coprire altri rumori ed eventuali grida.
«Ho chiamato forte» continuò la Tosetti reiterando a voce alta quel ricordo. «“Agostino! Agostino! Agostino!” Nessuna risposta. Allora ho cominciato a cercare come una matta. Sono salita verso il ponte di ferro. Da lì l’ho visto giù, rannicchiato fra i sassi...».
Smorzò le sue ultime parole evidenziando un incontenibile senso di colpa.
«Non se la prenda, signora. È stata una disgrazia e non è colpa di nessuno. Per Agostino è già un ricordo e vedrà che tutto riprenderà come prima».
In gendarmeria il delegato aggiornò il sergente maggiore Bariffi sulla testimonianza della Tosetti. Condivise con lui numerose considerazioni sul brutto episodio e alla fine fece archiviare il caso di presunta aggressione: si era trattato solo di un incidente.