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Di sabato pomeriggio non era probabile incontrare qualche postino, il turno lo finivano la mattina. Il Beretta sapeva dove trovarli nei momenti liberi: in piazza Dante, proprio davanti al Bar Lugano, di fianco all’ingresso principale della chiesa di Sant’Antonio. Al Café Brasserie de la Poste il viavai dei solerti impiegati della Confederazione era frequente: in settimana vi facevano le pause, di sabato vi si rilassavano divertendosi. In quel locale si poteva giocare a scopa, a tresette, a biliardo e, per chi desiderava assistere a incontri epici o era desideroso di sfidare i campioni di turno, non vi era luogo migliore.
Un piccolo pubblico che si sorreggeva a bicchieri di Barbera e alle specialine della birra Lugano stava osservando in rispettoso e funerario silenzio una partita a scopa. Non c’erano rumori umani, l’apparente pace era rotta solo dalle sfere del biliardo che rullavano sul panno verde e dagli usuali “paak” delle palle in campo. Il silenzio perdurava di mano in mano tant’è che la tensione aveva fatto rizzare i peli delle braccia villose dei giocatori, ora simili a istrici in combattimento.
«Stupido idiota!» gridò indiavolato uno al suo compare, picchiando un pugno sul tavolo così forte da far vibrare l’intero arredo e destare anche i più assopiti bevitori avvolti nell’alcolico abbiocco. «Ti sei fatto fregare il settebello, nonostante avessimo tre sette!».
La bagarre di fine partita era iniziata.
«Non capisci niente! Datti all’ippica che è meglio» ribatté l’altro. «Se facevo quattro e tre sette gli avrei dato la scopa».
«Non l’aveva il re, imbecille, altrimenti avrebbe fatto la scopa qualche mano fa con la pepa tencia e l’asso di quadri. Sei un disastro».
Anche gli altri giocatori intervennero nella discussione e così il pubblico: ognuno sfoderò la sua teoria esponendola con vivacità, ardore e amabile aggressività. Se fosse entrato qualcuno che non aveva mai assistito a una partita di scopa sarebbe fuggito atterrito per paura di rimanere coinvolto in una rissa, oppure sarebbe corso a chiamare i gendarmi.
Appoggiato al bancone, il Beretta sorrideva. Le esuberanti discussioni del dopo partita erano innocue: da lì a poco, con la rivincita, tutto sarebbe tornato normale, come se nulla fosse successo. Si avvicinò ai giocatori, quattro postini di lungo corso come pubblico, a eccezione di Giuseppe Pelli, detto Pelo, spazzino comunale, e un altro signore che non conosceva.
«Salve, capo» esclamarono quasi in coro quando si accorsero che il delegato li osservava.
«Buongiorno a voi» fece il Beretta. «Posso disturbarvi per qualche minuto?».
«È solo una discussione tra amici, nulla di preoccupante» lo rassicurò il postino che aveva iniziato il burrascoso diverbio.
«Figuratevi, nessun problema... Gioco anch’io a carte, e senza una sfuriata a fine partita non è una vera gara di scopa».
Le parole del delegato tranquillizzarono gli animi caldi: nessuno voleva interagire sindacando o redarguendo il loro modo di divertirsi.
«Avrei bisogno del vostro aiuto» riprese Ezechiele. «Sto cercando una signora, con molta probabilità una donna di servizio, dall’accento tedesco».
Tutti capirono che, trattandosi di una governante o qualcosa di simile, avrebbero dovuto averci a che fare durante la consegna delle lettere o dei pacchi nella loro quotidianità lavorativa. Iniziarono a mormorare e a interrogarsi a vicenda bofonchiando e aggrinzendo le rughe della fronte. Poi qualcuno cominciò a fare nomi e a dare dettagliate indicazioni stradali con tanto di numero e interno. Alla fine, uscirono una decina di recapiti, che il delegato segnò sul taccuino.
«Grazie. Vorrei qualche precisazione su queste persone e le famiglie che le ospitano».
«I nomi delle domestiche» spiegò un postino «non si conoscono. Si conosce solo il nome del recapito».
«Come no? La Berthild la conosci eccome».
Una risata generale scoppiò tra i tavoli.
«Non intendevo in quel senso...».
La risposta alla provocazione suscitò un’altra grassa risata.
«Non importa,» chiosò il Beretta sornione «va bene in qualunque senso».
Il postino che aveva innescato quel momento d’ilarità raccolse le sopracciglia a capanna e muto si rannicchiò sulla sedia. Gli altri iniziarono a complimentarsi con lui con velati fraintendimenti e poderosi incoraggiamenti, accompagnati da calorose pacche sulle spalle. L’uomo era caduto in una trappola senza scampo e lasciò scivolare repliche e commenti.
Placate le risate, uscirono altri nominativi, tra cui uno in piazza Manzoni, dalla signora Conti. Il Beretta, nell’udirlo, s’irrigidì per un attimo, annotò le ultime informazioni, ripose il quaderno e rivolgendosi all’oste ordinò da bere per tutti.