PROLOGO
Il paese è adagiato ai piedi di un monte, in una vallata minuscola che dista più di un'ora dalla prima città. La civiltà si perde oltre un'infinità di burroni e di curve che portano sempre più in basso, verso la pianura, attraverso una strada bucherellata di gallerie poco illuminate anche di giorno.
In inverno nessuno si muove e d'altronde c'è tutto quello che serve già a portata di mano: una farmacia, l'ufficio postale, la chiesa, il municipio con accanto la stazione dei carabinieri e dall'altra parte l'edificio scolastico che comprende le elementari e pure le medie. Poco più in là, lungo la via che divide in due il paese, si trovano un paio di negozi di generi alimentari e anche una trattoria con la veranda esterna in plastica verde che durante la bella stagione brulica di gente.
All'occorrenza il proprietario affitta un paio di stanze al primo piano. È utile soprattutto quando d'estate arrivano i turisti che come cavallette riempiono i dintorni alla ricerca di fresco, fermandosi a bere dalla fontana della piazza come fosse un'acqua miracolosa. In inverno il locale torna ad essere un semplice bar che raduna tutti quelli che non hanno mai niente da fare, nessun lavoro o altra faccenda, e si annoiano in casa.
Ce ne sono molti, non solo anziani, e nemmeno il freddo pungente riesce a tenerli lontani da quelle sedie mezze sfondate, con i tavolini che traballano a forza di tutte le manate che hanno preso negli anni, unite agli improperi di chi perde i suoi soldi. Perché gli avventori giocano a carte, bevono e sputano, anche se non sempre in questo preciso ordine.
Novecentosettantotto abitanti recensiti durante l'ultimo censimento, sparsi tra il paese e le fattorie nei dintorni. Uno dei più piccoli comuni in Italia, un microcosmo talmente ben organizzato che a detta di molti potrebbe benissimo sopravvivere alla fine del mondo.
Eppure anche in quel luogo ogni tanto qualcuno muore, lo testimoniano le tante lapidi nel cimitero che è proprio dietro la vecchia chiesa. Però chi se ne va di solito lo fa in modo alquanto discreto, senza dare fastidio agli altri, quelli che restano da questa parte. Allora l'illusione che ogni cosa rimanga la stessa permane.
D'altronde nessuno sa in anticipo il momento preciso in cui dovrà morire e per questo è facile credere di trovarsi sempre distanti dalla fine del viaggio, tanto che non si riesce nemmeno ad immaginarla. Poi arriva una curva e dietro, nel punto in cui poi dovrebbe continuare la strada diritta, non c'è niente. Fine dei giochi.
Succede quasi sempre così. Prendiamo ad esempio un singolo individuo, un uomo molto conosciuto in paese, e proviamo a seguire per un momento la sua storia, per vedere dove lo porta.
Marco Vitali è un sessantenne con un appetito robusto e parecchi peccati di cui però non ritiene di dover rendere conto a nessuno. Si avvia verso la sua fine fischiettando, convinto di stare per vivere una splendida notte.
È sera tardi e non c'è più nessuno in giro, a parte il suo assassino, ma lui non ha alcuna fretta. Ha tutto il tempo del mondo o almeno così gli pare.
Vitali si guarda intorno e poi apre la porta che conduce all'interno del campanile, a pochi passi dal sagrato della chiesa. La serratura è mezza arrugginita, scatta facendo forza e tutte le volte sembra sul punto di rompersi.
La chiave la tiene in tasca da quasi vent'anni, da quando ha iniziato a fare il sacrestano per avere qualche soldo in più e gli è toccata pure la cura delle campane, che vanno suonate due volte al giorno, di prima mattina e alle otto di sera. È un suo compito preciso che gli lascia libero accesso a quel posto appartato.
L'uomo comincia ad avviarsi lungo la stretta scalinata a chiocciola che percorre la torre. È illuminata solo da tre lampadine, la prima è posizionata poco dopo l'entrata, la seconda superato il primo giro di scale e l'ultima poco prima di uscire sul terrazzo all'aperto, dove ci sono le campane. Non ha paura del buio, l'oscurità è sua amica e tutte le volte ha ricavato piacere tra quelle spesse mura che sembrano trasudare sudore, se solo provi a toccarle. È l'umidità che si condensa all'interno e assomiglia alle lacrime, ma le pietre non piangono.
Vitali scaccia quel pensiero bizzarro che gli è venuto per un attimo in mente. È un uomo con i piedi ben piantati per terra ed è sicuro che il destino gli sia benevolo. La convinzione deriva da tutte le volte che l'ha fatta franca. Sono così tante che non riuscirebbe nemmeno a contarle e ormai si è convinto di essere stato baciato dalla sorte, di essere in qualche modo intoccabile.
Di sotto la porticina cigola, è il rumore di un attimo e subito torna il silenzio della sera, eppure Vitali si scopre a sorridere. L'ha lasciata socchiusa per il suo visitatore, che gli ha suggerito l'ora e il luogo in cui incontrarsi.
Di solito non gli piace che siano gli altri a pianificare le cose e si potrebbe dire che ha una certa propensione al controllo, ma ci sono ricordi che non appassiscono mai. Continuano ad odorare come piccole campanule ai bordi della strada. Proprio in onore di uno di quelli, sperando di non restare deluso, ha permesso che l'altro facesse la sua prima mossa, riservandosi però di guidare più tardi le danze.
«Bentornato» gli dice non appena comincia ad emergere dalla botola lasciata aperta.
La banalità della frase lo fa sorridere di nuovo, conserva un non so che di stridente che si confonde nell'ovvietà di quello che vuole significare.
L'ospite non risponde. Ha calcato sul viso un cappuccio che lo rende quasi irriconoscibile al suo interlocutore, a parte gli occhi che sono scuri e freddi, non come erano un tempo. Si sporge dal parapetto di ferro a protezione della struttura, guarda di sotto stimando la distanza dal suolo, poi scuote la testa, seguendo un ultimo pensiero che sembra infastidirlo e gli va incontro.