Foley percorse a piedi il tratto di strada dalla stazione del metrò all'Ambasciata. Salutò con un educato cenno del capo il poliziotto sovietico di guardia davanti al portone dell'austero palazzo, fece altrettanto con il sergente dei Marines all'interno, poi si diresse al suo ufficio. Non era un granché.
L'Ambasciata veniva ufficialmente descritta, nelle pagine dell'URSS Post Report del Dipartimento di Stato, come "sovraffollata e di difficile manutenzione". Foley pensava che quel redattore probabilmente avrebbe definito le decrepite case d'appartamenti del Bronx come "suscettibili di migliorìa". Nell'ultima ristrutturazione dello stabile, l'ufficio di Foley era stato rifatto unendo un ripostiglio con lo sgabuzzino delle scope. Ne era risultata una stanzetta di tre metri per tre, abbastanza funzionale per chi non dovesse starci a tempo pieno. Lo sgabuzzino delle scope serviva a Foley da camera oscura privata, ed era questo il motivo per cui da una ventina d'anni la CIA faceva assegnare quel locale a uno dei suoi agenti. Foley, però, era il primo inquilino con il grado di caposezione.
Era un irlandese di Queens, aveva trent'anni, era alto, snello e molto intelligente. Aveva un ritmo cardiaco incredibilmente lento e una faccia impassibile da giocatore di poker; quest'ultima caratteristica gli aveva permesso di mantenersi agli studi alla Holy Cross. Qui era stato reclutato dalla CIA poco prima della laurea. Aveva poi trascorso quattro anni al Times per stabilire la propria "leggenda" privata agli effetti della copertura. Alla redazione di New York lo ricordavano come un reporter capace, anche se un po' pigro, che produceva testi impeccabili ma non avrebbe mai fatto strada in quella professione. La sua uscita dal giornalismo per passare al servizio del Governo non rese inconsolabile il redattore-capo, anche perché lasciava il posto a un giovane laureato della Scuola di Giornalismo della Columbia University, dotato di grinta e di fiuto per gli avvenimenti che facevano notizia. L'attuale corrispondente del Times da Mosca descriveva Foley ai colleghi e alle persone con cui era in contatto come un tipo scialbo e non dei più intelligenti. Così facendo, forniva a Foley la reputazione più ambita e lusinghiera per chi lavorava 64
nei servizi segreti, che si riassumeva nella frase: Quello lì una spia? Non è abbastanza sveglio. Per questo motivo e per alcuni altri, fu affidato a Foley l'incarico di gestire l'agente locale CIA più valido e, fino a quel momento, più duraturo: il colonnello Mikhail Semyonovich Filitov, il cui nome in codice era CARDINALE. Il nome stesso era segreto, tanto che solo quattro persone all'interno della CIA sapevano che quel termine non sempre designava un prelato dal manto rosso con incarichi diplomatici.
Le informazioni grezze provenienti da CARDINALE erano classificate
"Special Intelligence — accesso riservato DELTA", e c'erano solo sei funzionari di categoria DELTA in tutto il Governo americano. Ogni mese la parola in codice per i dati veniva cambiata. Quella del mese in corso era SATIN, ed era nota a meno di venti persone. Anche sotto quel titolo, le informazioni venivano immancabilmente parafrasate e sottoposte a sottili modifiche prima di uscire dalla "confraternita DELTA".
Foley estrasse di tasca il caricatore e si chiuse a chiave nella camera oscura.
Era in grado di sviluppare una pellicola anche da sbronzo e mezzo addormentato, e gli era già successo di farlo in quelle condizioni. Sei minuti dopo, il lavoro era terminato; Foley ripulì la camera oscura per eliminare ogni traccia della propria presenza. Il suo redattore-capo di New York sarebbe stato sorpreso di vedere com'era diventato preciso a Mosca.
Foley si attenne a una procedura rimasta invariata da almeno vent'anni.
Esaminò i sei fotogrammi esposti con una lente d'ingrandimento del tipo usato per osservare le diapositive da 24x36 mm. Memorizzò ogni foto in pochi secondi, e si mise a battere la trascrizione sulla sua macchina portatile privata.
Era una macchina da scrivere manuale, con un nastro in tela tanto sfilacciato da rendere il dattiloscritto difficile da leggere per chiunque, in particolare per il KGB. Come la maggior parte dei giornalisti, Foley non era un buon dattilografo, e le sue pagine erano piene di ribattiture e di parole cancellate a forza di X. Non poteva usare la gomma, perché la carta era trattata chimicamente. Impiegò quasi due ore a finire la trascrizione, dopo di che esaminò ancora una volta la pellicola per accertarsi di non avere omesso niente e di non essere incorso in errori di grammatica. Soddisfatto, ma con un tremore che non era mai veramente riuscito a vincere, appallottolò la pellicola e la mise in un posacenere, dove la fiamma di un cerino bruciò l'unica prova dell'esistenza di CARDINALE. Poi fumò un sigaro per mimetizzare all'olfatto l'odore caratteristico della celluloide bruciata.
Piegò i fogli in quattro, se li mise in tasca e andò alla sala comunicazioni, al piano superiore. Qui redasse un innocuo messaggio indirizzato alla Casella Postale 4108, Dipartimento di Stato, Washington: "Riferimento vostra 29
dicembre. Riepilogo spese inviato con valigia diplomatica. Foley. Fine dispaccio". Come addetto stampa, doveva offrire le consumazioni al bar a molti 65
ex colleghi giornalisti, i quali provavano per lui un disprezzo che Foley non si prendeva nemmeno la pena di ricambiare; era tenuto a mettere insieme un certo numero di note-spese per quelli della contabilità, e lo divertiva moltissimo il fatto che i confratelli del giornalismo collaborassero così attivamente a convalidare la sua copertura.
Spedito il dispaccio, Foley andò alla messaggeria permanente dell'Ambasciata. Questo era un altro aspetto noto a pochi della vita alla sezione di Mosca, che era rimasto invariato dagli anni Trenta. C'era sempre un corriere in servizio, pronto a partire con la valigia diplomatica, anche se adesso non svolgeva solo quel compito. Il corriere era una delle poche persone all'Ambasciata che sapevano per quale ente statale lavorava Foley. Era un ex maresciallo dell'Esercito, decorato con la DSC — la Distinguished Service Cross
— più quattro Purple Hearts per avere evacuato feriti dai campi di battaglia del Vietnam. Quando sorrideva a qualcuno lo faceva alla maniera dei russi: con la bocca, ma quasi mai con gli occhi.
«Che cosa ne diresti di fare un salto a casa stasera?»
Gli occhi dell'uomo s'illuminarono. «Con il Super Bowl di football in programma per domenica prossima? Sta scherzando. Passo al suo ufficio verso le quattro?»
«Perfetto.» Foley chiuse la porta e ritornò alla sua tana. Il corriere si prenotò il posto sul volo BEA delle 17,40 per Heathrow.
Grazie alla differenza di fuso orario tra Washington e Mosca, Foley sapeva che il suo messaggio sarebbe giunto a destinazione di primo mattino. Alle sei un impiegato della CIA entrò nella sala di smistamento-della posta al Dipartimento di Stato ed estrasse i messaggi da una dozzina di cassette, poi salì in macchina e ripartì per Langley. Ex agente attivo della CIA, era escluso dal servizio all'estero a causa di una ferita riportata a Budapest. Un teppista lo aveva colpito alla testa fratturandogli il cranio, ed era poi stato messo in carcere per cinque anni dall'adirata polizia ungherese. Se avessero mai saputo chi ero, pensava spesso l'ex agente, gli avrebbero dato una medaglia al valore. Consegnò i messaggi ai vari servizi, poi andò nel suo ufficio.
Il dispaccio era sul tavolo di Bob Ritter quando questi arrivò alle 7,25. Ritter era il vicedirettore alle Operazioni. L'area di sua competenza, che nel gergo tecnico era chiamata Direzione Operazioni, comprendeva tutti gli agenti della CIA impegnati all'estero e tutti i cittadini stranieri da loro reclutati e usati come agenti. Il messaggio da Mosca — non era l'unico, ma era certamente il più importante — fu immediatamente riposto nel suo archivio personale, e Ritter si preparò per la riunione delle 8,00 in cui i funzionari del turno di notte riferivano ai capiservizio.
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«È aperto.» A Mosca, Foley alzò lo sguardo sentendo bussare alla porta. Il corriere entrò.
«L'aereo parte fra un'ora. Devo sbrigarmi.»
Foley infilò una mano nel cassetto della scrivania e ne estrasse quello che sembrava un costoso portasigarette. Lo consegnò al corriere, che lo maneggiò con molta attenzione prima di infilarselo nel taschino. L'astuccio conteneva le pagine piegate su cui era scritto il messaggio, insieme a una piccola carica autocomburente. Se l'astuccio veniva aperto nel modo sbagliato, o sottoposto a un'improvvisa accelerazione — come la caduta sul pavimento — la carica si sarebbe infiammata distruggendo la carta. Avrebbe anche potuto incendiare gli abiti del corriere, il che spiegava la cautela che questi aveva usato nel mettere in tasca l'astuccio.
«Dovrei essere di ritorno martedì mattina. Vuole che le porti qualche cosa, signor Foley?»
«Ho sentito dire che è uscito un nuovo libro della Far Side... »
Il corriere scoppiò a ridere. «Okay, vedrò di trovarlo. Mi pagherà quando torno.»
«Buon viaggio, Augie.»
Una delle vetture dell'Ambasciata portò Augie Giannini all'aeroporto di Sheremetyevo, trenta chilometri fuori Mosca, dove il passaporto diplomatico gli consentì di superare i controlli di sicurezza e salire sull'aereo delle British Airways diretto all'aeroporto di Heathrow. Viaggiava in classe turistica, sul lato destro dell'aereo. La valigia diplomatica stava sulla poltrona accanto al finestrino, e Giannini in quella centrale. Non accadeva spesso che i voli in partenza da Mosca fossero completi, per cui anche la poltrona dì sinistra era libera. Il Boeing cominciò a rullare in perfetto orario. Il comandante annunciò l'ora di partenza e la destinazione, poi l'aereo cominciò a spostarsi verso la pista.
Nel momento in cui si sollevò dal suolo sovietico, i centocinquanta passeggeri —
come spesso accadeva — applaudirono. La cosa divertiva sempre Giannini, che estrasse un libro dalla tasca e cominciò a leggere. Non era autorizzato a bere durante il volo, e nemmeno a dormire; decise di rinviare la cena al volo successivo. La hostess riuscì comunque a fargli trangugiare una tazza di caffè.
Tre ore più tardi il 747 toccava terra a Heathrow. Anche qui il corriere poté sbrigare in fretta le formalità doganali. Aveva più ore di volo della maggior parte dei piloti, per cui aveva accesso alla sala d'attesa di prima classe in quasi tutti gli aeroporti del mondo. Aspettò per un'ora il 747 diretto al Dulles International di Washington.
Mentre l'aereo sorvolava l'Atlantico, Giannini si concesse la cena della Pan Am e guardò un film che non aveva ancora visto, caso raro anche quello.
Quando finì di leggere il suo libro, l'aereo aveva già iniziato la discesa. Il 67
corriere si passò una mano sul viso cercando di ricordare qual era l'ora d'arrivo prevista. Un quarto d'ora dopo salì su un'anonima Ford governativa che si diresse a sud-est. Prese posto sul sedile anteriore per potere allungare le gambe.
«Com'è stato il volo?» s'informò l'autista.
«Come sempre: noioso da morire.» D'altro canto, era sempre meglio che volare in elicottero per le missioni di soccorso medico sull'altopiano centrale. Il Governo lo pagava ventimila dollari l'anno per stare seduto in aereo a leggere libri tascabili. Quello stipendio, aggiunto alla pensione dell'Esercito, gli consentiva una vita abbastanza confortevole. Non si preoccupava mai di sapere che cosa portava nella valigia diplomatica o nel portasigarette metallico.
Pensava che, comunque, fosse tutto tempo perso. Non sarebbe stato quello a cambiare il mondo.
«Hai l'astuccio?» gli chiese l'uomo seduto dietro.
«Sicuro.» Giannini lo prese dalla tasca e lo consegnò all'interlocutore, tenendo l'oggetto con due mani. Il funzionario della CIA lo prese, anch'egli con due mani, e lo introdusse in una scatola rivestita di spugna poliuretanica. Era istruttore all'Ufficio Servizi Tecnici della CIA, che faceva parte della Direzione Scienza e Tecnologia. Quell'ufficio aveva un campo di azione piuttosto esteso. Il funzionario che parlava con Giannini era un esperto di trappole e ordigni esplosivi. A Langley prese l'ascensore per salire da Ritter, sul cui tavolo aprì il portasigarette, poi si diresse al proprio ufficio senza guardare il contenuto.
Ritter andò alla sua fotocopiatrice Xerox personale, fece diverse copie dei fogli, e bruciò gli originali. Non era tanto per la segretezza, quanto per una normale precauzione. Ritter non voleva nel suo ufficio un plico di carta altamente infiammabile. Cominciò a leggere il documento prima ancora di avere finito di fotocopiarlo. Come di consueto, cominciò a oscillare la testa da sinistra a destra appena ebbe letto il primo capoverso. Andò alla scrivania e compose il numero telefonico del direttore.
«Ha da fare? L'apparecchio è atterrato.»
«Venga subito» rispose prontamente il giudice Moore. Niente era più importante delle informazioni di CARDINALE.
Lungo il percorso, Ritter prelevò l'ammiraglio Greer, ed entrambi raggiunsero il direttore della CIA nel suo spazioso ufficio.
«Bisogna voler bene a quest'uomo» disse Ritter distribuendo le copie del documento. «Ha convinto Yazov a mandare un colonnello a Bach per fare una
"valutazione di affidabilità" dell'intero sistema. Questo colonnello Bondarenko dovrà fare un rapporto dettagliato su come funziona ogni cosa, ma non in linguaggio da addetti ai lavori, in modo che il ministro possa capire tutto e riferire al Politburo. Naturalmente Misha è stato incaricato di fare da tramite, per cui il rapporto passerà prima sul suo tavolo.»
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«Quel ragazzo che Ryan ha conosciuto — mi pare che si chiami Gregory —
voleva che noi facessimo entrare un uomo a Dushanbe,» disse Greer ridacchiando «ma Ryan gli ha detto che era impossibile.»
«Bene» commentò Ritter. «Tutti sanno che razza di falliti sono quelli della Direzione Operazioni.» Tutta la CIA si compiaceva in modo perverso del fatto che solo i suoi insuccessi facevano notizia. La Direzione Operazioni, in particolare, agognava i giudizi che la stampa continuava a riservarle. I fiaschi del KGB non ricevevano mai tanta attenzione quanto quelli della CIA, la cui immagine pubblica, alimentata con notevole frequenza, era largamente accettata anche dai servizi segreti russi. A nessuno era mai passato per la testa che quelle fughe di notizie fossero intenzionali.
«Vorrei» osservò sensatamente il giudice Moore «che qualcuno spiegasse a Misha che ci sono spie anziane e spie temerarie, ma ben poche spie anziane e temerarie.»
«E un uomo molto prudente, capo» fece notare Ritter. «Lo so.» Il direttore cominciò a scorrere la sua copia del messaggio.
Da quando è morto Dmitri Fedorovich, le cose non sono più le stesse al Ministero della Difesa, lesse. A volte mi domando se il maresciallo Yazov prende abbastanza sul serio questi nuovi sviluppi tecnologici, ma a chi posso esternare i miei dubbi? Mi crederebbe il KGB? Devo mettere in ordine le idee.
Sì, devo organizzare i miei pensieri prima di fare delle accuse. Ma posso infrangere le norme di sicurezza...? Che scelta., ho? Se non posso documentare i miei sospetti, chi mi darà ascolto? E duro dover trasgredire una norma importante, ma la salvezza dello Stato è più importante di tutti i regolamenti.
Deve esserlo.
Come i poemi omerici si aprivano sempre con l'invocazione alle Muse, così i messaggi di CARDINALE iniziavano invariabilmente in quel modo. L'idea era nata alla fine del 1960. I primi messaggi avevano la forma di fotocopie del suo diario privato. I russi sono diaristi inguaribili. Ogni volta il diario esordiva con un "grido di dolore slavo", l'espressione dell'inquietudine per le decisioni prese al Ministero della Difesa. Qualche volta esprimeva la preoccupazione sulla segretezza di un progetto specifico o sul funzionamento di un nuovo aereo o carroarmato. In ciascun caso venivano esaminati in dettaglio i meriti e i demeriti tecnici del prodotto o della decisione politica, ma in apparenza il discorso era sempre incentrato su un presunto problema burocratico all'interno del Ministero.
Se mai l'appartamento di Filitov fosse stato perquisito, il diario sarebbe stato facile da trovare, anziché nascosto come si pensava che lo avrebbe tenuto una spia. Il colonnello sarebbe stato inevitabilmente accusato di avere contravvenuto 69
a delle norme di sicurezza, il che poteva fruttargli un'ammonizione, ma restava sempre la speranza che Misha riuscisse in qualche modo a difendersi. Quanto meno, il concetto era quello.
Quando, fra una o due settimane, avrò la relazione di Bondarenko, forse potrò convincere il ministro che il progetto è veramente d'importanza vitale per la Patria, concludeva il diario.
«E così, si direbbe che hanno fatto una scoperta importante sulla potenza d'uscita del laser» disse Ritter.
«Il termine tecnico corrente è throughput» rettificò Greer. «Almeno, è quanto mi ha detto Jack. Non è una buona notizia, signori.»
«Il tuo abituale occhio acuto per le questioni di dettaglio, James» disse Ritter.
«Dio santo, e se loro ci battono sul tempo?»
«Non è la fine del mondo. Ricordati che ci vorranno dieci anni per mettere in atto il sistema, anche dopo l'approvazione del concetto, che sembra ancora parecchio lontana» fece notare il direttore della CIA. «Non ci sta cadendo il cielo sulla testa. Potrebbe addirittura operare a nostro vantaggio, non ti pare, James?»
«Sì, se Misha ce la fa a procurarci una descrizione utile della nuova scoperta.
Nella maggior parte dei settori siamo molto più avanzati noi di loro» rispose il vicedirettore alle Informazioni. «Ryan avrà bisogno di questo documento per il suo rapporto.»
«Non ha l'accesso a questo!» obiettò Ritter.
«Ha già dato un'occhiata alle informazioni Delta» replicò Greer.
«Una volta. Una sola, e per un motivo molto grave — e sì, ammettiamolo, ha fatto un buon lavoro per un dilettante. James, qui non c'è niente di utile per lui se non il fatto che esistono buoni motivi per sospettare che i russi hanno realizzato un — come si chiama, throughput? — nel campo dell'energia laser. Il giovane Gregory lo pensava già per conto suo. Di' a Ryan che abbiamo ottenuto la conferma del sospetto tramite altri canali. Giudice, può comunicare al Presidente che c'è qualcosa in pentola, ma che bisognerà aspettare qualche settimana. Non dovremo sbottonarci più di così per un po' di tempo.»
«Mi sembra sensato» assentì il giudice, e anche Greer lo ammise senza discutere.
Era forte la tentazione di dichiarare che questa era la missione più importante di CARDINALE, ma sarebbe stata un'affermazione troppo drammatica per i tre alti dirigenti. Inoltre, CARDINALE aveva fornito un bel po' di dati interessanti attraverso gli anni. Il giudice Moore rilesse il rapporto dopo che gli altri furono usciti. Foley aveva annotato, alla fine, che Ryan era letteralmente andato a sbattere in CARDINALE subito dopo che Mary Pat aveva affidato al colonnello il nuovo incarico — e proprio al cospetto del maresciallo Yazov. Il giudice 70
Moore scosse il capo. Che coppia, quei Foley. Era notevole il fatto che Ryan avesse, in un certo modo, stabilito il contatto con il colonnello Filitov. Scosse di nuovo il capo. Il mondo era veramente pazzo.
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Stelle Lucenti e navi veloci
Jack non si prese la pena di domandare quale "canale" avesse confermato i sospetti del maggiore Gregory. Le operazioni "in loco" erano un tipo di attività da cui tentava — perlopiù con successo — di prendere le distanze. La cosa essenziale era l'ammissione della notizia alla Classe 1 di affidabilità. Il sistema recentemente adottato dalla CIA di classificare con i numeri da 1 a 5 anziché con le lettere dalla A alla E era sicuramente il frutto di sei mesi di duro lavoro da parte di un qualche viceassistente sfornato dalla Business School di Harvard.
«E che cosa mi dice dei dati tecnici specifici?»
«Glieli comunicherò quando li avrò ricevuti» rispose Greer.
«Ho due settimane di tempo per partorire, capo» insisté Ryan. Le scadenze non erano mai divertenti. Lo erano ancora di meno quando il documento in gestazione era destinato al Presidente in persona.
«Mi sembra di averlo letto da qualche parte, Jack» rispose acido Greer.
«Quelli dell'ACDA mi telefonano tutti i giorni per sollecitare la dannata relazione. Ho l'impressione che finiremo per decidere di spedire lei a informarli per direttissima.»
Ryan trasalì. Lo scopo della sua "Valutazione per il Servizio Speciale Informazioni" era di contribuire a gettare le basi per la prossima seduta dei negoziati sugli armamenti. Anche la Arms Control and Disarmament Agency —
l'ACDA di cui parlava Greer — ne aveva bisogno, per sapere quanto pretendere e quanto ragionevolmente concedere. Era un peso supplementare sulle spalle di Jack ma, come Greer si compiaceva di ricordare all'interessati, Ryan dava il meglio di sé quando era sotto pressione. Ogni tanto Jack era tentato di "sballare"
una valutazione, al solo scopo di smentire quell'idea.
«Quando dovrò andare?»
«Non l'ho ancora deciso.»
«Può darmi due giorni di preavviso?»
«Vedremo.»
Il maggiore Gregory era a casa, cosa piuttosto insolita; altrettanto inconsueto era il fatto che si fosse preso un giorno di vacanza. Il generale aveva stabilito che lavorare sempre e non divertirsi mai stava cominciando a pesare sul giovane ufficiale. Non aveva pensato che Gregory poteva lavorare anche stando a casa.
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«Non ti fermi mai?» chiese Candi.
«Che cosa dovremmo fare, secondo te?»
Il complesso residenziale aveva il nome di Mountain View — "Miramonti": non era terribilmente originale. In quella parte del Paese, il solo modo per non vedere montagne era di chiudere gli occhi. Gregory aveva il suo personal computer — un potentissimo Hewlett-Packard fornito dal progetto — e occasionalmente lo usava per mettere giù un po' di appunti. Doveva stare molto attento al grado di segretezza di quel lavoro, e ogni tanto si prendeva in giro da solo dicendo che nemmeno lui era autorizzato a vedere ciò che faceva. Non era una situazione nuova all'interno degli enti governativi.
La dottoressa Candace Long, con il suo metro e settantasette, era più alta del fidanzato; una ragazza snella, con i capelli castani scuri tagliati corti. I denti erano male allineati perché da bambina non aveva mai sopportato le macchinette dei dentisti, e gli occhiali erano più spessi di quelli di Gregory.
Candi era magra perché, come molti accademici, era tanto presa dal lavoro che spesso dimenticava di mangiare. Si erano conosciuti a un seminario per laureandi alla Columbia University. Lei era specializzata in fisica ottica, particolarmente in specchi con ottica adattiva; aveva scelto quel campo a complemento del suo hobby di sempre, l'astronomia. Vivendo sull'altopiano del Nuovo Messico, aveva modo di fare le osservazioni con un telescopio Meade da cinquemila dollari; ogni tanto usava la strumentazione del progetto per scrutare i cieli, affermando che gli strumenti si taravano bene soltanto adoperandoli.
Provava poco interesse per la maniacale passione di Alan per la difesa contro i missili balistici, però era certa che gli strumenti che venivano elaborati per quel progetto si prestavano ad applicazioni "serie" nel settore che piaceva a lei.
Nessuno dei due era molto vestito in quel momento. Usavano autodefinirsi scherzosamente dei nerd* e, come spesso avviene, era nata fra di loro un'attrazione reciproca che i colleghi meglio dotati dal punto di vista estetico trovavano inconcepibile.
«Che cosa stai facendo?» domandò lei.
«Quei missili che avevamo... Credo che il problema stia nel codice di comando dello specchio.»
«Ah sì?» Era il suo specchio. «Sei proprio sicuro che si tratti del software?»
«Sì» affermò Gregory. «Ho i tabulati della Flying Cloud in ufficio. Si mette a fuoco molto bene, ma sul punto sbagliato.»
«Quanto tempo ci hai messo a scoprirlo?»
«Un paio di settimane.» Guardò con aria feroce lo schermo. «Al diavolo. Se il generale si accorge che oggi sto lavorando, mi sbatte fuori.»
* Neologismo americano abbastanza recente (1965) con il significato di bruttino, poco dotato, insignificante. [N.d.T.]
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«È da un pezzo che te lo dico.» Candi gli passò le braccia intorno al collo. Lui si lasciò andare, posando la testa fra i seni di lei. Piuttosto belli, pensò. Per Alan Gregory era stato sensazionale scoprire com'erano belle le donne. Era uscito occasionalmente con qualche ragazza ai tempi del liceo, ma a West Point e poi a Stony Brook aveva condotto vita monastica, fra studio, modellini e laboratori.
Quando aveva conosciuto Candi, si era interessato principalmente alle sue idee sulla conformazione degli specchi. Una volta, mentre prendevano il caffè all'Unione Studentesca, aveva constatato in modo quasi clinico che lei era... sì, era attraente, oltre a essere formidabile in fisica ottica. Il fatto che le cose di cui parlavano a letto sarebbero state incomprensibili per un buon novantanove per cento della popolazione era irrilevante. Per loro erano stimolanti quanto le cose che facevano a letto, o quasi. Anche in quel campo c'era da fare un sacco di sperimentazione; da buoni scienziati, avevano comperato libri di testo — così li chiamavano, loro — per esplorare tutte le possibilità. Lo trovavano eccitante, come ogni nuovo tipo di studio.
Gregory si allungò per prendere fra le mani la testa della dottoressa Long e attirò il viso di lei contro il suo.
«Non ho più voglia di lavorare.»
«Non è bello avere un giorno di vacanza?»
«Forse riesco a rimediarne un altro la prossima settimana.»
Boris Filipovich Morozov scese dal pullman un'ora dopo il tramonto. Era insieme ad altri quattordici giovani ingegneri e tecnici assegnati a Stella Lucente
— anche se non sapevano ancora il nome del progetto. All'aeroporto di Dushanbe erano stati accolti dagli uomini del KGB, che avevano esaminato con l'abituale rigore i loro documenti. Durante il viaggio in pullman un capitano del KGB aveva tenuto loro una conferenza molto seria sulla sicurezza, che tutti avevano ascoltato con la massima attenzione. Non dovevano parlare del loro lavoro con nessuno all'esterno della base; non potevano scrivere nulla sulle cose che facevano, né far sapere ad altri dove si trovavano. Il loro recapito per la corrispondenza era una casella all'ufficio postale di Novosibirsk, a più di millecinquecento chilometri di distanza. Il capitano non ebbe bisogno di dire che la corrispondenza sarebbe stata letta dagli addetti alla sicurezza. Morozov prese nota mentalmente di non chiudere le buste delle lettere che avrebbe scritto. La sua famiglia si sarebbe preoccupata se si fosse accorta che le lettere erano state aperte e richiuse. Oltre tutto, lui non aveva niente da nascondere. Le autorità avevano impiegato meno di quattro mesi per ammetterlo al nuovo incarico. I funzionari del KGB che avevano verificato il suo curriculum lo avevano trovato irreprensibile, e ognuna delle sei interviste che aveva dovuto subire si era conclusa in tono amichevole.
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Anche il capitano del KGB concluse il discorso su una nota allegra, descrivendo le attività sportive e sociali della base, e comunicando gli orari delle riunioni quindicinali del Partito. Morozov intendeva frequentarle con regolarità, compatibilmente con gli impegni di lavoro. Gli alloggi, continuò il capitano, erano ancora un problema. Morozov e gli altri nuovi sarebbero stati sistemati in una camerata — la caserma originariamente costruita dai muratori che avevano spianato l'area con le mine. Non sarebbero stati allo stretto, aggiunse, perché la caserma aveva una sala giochi, la biblioteca e anche un telescopio sul tetto per osservare la volta celeste; difatti il personale aveva già costituito un piccolo club astronomico. Ogni ora c'era il servizio di pullman per il complesso residenziale maggiore, dove avrebbero trovato un cinema, un caffè e un bar dove si poteva bere birra. Le donne non sposate residenti alla base erano esattamente trentuno, concluse il capitano, ma una di loro era fidanzata con lui e «il primo di voi che si azzarda a farle la corte sarà fucilato! ». Ci fu una risata generale. Non succedeva spesso di incontrare un ufficiale del KGB che avesse il senso dell'umorismo.
Era già buio quando il veicolo varcò il cancello della base, e tutti i passeggeri erano stanchi. Morozov non fu veramente deluso nel vedere gli alloggi. I letti erano a castello. Gli fu assegnato un posto in un angolo. Dei cartelli sulle pareti raccomandavano il silenzio nella camerata, perché alla base si lavorava ventiquattr'ore su ventiquattro in tre turni. Il giovane ingegnere fu ben lieto di cambiarsi e andare a letto. Fu assegnato alla Sezione Applicazioni Direzionali per un mese di orientamento sul progetto, dopo di che avrebbe avuto un incarico stabile. Si stava chiedendo che cosa potevano essere le "applicazioni direzionali", quando sprofondò nel sonno.
Il lato buono dei furgoni era che c'era molta gente che ne aveva, e l'osservatore occasionale non poteva vedere chi c'era dentro — pensò Jack mentre il veicolo bianco entrava nel suo garage. L'autista era della CIA, naturalmente, così come lo era l'uomo seduto sul sedile di destra. Il guidatore scese e osservò per un momento la zona prima di aprire la portiera, rivelando un viso familiare.
«Salve, Marko» disse Ryan.
«E così, questa è casa di spia!» esclamò in tono faceto l'ex capitano di Prima Classe della Marina sovietica Marko Ramius. Aveva molto migliorato il suo inglese ma, come molti immigrati, dimenticava di usare gli articoli. «No, casa di timoniere!»
Jack sorrise e scosse la testa. «Marko, non possiamo parlare di questo.»
«Tua famiglia non sa?»
«Nessuno sa, ma tu puoi stare tranquillo. I miei sono fuori.»
«Capisco.» Marko Ramius seguì Jack in casa. Sul suo passaporto, sulla 74
tessera della previdenza sociale e sulla patente di guida rilasciata in Virginia figurava il nome di Mark Ramsey. Un'altra manifestazione dell'originalità della CIA, però aveva un senso: era bene che gli interessati ricordassero con facilità il nuovo nome. Jack notò che l'amico era un po' più magro, adesso che mangiava meno farinacei. Era anche abbronzato. Quando si erano visti la prima volta, nella camera di salvataggio del sottomarino missilistico Ottobre Rosso, Marko
— ora Mark! — aveva il colorito pallido dei sommergibilisti. Adesso sembrava uscire da un manifesto pubblicitario del Club Mediterranee.
«Sembri stanco» osservò "Mark Ramsey".
«Mi fanno volare parecchio. Come ti trovi alle Bahamas?»
«Tu vedi mio colore, sì? Sabbia bianca, sole caldo ogni giorno. Come quando sono stato a Cuba, ma qui gente più simpatica.»
«Sei alla AUTEC, vero?» domandò Jack.
«Sì, ma non posso parlarne» rispose Marko. Si guardarono. L'Atlantic Underwater Test and Evaluation Center, il centro di prove e valutazioni sottomarine in Atlantico, era il poligono subacqueo della Marina, in cui uomini e navi erano impegnati in esercitazioni chiamate miniguerre. Tutto ciò che si faceva laggiù era, ovviamente, segreto. La Marina aveva un atteggiamento molto protettivo per quanto riguardava le operazioni subacquee. Quindi Marko era addetto all'elaborazione delle tattiche per la Marina, e indubbiamente recitava il ruolo del comandante sovietico nei war games, nei seminari e nello studio in genere. Nella Marina sovietica Ramius aveva avuto il soprannome di
"maestro di scuola". Le cose importanti non cambiano mai.
«Ti piace?»
«Tu non dire a nessuno, ma mi hanno fatto comandante di sottomarino americano per una settimana — vero comandante, lui lascia me fare tutto, sì? Io affondato portaerei! Sì! Ho affondato Forrestal. Sarebbero fieri di me a Flotta Settentrionale Bandiera Rossa, sì?»
Jack rise. «Come l'hanno presa quelli della Marina?»
«Comandante di sottomarino e io molto sbronzi, comandante di Forrestal infuriato ma... bravo sportivo, sì? Viene da noi prossima settimana e discutiamo esercitazione. Lui impara qualche cosa, così bene per tutti.» Ramius fece una pausa. «Dove è tua famiglia?»
«Cathy è andata a trovare suo padre. Joe e io non ci intendiamo tanto bene.»
«Perché tu sei spia?» volle sapere Marko/Mark.
«Motivi personali. Posso offrirti qualcosa da bere?»
«Birra va bene» rispose Marko, poi si guardò intorno mentre Jack andava in cucina. Il soffitto a cattedrale della casa torreggiava a quasi cinque metri sopra la spessa moquette. Tutto nella casa dimostrava che non si erano lesinate le spese per costruirla e arredarla in quel modo. Stava meditando con la fronte 75
corrugata quando Jack ritornò.
«Ryan, io non sono stupido» disse in tono di rimprovero. «CIA non paga abbastanza bene per questo.»
«Hai mai sentito parlare della Borsa?» domandò Ryan con una risatina.
«Sì, parte di miei soldi è investita lì.» Tutti gli ufficiali dell' Ottobre Rosso avevano tanto denaro da parte che non avrebbero mai più avuto bisogno di lavorare.
«Ebbene, io ho guadagnato un sacco di soldi in Borsa, poi ho deciso di lasciar perdere e di fare altro.»
Era un concetto inedito per il comandante Ramius. «Tu non hai... come è parola giusta? Avidità. Non hai più avidità?»
«Quanto denaro occorre a un uomo?» Ryan formulò la domanda pur sapendo che era retorica, e il comandante annuì pensieroso. «Allora, ho qualche domanda da farti.»
«Ah, lavoro!» Marko si mise a ridere. «Questo non hai dimenticato!»
«Durante l'interrogatorio hai detto che avevi diretto un'esercitazione nella quale tu hai lanciato un missile, e poi gli altri ne hanno lanciato uno a te.»
«Sì, anni fa — era 1981... Aprile, sì, era 20 aprile. Io comandavo sottomarino lanciamissili di classe Delta e noi lanciamo due missili da Mar Bianco, uno in Mare di Okhotsk, altro a Sary Shagan. Era collaudo di missili di sottomarino, naturale, ma anche di radar di difesa antimissili e sistema di controbatteria —
loro hanno simulato lanci di missile a mio sottomarino.»
«Hai detto che è andato a vuoto.»
Marko annuì. «Missili di sottomarino volano perfettamente. Il radar di Sary Shagan funziona, ma è troppo lento a intercettare — era problema di computer, dicono. Ultima cosa che so è che dicono di comperare nuovo computer. Però terza parte della prova quasi funziona.»
«Il fuoco di controbatteria. È la prima volta che ne sentiamo parlare» osservò Ryan. «Come avete veramente condotto la prova?»
«Loro non lanciano missile terra-terra, naturale» disse Marko. Alzò un dito.
«Se fanno così, voi capite natura di esercitazione, sì? Sovietici non sono stupidi come credete. Naturalmente tu sai che tutto confine sovietico è coperto da sbarramento radar. Radar vedono lancio di missile e calcolano dove è sottomarino — cosa molto facile da fare. Poi chiamano Comando Forza Missilistica Strategica. Comando ha reggimento di vecchi missili all'erta per questo. Loro erano pronti a lanciare contro me tre minuti dopo individuato mio missile su radar.» Fece una pausa. «Non avete questo in America?»
«No, che io sappia. Però i nostri nuovi missili colpiscono da molto più lontano.»
«Vero, ma per sovietici è sempre buona cosa.»
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«Quanto è affidabile quel sistema?»
Ramius alzò le spalle. «Non tanto. Problema è di quanto è pronta nostra gente. In tempo di — come dite? — tempo di crisi, sì? In tempo di crisi tutti sono attenti e sistema può funzionare abbastanza. Ma ogni volta che sistema funziona, molte, molte bombe non esplodono in Unione Sovietica. Anche una sola può salvare centomila cittadini. Questo è importante per capi sovietici.
Centomila schiavi in più da usare quando guerra finisce» aggiunse per sottolineare il proprio disgusto per il Governo della vecchia Patria. «Avete niente così in America?»
«No, per quanto ne so io» rispose Ryan con sincerità.
Ramius scosse la testa. «A noi dicono che voi avete. Quando noi lanciamo nostri missili, facciamo immersione profonda e navighiamo a massima velocità, linea retta in qualunque direzione.»
«Proprio in questi giorni sto cercando di capire quanto può essere interessante per il Governo sovietico copiare la nostra ricerca sullo scudo spaziale.»
«Interessante?» Ramius sbuffò. «Venti milioni di russi morti in Grande Guerra Patriottica. Credi che Governo vuole che succede di nuovo? Ti dico, sovietici in questo sono molto più intelligenti che americani — avuto lezione più dura e imparato meglio. Un giorno ti racconto di mia città dopo guerra, distruzione e tutto quanto. Sì, avuto molto buona lezione su difesa di Rodina. »
Questa è l'altra cosa da non dimenticare a proposito dei russi, pensò Ryan.
Non è che avessero la memoria straordinariamente lunga, ma avevano nella loro storia fatti impossibili da dimenticare. Pensare che i russi possano non ricordare le perdite subite durante la seconda guerra mondiale era futile quanto chiedere a un ebreo di dimenticare l'Olocausto, e altrettanto irragionevole.
E così, poco più di tre anni fa i russi hanno organizzato una grande esercitazione di difesa contro i missili balistici lanciati dai sommergibili. I radar di acquisizione e di inseguimento hanno funzionato, ma il sistema ha fatto fiasco a causa di un problema di computer. Era un fatto importante. Però...
«Il motivo per cui il computer non ha funzionato abbastanza bene...»
«E tutto quello che so. Posso solo dire che è stata discreta esercitazione.»
«Cosa significa?» domandò Jack.
«Nostri primi... sì, nostri originari ordini erano di lanciare da posizione conosciuta. Ma ordini sono cambiati appena sottomarino parte da banchina.
Riservati a comandante, nuovi ordini firmati da ministro di Difesa. Era colonnello di Armata Rossa, credo. Non ricordo suo nome. Ordini di ministro, ma firmati da colonnello, sì? Voleva che esercitazione fosse... come dite?»
«Spontanea?»
«Sì! Non spontanea. Vera prova deve essere sorpresa. Così miei ordini mandano me in posto diverso e dicono di lanciare a ora diversa. Abbiamo a 77
bordo generale di Voyska PVO, e quando vede nuovi ordini lui è come matto.
Molto, molto infuriato, ma che prova è senza sorpresa? Sottomarino americano lanciamissili non telefona a russi e dice "domani io sparo". O sei pronto o non sei pronto» concluse Ramius.
«Non sapevamo del suo arrivo» commentò freddamente il generale Pokryshkin.
Il colonnello Bondarenko ebbe cura di conservare un volto impassibile.
Anche se aveva gli ordini scritti del ministro della Difesa e apparteneva a un servizio completamente separato, era pur sempre di fronte a un generale che aveva dei protettori al Comitato Centrale. Anche il generale, però, doveva stare attento. Bondarenko indossava la sua divisa più nuova e di taglio migliore, con le file di nastrini, fra cui due decorazioni al valore guadagnate in Afghanistan, e il distintivo speciale degli ufficiali di Stato Maggiore del Ministero della Difesa.
«Compagno generale, sono spiacente se le ho recato disturbo, ma ho i miei ordini da eseguire.»
«Certo» ammise Pokryshkin con un sorriso che si andava allargando a poco a poco. Indicò il vassoio d'argento. « Tè?»
«Sì, grazie.»
Il generale versò personalmente il tè nelle due tazze senza chiamare l'ordinanza. «È l'ordine della Bandiera Rossa, questo? Afghanistan?»
«Sì, compagno generale, ci sono stato per un breve periodo.»
«Come se l'è meritata, la decorazione?»
«Ero stato assegnato a un reparto Spetznaz come osservatore speciale.
Stavamo inseguendo un piccolo gruppo di banditi. Purtroppo erano più furbi di quanto pensasse l'ufficiale al comando del reparto, che ci fece cadere in un'imboscata. Metà degli uomini fu uccisa o ferita, compreso l'ufficiale.» Che aveva meritato di morire, pensò Bondarenko. «Io presi il comando e chiesi soccorso. I guerriglieri si ritirarono prima che potessimo far giungere i rinforzi, ma lasciarono otto morti sul terreno.»
«E come ha fatto un esperto di comunicazioni...»
«Mi ero offerto volontario. Avevamo delle difficoltà con le comunicazioni tattiche, e io decisi di prendere personalmente in mano la situazione. Non sono un vero combattente, compagno generale, ma certe cose bisogna vederle di persona. Questa è una delle mie preoccupazioni a proposito di questa base.
Siamo pericolosamente vicini al confine afghano, e le vostre misure di sicurezza mi sembrano... non rilassate, ma forse un po' troppo comode.»
Pokryshkin manifestò il suo assenso con un cenno del capo. «La sicurezza è affidata agli uomini del KGB, come lei ha certamente notato. Sono responsabili verso di me, ma non sono strettamente ai miei ordini. Per il pronto avviso di 78
possibili minacce, ho un accordo con l'Aviazione d'attacco. La loro scuola di ricognizione aerea usa la valle come zona di addestramento. Un mio condiscepolo dell'Accademia Frunze ha predisposto la copertura di tutta quest'area. Se qualcuno viene qui dall'Afghanistan, ha molta strada da percorrere, e noi saremo informati molto prima che possa arrivare.»
Bondarenko notò la cosa con approvazione. Che fosse, o no, il "mezzano degli stregoni", Pokryshkin non aveva dimenticato tutto, come tende invece a fare la maggior parte dei generali.
«E così, Gennady Iosifovich, che cosa esattamente sta cercando?»
«Il ministro vuole una valutazione dell'efficacia e dell'affidabilità dei vostri impianti.»
«Che conoscenza ha dei laser?» domandò Pokryshkin alzando un sopracciglio.
«Conosco il settore delle applicazioni. Ero nell'é quipe organizzata dall'accademico Goremykin che ha elaborato i nuovi sistemi di comunicazione mediante i laser.»
«Davvero? Ne abbiamo qualcuno qui.»
«Non lo sapevo» disse Bondarenko.
«E così. Li usiamo nelle torri di guardia, e per collegare i laboratori con le officine. È più facile che far correre linee telefoniche, e molto più sicuro. La vostra invenzione si è rivelata veramente utile, Gennady Iosifovich. Bene. Lei sa, naturalmente, qual è la nostra missione qui.»
«Sì, compagno generale. Siete vicini al traguardo?»
«Avremo un'importante prova del sistema fra tre giorni.»
«Oh?» La notizia stupì Bondarenko.
«Soltanto ieri abbiamo avuto l'autorizzazione a eseguire la prova. Forse il ministro non è stato informato di tutti i particolari. Può fermarsi a vederla?»
«Non vorrei perderla per nulla al mondo.»
«Ottimo.» Il generale Pokryshkin si alzò. «Venga, andiamo a trovare i miei stregoni.»
Il cielo era sereno e limpido, della gradazione di azzurro tipica delle grandi altezze. Bondarenko guardò sorpreso il generale che guidava personalmente la UAZ-469, l'equivalente sovietico della jeep.
«Non ha bisogno di fare la domanda, colonnello. Guido io perché quassù non abbiamo posto per personale non indispensabile e io... insomma, sono stato pilota di caccia... Perché dovrei affidare la mia vita a un ragazzo imberbe capace sì e no di cambiare le marce? Le piacciono le nostre strade?»
Proprio no, pensò Bondarenko, mentre il generale si lanciava giù per la discesa. La pista non era più larga di cinque metri, con un precipizio sul lato del passeggero.
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«Dovrebbe provarle quando c'è il ghiaccio!» disse ridendo il generale.
«Ultimamente siamo stati fortunati con il tempo. L'autunno scorso abbiamo avuto piogge continue per quindici giorni. Insolito da queste parti, in genere il monsone dovrebbe scaricare tutta l'acqua sull'India. Però l'inverno è stato gradevolmente limpido e asciutto.» Cambiò marcia in fondo alla discesa.
Dall'altra direzione stava arrivando un autocarro, e Bondarenko fece del suo meglio per non sussultare quando i pneumatici del lato destro della jeep girarono a vuoto tra i sassi sul bordo irregolare della strada. Pokryshkin si stava divertendo un poco alle sue spalle, ma c'era da aspettarselo. Il camion passò a meno di un metro, e il generale riportò la jeep nel mezzo della strada. Cambiò di nuovo marcia per affrontare una salita.
«Non abbiamo nemmeno spazio per degli uffici presentabili quanto meno, non per il mio» disse Pokryshkin. «Gli scienziati hanno la precedenza.»
Bondarenko aveva visto soltanto una delle torri di guardia quella mattina, mentre correva intorno al complesso residenziale. Come la jeep si arrampicò per gli ultimi metri, fu visibile tutta la zona del progetto Stella Lucente.
C'erano quattro posti di controllo. A ognuno di essi il generale fermò il veicolo e mostrò il lasciapassare.
«Le torri di guardia?» domandò Bondarenko.
«Presidiate ventiquattr'ore su ventiquattro. È dura per i cekisti. Ho dovuto fare installare delle stufe elettriche nelle torri.» Il generale rise divertito. «Abbiamo più corrente elettrica di quanta possiamo usarne. Dapprima tenevamo anche dei cani da guardia negli spazi fra le recinzioni, ma abbiamo deciso di farne a meno.
Due settimane fa alcuni di loro sono morti per congelamento. Non credo che i cani possano essere molto utili. Ne abbiamo ancora qualcuno, ma li mandiamo in giro insieme alle guardie. Personalmente me ne libererei volentieri.»
«Ma...»
«Bocche in più da sfamare» spiegò Pokryshkin. «Appena nevica, le provviste devono essere portate quassù con gli elicotteri. I cani da guardia, per stare bene, devono mangiare carne. Che effetto avrebbe sul morale della base dare carne ai cani mentre gli scienziati non ne hanno abbastanza? I cani non valgono complicazioni del genere. Il comandante del KGB è d'accordo. Sta cercando di ottenere il permesso di disfarsene. Abbiamo telescopi a luce stellare in tutte le torri. Possiamo vedere un intruso molto prima che i cani abbiano la possibilità di fiutarlo.»
«Di che forza è il contingente delle guardie?»
«Una compagnia di fucilieri rinforzata. Centosedici uomini, compresi gli ufficiali, al comando di un tenente-colonnello. Almeno venti guardie sono in servizio ventiquattr'ore su ventiquattro — metà qui e metà sull'altra montagna.
Qui ci sono due uomini in ciascuna torre, quattro di pattuglia mobile, più 80
naturalmente le guardie di servizio ai posti di blocco dei veicoli. L'area è sicura, compagno colonnello. Una compagnia di fucilieri al completo, con armi pesanti, su questa cima... per verifica, lo scorso ottobre abbiamo fatto eseguire un'esercitazione d'assalto a un gruppo Spetznaz. Gli arbitri li hanno dati tutti per morti prima ancora che arrivassero a quattrocento metri dal perimetro. Per la verità, ci mancò poco che uno morisse davvero. Uno sbarbatello di tenente rischiò di precipitare nel burrone.» Pokryshkin si voltò verso Bondarenko.
«Soddisfatto?»
«Sì, compagno generale. La prego di scusare la mia natura forse troppo circospetta.»
«Non si è guadagnato quei nastrini colorati facendo il codardo» osservò in tono allegro il generale. «Sono sempre aperto a idee nuove. Se ha qualche cosa da dirmi, la mia porta non è mai chiusa a chiave.»
Bondarenko decise che il generale Pokryshkin avrebbe finito per andargli a genio. Era abbastanza lontano da Mosca per non comportarsi come un asino pomposo. A differenza della maggior parte dei generali, non si vedeva un'aureola intorno alla testa ogni volta che si faceva la barba. Forse si poteva sperare qualcosa di buono da quell'impianto. Filitov sarebbe stato contento.
«E come essere un topo, con un falco che vola nel cielo» osservò Abdul.
«Allora fa' come il topo» rispose tranquillo l'Arciere. «Sta' nascosto nell'ombra.»
Guardò in alto per vedere l'An-26. Era cinquemila metri sopra di loro; si udiva a malapena il sibilo dei motori a turbina. Troppo lontano per la portata di un missile, un vero peccato. Qualche altro mujaheddin lanciatore di missili aveva abbattuto un Antonov, ma non l'Arciere. Colpendo un Antonov c'era la probabilità di uccidere fino a quaranta russi. Inoltre i sovietici stavano imparando a usare come ricognitori degli aerei da trasporto opportunamente trasformati, il che rendeva più dura la vita per i guerriglieri.
I due uomini camminavano su uno stretto sentiero lungo il pendìo di un'altra montagna e il sole non lì aveva ancora raggiunti, anche se la valle era già in piena luce sotto il limpido cielo invernale. Sulla riva di un piccolo fiume si vedevano i ruderi di un villaggio bombardato. Forse ci avevano abitato duecento persone, prima che arrivassero i bombardieri d'alta quota. Si vedevano i crateri in file irregolari lunghe due o tre chilometri. Le bombe erano cadute a tappeto sulla valle. Coloro che non erano stati uccisi se n'erano andati in Pakistan, lasciandosi soltanto il vuoto alle spalle. Niente più cibo per i Combattenti per la Libertà, niente ospitalità, nemmeno una moschea in cui pregare. Una parte dell'Arciere continuava a domandarsi perché la guerra doveva essere così crudele. Una cosa era che gli uomini si combattessero fra loro: c'era onore in 81
questo, a volte ce n'era abbastanza per dividerlo con un nemico degno. Ma i russi non combattevano in quel modo. E poi ci chiamano selvaggi...
Quante cose se n'erano andate! L'uomo che lui era stato un tempo, le speranze che aveva nutrito per il futuro, tutto della sua vita di allora svaniva con il passare dei giorni. Questi pensieri lo visitavano soltanto nel sonno, ma quando si svegliava i sogni di una vita pacifica e serena gli sfuggivano di mano come la nebbia del mattino. Ma anche i sogni stavano morendo. Riusciva ancora a vedere i visi dei suoi cari: la moglie, il figlio, la bambina — ma ormai erano come le fotografie: morti, crudeli ricordi di un tempo che non sarebbe mai più tornato. Però davano uno scopo alla sua vita. Quando provava pietà per le vittime, quando non era certo che Allah approvasse le sue azioni — uno dei dubbi che lo avevano angosciato, in un primo tempo — chiudeva gli occhi per un attimo. Ricordava, allora, perché le urla dei russi morenti erano dolci al suo orecchio quanto il grido appassionato di sua moglie.
«Se ne sta andando» disse Abdul.
L'Arciere si voltò a guardare. Il sole si rifletteva sul timone direzionale dell'aereo che passava oltre la catena dei monti. Anche se lui fosse stato in cima alla cresta rocciosa, l'An-26 sarebbe stato fuori portata. I russi non erano sciocchi. Non volavano più basso dell'indispensabile. Se voleva proprio colpire uno di quelli, avrebbe dovuto piazzarsi vicino a una pista di decollo... o forse studiare una tattica nuova. Era un'idea. L'Arciere cominciò a riordinarsi nella testa gli elementi del problema, mentre camminava lungo l'interminabile sentiero pietroso.
«Funzionerà?» chiese Morozov.
«Lo scopo della prova è proprio quello; vedere se funziona» spiegò pazientemente l'ingegnere anziano. Ricordava il tempo in cui era stato anche lui giovane e smanioso. Morozov aveva tutti i numeri per fare strada — i suoi documenti universitari lo dimostravano senza ombra di dubbio. Figlio di un operaio di Kiev, l'intelligenza e l'impegno concreto gli avevano procurato l'ammissione alla scuola più prestigiosa dell'Unione Sovietica, dove aveva ottenuto i punteggi massimi, tanto alti da giustificare l'esonero dal servizio militare — cosa, quest'ultima, quasi impensabile per chi non avesse importanti raccomandazioni politiche.
«E questo è il nuovo rivestimento ottico...» Morozov osservò lo specchio da pochi centimetri di distanza. Entrambi i tecnici indossavano tuta, maschere e guanti per non danneggiare la superficie riflettente dello specchio numero quattro.
«Come lei ha indovinato, questo è uno degli elementi della prova.»
L'ingegnere si voltò. «Pronti!»
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«Allontanatevi!» gridò un tecnico.
I due salirono una scaletta fissata al pilastro, poi presero posto sulla piattaforma di cemento intorno al foro.
«Abbastanza profondo» osservò Morozov.
«Sì, dobbiamo accertare l'efficacia delle nostre misure antivibrazione.»
L'ingegnere aveva qualche preoccupazione a quel proposito. Udì il rumore di una jeep, e si voltò in tempo per vedere il comandante della base che entrava con un altro uomo nella costruzione in cui c'erano i laser. Un ennesimo visitatore da Mosca, pensò. Come riusciremo a finire il lavoro con tutti quei tirapiedi del Partito che ci soffiano sul collo?
«Conosce il generale Pokryshkin?» domandò a Morozov.
«No. Che tipo è?»
«Ne ho conosciuti di peggiori. Come la maggior parte delle persone, pensa che i laser siano la parte importante. Lezione numero uno, Boris Filipovich: gli specchi sono la parte importante — gli specchi e i computer. I laser sono inutili se non possiamo concentrare la loro energia su di un punto specifico nello spazio.» La lezione fece capire a Morozov qual era la parte del progetto che rientrava nelle competenze del suo interlocutore, ma lui, benché giovane, conosceva già la lezione fondamentale: l' intero sistema doveva funzionare alla perfezione. Un solo segmento imperfetto bastava a trasformare il più costoso congegno esistente nell'Unione Sovietica in una collezione di giocattoli bizzarri.
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Occhio di serpente / Faccia di drago
Il Boeing 767 in versione speciale aveva due nomi. Originariamente battezzato Supporto Ottico Aviotrasportato, adesso era chiamato Cobra Belle, che almeno era più gradevole all'orecchio. L'aereo era poco più di una piattaforma per il telescopio più grande che si era potuto costruire, compatibilmente con la necessità di montarlo sul grande aereo di linea. I tecnici si erano concessi qualche libertà, aggiungendo alla fusoliera un'antiestetica gobba che cominciava subito dopo la cabina di pilotaggio, a metà della lunghezza. Così il 767 rassomigliava a un serpente che avesse appena inghiottito un corpo abbastanza grande per soffocarlo.
La cosa più notevole dell'aereo, però, era la scritta sul timone direzionale: US.
ARMY. Questo fatto, che mandava su tutte le furie quelli dell'Aviazione, era il risultato di un'insolita prescienza e caparbietà da parte dell'Esercito. In effetti, l'Esercito non aveva sospeso nemmeno negli anni Settanta lo studio sulla difesa contro i missili balistici. I suoi laboratori — chiamati correntemente "hobby 83
shops" — avevano inventato i sensori infrarossi del sistema.
Adesso l'iniziativa faceva parte di un programma dell'Aviazione il cui appellativo globale era Cobra. Operava in coordinazione con il radar Cobra Dane a Shemya, e a volte volava con l'aereo chiamato Cobra Belle — il 767
adattato — perché Cobra era il prefisso di tutta una serie di sistemi predisposti per individuare e seguire i missili sovietici. L'Esercito vedeva gratificata la propria vanità dal fatto che l'Aviazione avesse bisogno del suo aiuto, ma al tempo stesso teneva gli occhi aperti per rintuzzare ogni eventuale tentativo di indebita appropriazione del programma.
L'equipaggio dell'aereo fece i controlli di rito con molta calma, perché c'era tutto il tempo. Gli uomini venivano dalla Boeing. Fino a quel momento l'Esercito aveva respinto con successo i ripetuti attacchi dell'Aviazione che voleva mettere il proprio personale nella cabina di pilotaggio. Il copilota, che era stato nell'U.S. Air Force, fece scorrere il dito sull'elenco delle cose da fare, leggendole a una a una con voce che non era né euforica né annoiata. Il pilota e il tecnico di volo/navigatore premevano i pulsanti, controllavano gli indicatori delle varie funzioni, insomma, facevano tutto quanto era necessario perché l'aereo potesse volare sicuro.
La complicazione maggiore era rappresentata dalle condizioni atmosferiche al suolo. Shemya, una delle Aleutine, è un'isoletta di circa sei miglia per tre, il cui punto più alto è a soli settantadue metri sopra il livello del mare grigio ardesia.
Quelle che passavano mediamente per condizioni accettabili a Shemya, avrebbero provocato la chiusura di qualsiasi altro aeroporto. Quello che, in quel momento, chiamavano cattivo tempo, faceva rimpiangere all'equipaggio del Boeing i cingolati anfibi da sbarco. Alla base americana erano tutti convinti che l'unico motivo per cui i russi facevano gli esperimenti ICBM nel Mare di Okhotsk era di rendere infelice la vita per gli americani che li monitorizzavano.
Questa volta il tempo era discreto. Si poteva vedere quasi tutta la pista, fino all'estremità più lontana, dove le luci azzurre erano circondate da piccoli globi di nebbia. Come quasi tutte le persone che viaggiano in aereo, il pilota preferiva la luce diurna, che però in quel luogo era inesistente durante l'inverno.
Nell'insieme aveva di che rallegrarsi: era previsto un tetto di nubi a circa cinquecento metri d'altezza, e non pioveva ancora. I venti al traverso erano un problema, ma in quel posto i venti non soffiavano mai dove avresti voluto — o meglio, chi aveva progettato la, pista non sapeva, o non si era preoccupato di sapere, che i venti sono un fattore importante per il decollo e per l'atterraggio.
«Torre di controllo di Shemya, qui Charlie Bravo, pronto a rullare.»
«Charlie Bravo, avete il permesso di rullare. Venti a quindici nodi, direzione due-cinque-zero.» La torre non aveva bisogno di dire che il Cobra Belle era il numero uno nell'elenco. In quel momento il 767 era l'unico aereo presente alla 84
base. In teoria, si trovava in California per il collaudo delle apparecchiature, ma era stato spedito lì d'urgenza soltanto ventiquattr'ore prima.
«Roger. Charlie Bravo sta rullando.» Dieci minuti dopo il Boeing si portava all'estremità della pista per iniziare quella che si prospettava come un'altra missione di routine.
Venti minuti più tardi l'aereo raggiunse la quota di crociera di tredicimilaseicento metri. Il volo era scorrevole come lo è normalmente sugli aerei di linea. Però, a differenza dei passeggeri dei voli ordinari che a quel punto sorseggiavano i primi drink e cominciavano a studiare il menù, qui le persone a bordo avevano già sganciato le cinture di sicurezza e si erano messe al lavoro.
C'erano strumenti da attivare, computer da avviare, catene di dati da organizzare e segnali vocali di chiamata da verificare. L'aereo era equipaggiato di tutti i sistemi di comunicazione esistenti. Sarebbe stato molto significativo sul piano psicologico se quel programma del Ministero della Difesa fosse progredito nel modo originariamente auspicato. L'uomo che lo dirigeva era un artigliere laureato in astronomia all'Università del Texas. Il suo ultimo incarico sul campo era stato il comando di una batteria di missili Patriot in Germania.
Mentre la maggior parte degli uomini che guardavano un aereo sentivano il desiderio di volarci su, lui aveva sempre e solo sperato di abbatterlo. Provava lo stesso sentimento nei confronti dei missili balistici, e aveva partecipato all'elaborazione delle modifiche che avevano permesso al Patriot di abbattere non solo gli aerei sovietici, ma anche i loro missili. Aveva inoltre un'intima familiarità con gli strumenti usati per seguire i missili in volo.
Il programma della missione che il colonnello aveva in mano era una copia telefax inviata dalla direzione della DIA — Defense Intelligence Agency di Washington —, in cui lo si informava che entro quattro ore e sedici minuti i sovietici avrebbero eseguito un lancio di prova del missile balistico intercontinentale SS-25. Il tabulato non diceva come aveva fatto la DIA a procurarsi quell'informazione, ma il colonnello sapeva che non l'aveva sicuramente scoperta leggendo le Izvestia.
La missione del Cobra Belle era di monitorizzare il lancio, intercettare tutte le trasmissioni di telemetria provenienti dagli strumenti di prova del missile e, più importante di tutto il resto, fotografare le testate in volo. I dati raccolti sarebbero stati esaminati in seguito per determinare il funzionamento del missile e soprattutto la precisione della traiettoria della testata, questione che rivestiva la massima importanza per Washington.
Come capo della missione, il colonnello non aveva molto da fare. La sua consolle di controllo era un pannello di luci colorate che lo informavano dello stato dei vari sistemi a bordo. Poiché il Supporto Ottico Aviotrasportato era un complesso relativamente nuovo, tutti i suoi impianti funzionavano piuttosto 85
bene. In quel momento l'unica cosa non a posto era il collegamento sostitutivo per la trasmissione dei dati, e un tecnico stava lavorando per reinserirlo, mentre il colonnello beveva il caffè. Gli costava qualche sforzo manifestare interesse mentre non aveva niente di speciale da fare, ma se avesse cominciato ad avere un'aria annoiata, avrebbe costituito un cattivo esempio per i subalterni. Pescò una butterscotch da una tasca sulla manica della tuta di volo. Quelle caramelle al latte erano più sane delle sigarette che fumava quando era tenente, ma più dannose per i denti, come non mancava di ricordargli il medico della base. Il colonnello succhiò la caramella per cinque minuti, poi decise che doveva fare qualcosa. Sganciò la cintura della poltrona comando e andò a prua, alla cabina di pilotaggio.
«Salute, gente.» Erano le ore 00,04 di Greenwich, corrispondenti alle 12,04
locali.
«Buongiorno, colonnello» rispose il pilota a nome dell'equipaggio. «Funziona tutto bene là dietro?»
«Sì, fino adesso. Com'è il tempo nella zona di ricognizione?»
«Coperto disotto a quota fra tremilacinquecento e quattromilacinquecento metri» annunciò il navigatore che teneva in mano una foto da satellite. «Venti da rilevamento tre-due-cinque alla velocità di trenta nodi. I nostri sistemi di navigazione coincidono con la traccia da Shemya» aggiunse. Normalmente l'organico del 767 comprendeva due navigatori, ma non per questo aereo. Da quando l'apparecchio del volo 007 della Korean Air era stato abbattuto dai sovietici, tutti coloro che sorvolavano il Pacifico occidentale stavano molto attenti alla rotta. Ciò era doppiamente vero per il Cobra Belle: i sovietici odiavano tutte le piattaforme destinate alla raccolta di dati. Il Cobra Belle teneva sempre una distanza minima di ottanta chilometri dal confine sovietico, e non si avventurava mai nella Zona di Identificazione della Difesa Aerea. Ciò nonostante, i sovietici avevano fatto alzare due volte i caccia per informare il Supporto Ottico Aviotrasportato che lo tenevano d'occhio.
«Bene, non abbiamo bisogno di avvicinarci troppo» osservò il colonnello. Si sporse tra il pilota e il copilota per guardare fuori. Entrambi i turbogetti stavano funzionando bene. Avrebbe preferito un quadrimotore per quel lungo volo sopra l'oceano, ma qualcun altro aveva deciso altrimenti. Il navigatore alzò un sopracciglio nel vedere l'interessamento del colonnello, che gli diede una pacca sulla spalla a titolo di scusa. Era ora di tornare al suo posto.
«Quanto manca alla zona di osservazione?»
«Tre ore e diciassette minuti, colonnello: tre ore e trentanove minuti al punto orbitale.».
«Ho il tempo di fare un sonnellino» disse il colonnello dirigendosi verso la porta. La chiuse e andò a poppa, oltre il telescopio piazzato nella cabina 86
principale. Perché mai gli equipaggi degli aerei adesso erano così maledettamente giovani? Magari pensano che ho bisogno di dormire, e non che mi sto annoiando a morte.
A prua, il pilota e il copilota si scambiarono uno sguardo. Il vecchio non crede che siamo abbastanza bravi per pilotare il fottuto aereo, non è vero? Si sistemarono più comodamente nei sedili, con gli occhi che scrutavano il cielo alla ricerca delle luci lampeggianti di altri aerei, mentre il loro era affidato al pilota automatico.
Morozov era vestito come tutti gli altri scienziati nella sala di controllo, in camice bianco con il lasciapassare di sicurezza. Era ancora nella fase di orientamento, e la sua assegnazione al gruppo degli addetti agli specchi era probabilmente provvisoria, ma lui cominciava già a rendersi conto di quanto fosse importante quella parte del programma. A Mosca aveva imparato il funzionamento dei laser, e fatto alcuni lavori di alto livello su modelli sperimentali, ma non aveva mai veramente capito che quando l'energia esce dalla parte frontale degli strumenti, si è appena all'inizio del compito. Inoltre, Stella Lucente aveva già fatto le scoperte importanti sulla potenza del laser.
«Riciclare» disse l'ingegnere capo.
Stavano verificando la taratura del sistema puntando gli specchi su una stella lontana. Non aveva importanza sapere di che stella si trattava. Ne sceglievano una a caso per ogni prova.
«Un accidente di telescopio, eh?» osservò l'ingegnere guardando il monitor.
«Lei si preoccupava per la stabilità del sistema. Perché?»
«Ci occorre un alto grado di precisione, come lei può facilmente immaginare.
Non abbiamo mai collaudato l'intero sistema. Possiamo seguire abbastanza bene le stelle, però...» Si strinse nelle spalle. «Il programma è ancora giovane, amico mio. Proprio come lei.»
«Perché non usiamo il radar per scegliere un satellite e rilevare quello?»
«Domanda intelligente» ammise l'anziano. «L'ho fatta anch'io. Ha qualcosa a che vedere con gli accordi sul controllo delle armi o qualche altra idiozia del genere. Per il momento, dicono, basta che ci forniscano loro le coordinate dei bersagli tramite le ordinarie comunicazioni di superficie. Non dobbiamo acquisirle noi. Tutte sciocchezze!» concluse.
Morozov si guardò intorno. Dall'altra parte della sala, l' équipe del controllo laser si stava dando un gran da fare; alle loro spalle c'era un gruppo di militari in uniforme che conversavano sottovoce. Guardò poi l'orologio: mancava un'ora e tre minuti all'inizio della prova. Uno per volta, i tecnici uscirono dalla sala per andare al bagno. Né lui né il caposezione ne sentivano il bisogno. Il capo si dichiarò soddisfatto degli strumenti, e mise tutto in standby.
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A trentacinquemila chilometri di altezza un satellite dell'American Defense Support Program — ADSP — era sospeso in orbita geostazionaria sopra un punto fisso nell'Oceano Indiano. Il suo enorme telescopio a fuoco di Cassegrain era puntato in permanenza sull'Unione Sovietica, e la sua missione era di dare il primo allarme se un missile russo veniva lanciato contro gli Stati Uniti. I dati erano trasmessi via Alice Springs, Australia, a varie basi negli Stati Uniti. Le condizioni di visibilità in quel momento erano ottimali. Quasi tutto l'emisfero terrestre visibile era immerso nell'oscurità; il freddo suolo invernale mostrava immediatamente, con ottima definizione, la benché minima fonte di calore.
I tecnici che monitorizzavano il DSPS a Sunnyvale, in California, si concedevano il modesto svago abituale di contare gli impianti industriali.
C'erano le Acciaierie Lenin a Kazan, la grande raffineria fuori Mosca, e anche...
«Occhio!» annunciò un sergente. «Abbiamo una luminosità da energia a Plesetsk. Si direbbe un missile lanciato dall'impianto di prova ICBM.»
Il maggiore che era di guardia quella notte chiamò immediatamente al telefono il "Palazzo di Cristallo" del NORAD, ubicato ai piedi della Cheyenne Mountain nel Colorado, per assicurarsi che anche loro ricevessero i dati trasmessi dal satellite. Naturalmente li ricevevano.
«È il lancio missilistico di cui ci hanno parlato» disse il maggiore.
Mentre stavano in osservazione, videro l'immagine luminosa dello scarico del razzo propulsore curvare verso est, seguendo il missile nella traiettoria balistica da cui prendeva il nome. Il maggiore conosceva a memoria le caratteristiche di tutti i missili sovietici. Se fosse stato un SS-25, il primo stadio si sarebbe separato all'incirca... adesso.
Lo schermo s'illuminò di colpo all'apparire di una palla di fuoco del diametro di seicento metri. La telecamera in orbita fece l'equivalente strumentale di un battito di palpebre, modificando la propria sensibilità, quando i sensori furono abbagliati dall'improvvisa esplosione di energia termica. Tre secondi dopo fu in grado di mettere a fuoco una nuvola di frammenti ad alta temperatura che descrivevano una parabola luminosa cadendo sulla terra.
«Si direbbe che uno è esploso» disse il sergente, anche se era un'osservazione superflua. «Ivan, rimettiti al tecnigrafo...»
«Non hanno ancora risolto il problema del secondo stadio» aggiunse il maggiore. Pensò per un momento a quale poteva essere il problema, ma non se ne preoccupò più che tanto. I sovietici avevano avuto fretta di mettere in produzione gli SS-25 e avevano già cominciato a montarli su carri ferroviari per renderli mobili, però avevano ancora dei problemi con il missile a combustibile solido. Al maggiore la cosa faceva piacere. Con i missili, bastava un minimo di inaffidabilità per renderne l'uso estremamente avventuroso. Era senza dubbio la migliore garanzia per la pace.
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«Palazzo di Cristallo, dichiariamo questa prova fallita cinquantasette secondi dopo il lancio. Il Cobra Belle è in volo a seguire la prova?»
«Affermativo» rispose l'ufficiale dall'altro capo del filo. «Provvediamo a richiamarlo.»
«Okay. 'Notte, Jeff.»
A bordo del Cobra Belle, dieci minuti più tardi, il comandante della missione accusò ricevuta del messaggio e disinserì il canale radio. Guardò l'ora e sospirò.
Non aveva ancora voglia di ritornare a Shemya. Il capitano responsabile delle apparecchiature accennò che lui e i suoi uomini avrebbero potuto usare il tempo disponibile per tarare gli strumenti. Il colonnello riflette un attimo, poi accordò il permesso. Tanto l'aereo quanto l'equipaggio erano nuovi e avevano bisogno di fare pratica. Un computer che registrava tutte le fonti di energia scoperte dal telescopio cominciò una ricerca limitata alle fonti in movimento. I tecnici addetti agli schermi osservarono l'indicatore di bersagli mobili che eliminava rapidamente le stelle e cominciava a localizzare i satelliti a bassa quota e i frammenti di residui vaganti nello spazio. Il sistema di telecamere era abbastanza sensibile per captare il calore irradiato da un corpo umano alla distanza di millecinquecento chilometri, per cui fu presto disponibile una vasta gamma di bersagli. La telecamera li agganciò a uno a uno e ne fece l'immagine fotografica in codice digitale su nastro. Benché fosse essenzialmente un esercizio di addestramento, i dati sarebbero stati trasmessi automaticamente al NORAD, dove avrebbero aggiornato il registro delle informazioni sugli oggetti in orbita.
«Il progresso che avete realizzato nella potenza in uscita è sensazionale» disse Bondarenko.
«Vero» confermò il generale Pokryshkin. «È sorprendente il modo in cui avvengono queste cose, non crede? Uno dei miei stregoni nota una cosa e la dice a un altro, il quale a sua volta la racconta a un terzo, quest'ultimo dice qualche cosa che fa il percorso a ritroso e arriva al primo stregone, e così via. Abbiamo qui le migliori teste del Paese, eppure le scoperte avvengono in un modo che è scientifico quanto farsi un livido sbattendo in un mobile! È questo l'aspetto bizzarro, che però rende ancora più emozionanti le scoperte. Gennady Iosifovich, questo lavoro è il più emozionante che mi sia capitato di fare da quando ho preso il brevetto di pilota! Questo luogo cambierà il mondo. Dopo trent'anni di lavoro abbiamo messo a punto i fondamenti di un sistema per proteggere la Rodina, contro i missili nemici.»
Bondarenko considerava eccessiva quell'affermazione, ma la prova avrebbe dimostrato se e quanto lo era. In ogni modo, Pokryshkin era l'uomo giusto per 89
quel progetto. L'ex pilota era un genio per dirigere gli sforzi degli scienziati e dei tecnici, molti dei quali avevano un ego grande come un carroarmato, ma molto più fragile. Quando doveva strapazzare la gente, Pokryshkin lo faceva — e così pure quando doveva lusingarla. Era di volta in volta il padre, lo zio, il fratello di ognuno di loro. Solo un uomo dal grande cuore russo poteva farlo. Il colonnello pensava che l'aver comandato dei piloti di caccia doveva essere stato un buon allenamento per il compito attuale. L'equilibrio fra la pressione e l'incoraggiamento era delicato e difficile, ma al generale veniva spontaneo come respirare. In quella base, Bondarenko stava apprendendo delle nozioni che gli sarebbero state utili per la carriera.
La sala di controllo era separata dall'edificio dei laser, e troppo piccola per le apparecchiature e gli uomini che doveva contenere. C'erano più di cento tecnici
— di cui sessanta laureati in fisica — e anche quelli che venivano chiamati soltanto periti avrebbero potuto tenere una cattedra di scienze in qualunque università dell'Unione Sovietica. Stavano seduti o in piedi a vegliare sulle consolle. I più fumavano, e l'impianto di condizionamento che raffreddava gli elaboratori stentava a tenere pulita l'aria. C'erano pannelli digitali un po'
dappertutto. Molti segnavano l'ora: quella di Greenwich che veniva usata per i satelliti; l'ora locale e, ovviamente, l'ora di Mosca. Altri schermi mostravano le coordinate esatte del satellite bersaglio, il Cosmos-1810, che portava il numero d'identificazione internazionale per satelliti 1986-102A. Era stato lanciato dal Cosmodromo di Tyuratam il 26 dicembre 1986, e girava ancora lassù perché non era riuscito a deorbitare. Le rilevazioni telemetriche indicavano che i suoi impianti elettrici erano ancora funzionanti, ma che l'orbita stava decadendo lentamente, con un perigeo — il punto più basso — che in quel momento era di centottanta chilometri proprio sopra Stella Lucente. Si stava avvicinando in quel momento.
«Potenza massima!» ordinò l'ingegnere capo sull'interfono collegato agli auricolari degli operatori. «Ultimo controllo del sistema.»
«Le telecamere di rilevamento sono in linea» rispose uno dei tecnici. «Flusso del criogenico al valore nominale.»
«Gli specchi hanno i comandi di ricerca in automatico» riferì l'ingegnere che sedeva accanto a Morozov. Il giovane tecnico era sul bordo della poltrona girevole, con gli occhi incollati al teleschermo ancora vuoto.
«Elaboratori in sequenza automatica» comunicò un terzo.
Bondarenko beveva il suo tè, tentando senza successo di restare calmo. Aveva sempre desiderato assistere al lancio di un veicolo spaziale, ma non era mai riuscito a farlo. L'evento di cui sarebbe stato testimone fra poco apparteneva a quella categoria. Si sentiva travolto dall'emozione. Intorno a lui, le macchine e gli uomini formavano un'unica entità che voleva fare accadere qualcosa mentre i 90
tecnici, l'uno dopo l'altro, davano pronti se stessi e i loro strumenti. Giunse poi la conferma finale:
«Tutte le apparecchiature laser sono a potenza massima e in linea».
«Siamo pronti a sparare» disse l'ingegnere capo a conclusione della litania.
Tutti gli occhi si fissarono sul lato destro dell'edificio, dove la squadra delle telecamere di ricerca teneva gli strumenti puntati su un tratto dell'orizzonte a nord-ovest. Comparve un puntino bianco che saliva nella cupola nera del cielo notturno...
«Acquisizione bersaglio!»
L'ingegnere vicino a Morozov alzò le mani dal quadro dei comandi per essere certo di non toccare inavvertitamente qualche pulsante. La spia dell'automatico continuava a lampeggiare.
Duecento metri più in là, i sei specchi collocati intorno all'edificio che ospitava i laser ruotarono su se stessi e si orientarono tutti insieme, disponendosi quasi perpendicolarmente al terreno per inseguire un bersaglio che si librava sopra il profilo frastagliato delle montagne. Come il bersaglio si alzò, i quattro specchi della serie a immagini fecero altrettanto. All'esterno squillarono le sirene d'allarme e i fasci ruotanti dei riflettori avvisarono tutti di tenersi lontani dall'edificio dei laser.
Sul teleschermo vicino alla consolle dell'ingegnere capo era posata una fotografia del Cosmos-1810. Come definitiva sicurezza contro gli errori, lui e tre collaboratori avevano predisposto l'identificazione visiva del bersaglio.
«Quello è il Gosmos-1810» disse il capitano al colonnello sul Cobra Belle.
«Satellite da ricognizione scassato. Deve avere un guasto al motore per il rientro
— non è ritornato quando gli è stato trasmesso l'ordine. È in orbita decrescente, a questo punto dovrebbe avere solo quattro mesi di vita. Continua a inviare dati telemetrici di routine. Niente d'importante, per quanto ci risulta, serve solo a ricordare ai russi che è sempre lassù.»
«I pannelli solari dovrebbero ancora funzionare» disse il colonnello. Il calore veniva dall'energia interna.
«Già. Mi domando perché non lo hanno ancora spento... Comunque, la temperatura a bordo da una lettura di, vediamo, quindici gradi centigradi o giù di lì. Abbiamo un bello sfondo freddo su cui leggerla. Con la luce del sole forse non avremmo potuto apprezzare la differenza fra il calore di bordo e quello solare...»
Gli specchi della serie di trasmettitori laser ruotavano lentamente, ma il movimento era percettibile sui sei monitor che li seguivano. Un laser di bassa potenza si rifletteva su uno degli specchi, e il raggio frugava il cielo alla ricerca 91
del bersaglio... Oltre a guidare il puntamento dell'intero sistema, produceva un'immagine ad alta risoluzione sul quadro di comando. Adesso l'identità del bersaglio era stata confermata. L'ingegnere capo girò la chiave che abilitava il sistema. Stella Lucente era completamente uscita dalle mani degli uomini, ed era comandata unicamente dal complesso principale di computer.
«È stato agganciato il bersaglio» disse Morozov al collega più anziano.
L'ingegnere fece un cenno di assenso. La sua lettura della distanza stava scendendo rapidamente man mano che il satellite si avvicinava, orbitando verso la distruzione alla velocità di ventinovemila chilometri orari. L'immagine che i tecnici vedevano era una macchia un po' oblunga, che spiccava bianca per il calore interno contro un cielo completamente freddo. Era esattamente al centro del reticolo di mira, come una sagoma ovale nel mirino di un fucile.
Naturalmente non si sentì alcun rumore. L'edificio dei laser era completamente isolato agli effetti termici e acustici. Anche a livello del suolo non si vide nulla. Però, nell'osservare gli schermi televisivi nella sala di controllo, cento e più persone strinsero i pugni nel medesimo istante.
«Cosa diavolo...!» esclamò il capitano. L'immagine del Cosmos-1810 si fece di colpo luminosa come il sole. Il computer adeguò immediatamente la propria sensibilità, ma per alcuni secondi non fu in grado di tenere il passo con il cambiamento della temperatura come appariva sul display.
«Che cosa diavolo ha colpito... signore, non può essere la temperatura interna.» Il capitano batté una serie di numeri sulla tastiera e ottenne la lettura digitale della temperatura apparente del satellite. Il calore irradiato da un oggetto è il quadrato del quadrato della sua temperatura. «Signore, la temperatura del bersaglio è salita da 15 °C a... si direbbe 1800 °C in meno di due secondi. Continua a salire... un momento, sta scendendo... no, sale di nuovo in modo irregolare, quasi come... Adesso scende. Che accidente può essere stato?»
Alla sua sinistra il colonnello cominciò a premere pulsanti sulla consolle per le comunicazioni, attivando un collegamento cifrato via satellite con Cheyenne Mountain. Parlò nel tono concreto che i militari riservano alle peggiori catastrofi. Il colonnello non nutriva dubbi su ciò che aveva visto.
«Palazzo di Cristallo, qui Cobra Belle. State in attesa per ricevere un messaggio Superflash.»
«Stiamo in attesa.»
«Abbiamo un caso di alta energia. Ripeto, stiamo seguendo un caso di alta energia. Cobra Belle dichiara un Dropshot. Accusate ricevuta.» Quando si voltò verso il capitano, era pallido in volto.
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Al quartier generale NORAD l'ufficiale superiore in servizio di guardia dovette spremersi in fretta le meningi per ricordare che cos'era un Dropshot.
Due secondi dopo un "Gesù" risuonò nel casco auricolari-microfono: «Cobra Belle, confermiamo la vostra ultima comunicazione. Confermiamo il Dropshot.
Restate in attesa mentre noi cominciamo a darci da fare. Gesù» ripeté a conclusione del discorso, poi si rivolse all'assistente. «Trasmetta un Allarme Dropshot all'NMCC e dica di restare in attesa di dati precisi. Trovi il colonnello Welch e lo faccia venire qui.» L'ufficiale di guardia infine alzò il ricevitore di un telefono e formò il numero del suo massimo superiore, il Comandante in Capo del Comando della Difesa Aerea del Nord America, abbreviato in CINC-NORAD.
«Sì» borbottò una voce burbera.
«Generale, parla il colonnello Henriksen. Cobra Belle ha dichiarato un Allarme Dropshot. Dicono di avere appena assistito a un caso di alta energia.»
«Ha informato l'NMCC?»
«Sì, signore, e stiamo chiamando anche Doug Welch.»
«Avete già i dati?»
«Saranno pronti per il suo arrivo.»
«Molto bene, colonnello. Vengo subito. Mandi un aereo a Shemya a prelevare quel tipo dell'Esercito.»
Il colonnello sul Cobra Belle adesso parlava con il suo ufficiale alle comunicazioni, per dargli l'ordine di trasmettere tutti i dati in digitale a NORAD. L'ordine fu eseguito in meno di cinque minuti, dopo di che il comandante della missione disse ai piloti di ritornare a Shemya. C'era ancora carburante per altre due ore di ricognizione, ma sembrava improbabile che succedesse ancora qualche cosa di importante, per quella notte. Bastava quanto era accaduto sino a quel momento. Il colonnello aveva avuto il privilegio di essere spettatore di un evento che poche persone avevano potuto vedere in tutta la storia dell'umanità. Aveva visto un mondo che cambiava e, a differenza della maggior parte degli uomini, ne aveva capito il significato. Era un onore al quale avrebbe rinunciato con immenso piacere.
«Capitano,» disse «sono arrivati prima loro.» Dio santo!
Jack Ryan stava per immettersi nello svincolo a quadrifoglio dall'autostrada I-495, quando il telefono della Jaguar squillò.
«Sì?»
«Abbiamo bisogno che lei ritorni qui.»
«Va bene.» Jack infilò lo svincolo e continuò sulla tangenziale finché ne trovò un altro per uscire e ritornare alla Washington Beltway e infine alla CIA.
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Andava sempre a finire così. Si era preso il pomeriggio per parlare con quelli della SEC. Era emerso che i dirigenti della società erano stati scagionati da ogni sospetto di malversazione, il che scagionava anche lui — o lo avrebbe fatto se gli investigatori della Commissione avessero chiuso la pratica. Aveva sperato di poter considerare finita la giornata e tornarsene a casa. Ryan borbottò fra sé mentre si dirigeva di nuovo verso la Virginia, chiedendosi qual era la crisi del giorno.
Il maggiore Gregory e tre membri della sua équipe erano in piedi alla lavagna, intenti a tracciare il diagramma dell'andamento del programma sul controllo degli specchi, quando entrò un sergente.
«Maggiore, la vogliono al telefono.»
«Sono occupato, non possono richiamare?»
«È il generale Parks, signore.»
«La voce del padrone» mormorò Gregory. Lanciò il gesso al collega più vicino e uscì dalla stanza. Un istante dopo era al telefono.
«Un elicottero sta venendo a prenderla» disse il generale senza perdersi in preliminari.
«Signore, stiamo tentando di centrare...»
«Ci sarà un Lear ad aspettarla a Kirtland. Non c'è il tempo di farla venire qui con un aereo di linea. Non occorre che faccia la valigia. Si sbrighi, maggiore!»
«Signorsì.»
«Che cosa è andato male?» domandò Morozov. L'ingegnere guardò la consolle con il viso contratto dalla collera.
«Bagliore termico. Maledizione! Credevo che l'avessimo risolto e superato.»
Dall'altra parte della sala, l'impianto laser a bassa potenza stava producendo un'altra immagine del bersaglio. L'immagine monocromatica era come una foto in bianco e nero ingrandita, con la differenza che invece del nero c'era il marrone. I tecnici televisivi fecero una foto sdoppiata per confrontare il "prima"
con il "dopo".
«Nessun buco» notò irritato Pokryshkin.
«E allora?» esclamò Bondarenko sorpreso. «Dio mio, compagno, l'avete fuso!
Sembra un oggetto immerso nella ghisa liquefatta.» Era così. Le superfici che erano state piane, adesso erano increspate dal calore intenso che si stava disperdendo per irradiazione. Le cellule solari disposte sul corpo del satellite, con la funzione di assorbire l'energia dalla luce, sembravano completamente bruciate. Si vedeva chiaramente che tutto il corpo del satellite era stato distorto dall'energia che lo aveva investito.
Pokryshkin annuì, ma non cambiò espressione. «Prevedevamo di bucarlo da parte a parte. In tal caso, il satellite si presenterebbe come se fosse stato colpito 94
da un pezzo di materiale in orbita. È quella la concentrazione di energia che stavamo cercando di ottenere.»
«Ma adesso potete distruggere tutti i satelliti americani che volete!»
«Stella Lucente non è stata costruita per distruggere satelliti, colonnello.
Possiamo già farlo senza difficoltà.»
Bondarenko afferrò il messaggio. Stella Lucente era stata costruita con quello scopo, ma il maggior potenziale che aveva giustificato il finanziamento superava enormemente le previsioni. Pokryshkin voleva prendere due piccioni con una fava: dimostrare la capacità antisatellite e anche la possibilità di adattare il sistema alla difesa contro i missili balistici. Era un uomo ambizioso, ma non nel senso abituale.
Bondarenko accantonò quel pensiero e riflette sulle cose che aveva visto. Che cosa non aveva funzionato? Doveva essere il bagliore termico. I raggi laser, nell'attraversare l'aria, avevano erogato una frazione della loro energia in forma di calore. Ciò aveva intorbidito l'aria, disturbando il sentiero ottico, spostando il raggio dentro e fuori bersaglio e, inoltre, dilatando il fascio oltre il diametro programmato.
Nonostante ciò, era ancora tanto potente da fondere il metallo a centottanta chilometri di distanza! si disse il colonnello. Non era un fiasco. Era un passo gigantesco verso una tecnologia completamente nuova.
«Danni all'impianto?» domandò il generale all'ingegnere capo.
«No, altrimenti non avremmo avuto l'immagine di chiusura. Si direbbe che le nostre misure per la compensazione atmosferica siano adeguate per il raggio a immagini, ma non per la trasmissione ad alta potenza. Un mezzo successo, compagno generale.»
«Sì.» Pokryshkin si fregò gli occhi, poi parlò con voce ferma. «Compagni, stanotte avete dimostrato un grande progresso, ma c'è ancora molto lavoro da fare.»
«E questo è il mio compito» disse il vicino di Morozov. «Lo sistemeremo, quel figlio di puttana!»
«Le serve un elemento in più nella sua squadra?»
«Si tratta in parte di specchi e in parte di computer. Quanto sa degli uni e degli altri?»
«Tocca a lei stabilirlo. Quando cominciamo?»
«Domani. Gli addetti alla telemetria avranno bisogno di dodici ore per organizzare i dati. Voglio prendere il primo pullman per tornare all'appartamento e bere qualcosa. La mia famiglia starà via ancora una settimana. Vuole venire con me?»
«Che cosa credi che sia stato?» chiese Abdul.
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Erano appena giunti sull'alto del crinale quando era apparsa la meteora.
Almeno, sembrava una meteora, con quella scia luminosa che aveva attraversato il cielo. Però la sottile linea dorata era rimasta sospesa, anzi, si era allungata verso l'alto — molto rapida, ma pur sempre visibile.
Una sottile linea dorata, pensò l'Arciere. Ma anche l'aria era diventata luminosa. Perché? Dimenticò per un attimo chi e dove era, e ritornò con il pensiero ai giorni dell'università. È stato per effetto del calore. Solo del calore.
Quando cade un meteorite, l'attrito prodotto dal passaggio... ma quella linea non poteva essere un meteorite. Anche se il raggio ascendente fosse stato un'illusione — cosa possibile, poiché gli occhi potevano fare degli scherzi — la linea era comunque durata per quasi cinque secondi. Forse di più, pensò l'Arciere. La mente non può misurare il tempo. Ehm... Di colpo, si mise a sedere ed estrasse il blocco per gli appunti. Glielo aveva dato l'uomo della CIA, dicendogli di tenere un diario degli avvenimenti. Cosa utile, non ci aveva mai pensato prima. Annotò l'ora, la data, il luogo e la direzione approssimativa.
Entro pochi giorni sarebbe stato nel Pakistan, e forse l'uomo della CIA avrebbe trovato interessanti quelle informazioni.
6
Segrete e segreti
Quando arrivò, faceva già buio. L'autista di Gregory uscì dalla George Washington Parkway per dirigersi verso l'ingresso al centro commerciale del Pentagono. La sentinella alzò la barriera, salì con loro sulla Ford senza contrassegni — quest'anno il Pentagono comperava vetture Ford — che percorse la rampa, girò intorno alle auto parcheggiate e scaricò la guardia ai piedi della scalinata da cui partivano i pullman-navetta. Gregory ormai conosceva abbastanza bene la routine: mostrare il lasciapassare alle guardie, sottoporsi al controllo del melal detector, seguire il corridoio con le bandiere degli Stati, passare oltre il caffè, scendere alla galleria dei negozi, che aveva lo stile e l'illuminazione di una segreta del XII secolo. Durante la prima visita al tetro edificio pentagonale, Gregory — che a scuola aveva giocato a Dungeons and Dragons — si era fatto l'idea che il progettista si fosse ispirato proprio alle carceri di un antico castello.
Lo Strategie Defense Initiative Office si trovava per l'appunto sotto il centro commerciale (l'ingresso era esattamente sotto la pasticceria), in un locale lungo circa trecento metri che in precedenza era stato una stazione per gli autobus e i taxi. In seguito, l'avvento delle auto-bombe aveva persuaso la comunità della difesa nazionale che le automobili non erano esattamente la cosa da tenere sotto 96
gli edifici del perimetro "E". Pertanto, quella parte del complesso era diventata l'ufficio più nuovo e più sicuro, dove si lavorava al programma militare più nuovo e meno sicuro della nazione americana. Qui Gregory dovette esibire il secondo lasciapassare. Lo mostrò alle quattro persone che sedevano al tavolo di controllo, poi lo appoggiò contro il pannello a muro, che interrogò il codice elettronico del documento e stabilì che il maggiore poteva entrare. La tappa successiva portò Gregory attraverso una sala d'attesa sino a una doppia porta di vetro. Entrò e sorrise all'impiegata della reception, poi alla segretaria del generale Parks. Questa rispose al saluto con un cenno del capo, ma era irritata di essere ancora in ufficio e poco propensa a dispensare sorrisi.
Non lo era nemmeno il tenente-generale Bill Parks. Il suo spazioso ufficio conteneva una scrivania, un tavolino basso per il caffè e le conversazioni confidenziali, e un grande tavolo delle conferenze. Sulle pareti figuravano numerose fotografie incorniciate di varie attività spaziali, insieme a modellini di astronavi vere e immaginarie, con le relative armi... Di solito Parks era una persona molto cordiale. Ex pilota collaudatore, aveva fatto una carriera brillante come quelle che, di solito, riescono bene solo ai tipi ruffiani e cordialoni. Non era il caso di Parks, personaggio quasi monastico, dal sorriso timido e al tempo stesso accattivante. Sulla camicia a maniche corte non portava i nastrini delle numerose decorazioni, ma solo le ali di ufficiale pilota. Non aveva bisogno di impressionare la gente con quello che aveva fatto, la colpiva già abbastanza con ciò che faceva. Parks era uno dei migliori intelletti dell'ambiente governativo, certo uno dei primi dieci, forse il primo in assoluto. Gregory vide che il generale non era solo.
«E così ci rivediamo, maggiore» disse Ryan voltandosi. Aveva in mano un dossier di circa duecento pagine che aveva letto per metà.
Gregory si mise sull'attenti davanti a Parks.
«Agli ordini, signore.»
«Com'è stato il volo?»
«Superlativo. La macchinetta delle gazose è sempre nel medesimo posto, signore? Sono un po' disidratato.»
Parks sorrise per un attimo. «Vada, vada, non c'è poi tutta quella fretta.»
«E impossibile non provare simpatia per il ragazzo» disse il generale quando la porta si fu richiusa alle spalle di Gregory.
«Chissà se la sua mamma è al corrente di ciò che fa dopo la scuola.» Ryan fece una risatina, poi ritornò serio. «Non ha ancora visto niente di questa roba, vero?»
«No, non c'è stato il tempo, e il colonnello del Cobra Belle arriverà solo fra cinque ore.»
Jack annuì. Ecco perché, della CIA, c'erano soltanto lui e Art Graham 97
dell'ufficio satelliti. Tutti gli altri avrebbero dormito il sonno del giusto, mentre loro preparavano il materiale per il rapporto del mattino. Lo stesso Parks avrebbe potuto starne fuori, lasciando il lavoro agli scienziati, ma non era quel tipo di persona. Più Ryan vedeva il generale Parks, più lo stimava. Era un uomo con tutti i requisiti del vero capo. Aveva una sua visione del mondo e delle cose, che Ryan condivideva. Era un ufficiale dì grado superiore che odiava le armi nucleari. L'atteggiamento non era poi tanto insolito — la gente che indossa l'uniforme tende a essere pulita e in ordine, e le armi nucleari rendevano il mondo sudicio e sciatto. Un certo numero di uomini dell'Esercito, della Marina e dell'Aviazione avevano ingoiato il rospo e costruito la propria carriera intorno ad armi che speravano di non vedere mai usare. Parks aveva dedicato gli ultimi dieci anni al tentativo di eliminarle. A Jack piacevano le persone che andavano contro corrente. Il coraggio morale era più raro del coraggio fisico, nella professione militare come in qualsiasi altra.
Gregory riapparve con in mano una lattina di Coca-Cola presa alla macchinetta appena dietro la porta. Il caffè non gli piaceva. Era ora di mettersi al lavoro.
«Che cosa succede, signore?»
«Abbiamo un videotape del Cobra Belle. Era in volo per seguire un esperimento dei sovietici con gli ICBM — i missili balistici intercontinentali. Il loro missile — un SS-25 — è saltato, ma il comandante della nostra missione ha deciso di restare ancora un poco lassù a giocare con gli strumenti. Ecco quello che ha visto.» Il generale alzò il telecomando del videoregistratore e premette il pulsante "Play".
«Questo è il Cosmos-1810» disse Graham, porgendo agli altri una fotografia.
«Un satellite da ricognizione che ha fatto una brutta fine.»
«Immagine infrarossa sulla Tv, vero?» domandò Gregory bevendo la Coca-Cola. «Dio!»
Quello che era stato un puntino di luce si allargò come una stella che esplode in un film di fantascienza, ma questa volta era reale. Il quadro cambiò mentre il sistema computerizzato di ripresa tentava di adeguarsi all'esplosione di energia.
Alla base del teleschermo apparve un display digitale con l'indicazione della temperatura del satellite incandescente. Dopo pochi secondi l'immagine svanì, e il computer dovette di nuovo autoregolarsi per tenere inquadrato il Cosmos.
Vi furono scariche per un paio di secondi, poi si formò una nuova immagine.
«Questa risale a un'ora e mezza fa. In una delle orbite successive il Cosmos è passato sulle Hawaii» disse Graham. «Laggiù abbiamo delle telecamere che tengono d'occhio i satelliti russi. Guardi la foto che le ho dato.»
«Prima" e "Dopo", vero?» Lo sguardo di Gregory guizzava. da un'immagine all'altra. «I pannelli solari ono partiti... wow! Di che cosa è fatto il cervello del 98
satellite?»
«In gran parte d'alluminio» rispose Graham. «I russi preferiscono strutture più solide delle nostre. L'ossatura interna può essere di alluminio, ma più facilmente è di titanio o di magnesio.»
«Questo ci da il valore di massima del trasferimento di energia» disse Gregory. «Hanno ucciso il satellite. Lo hanno surriscaldato quanto bastava per friggere le cellule solari, e probabilmente anche per sconvolgere i circuiti elettrici all'interno. A che altezza era?»
«Centottanta chilometri.»
«Sary Shagan, o quel posto nuovo che il signor Ryan mi ha fatto vedere?»
«Dushanbe» rispose Jack. «Quello nuovo.»
«Ma le nuove linee elettriche non sono ancora finite.»
«Già» confermò Graham. «Possono come minimo raddoppiare la potenza di cui abbiamo visto adesso la dimostrazione. Almeno, loro credono di poterlo fare.» Parlava con la voce di chi ha appena saputo che una persona cara è stata colpita da un male incurabile.
«Posso rivedere la prima sequenza?» chiese Gregory. Era quasi un ordine.
Jack notò che il generale Parks provvedeva immediatamente.
Andarono avanti così per un altro quarto d'ora, con Gregory in piedi a un metro dal televisore a scrutare il teleschermo bevendo Coca-Cola. Le ultime tre volte la sequenza fu passata fotogramma per fotogramma, e il giovane maggiore prese appunti per ognuno. Alla fine disse che bastava.
«Posso darvi il valore della potenza fra mezz'ora, ma per il momento credo che loro abbiano dei problemi.»
«Il bagliore termico» disse il generale Parks.
«Anche difficoltà di puntamento, signore. Ho bisogno di un po' di tempo e di una buona calcolatrice. Ho lasciato la mia in ufficio» ammise imbarazzato. Alla cintura, accanto al bip, aveva una custodia vuota. Graham gli fece scorrere sul tavolo una costosissima Hewlett-Packard programmabile.
«Com'è la potenza?» domandò Ryan.
«Mi serve un po' di tempo per dare una cifra valida» disse Gregory come se stesse spiegando qualcosa a un bambino ritardato. «A prima vista, almeno otto volte il nostro potenziale massimo. Devo avere un posto tranquillo per fare i calcoli. Posso andare alla mensa?» chiese a Parks, che fece un cenno di assenso.
Gregory uscì.
« Otto volte...» osservò Graham. «Cristo, è chiaro che hanno potuto affumicare i nostri DSPS. Non c'è dubbio che loro siano in grado di fare fuori qualunque satellite per telecomunicazioni. Bene, ci sono modi per proteggerli...»
Ryan si sentiva un po' tagliato fuori. Era competente in fatto di storia e di economia, ma non aveva ancora imparato il linguaggio della fisica.
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«Tre anni» mormorò il generale Parks versandosi il caffè. «Hanno almeno tre anni di vantaggio su di noi.»
«Solo nel throughput di potenza» disse Graham.
Jack guardò dall'uno all'altro, afferrando la portata di ciò che li preoccupava, ma non la sostanza. Gregory ritornò dopo venti minuti.
«Valuto la loro potenza massima in uscita fra i venticinque e i trenta milioni di watt» annunciò. «Se pensiamo a un complesso di sei laser per la trasmissione, ebbene, è... abbastanza, non è vero? Hanno solo da metterne insieme un numero sufficiente e puntarli su un unico bersaglio.
«Queste sono le cattive notizie. Le buone si riassumono nel fatto che chiaramente hanno problemi di bagliore termico. Hanno erogato la potenza massima sul bersaglio solo nei primi millesimi di secondo, ma subito dopo il satellite ha cominciato a riverberare il bagliore termico. L'erogazione media è stata fra i sette e i nove megawatt. Si direbbe che, oltre al problema del bagliore, ne abbiano anche avuto uno di puntamento. O i supporti non hanno un adeguato montaggio antiurto, o non sanno correggerli per l'oscillazione rotazionale della terra. Forse entrambe le cose. Qualunque sia il motivo, hanno difficoltà a puntare con precisione superiore a tre secondi di arco. Ciò significa che hanno un'approssimazione di più o meno duecentoquaranta metri nel caso di un satellite geostazionario — ovviamente, questi sono bersagli relativamente statici, e il fattore movimento può incidere nell'uno come nell'altro senso.»
«E come?» domandò Ryan.
«Da una parte, nel caso di un bersaglio in movimento — e i satelliti su basse orbite terrestri sono parecchio veloci, circa ottomila metri al secondo — ogni grado di arco misura circa millequattrocento metri. Ciò vuoi dire che stiamo inseguendo un oggetto che si sposta di circa cinque gradi al secondo. Chiaro fin qui? Il bagliore termico significa che il raggio laser trasmette una buona percentuale della propria energia all'atmosfera. Spostare rapidamente il raggio significa dover praticare un altro buco nell'aria. Però ci vuole tempo prima che il bagliore termico diventi veramente serio, e questo aiuta. D'altro canto, se si hanno problemi di vibrazione, ogni volta che si cambia la mira si aggiunge una nuova variabile alla geometria del puntamento, il che peggiora molto le cose.
Sparare a un bersaglio relativamente statico, come un satellite geostazionario, semplifica i problemi di puntamento, però si continua a produrre lo stesso bagliore termico, finché quasi tutta l'energia si disperde nell'aria. Capisce che cosa voglio dire?»
Ryan emise un borbottìo di assenso, ma anche questa volta la sua mente si sporgeva oltre i propri limiti. Faticava a capire il linguaggio del ragazzo, e le informazioni che Gregory tentava di trasmettergli si riferivano a un campo che gli era completamente ignoto. Intervenne Graham.
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«Lei mi sta dicendo che non dobbiamo preoccuparci?»
«Niente affatto, signore! Se si ha la potenza, si riesce sempre a trovare il modo di erogarla. Accidenti, lo abbiamo già fatto anche noi. È la parte più facile.»
«Come le ho spiegato,» disse l'ingegnere a Morozov «il problema non è quello di fare emettere la potenza dai laser — quella è la parte più facile. Il difficile è scaricare la potenza sul bersaglio.»
«Il suo computer non può correggere... che cosa, esattamente?»
«Una combinazione di fattori. Esamineremo i dati oggi stesso. La cosa principale? Probabilmente la programmazione della compensazione atmosferica.
Credevamo di poter regolare il processo di puntamento per eliminare il bagliore termico — ebbene, non ce l'abbiamo fatta. Nella prova di ieri abbiamo immesso tre anni di lavoro teorico. È il mio progetto — e non ha funzionato.» Guardò l'orizzonte e s'incupì. L'operazione a suo figlio non era riuscita bene, ma c'era ancora speranza, a quanto dicevano i medici.
«È da questo che è venuto l'aumento di portata?» domandò Bondarenko.
«Sì. Due dei nostri collaboratori più giovani — lui ha trentadue anni e lei ventotto — hanno escogitato un modo per incrementare il diametro della cavità di eccitazione. Tuttavia dobbiamo ancora trovare un miglior controllo dei magneti variabili » disse Pokryshkin.
Bondarenko annuì. Tutta la sostanza del laser a elettroni liberi su cui stavano lavorando stava nel fatto che quel tipo di laser poteva essere "sintonizzato"
all'incirca come un apparecchio radio, scegliendo la frequenza della luce che si voleva trasmettere quanto meno, questa era la teoria. Sul piano pratico, la più alta erogazione di potenza rientrava sempre, grosso modo, nella stessa gamma di frequenze, che era quella sbagliata. Se il giorno prima fossero riusciti a produrre una frequenza leggermente diversa — capace di penetrare l'atmosfera con maggiore efficacia — avrebbero potuto dimezzare il bagliore termico. Questo, però, comportava un miglior controllo dei magneti superconduttori, chiamati
"variabili" perché inducevano un campo magnetico oscillante attraverso gli elettroni carichi nella cavità di eccitazione. Purtroppo la scoperta che aveva portato all'allargamento della cavità di eccitazione aveva anche avuto un effetto imprevisto sulla capacità di controllare il flusso del campo magnetico. Di questo fatto, per il momento, non esisteva una spiegazione teorica; secondo gli scienziati, doveva trattarsi di un problema secondario, non ancora individuato, nella progettazione dei magneti. I tecnici, ovviamente, sostenevano che c'era qualche lacuna nelle spiegazioni fornite dai teorici su quanto stava accadendo, perché loro, i tecnici, sapevano che i magneti funzionavano perfettamente. Le discussioni, che avevano già fatto tremare le sale di riunione, erano animate ma 101
cordiali. Un buon numero di individui di alto livello intellettuale stava lottando fianco a fianco per trovare la Verità — il tipo scientifico di verità che non è soggetto alle opinioni umane.
Bondarenko scriveva le proprie annotazioni, ma ciò non impediva alla mente di rimuginare sui particolari. Credeva di essere competente in fatto di laser —
dopo tutto aveva collaborato a elaborarne un'applicazione completamente inedita. Tuttavia, vedendo il lavoro compiuto nella base, gli sembrava di essere come un bambino che si aggira vacillando in un laboratorio universitario e guarda meravigliato le spie luminose. Il progresso più importante era quello relativo alla forma della cavità di eccitazione. Consentiva un enorme incremento della potenza in uscita — ed era nato a un tavolo della mensa, un giorno in cui un ingegnere e una dottoressa in fisica erano incappati insieme in un frammento di Verità. Il colonnello sorrise. La parola che usavano era Pravda, che significa
"Verità " — i due giovani accademici ne avevano parlato in modo così spontaneo... Di fatto, quel vocabolo veniva usato con notevole frequenza a Stella Lucente, e Bondarenko avrebbe voluto sapere se non era, per caso, una battuta di spirito fra "iniziati". «Ma è pravilno? » si domandavano a proposito di questo o di quel fatto. «È verità?»
Ebbene, si disse, una cosa era vera di certo. Quelle due persone sedute al tavolo della mensa a parlare della propria vita sentimentale — Bondarenko era già al corrente di tutti i particolari — avevano finito per produrre un colossale balzo in avanti nella potenza del laser. Il resto sarebbe venuto a tempo debito, si disse il colonnello. Andava sempre così.
«Mi sembra di capire che il vostro problema più serio sia il controllo tramite computer tanto del campo magnetico quanto del gruppo di specchi.»
«Giusto, colonnello,» confermò Pokryshkin «e abbiamo bisogno di ulteriori finanziamenti e di maggiore appoggio per superare queste difficoltà. Deve dire a Mosca che la parte più importante del lavoro è già stata fatta e ha dimostrato di funzionare.»
«Compagno generale, lei mi ha convinto.»
«No, compagno colonnello. È lei che ha l'intelligenza per afferrare la verità! »
Scoppiarono in una cordiale risata stringendosi la mano. Bondarenko non vedeva l'ora di essere sull'aereo che lo avrebbe riportato a Mosca. Non erano più i tempi in cui gli ufficiali sovietici avevano paura di trasmettere cattive notizie, però era sempre meglio portarne di buone. Giovava ancora alla carriera.
«Non è possibile che usino l'ottica adattiva» disse il generale Parks. «Voglio solo sapere di dove vengono i loro rivestimenti ottici.»
«È la seconda volta che ne sento parlare.» Ryan si alzò e fece due passi intorno al tavolo per riattivare la circolazione. «Perché tante parole sullo 102
specchio? E una lastra di vetro, no?»
«Non di vetro — non potrebbe sopportare l'energia. Noi li facciamo di rame o di molibdeno» spiegò Gregory. «Uno specchio di vetro ha la superficie riflettente dietro. In questi altri tipi di specchio, la superficie riflettente è davanti. Dietro c'è l'impianto di raffreddamento.»
«Come?» Avresti dovuto seguire di più i corsi di fisica all'università, Jack.
«La luce non viene riflessa dal metallo nudo» disse Graham. A Ryan sembrava di essere l'unico personaggio fuori posto in quella stanza.
Naturalmente, era lui la persona designata a redigere il rapporto per il servizio informazioni nazionale. «Viene riflessa da un rivestimento ottico. Nel caso di applicazioni veramente specifiche — ad esempio, per un telescopio astronomico
— il rivestimento rassomiglia a un velo di benzina su una pozzanghera.»
«E allora, perché usare il metallo?» obiettò Jack.
Gli rispose il maggiore Gregory.
«Si usa il metallo per ottenere la superficie riflettente più fredda possibile. In effetti, stiamo cercando di abbandonare il metallo. Esiste un progetto ADAMANT, "Accelerated Development of Advanced Materials and New Technologies" — sviluppo accelerato di materiali avanzati e di nuove tecnologie.
Si spera che il prossimo specchio sia fatto di diamante.»
« Cosa? »
«Diamante artificiale di puro Carbonio-12 — che è una forma isotopica del carbonio ordinario, perfetto per lo scopo. Il problema è l'assorbimento d'energia» riprese Gregory. «Se la superficie trattiene molta parte della luce, l'energia termica può far saltare il rivestimento e staccarlo dal vetro, e lo specchio va in pezzi. Una volta ho visto partire in quel modo uno specchio di mezzo metro. È stato come sentire Dio che schiocca le dita. Con il diamante C-12 abbiamo un materiale che è quasi un superconduttore termico. Permette di aumentare la densità della potenza, e quindi di usare uno specchio più piccolo.
La General Electric ha appena messo a punto il procedimento per ricavare il diamante da gioielleria dal Carbonio-12. Candi sta già lavorando per vedere come possiamo usarlo per fare uno specchio.»
Ryan scorse le sue trenta pagine di annotazioni, poi si sfregò gli occhi.
«Maggiore, con il permesso del generale lei verrà a Langley con me. Desidero che lei istruisca il nostro personale del Servizio Scienza e Tecnologia, e che veda tutti i dati che abbiamo raccolto sul progetto sovietico. Va bene per lei, signore?» chiese a Parks, che rispose con un cenno di assenso.
Ryan e Gregory partirono insieme. Risultò che occorreva un lasciapassare anche per uscire di lì. Adesso erano in servizio le guardie di un nuovo turno, che eseguirono i controlli con altrettanto rigore. Quando furono all'area di parcheggio, Gregory decretò che la Jaguar XJS era "da signori". Usano ancora 103
questa espressione? si chiese Jack un po' stupito.
«Come si spiega che un Marine lavori per la CIA?» domandò Gregory ammirando l'interno in pelle. E dove prende i soldi per acquistare una macchina come questa?
«Sono stati loro a cercarmi, prima insegnavo storia ad Annapolis.» Non sa niente del famoso Sir John Ryan. È anche vero che non figuro nei libri di testo...
«Dove ha studiato?»
«Fino al primo grado accademico al Boston College, e la laurea proprio qui di fronte, dall'altra parte del fiume, a Georgetown.»
«Non ha detto di essere dottore» osservò Gregory.
L'osservazione fece ridere Ryan. «In tutt'altro campo, amico. Ho un sacco di difficoltà a capire di che accidente vi state occupando, ma mi hanno rifilato l'incarico di spiegarne il significato a... insomma, alle persone che conducono i negoziati per il disarmo. Lavoro da sei mesi con loro, nel settore Informazioni.»
La spiegazione produsse un grugnito da parte del maggiore.
«Quei bei tipi stanno cercando di farmi perdere l'impiego. Vogliono dare via tutto quello che abbiamo fatto.»
«Anche loro hanno un impiego» spiegò Jack. «Ho bisogno del suo aiuto per convincerli che il lavoro che lei fa è importante.»
«I russi lo pensano già.»
«Vero, l'abbiamo appena visto, no?»
Bondarenko scese dall'aereo ed ebbe la gradita sorpresa di trovare ad aspettarlo una vettura del Voyska PVO, il comando della Difesa aerea.
Evidentemente la sua partenza era stata annunciata dal generale Pokryshkin.
L'orario lavorativo era finito, e Bondarenko si fece portare a casa. Il giorno dopo avrebbe scritto il rapporto e lo avrebbe consegnato al colonnello Filitov; forse, più tardi, avrebbe dovuto riferire personalmente al ministro. Mentre sorseggiava un bicchiere di vodka, si chiese se il generale Pokryshkin lo aveva manipolato —
non conosceva l'espressione occidentale "insaponare" — in modo da produrre in lui una falsa impressione. No, si disse. Il generale era stato molto abile nel
"vendere bene" il programma e anche se stesso, ma non era stata una pokazhuka
— una messa in scena. Quelli della base non avevano fatto una prova fasulla, e avevano esposto con grande franchezza i loro problemi. Le richieste che facevano corrispondevano a effettive necessità. No, Pokryshkin aveva una missione che era disposto, se non ad anteporre, quanto meno a mettere alla pari con la propria carriera. Nessuno poteva chiedergli di più. Anche ammesso che stesse costituendo un proprio impero, ebbene, era un impero degno di essere costruito.
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Il prelievo fu fatto in un modo molto particolare, che però era diventato di routine. Il centro commerciale era del tutto ordinario, nulla più di una passeggiata coperta su cui si affacciavano novantatré negozi, più un complesso di cinque cinematografi a schermo ridotto. C'erano sei negozi di scarpe e tre gioiellerie. In armonia con l'ubicazione "western" del centro, c'era un negozio di articoli sportivi che riforniva i cacciatori e aveva un'intera parete di fucili Winchester modello 70, visione del tutto improbabile negli Stati americani dell'Est. Il complesso era reso più vivace da dieci negozi di abbigliamento di gran lusso, di cui tre maschili e sette femminili. Uno di questi ultimi era attiguo al negozio dei Winchester.
La vicinanza era gradita alla proprietaria della boutique Eve's Leaves, perché il negozio di articoli sportivi disponeva di un sofisticato sistema di allarme.
Questo fatto, unito al piccolo contingente di guardiani notturni alle dipendenze del complesso, le consentiva di tenere un assortimento abbastanza cospicuo, di capi femminili con una copertura assicurativa di costo ragionevole. La boutique aveva avuto un inizio piuttosto incerto — le mode di Parigi, Roma e New York non vengono recepite tanto facilmente a ovest del Mississippi, fatta forse eccezione per la Costa del Pacifico — però le appartenenti alla comunità scientifica provenivano in massima parte dalla California e dagli Stati dell'Est, e conservavano le proprie usanze. Grazie a loro, le creazioni di Anne Klein II facevano furore nelle Montagne Rocciose senza bisogno di essere prima sfoggiate nei country clubs.
Ann entrò nel negozio. Era una cliente facile da servire, e la proprietaria la conosceva bene. Una taglia 6 perfetta; si provava i capi solo per vedere come le stavano. Non aveva mai bisogno di modifiche, il che rendeva la vita più facile a tutti e consentiva alla proprietaria di farle lo sconto del cinque per cento. Oltre a essere facile da vestire, era anche un'ottima cliente, nel senso che non spendeva mai meno di duecento dollari. Veniva al negozio con una certa frequenza, all'incirca ogni sei settimane. La proprietaria non sapeva con precisione che mestiere faceva, ma le sembrava che avesse l'aspetto e lo stile di un medico: così precisa, così attenta ai particolari. Pagava sempre in contanti, altro fatto insolito, ma anche un motivo in più per la concessione dello sconto, in quanto evitava al negozio la detrazione praticata dalle compagnie delle carte di credito per la garanzia del pagamento. Ciò compensava largamente lo sconto del cinque per cento. Peccato, pensava la proprietaria, che non tutte le clienti fossero come questa. Ann aveva sensuali occhi castani, capelli leggermente ondulati lunghi fino alle spalle, un corpo minuto e slanciato. L'altra cosa strana era che non usava mai profumo di nessun genere; per questo motivo, oltre che per l'orario in cui veniva a fare acquisti, la proprietaria pensava che fosse un medico: sempre quando il negozio era semivuoto, come può fare solo chi dispone del proprio 105
tempo. Doveva essere così, e il titolo di "dottoressa" sembrava adeguato. L'idea piaceva alla proprietaria, che vedeva in ogni movimento della cliente il tipo di determinazione che per lei si associava alla professione medica.
Ann prese un coordinato gonna e camicetta, e andò a una delle cabine sul retro. La negoziante non lo sapeva, ma Ann usava sempre la stessa cabina.
Appena entrata si tolse la gonna e sbottonò la camicetta, ma prima di indossare i capi nuovi allungò la mano sotto il piano di legno che faceva da sedile e ne prelevò la cassetta di microfilm che era stata appiccicata con nastro adesivo la sera prima. La cassetta finì nella sua borsa. Fatto questo, si vestì e andò ad ammirarsi nello specchio.
Come fanno le donne americane a portare queste atrocità? chiese Tania Bisyarina alla propria immagine che le sorrideva dallo specchio. Aveva il grado di capitano alla Sezione S della Direzione Principale (anche chiamata "Estera") del KGB, ma rispondeva alla Sezione T che presiede allo spionaggio scientifico e opera in collaborazione con il Comitato Statale per la Scienza e la Tecnologia.
Come Edward Foley, "gestiva" un unico agente, il cui nome in codice era Livia.
Il prezzo del coordinato era di duecentosettantatré dollari, che il capitano Bisyarina pagò in contanti. Annotò mentalmente di indossare quel completo in occasione della prossima visita alla boutique, anche se lo trovava orribile.
«A presto, Ann! » le gridò dietro la proprietaria. Ann era l'unico nome con cui la conoscevano a Santa Fe. Il capitano Bisyarina si voltò e rispose con un gesto.
La negoziante era una donna piuttosto simpatica, anche se stupida. Come ogni buon agente segreto, Ann era del tutto normale nell'aspetto e nel comportamento. Nel contesto locale, ciò significava vestirsi "abbastanza" alla moda, avere un'auto rispettabile ma non lussuosa, e adottare uno stile di vita confortevole al limite della vera agiatezza. Da quel punto di vista, l'America era un Paese facile. Se avevi il giusto tenore di vita, nessuno ti chiedeva dove prendevi i soldi per mantenerlo. L'attraversamento della frontiera era stato quasi una farsa. Aveva passato ore e ore a imparare a memoria il contenuto dei documenti e la propria "storia" personale. I doganieri si erano limitati a fare annusare l'automobile dai cani antidroga — era venuta dal Messico al posto di frontiera di El Paso — e ad ammetterla negli Stati Uniti con un cenno della mano e un sorriso. E per tutto questo, si diceva ridendo otto mesi dopo, mi ero emozionata da morire.
Impiegò quaranta minuti per tornare a casa, controllando come sempre di non essere pedinata da altre auto. Sviluppò immediatamente il microfilm e stampò le copie, non esattamente come faceva Foley, ma con procedimento analogo. In questo caso lei aveva le fotografie degli autentici documenti governativi.
Introdusse la pellicola sviluppata nel piccolo proiettore e mise a fuoco l'immagine sulla parete bianca della camera da letto. Tania aveva una 106
preparazione tecnica che aveva contribuito in modo determinante al suo attuale incarico, per cui era in grado di valutare l'importanza del materiale appena ricevuto. Era sicura che i superiori sarebbero stati contenti.
La mattina dopo lasciò nel posto stabilito le fotografie, che attraversarono il confine messicano su un semirimorchio appartenente a una società di trasporti a lunga distanza con sede ad Austin, insieme a un carico di macchinari per trivellazione. A fine giornata il materiale sarebbe stato all'Ambasciata sovietica di Città del Messico, e il giorno successivo a Cuba, dove qualcuno l'avrebbe consegnato a un aereo dell'Aeroflot diretto a Mosca.
7
Catalizzatori
«Allora, colonnello, qual è la sua valutazione?» domandò Filitov.
«Compagno, forse Stella Lucente è il programma più importante dell'Unione Sovietica» rispose convinto Bondarenko. Consegnò un fascicolo di oltre quaranta pagine scritte a mano. «Questa è la prima bozza della mia relazione.
L'ho scritta durante il volo. Oggi ne farò battere una copia, ma ho pensato che le avrebbe fatto piacere...»
«Ha pensato bene. Mi risulta che hanno effettuato una prova...»
«Esattamente trentasei ore fa. L'ho vista e ho avuto la possibilità di esaminare gran parte delle attrezzature prima e dopo. Sono rimasto profondamente impressionato dall'impianto e dalle persone che lo dirigono. Se mi è consentito un giudizio, il generale Pokryshkin è un ottimo ufficiale e l'uomo perfetto per quel compito. Decisamente non è un carrierista, piuttosto un ufficiale dalle idee moderne del tipo migliore. Tenere in pugno gli scienziati sul cocuzzolo di quella montagna non è impresa facile...»
Misha borbottò qualche parola di assenso. «Conosco gli accademici. Mi sta forse dicendo che Pokryshkin li ha organizzati come un reparto militare?»
«No, compagno colonnello, però ha imparato il modo di tenerli relativamente di buon umore, contenti e al tempo stesso produttivi. A Stella Lucente si avverte un senso di... di missione che è raro incontrare fra gli ufficiali. Non lo dico a cuor leggero, Mikhail Semyonovich. Sono stato veramente impressionato da tutti gli aspetti della conduzione. Forse è così anche nelle basi spaziali. L'ho sentito dire però, non essendoci mai stato, non posso fare il confronto.»
«Come sono gli impianti?»
«Stella Lucente non è ancora un'arma. Sussistono alcune difficoltà tecniche.
Pokryshkin le ha identificate e me le ha esposte in ogni particolare. Per il momento non è nulla più di un programma sperimentale, che però ha registrato 107
delle scoperte della massima importanza. Nel giro di alcuni anni avremo un'arma dal potenziale enorme.»
«E dal punto di vista dei costi?» domandò Misha. Bondarenko si strinse nelle spalle.
«Impossibile preventivarli. Saranno alti, ma la parte più costosa del programma — la fase di ricerca e di sviluppo — è in gran parte ultimata. I costi reali di produzione e tecnici potrebbero essere addirittura inferiori al previsto.
Non sono in grado di valutarli per le attrezzature di appoggio, dei radar e dei satelliti di sorveglianza. In ogni caso, questo aspetto esula dal mio incarico.»
Inoltre, come tutti i soldati del mondo, lui pensava in termini di missione, non di costi.
«Quanto è affidabile il sistema?»
«Sarà un problema, ma potrà essere gestito. I singoli laser sono complessi e di difficile manutenzione. D'altra parte, se ne costruiamo più di quanti ne occorrano alla base, potremo agevolmente instaurare un ciclo di manutenzione, avendo sempre in linea il numero necessario. Difatti, questo è il metodo proposto dall'ingegnere a capo del progetto.»
«Quindi avrebbero risolto il problema della potenza in uscita?»
«La mia bozza illustra questo punto nelle linee essenziali. La relazione definitiva sarà più specifica.»
Misha si concesse un sorriso. «Abbastanza perché io possa capirla?»
«Compagno colonnello» rispose serio Bondarenko. «Io so che lei capisce le questioni tecniche molto più di quanto le piace ammettere. Gli aspetti importanti dell'incremento della potenza in uscita sono molto semplici — voglio dire, in teoria. I dati tecnici esatti sono alquanto complessi, ma possono essere facilmente dedotti dal nuovo disegno della cavità di eccitazione del raggio.
Come nel caso della bomba atomica, una volta capita la teoria, si può ricavare la parte tecnica.»
«Eccellente. Può finire la relazione per domani?»
«Sì, compagno colonnello.»
Misha si alzò, imitato da Bondarenko. «Leggerò il suo rapporto preliminare oggi pomeriggio. Mi faccia avere la relazione completa domani, e io vedrò di digerirla fra sabato e domenica. La settimana prossima riferiremo al ministro.»
Le vie di Allah sono certamente misteriose, pensò l'Arciere. Per quanto grande fosse il suo desiderio di abbattere un aereo sovietico da trasporto, non poteva fare altro che ritornare a casa, nella città fluviale di Ghazni. Era partito dal Pakistan soltanto da una settimana. In quegli ultimi giorni le condizioni atmosferiche avevano impedito ai sovietici di volare, e lui aveva avuto un po' di tempo a disposizione. Era venuto con un nuovo rifornimento di missili, e aveva 108
trovato i capi intenti a programmare un attacco all'aeroporto fuori della città.
L'inverno era duro per tutti, e gli infedeli lasciavano i posti di guardia esterni ai soldati afghani che servivano il governo rinnegato di Kabul. Non sapevano, però, che il maggiore al comando del battaglione di guardia al perimetro lavorava per i mujaheddin locali. Al momento opportuno il perimetro sarebbe stato aperto, e trecento guerriglieri si sarebbero lanciati all'assalto del campo sovietico.
Sarebbe stato un grande attacco. I Combattenti per la Libertà erano organizzati in tre compagnie di cento uomini ciascuna. Tutti sarebbero stati impegnati nell'azione: il capo sapeva quanto fosse utile una riserva tattica, ma aveva un ampio fronte da coprire con pochi uomini. Era un rischio, ma lui e la sua gente correvano rischi dal 1980. Un pericolo di più — che importanza poteva avere? Come sempre, il capo avrebbe occupato la posizione più esposta, e l'Arciere sarebbe stato al suo fianco. Si stavano dirigendo sottovento verso la pista degli odiati aerei. I sovietici avrebbero fatto decollare tutti i velivoli al primo segno di allarme, tanto per portarli al sicuro quanto per dare appoggio alla difesa. L'Arciere esaminò con il binocolo quattro elicotteri Mi-24, e vide che tutti portavano armi pesanti. I mujaheddin avevano un unico mortaio con cui colpire i velivoli al suolo, e per questo motivo l'Arciere si sarebbe tenuto un po'
arretrato durante l'assalto per dare appoggio all'azione. Non avrebbe avuto il tempo di montare la trappola consueta, ma di notte era meno importante.
Cento metri più avanti il capo si incontrò nel posto stabilito con il maggiore dell'Esercito afghano. Si abbracciarono lodando il nome di Allah. Il figliol prodigo era ritornato all'ovile islamico. Il maggiore riferì che due dei suoi comandanti di compagnia erano pronti a fare quanto programmato, ma quello della terza restava fedele ai sovietici. Un sergente fidato avrebbe ucciso l'ufficiale nei primi minuti dell'attacco, rendendo così disponibile quel settore per la ritirata. Tutto intorno gli uomini attendevano gli ordini, sotto la sferza del vento gelido. Il sergente avrebbe lanciato un razzo appena compiuta la missione.
Il capitano sovietico e il tenente afghano erano amici, cosa che non mancava di stupirli ogni volta che ci pensavano. A quella situazione atipica avevano contribuito gli autentici sforzi dei sovietici per rispettare le usanze locali, e la ferma convinzione dell'ufficiale afgano che il marxismo-leninismo fosse per il suo popolo la via del futuro. Qualunque cosa sarebbe stata meglio delle rivalità tribali e delle vendette che, a memoria d'uomo, avevano sempre caratterizzato quell'infelice Paese. Il tenente era stato notato ben presto come un valido candidato per la conversione ideologica. Lo avevano portato nell'Unione Sovietica dove gli avevano fatto vedere come ci si viveva bene in confronto all'Afghanistan, specialmente per quanto riguardava i servizi sanitari. Il padre del tenente era morto quindici anni prima di un'infezione seguita alla frattura di 109
un braccio; non era mai stato nelle grazie del capo della tribù, per cui il figlio aveva avuto una giovinezza tutt'altro che felice.
I due uomini stavano esaminando insieme una carta topografica per organizzare le attività di pattuglia del giorno successivo. Dovevano continuare a perlustrare la zona per tenere lontani quei banditi di mujaheddin. Quel giorno il servizio era affidato alla seconda compagnia.
Un sergente entrò nel bunker del comando portando un messaggio scritto. Il suo viso non tradì la sorpresa che provava nel trovare due ufficiali invece di uno. Consegnò la busta al tenente afghano con la mano sinistra. La destra stringeva l'impugnatura di un pugnale nascosto nell'ampia manica della tunica di foggia russa. Cercò di rimanere impassibile mentre il capitano sovietico lo osservava, e si concentrò sul tenente del quale teneva in mano la sorte. Infine il russo si voltò per guardare fuori attraverso la feritoia del bunker. Quasi avesse scelto il momento giusto, l'ufficiale afghano gettò il messaggio sul tavolo delle carte e abbozzò una risposta.
Il russo si voltò all'improvviso, allarmato senza sapere perché. Intuì che qualcosa non andava prima ancora di vedere il braccio del sergente che saliva con rapido movimento verso la gola dell'ufficiale afghano. Il capitano balzò verso il fucile mentre il tenente si gettava indietro per evitare la prima coltellata.
Ci riuscì solo perché il coltello del sergente s'impigliò nella manica troppo lunga della tunica. Con un'imprecazione l'afghano lo liberò e vibrò il colpo squarciando l'addome della vittima. Il tenente, urlando, riuscì ad afferrare il polso del sergente prima che la lama penetrasse negli organi vitali. Dei due visi, uno era troppo scosso per provare paura, e l'altro troppo rabbioso. Alla fine la vita del tenente fu salvata dal tessuto di una divisa troppo grande, poi dal capitano russo che, tolta la sicura al fucile, sparò dieci colpi nel corpo dell'assalitore. L'afghano cadde senza una parola. Il tenente alzò una mano insanguinata davanti agli occhi. Il capitano lanciò un grido per dare l'allarme.
Il tipico crepitìo metallico del Kalashnikov percorse i quattrocento metri che separavano il bunker dai mujaheddin in attesa. Tutti i guerriglieri pensarono la stessa cosa: il piano è andato a monte. Purtroppo non era stato predisposto un programma alternativo. Alla loro sinistra, dalle postazioni della terza compagnia si alzarono i lampi degli spari. Non erano diretti verso un bersaglio — non c'erano guerriglieri da quella parte — ma il rumore avrebbe messo in allarme le postazioni russe trecento metri più in là. Il capo ordinò agli uomini di andare comunque all'attacco, con l'appoggio di duecento effettivi dell'Esercito afghano felici di cambiare bandiera. Il loro apporto, però, non poteva essere determinante: i nuovi mujaheddin non avevano armi collettive, a parte poche mitragliatrici, e l'unico mortaio era lento da mettere in punteria.
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L'Arciere imprecò quando vide spegnersi le luci del campo d'aviazione, a tre chilometri di distanza, sostituite dai mobili punti luminosi delle torce a mano degli equipaggi che correvano agli aerei. Un momento dopo i bengala trasformarono la notte in giorno. Il forte vento da sud-est li allontanò rapidamente, però ne vennero lanciati degli altri. L'Arciere non poté fare altro che attivare il lanciamissili. Vide gli elicotteri... e anche l'unico An-26 da trasporto. Alzò il binocolo con la sinistra e vide il bimotore dall'ala alta fermo a terra come un uccello in un nido indifeso. Parecchie persone stavano correndo verso l'apparecchio. L'Arciere tornò a puntare il binocolo sulla zona degli elicotteri.
Si alzò per primo un Mi-24, che lottò contro l'aria rarefatta e il vento impetuoso per prendere quota, mentre i colpi di mortaio cominciavano a cadere all'interno del campo. Un proiettile al fosforo piombò a pochi metri da un altro Hind, e il lampo bianco incendiò il carburante dell'elicottero. Gli uomini a bordo saltarono a terra, ma uno di loro era già avvolto dalle fiamme. Erano appena riusciti a portarsi al sicuro quando il Mi-24 esplose, coinvolgendo un terzo Hind nella deflagrazione. L'ultimo elicottero decollò poco dopo, e scomparve nella notte dalla parte opposta del campo, con le luci di navigazione spente.
Sarebbero ritornati entrambi, l'Arciere ne era certo, ma due erano stati distrutti a terra, e questo era più di quanto avesse sperato.
Tutto il resto stava andando male. Le truppe all'assalto erano sotto il fuoco dei mortai. Si videro le fiammate dei colpi e delle esplosioni. Al disopra dei rumori giungevano le altre voci del campo di battaglia: l'urlo dei combattenti e il lamento dei feriti. Da quella distanza era difficile distinguere i russi dagli afghani ma non era di questo che l'Arciere si doveva preoccupare.
Non aveva avuto bisogno di dire ad Abdul di scrutare il cielo alla ricerca degli elicotteri. Provò a usare il lanciamissili per individuare il calore invisibile dei motori. Non trovò nulla, e puntò di nuovo lo sguardo verso l'unico velivolo che riusciva a vedere. In quel momento i colpi di mortaio cadevano intorno all'An-26, ma i motori stavano già girando. Poco dopo l'Arciere vide qualcosa muoversi lateralmente. Calcolò la velocità del vento, e concluse che l'aereo gli sarebbe andato contro per sfruttarne la spinta nella virata a sinistra verso la zona più sicura del campo. Non sarebbe stato facile salire nell'aria rarefatta e, al momento della virata, l'aereo avrebbe avuto bisogno di accelerare, sacrificando il movimento ascensionale. L'Arciere batté un colpetto sulla spalla di Abdul e cominciò a correre verso sinistra. Fatti cento metri, si fermò a guardare l'aereo da trasporto sovietico. Adesso si stava muovendo attraverso gli zampilli di terra sollevati dai colpi, sobbalzando sul terreno irregolare indurito dal gelo.
L'Arciere si alzò per poter mirare bene il bersaglio; immediatamente il dispositivo di ricerca cominciò a emettere il ronzìo con cui comunicava di avere 111
trovato il calore irradiato dai motori nella notte fredda e senza luna.
«V-uno!» gridò il copilota sopra il frastuono della battaglia e dei motori.
Teneva gli occhi fissi sugli strumenti, mentre il pilota lottava per tenere in assetto l'aereo. «V-due. Rotazione!»
Il pilota tirò indietro la cloche. Il muso si alzò, e l'An-26 si staccò con un ultimo balzo dalla dura pista di terra. Il copilota fece immediatamente rientrare il carrello per ridurre la resistenza aerodinamica e consentire all'aereo di prendere quota più in fretta. Il pilota impegnò l'apparecchio in un'agile virata a destra per allontanarsi da quella che sembrava la più intensa concentrazione di fuoco al suolo. Subito dopo avrebbe puntato a nord verso Kabul e la salvezza.
Alle sue spalle, il navigatore non guardava le carte, impegnato com'era a sganciare bengala frenati da paracadute al ritmo di uno ogni cinque secondi.
Non lo faceva per aiutare le truppe amiche impegnate nel combattimento, anche se i bengala producevano quell'effetto. Lo scopo essenziale era di ingannare i missili terra-aria. Il manuale raccomandava la cadenza di un bengala ogni cinque secondi.
L'Arciere cronometrò accuratamente i razzi luminosi. Il segnale acustico del dispositivo di puntamento cambiava tonalità ogni volta che un bengala si staccava dal portello della stiva dell'aereo. Lui aveva bisogno di bloccare l'arma contro il motore di sinistra e scegliere con precisione il momento del lancio, se voleva colpire il bersaglio. Aveva già calcolato mentalmente il punto di contatto più immediato, a circa novecento metri di quota. Proprio prima di raggiungerla, l'aereo sganciò un altro bengala. Dopo un secondo, il dispositivo di ricerca tornò alla normale tonalità di acquisizione. L'Arciere tirò il grilletto.
Come sempre, anche questa volta provò quasi un senso di appagamento sessuale quando il tubo del lanciamissili gli sobbalzò tra le mani. Sordo ai rumori della battaglia, si concentrò sul puntino di fiamma gialla che saliva in accelerazione nel cielo.
Il navigatore aveva appena lanciato un altro bengala quando lo Stinger colpì il motore di sinistra. La prima reazione fu il risentimento: il manuale era sbagliato! Il tecnico di volo non ebbe pensieri del genere. Con gesto automatico premette l'interruttore "soppressione di emergenza" della turbina numero uno.
Così facendo, interruppe il flusso del carburante e l'alimentazione elettrica, mise l'elica in bandiera e attivò l'estintore. Il pilota premette il pedale del timone per compensare l'imbardata prodotta dalla perdita di propulsione a babordo, e puntò all'ingiù il muso dell'aereo. Il tecnico riferì che il serbatoio di sinistra era perforato, ma mancava solo un centinaio di chilometri a Kabul. Poi venne il peggio:
112
«Spia d'allarme antincendio al numero uno!».
«Tira la bombola!»
«Già fatto! Tutto bloccato.»
Il pilota resistette alla tentazione di guardarsi intorno. Era a soli cento metri dal suolo e aveva bisogno di tutta la concentrazione. Con la coda dell'occhio captò un lampo di luce rossastra, ma lo dimenticò subito. I suoi occhi andavano dall'orizzonte agli indicatori della velocità relativa e dell'altezza.
«Perdiamo quota» annunciò il copilota.
«Dare dieci gradi ai flaps» ordinò il pilota. Calcolava di avere velocità sufficiente per correre quel rischio. Il copilota si abbassò per dare altri dieci gradi d'inclinazione. Così facendo, condannò l'aereo e i passeggeri.
Lo scoppio del missile aveva danneggiato il circuito idraulico dei flaps di sinistra. La maggior pressione occorrente per modificare l'assetto fece esplodere ambedue i circuiti, e i flaps dell'ala sinistra si ritirarono senza preavviso. La perdita di sollevamento a sinistra per poco non fece ruotare l'aereo sul suo asse, ma il pilota lo tenne sotto controllo. Troppe cose stavano andando male contemporaneamente. L'apparecchio cominciò a picchiare, e il pilota urlò la propria disperazione per non poter avere più potenza. Sapeva che il motore di destra era già isolato contro il fuoco. Sperò che il passaggio all'effetto suolo potesse salvare l'aereo, ma era già un compito impossibile quello di tenerlo dritto. Si rese conto che la picchiata era troppo ripida a causa dell'aria rarefatta.
Doveva atterrare in qualche modo. All'ultimo momento accese i fari d'atterraggio per trovare un posto in piano. Vide solo una distesa di rocce, e usò gli ultimi resti di controllo per dirigere il velivolo in caduta fra le due più grandi. Un secondo prima che l'apparecchio toccasse terra, il pilota lanciò un grido che non era di disperazione, ma di rabbia.
Per un momento l'Arciere temette che l'aereo riuscisse a sfuggire. Il lampo del missile era stato inconfondibile, ma per alcuni secondi non si vide nulla. Poi la scia fiammeggiante annunciò che il bersaglio era stato colpito a morte. Mezzo minuto dopo vi fu un'esplosione al suolo, forse a dieci chilometri, non molto fuori dalla possibile via di fuga. Prima dell'alba l'Arciere avrebbe visto il risultato della propria opera. Si voltò nell'udire il rumore pulsante dell'elicottero sopra di lui. Abdul aveva già buttato il vecchio tubo di lancio e inserito il software di acquisizione e guida su un nuovo tubo, il tutto con una rapidità che avrebbe inorgoglito un soldato esperto. Porse l'arma all'Arciere, che guardò il cielo alla ricerca di un nuovo bersaglio.
Lui non lo sapeva, ma l'attacco a Ghazni era praticamente fallito. Il comandante sovietico aveva reagito immediatamente al rumore della sparatoria e, nel giro di due travagliatissimi minuti, era riuscito a mettere i suoi uomini in 113
posizione. Intanto la terza compagnia afghana stava continuando a sparare contro nessuno, e l'ufficiale russo non poteva farci niente. I guerriglieri si trovavano di fronte un battaglione di truppe regolari in stato di all'erta, appoggiate dalle armi pesanti nascoste nei bunker. Il fuoco micidiale delle mitragliatrici fermò l'ondata d'attacco a duecento metri dalle postazioni sovietiche. Il capo dei guerriglieri e il maggiore transfuga tentarono di raddrizzare la situazione con l'esempio personale. Lungo tutta la linea echeggiò un feroce grido di battaglia, e il capo si alzò proprio davanti a una scarica di proiettili traccianti che lo trafissero e lo scaraventarono via al pari di un giocattolo. Come solitamente accade ai combattenti primitivi, la perdita del capo spezzò il cuore dell'attacco. La notizia corse attraverso il fronte prima ancora che i capi delle unità ricevessero la notizia via radio. I mujaheddin ripiegarono immediatamente sparando alla cieca. Il comandante sovietico Capì benissimo che il nemico era in rotta, ma non lo inseguì. C'erano gli elicotteri per farlo.
L'Arciere comprese che le cose andavano male quando i mortai russi cominciarono a lanciare razzi in un altro settore. Un elicottero stava già bersagliando i guerriglieri con missili e raffiche di mitragliatrice, ma lui non poté acquisirlo. Poi udì i lamenti dei compagni. Non l'urlo trionfale dell'assalto, ma le grida allarmate degli uomini in fuga. Si concentrò sulla propria arma. A quel punto c'era veramente bisogno di lui. L'Arciere ordinò ad Abdul di applicare il secondo dispositivo di ricerca a un altro tubo lanciamissili, cosa che il ragazzo eseguì in meno di un minuto.
«Là!» disse Abdul. «A destra.»
«Lo vedo.» Il cielo fu solcato da fasci di luce lineari. Uno Hind stava scaricando i lanciarazzi multipli. L'Arciere puntò l'arma da quella parte e fu gratificato dal suono intermittente dell'acquisizione. Non conosceva la distanza
— impossibile valutarla di notte — per cui doveva correre il rischio. Attese finché il suono si fu stabilizzato, poi lanciò il secondo Stinger di quella notte.
Il pilota dello Hind lo vide. Teneva l'elicottero librato un centinaio di metri sopra i bengala, e spinse il comando collettivo verso il basso per scendere in mezzo a loro. La manovra ebbe successo. Il missile perse il contatto e corse difilato su di un bengala, mancando l'elicottero di una trentina di metri. Il pilota immediatamente ruotò il velivolo e ordinò all'armiere di sparare dieci proiettili a razzo lungo la scia del missile.
L'Arciere si gettò a terra dietro il masso che aveva usato come postazione. I razzi caddero tutti a un centinaio di metri. Adesso la battaglia era contro il tempo, e quel pilota era molto abile. Allungò la mano per prendere il secondo tubo di lancio. Come sempre in quelle circostanze, l'Arciere pregava.
L'elicottero se n'era andato. Dove poteva essere?
Il pilota si portò sottovento per coprire il frastuono dei rotori. Ordinò che 114
fossero lanciati dei bengala da quella parte del perimetro, e fu subito accontentato. I sovietici non chiedevano di meglio che eliminare ogni lanciatore di missili. Mentre l'altro elicottero superstite martellava i mujaheddin in ritirata, questo avrebbe cercato di individuare il lanciatore dei SAM. Era una missione pericolosa, ma il pilota l'aveva fortemente desiderata. I lanciatori di missili erano i suoi nemici personali. Si tenne fuori dalla portata conosciuta dello Stinger e attese che i bengala illuminassero il terreno.
L'Arciere stava di nuovo inseguendo l'elicottero con il dispositivo di ricerca.
Non era un modo molto brillante, ma il Mi-24 doveva essere in un arco che lui poteva facilmente prevedere, grazie alla conoscenza della tattica sovietica. Per due volte il cicalino di acquisizione suonò e tacque, non riuscendo a seguire l'elicottero che danzava su e giù nel consapevole sforzo di rendere impossibile il compito dell'Arciere. Un avversario veramente in gamba, pensò il guerrigliero.
Avrebbe provato una soddisfazione ancora più grande nell'ucciderlo. I razzi di ricerca punteggiavano il cielo, ma lui sapeva che le luci tremule non offrivano grande visibilità, finché stava fermo.
«Vedo un movimento» comunicò l'armiere dello Hind. «A ore dieci.»
«Posto sbagliato» disse il pilota. Spinse a destra il comando del passo delle eliche e scivolò in orizzontale scrutando il suolo. I sovietici avevano catturato diversi Stinger americani e li avevano esaminati scrupolosamente per rilevarne la velocità, la portata e la sensibilità. Riteneva di essere fuori tiro di almeno trecento metri. Se avessero lanciato contro di lui, avrebbe usato la scia del missile per localizzare il nemico, poi si sarebbe precipitato su di lui prima che potesse farne partire un secondo.
«Dammi un fumogeno» disse l'Arciere.
Abdul ne aveva soltanto uno. Era un piccolo oggetto in plastica munito di pinne, poco più di un giocattolo. Era stato escogitato come dispositivo per l'addestramento dei piloti americani, in modo che potessero provare la sensazione — vale a dire il terrore — di vedersi lanciare addosso dei missili.
Costava solo sei dollari, e l'unica cosa che sapeva fare era correre per qualche secondo su una linea retta abbastanza precisa lasciandosi dietro una scia di fumo. Li avevano dati ai mujaheddin affinché li usassero, se restavano senza SAM, unicamente come mezzo per spaventare i piloti sovietici. L'Arciere però aveva trovato loro un impiego più concreto. Abdul corse per un centinaio di metri e piazzò il fumogeno su un semplice affusto in filo d'acciaio. Ritornò a fianco del capo tirandosi dietro il cavo di comando.
«Dimmi, russo, dove sei?» chiese l'Arciere alla notte. «Qualcosa si è mosso proprio davanti a noi, sono sicuro» disse l'armiere.
«Vediamo.» Il pilota attivò i comandi e lanciò due razzi che colpirono il terreno due chilometri a destra dell'Arciere.
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«Adesso!» gridò l'Arciere. Aveva visto di dove erano partiti i razzi, e puntò il dispositivo di ricerca in quella direzione. Il ricevitore a raggi infrarossi cominciò a crepitare.
Il pilota rabbrividì nel vedere la mobile fiamma di un missile ma, prima ancora che potesse tentare qualsiasi manovra, capì che il colpo lo avrebbe mancato. Veniva da un punto molto vicino a quello che i suoi razzi avevano colpito poco prima.
«Ti ho in pugno, adesso!» gridò. L'armiere cominciò a inondare di raffiche quel tratto di terreno.
L'Arciere vide i proiettili traccianti e udì il sibilo delle pallottole che cadevano alla sua destra. L'azione era ben condotta, ma, sparando con le proprie armi, l'elicottero aveva fornito all'Arciere un bersaglio di assoluta precisione.
Partì il terzo Stinger.
«Ce ne sono due!» gridò il cannoniere sull'interfono.
Il pilota stava già picchiando e virando, ma questa volta non aveva bengala attorno. Lo Stinger esplose contro una lama del rotore e l'elicottero precipitò come un sasso. Il pilota riuscì a rallentare la caduta, ma l'impatto fu duro.
Miracolosamente il velivolo non s'incendiò. Un momento dopo alcuni uomini armati comparvero al finestrino. Il pilota vide che uno era un capitano russo.
«Stai bene, compagno?»
«La mia schiena» ansimò il pilota.
L'Arciere si stava già muovendo. Aveva avuto sufficienti prove della benevolenza di Allah, per quella notte. I due uomini della squadra lanciamissili lasciarono a terra i tubi vuoti e corsero a unirsi ai guerriglieri in ritirata. Se i sovietici li avessero inseguiti, li avrebbero sicuramente raggiunti. Il comandante, però, preferì tenere i suoi uomini in posizione, e l'unico elicottero sopravvissuto si limitò a girare sopra l'accampamento. Mezz'ora dopo l'Arciere apprese che il suo capo era morto. Il mattino gli aerei e gli elicotteri sovietici si sarebbero alzati in volo per cercare di sorprendere i guerriglieri allo scoperto, per cui era bene raggiungere le rocce al più presto. Però c'era ancora una cosa da fare.
L'Arciere prese con sé Abdul e altri tre uomini per andare alla ricerca dell'aereo da trasporto che aveva colpito. I missili Stinger avevano un prezzo: l'obbligo di ispezionare ogni velivolo abbattuto, alla ricerca di dispositivi che potevano interessare alla CIA.
Il colonnello Filitov finì di scrivere le annotazioni sul diario. Come Bondarenko aveva accennato, la sua competenza tecnica era parecchio superiore a quanto si poteva immaginare in base ai suoi titoli di studio. Dopo più di quarantanni di servizio ai livelli più alti del Ministero della Difesa, Misha era diventato un autodidatta in svariati settori tecnici, dalle tute antigas alle 116
comunicazioni cifrate fino... ai laser. In altre parole, non sempre comprendeva la teoria al cento per cento, ma era in grado di descrivere il funzionamento delle apparecchiature meglio dei tecnici che le avevano montate. Gli ci erano voluti quattro giorni per trascrivere tutto quanto nel diario. Quei dati dovevano essere trasmessi. Le loro implicazioni erano troppo terrificanti.
Il problema di un sistema di difesa strategica era che nessun'arma era di per se stessa "offensiva" o "difensiva". Come la bellezza di una donna sta negli occhi di chi la guarda, la natura offensiva o difensiva di un'arma sta nella direzione in cui è puntata. Tutta la storia dell'umanità dimostrava che la vittoria in una guerra era sempre determinata dal giusto equilibrio fra gli elementi offensivi e quelli difensivi.
La strategia nucleare sovietica, riflette Misha, era molto più sensata di quella dell'Occidente. Per gli strateghi russi, la guerra nucleare non era una prospettiva impensabile. Avevano imparato a essere pragmatici. Il problema era complesso, ma aveva una soluzione, forse non perfetta. A differenza di molti pensatori occidentali, loro si rendevano conto, e lo ammettevano, di vivere in un mondo imperfetto. La strategia sovietica dopo la crisi missilistica cubana del 1962 —
l'evento in cui aveva trovato la morte il "reclutatore" di Filitov, il colonnello Oleg Penkovskiy — si basava su un'unica frase: "Limitazione dei danni". Il problema non era quello di distruggere il nemico con le armi nucleari. Con questo tipo di armi si trattava piuttosto di limitare la distruzione in modo che restasse qualcosa su cui trattare, al momento di far cessare il conflitto. Il problema che occupava le menti sovietiche era di impedire alle armi nucleari nemiche di distruggere l'Unione Sovietica. Con venti milioni di morti in ciascuna delle due guerre mondiali, i russi avevano visto abbastanza distruzioni e non ne desideravano altre.
Il compito non veniva considerato di facile soluzione, ma era necessario per ragioni politiche non meno che tecniche. Il marxismo-leninismo vede la storia come un processo: non una mera collezione di avvenimenti passati, bensì l'espressione scientifica dell'evoluzione sociale umana che culminerà — dovrà culminare — nell'ammissione unanime da parte di tutti gli esseri umani che il marxismo-leninismo è la forma ideale di società. Un marxista convinto credeva nell'affermazione finale della sua dottrina, con la stessa fede che un cristiano, un ebreo o un musulmano nutriva nell'esistenza di una vita dopo la morte. Come le comunità religiose, nel corso della storia, avevano dimostrato di essere pronte a diffondere la buona novella con il fuoco e con la spada, nello stesso modo il buon marxista aveva il dovere di trasformare la propria visione in realtà nel più breve tempo possibile.
La difficoltà era, ovviamente, rappresentata dal fatto che non tutti, nel mondo, condividevano la visione marxista-leninista della storia. La dottrina comunista 117
attribuiva questo fatto alle forze reazionarie dell'imperialismo, del capitalismo, della borghesia, la cui resistenza era prevedibile — mentre non lo era la loro tattica. Come un giocatore d'azzardo che ha truccato la roulette, i comunisti
"sapevano" che avrebbero vinto ma, nei momenti più bui, ammettevano —
proprio come il giocatore — che la fortuna o, più scientificamente, il caso, potevano alterare l'equazione. Mancando della giusta visione scientifica, le democrazie occidentali mancavano anche di un'etica comune, e ciò le rendeva imprevedibili.
Era questo, più di qualunque altro, il motivo per cui l'Est aveva paura dell'Occidente. Fin da quando Lenin aveva preso il comando della Russia — e le aveva cambiato il nome — il governo comunista aveva speso miliardi per spiare il mondo occidentale. Come in ogni forma di attività spionistica, lo scopo primario era di prevedere che cosa l'Ovest voleva e poteva fare.
Tuttavia il problema continuava a sussistere, malgrado qualche irrilevante successo tattico: più di una volta i sovietici avevano commesso gravi errori nell'interpretare gli atti e le intenzioni degli occidentali. Nell'era nucleare, l'imprevedibilità poteva voler dire che la mancanza di equilibrio in un capo americano — e, in misura minore, inglese o francese — avrebbe potuto provocare la fine dell'Unione Sovietica e ritardare di più generazioni l'avvento del socialismo mondiale. (Delle due minacce, la prima era la più grave agli occhi dei russi, perché nessun russo etnico avrebbe voluto vedere un mondo diventato socialista sotto il dominio cinese.) L'arsenale nucleare dell'Occidente era la più grande minaccia per il marxismo-leninismo; il primo compito dell' establishment militare sovietico era di controbilanciare quell'arsenale. A differenza degli occidentali, però, i sovietici non vedevano la prevenzione delle armi nucleari come equivalente alla prevenzione della guerra. Poiché consideravano imprevedibile l'Occidente, ritenevano di non potersi affidare alla semplice dissuasione. Avevano l'assoluto bisogno di eliminare, o quanto meno ridurre, l'arsenale nucleare dell'Ovest, nel caso che una crisi rischiasse di spingersi oltre lo stadio delle parole.
L'arsenale nucleare dei sovietici era stato progettato esattamente in funzione di questo bisogno. Distruggere città e, con loro, milioni di abitanti sarebbe sempre stato un compito molto semplice. Non era semplice, invece, distruggere i missili dei Paesi ai quali quelle città e quegli abitanti appartenevano. L'idea di distruggere i missili americani aveva costretto i russi a elaborare parecchie generazioni di missili di alta precisione — e di alto costo — come gli SS-18, il cui unico compito era di ridurre gli squadroni di missili balistici intercontinentali Minuteman americani a un mucchio di polvere fluorescente, insieme alle basi dei sommergibili e degli aerei da bombardamento. A eccezione degli aerei, tutti questi obiettivi erano lontani dai centri abitati; di conseguenza, 118
il colpo destinato a disarmare l'Occidente poteva essere inferto senza necessariamente causare un olocausto. Per contro, gli americani non avevano un numero sufficiente di testate altrettanto precise per minacciare nello stesso modo la forza missilistica sovietica. Ne conseguiva che i russi erano in vantaggio agli effetti di un potenziale attacco di "controforza" — cioè del tipo diretto contro le armi anziché contro le persone.
Le carenze sovietiche erano nel campo navale. Più di metà delle testate americane erano in dotazione ai sottomarini nucleari. La Marina statunitense riteneva che i suoi sottomarini missilistici non fossero mai stati inseguiti da quelli sovietici. Era inesatto. Erano stati inseguiti per tre volte negli ultimi ventisette anni, però mai per più di quattro ore. Nonostante il lavoro di un'intera generazione, la Marina sovietica non era in grado di prevedere se tale missione sarebbe mai stata fattibile. Gli americani ammettevano francamente di non riuscire nemmeno loro a rilevare i propri "boomer", come venivano chiamati i sub missilistici. Viceversa, erano in grado di inseguire i "boomer" dei sovietici i quali, per questo motivo, non avevano mai mandato in mare più di una piccola frazione delle loro testate. Stando alle informazioni più recenti né l'una né l'altra parte poteva collocare sui sottomarini delle armi di controforza sufficientemente precise.
Però il gioco stava di nuovo cambiando. Gli americani avevano realizzato un altro miracolo tecnico, e le loro armi lanciate dai sommergibili sarebbero ben presto state dei missili Trident-5, con elevata capacità distruttiva. Ciò minacciava la strategia sovietica con l'immagine speculare del suo stesso potenziale, anche se un elemento base del sistema era rappresentato dai Satelliti di Posizionamento Globale, senza i quali i sub americani non potevano determinare la propria posizione in modo abbastanza preciso per mandare le testate a distruggere obiettivi rinforzati. La logica contorta dell'equilibrio nucleare tornava a mordersi la coda, come aveva fatto per almeno una generazione.
Da molto tempo si era capito che i missili erano armi offensive con missione difensiva, che la loro capacità di distruggere l'avversario era la formula classica per impedire la guerra e al tempo stesso conseguire i propri obiettivi in tempo di pace. Un simile potere era ormai nelle mani di entrambi i contendenti; in conseguenza di ciò la formula, storicamente collaudata, dell'intimidazione unilaterale si era trasformata nella nuova formula della dissuasione bilaterale, che non piaceva né all'una né all'altra parte.
La dissuasione nucleare: impedire la guerra con la minaccia della distruzione reciproca. In sostanza, ciascuna parte diceva all'altra: se tu uccidi i miei civili inermi, io uccido i tuoi. La difesa non era più la protezione della propria società, bensì una minaccia di violenza insensata contro la parte avversa. Misha fece una 119
smorfia. Nessuna tribù di selvaggi aveva mai formulato una simile ipotesi —
persino i barbari primitivi erano troppo avanzati per una proposta del genere, però quella era esattamente la decisione che i popoli più progrediti della terra avevano adottato, o in cui erano andati a sbattere. Anche se si poteva affermare che la dissuasione funzionava, il significato era che l'Unione Sovietica — e l'Occidente — vivevano sotto una minaccia dalle molte articolazioni. Nessuno trovava soddisfacente la situazione, ma i sovietici avevano fatto il miglior uso di quello che consideravano un cattivo affare programmando un arsenale strategico largamente in grado di disarmare l'avversario, se una crisi mondiale lo avesse reso inevitabile. Nell'assicurarsi la capacità di eliminare buona parte dell'arsenale americano, avevano il vantaggio di poter imporre il modo in cui si sarebbe combattuta una guerra nucleare. Secondo i criteri classici, quello era il primo passo verso la vittoria. Gli occidentali, invece, escludevano che in una guerra nucleare potesse esserci una "vittoria"; nell'ottica sovietica, questo diniego era il primo passo verso la sconfitta dell'Occidente. I teorici dell'uno e dell'altro fronte avevano sempre dichiarato la natura difettosa di tutta la questione nucleare, e lavoravano silenziosamente per risolverla in altri modi.
Fino dal 1950 tanto l'America quanto l'Unione Sovietica avevano iniziato la ricerca nel campo della difesa antibalistica; i russi la conducevano a Sary Shagan, nella Siberia sud-occidentale. Verso la fine del 1960 era quasi stato introdotto dai sovietici un sistema attuabile, ma l'avvento del MIRV (Multiple Independent Reentry Vehicle — testata multipla a obiettivi indipendenti) aveva completamente vanificato quindici anni di lavoro: un brutto colpo per entrambe le parti. La lotta per la supremazia fra sistemi offensivi e sistemi difensivi tendeva sempre a risolversi a favore dei primi.
Ora non più. Le armi laser e gli altri sistemi per la proiezione di alta energia, abbinati alla potenza dei computer, costituivano un balzo enorme in un nuovo regno della strategia. Il rapporto di Bondarenko diceva al colonnello Filitov che adesso era possibile una difesa operativa. Che cosa voleva dire?
Voleva dire che l'equazione nucleare era destinata nuovamente al classico equilibrio di offesa e difesa, e che entrambi gli elementi potevano diventare parte di un'unica strategia. I militari di professione lo trovavano, in astratto, un sistema più soddisfacente — quale uomo desidera passare alla storia come il più grande assassino di tutti i tempi? — però adesso le possibilità tattiche di nuovo alzavano le loro teste minacciose. Vantaggio e svantaggio, mossa e contromossa. Un sistema americano di difesa strategica poteva annullare l'intero atteggiamento sovietico sul problema nucleare. Se gli americani potevano impedire agli SS-18 di distruggere i missili delle loro basi terrestri, la prima iniziativa del disarmo su cui i sovietici facevano affidamento per ridurre i rischi per la Rodina non era più attuabile. Ciò significava che tutti i miliardi che erano 120
stati divorati dalla produzione dei missili balistici erano sprecati come se fossero stati gettati in mare.
Ma c'era altro. Proprio come lo scutum del legionario romano era visto dal barbaro antagonista come un'arma che permetteva al nemico di colpire impunemente, così oggi lo SDI* poteva essere visto come uno scudo al riparo del quale un nemico poteva lanciare il primo colpo disarmante, e poi usare le proprie difese per ridurre, o addirittura annullare, l'effetto del conseguente colpo di ritorsione.
Era, beninteso, una visione semplicistica. Nessun sistema sarebbe mai stato a prova di errore; Misha sapeva bene che, anche se il sistema fosse stato valido, i capi politici avrebbero trovato il modo di usarlo nel modo meno vantaggioso; i politicanti ci riuscivano sempre. Uno schema di difesa concretamente operativo avrebbe avuto l'effetto di aggiungere una nuova incognita all'equazione. Era improbabile che un Paese potesse eliminare tutte le testate in arrivo, e la morte di un "modesto" contingente di venti milioni di cittadini era una prospettiva troppo spaventosa, anche per la leadership sovietica. Tuttavia, anche un abbozzo di scudo spaziale avrebbe potuto abbattere un numero di testate sufficiente a invalidare l'intero concetto di "controforza".
Se i sovietici avessero avuto prima tale sistema, lo scarso arsenale americano di controforza sarebbe stato più facile da controbattere che non quello sovietico, e la situazione strategica per la quale i russi avevano lavorato trent'anni sarebbe rimasta intatta. Il Governo sovietico avrebbe avuto il meglio dei due mondi: una forza molto superiore di missili precisi con cui eliminare le testate americane, e uno scudo per attutire il più possibile il colpo di ritorsione contro i propri campi missilistici di riserva. Il sistema americano di missili con base su navi e sommergibili avrebbe potuto essere neutralizzato eliminando i satelliti di assistenza alla navigazione, senza i quali gli USA avrebbero potuto continuare a colpire le città, ma avrebbero irrimediabilmente perduto la capacità di attaccare i silos di missili.
Il quadro che il colonnello Mikhail Semyonovich Filitov stava considerando era il tipico modo sovietico di "studiare un caso. Esplodeva una crisi (le probabilità convergevano sul Medio Oriente, dato che nessuno poteva prevedere che cosa sarebbe accaduto in quel settore) e, mentre Mosca si muoveva per stabilizzare la situazione, l'Occidente interferiva — in modo stupido e goffo, come sempre — e cominciava a parlare apertamente sui media di un confronto nucleare. Gli organi d'informazione rendevano noto a Mosca che un attacco nucleare era veramente possibile. I reggimenti della Forza Missilistica Strategica SS-18 venivano messi segretamente in stato di massimo allarme, e
* Strategic Defense Initiative: iniziativa per la difesa strategica correntemente chiamata "scudo spaziale". [N.d.T.]
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così pure le nuove armi con base a terra. Mentre i palloni gonfiati dei Ministeri degli Esteri — nessun militare ha molta stima per i colleghi della diplomazia —
si davano da fare per appianare le cose, l'Occidente avrebbe fatto gesti e minacce, magari attaccando una formazione navale sovietica per dimostrare la propria risolutezza, e mobilitando gli Eserciti della NATO per minacciare la possibile invasione dell'Europa orientale. Il panico si sarebbe diffuso nel mondo.
Quando la retorica occidentale avesse raggiunto il diapason, la Forza Missilistica avrebbe ricevuto gli ordini di lancio. Milletrecento SS-18 sarebbero partiti, assegnando tre testate a ciascun silos dei Minuteman americani. Armi più piccole avrebbero dato la caccia alle basi dei sommergibili e dei bombardieri per limitare le perdite collaterali — i sovietici non avevano alcun desiderio di esacerbare la situazione più del necessario. Contemporaneamente i laser avrebbero inabilitato il maggior numero possibile di satelliti americani da ricognizione e navigazione, ma avrebbero lasciato intatti quelli per le telecomunicazioni — un giochetto calcolato per dimostrare i "buoni propositi".
Gli americani sarebbero riusciti a rispondere all'attacco soltanto dopo essere stati colpiti dalle testate sovietiche. (Misha ne era desolato, ma le informazioni provenienti dal KGB e dal GRU erano concordi nell'affermare l'esistenza di falle notevoli nel sistema americano di comando e controllo, a cui si dovevano aggiungere i fattori psicologici.) Probabilmente gli americani avrebbero tenuto in riserva le armi montate sui sottomarini e avrebbero lanciato i Minuteman superstiti contro i silos dei missili sovietici, però si prevedeva che non più di due o trecento testate sarebbero sopravvissute al primo attacco; molte sarebbero state lanciate contro bersagli inesistenti, e comunque il sistema difensivo sovietico avrebbe distrutto in volo la maggior parte dei missili nemici.
Al termine della prima ora, gli americani si sarebbero resi conto che l'utilità dei loro missili sottomarini andava molto ridimensionata. Dei messaggi accuratamente preparati — NON POSSIAMO PERMETTERE CHE LA STRAGE CONTINUI —
sarebbero stati trasmessi in continuazione. Con ogni probabilità gli americani si sarebbero fermati a riflettere. Era questa la cosa importante — obbligare le persone a fermarsi e riflettere. Un uomo poteva attaccare delle città per un moto impulsivo o sotto la spinta della collera, ma non dopo una seria meditazione.
Filitov non si preoccupava del fatto che entrambe le parti potessero vedere i propri sistemi difensivi come il fondamento logico di un'azione offensiva. Nel caso di una crisi, però, la loro esistenza avrebbe potuto attenuare la paura che tendeva a impedirne il lancio, se l'avversario non aveva difese. Però entrambe le parti dovevano averle. Ciò avrebbe diminuito notevolmente le probabilità di un colpo offensivo, e reso il mondo un posto molto più sicuro. Ormai i sistemi difensivi non potevano essere fermati. Sarebbe stato come voler arrestare la marea. Il cuore del vecchio soldato esultava al pensiero che i missili 122
intercontinentali, così negativi per l'etica del guerriero, potevano finalmente essere neutralizzati, che la morte in guerra sarebbe ritornata a essere il retaggio di uomini in armi sul campo di battaglia, com'era giusto...
Bene, pensò, sei stanco e l'ora tarda non si addice a queste profonde riflessioni. Doveva concludere il testo con i dati tratti dal rapporto definitivo di Bondarenko, fotografarlo e portare la pellicola al suo intermediario.
8
Trasmissione di documenti
Era già l'alba quando l'Arciere trovò il relitto dell'aereo. Aveva con sé Abdul e altri dieci uomini. Dovevano sbrigarsi. Appena il sole fosse spuntato sulle montagne, sarebbero arrivati i russi. Osservò il relitto da un'altura. Le ali erano state tranciate dal primo impatto; la fusoliera era stata proiettata in avanti, su per un lieve pendìo, rimbalzando e andando in pezzi a tal punto che soltanto la coda era riconoscibile. Non aveva modo di sapere se quel risultato era merito di un brillante pilota, perché tenere sotto controllo anche minimo la caduta dell'apparecchio era di per sé un vero miracolo. Fece un gesto agli uomini e si diresse svelto verso la parte più grande della fusoliera. Disse ai compagni di cercare le armi e qualsiasi tipo di documento, poi, insieme ad Abdul, andò verso ciò che restava della coda.
Come sempre, la scena del disastro era piena di contraddizioni. Alcuni dei corpi erano dilaniati, altri superficialmente intatti, uccisi da traumi interni. I cadaveri sembravano stranamente in pace, rigidi ma non ancora congelati dalla bassa temperatura. Ne contò sei che si trovavano nella parte posteriore dell'aereo. Vide che erano tutti russi e in divisa. Uno indossava l'uniforme con i gradi di capitano del KGB, e la cintura di sicurezza lo teneva ancora legato al sedile. Sulle labbra si vedeva una schiuma rosa; doveva essere rimasto vivo per qualche minuto dopo la caduta, sputando sangue. L'Arciere rovesciò il corpo con un calcio e vide che l'uomo aveva una cartella fissata con le manette al polso sinistro. Prometteva bene. Si chinò per vedere se le manette potevano essere staccate facilmente, ma non era così. Alzò le spalle ed estrasse il coltello.
Doveva tagliare il polso. Girò il braccio verso di sé e cominciò...
... ma il braccio si contrasse, e un grido acuto fece balzare in piedi l'Arciere.
Possibile che fosse ancora vivo? Si abbassò verso il viso dell'uomo, lo vide tossire spruzzando sangue. Adesso gli occhi azzurri erano spalancati in un'espressione di meraviglia e di dolore. La bocca si mosse, ma non ne uscì alcun suono intelligibile. «Guarda se ce n'è qualcun altro ancora vivo» ordinò all'assistente. Si rivolse all'ufficiale del KGB e gli parlò in pashto: «Salve, 123
russo». Mosse il coltello qualche centimetro davanti agli occhi dell'uomo.
Il capitano riprese a tossire. Adesso era completamente sveglio e doveva soffrire parecchio. L'Arciere lo perquisì per vedere se aveva armi, ma il corpo si contorse dolorosamente sotto le sue mani. Doveva avere le costole rotte, mentre le membra sembravano intatte. Proferì a fatica qualche parola. L'Arciere sapeva un po' di russo, ma non riuscì a capire che cosa gli stava dicendo il ferito. Non doveva essere difficile — il messaggio che l'uomo cercava di trasmettere era ovvio, ma l'Arciere impiegò mezzo minuto a comprenderlo.
«Non uccidermi...»
L'Arciere capì ma continuò la ricerca. Prese il portafoglio del capitano e ne scorse rapidamente il contenuto. Furono le fotografie a fermarlo. Il ferito aveva moglie, una donna di piccola statura, con i capelli scuri e il viso rotondo. Non era avvenente, ma aveva un bel sorriso: quello che la donna riserva all'uomo che ama. Dava al viso di lei una luce che l'Arciere aveva conosciuto, un tempo. La sua attenzione, però, fu attratta dalle altre due istantanee. Quell'uomo aveva un figlio. Le foto erano state fatte quando aveva forse due anni, un bimbo piccolo con i capelli spettinati e un allegro sorriso. Non si può odiare un bambino, nemmeno se è russo e figlio di un ufficiale del KGB. La seconda fotografia era tanto diversa che si faceva fatica a riconoscere il piccolo. Non aveva più capelli, la pelle era tesa sul viso... e trasparente come le pagine di un vecchio Corano.
Quel bambino stava morendo. Aveva tre anni, adesso? Forse quattro? si chiese.
Un bimbo moribondo sul cui volto aleggiava un sorriso di coraggio, di sofferenza e di amore. Perché la collera di Allah colpisce i piccoli? Voltò la foto verso il viso dell'ufficiale.
«Tuo figlio?» gli domandò in russo.
«Morto. Cancro» spiegò l'uomo, ma si rese conto che il bandito non capiva.
«Malattia. Lunga malattia.» Per un istante il suo viso non riflette più il dolore fisico, ma solo l'afflizione. Fu questo a salvargli la vita. Vide con sorpresa che il bandito rimetteva il coltello nel fodero, ma non poté reagire in nessun modo visibile a causa della sofferenza.
No, non imporrò un altro lutto a questa donna. La decisione sorprese l'Arciere. Era come se la voce stessa di Allah gli ricordasse che, fra le umane virtù, la pietà è seconda soltanto alla fede. Quella considerazione non poteva bastare, da sola — i fratelli guerriglieri non si sarebbero lasciati convincere da un versetto delle Scritture — ma l'Arciere trovò un portachiavi in tasca al prigioniero. Usò una chiave per fare scattare le manette, e un'altra per aprire la cartella. Era piena di fascicoli di documenti, bordati con nastri adesivi multicolori e stampigliati con quello che doveva essere l'equivalente russo di SEGRETO. Conosceva quella parola.
«Amico,» disse l'Arciere in pashto «vedrai un mio compagno. Se vivrai 124
abbastanza a lungo» aggiunse.
«Quanto è grave la cosa?» domandò il Presidente.
«Potenzialmente è molto grave» rispose il giudice Moore. «Vorrei portare qui alcune persone per illustrarle i particolari.»
«Non ha già incaricato Ryan di fare la valutazione?»
«Ci sarà anche lui. Un altro dei relatori è il maggiore Gregory di cui ha sentito parlare.»
Il Presidente sfogliò l'agenda. «Posso concedervi tre quarti d'ora. Venite alle undici.»
«Ci saremo, signore.» Moore riattaccò, poi chiamò la segretaria sull'interfono.
«Mi mandi il dottor Ryan.»
Jack fu sulla soglia un minuto dopo. Non ebbe nemmeno il tempo di sedersi.
«Vedremo LUI alle undici. A che punto è il suo materiale?»
«Non sono la persona adatta a parlare di fisica, ma può farlo Gregory. In questo momento è in riunione con l'ammiraglio e con il signor Ritter. Verrà anche il generale Parks?» domandò Jack.
«Già.»
«Okay, quanto altro materiale visivo vuole che metta insieme?»
Il giudice Moore meditò per un momento. «Non abbiamo bisogno di dargli il capogiro. Basteranno un paio di immagini da lontano e un buon diagramma. Lei crede veramente che la cosa sia importante?»
«Non è assolutamente una minaccia immediata, ma è uno sviluppo di cui avremmo fatto volentieri a meno. Gli effetti sul negoziato per il controllo delle armi non sono facili da valutare. Non credo che ci sia un rapporto dir...»
«Non c'è, ne siamo sicuri.» Il direttore della CIA si interruppe e fece una smorfia. «Insomma, crediamo di poterne essere sicuri.»
«Giudice, sento sospesi nell'aria dei dati su questa faccenda che io non ho ancora visto.»
«E come fa a saperlo, figliolo?» domandò il giudice con aria benevola.
«Ho passato la maggior parte di venerdì scorso a esaminare vecchi dossier sul programma di difesa antibalistica sovietica. Nel 1981 hanno fatto una prova importante alla base di Sary Shagan. Sappiamo parecchie cose in proposito — ad esempio che i parametri della missione sono stati modificati da ordini all'interno del Ministero della Difesa. Quegli ordini vennero sigillati a Mosca e consegnati a mano al comandante del sottomarino missilistico che ha eseguito il lancio —
Marko Ramius. Mi ha raccontato l'altro capitolo della storia. Con questo, più alcune altre scoperte che ho fatto, sono indotto a credere che noi abbiamo un uomo infiltrato laggiù, a livello piuttosto alto.»
«Quali altre scoperte?»
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Jack esitò per un momento, poi decise di andare avanti con le congetture.
«Quando l' Ottobre Rosso defezionò, lei mi fece vedere un rapporto che veniva da "dentro", sempre dal Ministero della Difesa; il nome in codice del dossier era SALICE, se ben ricordo. Ho visto soltanto un altro dossier con quel nome, su un argomento completamente diverso, ma sempre connesso con la Difesa. Questo mi induce a pensare che vi sia una fonte con un ciclo di cambiamento dei codici molto veloce. Lei non lo adotterebbe se non nel caso di una fonte estremamente delicata. Se si tratta di informazioni alle quali non ho accesso, posso solo concludere che è roba molto segreta. Due settimane fa lei mi ha detto che la valutazione di Dushanbe fatta da Gregory era confermata da "altri elementi", signore.» Jack sorrise. «Giudice, lei mi paga perché veda nessi e coincidenze.
Non mi importa di essere escluso da alcuni dati, ma comincio a pensare che se c'è qualcosa in corso, rientra nel lavoro che sto cercando di fare. Se lei vuole che io riferisca al Presidente, signore, devo potergli presentare le informazioni giuste.»
«Si metta a sedere, dottor Ryan.» Moore non si prese la pena di domandare a Jack se aveva discusso quell'argomento con qualcun altro. Era tempo di aggiungere un altro membro alla confraternita DELTA? Un momento dopo si produsse in uno dei suoi sorrisi sornioni.
«Lo ha già conosciuto.» Il giudice continuò a parlare per un paio di minuti.
Jack si sprofondò nella poltrona e chiuse gli occhi. Dopo qualche istante di riflessione, riuscì a identificare il viso. «O Dio! È lui che ci da le informazioni...
Ma saranno tali che noi possiamo servircene?»
«Ci ha già fornito dati tecnici prima d'ora, e ne abbiamo utilizzato la maggior parte.»
«Lo diciamo al Presidente?»
«No. L'idea è sua, non nostra. Qualche tempo fa ci ha detto che non voleva conoscere i particolari delle operazioni segrete, ma solo i risultati. È come la maggior parte degli uomini politici: parla" troppo. Almeno è abbastanza intelligente da rendersene conto. Abbiamo già perso degli uomini solo perché i Presidenti erano troppo loquaci — per non parlare di altri membri del Congresso.»
«Quando prevediamo di ricevere il rapporto?»
«Presto. Forse già questa settimana, ma al massimo entro una ventina di giorni...»
«E se va tutto bene potremo prendere le cose che loro sanno e aggiungerle a quelle che sappiamo noi...» Ryan lasciò vagare lo sguardo oltre la finestra, sui rami spogli degli alberi. «Giudice, da quando sono stato qui per la prima volta mi sono domandato ogni giorno che cosa era più importante in questo luogo: le cose che sappiamo o quelle che non sappiamo?»
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Moore fece con la testa un cenno di conferma. «Questo è il gioco, dottor Ryan. Raccolga i suoi appunti per l'incontro con il Presidente, ma nessun accenno al nostro amico. Ci penserò io, se sarà necessario.»
Jack ritornò in ufficio scrollando la testa. Da un po' di tempo aveva il sospetto di avere accesso a notizie che il Presidente non conosceva. Adesso ne era sicuro.
Chissà se era una buona cosa? Ammise di non potersi dare una risposta. Ciò che occupava la sua mente era l'importanza di quel contatto e delle sue informazioni.
C'erano dei precedenti. Il brillante agente Richard Sorge in Giappone nel 1941, i cui moniti a Stalin non erano stati presi sul serio. In tempi più recenti Oleg Penkovskiy aveva fornito all'Occidente delle informazioni militari sui sovietici che avrebbero potuto impedire la guerra nucleare durante la Crisi Cubana dell'ottobre 1962. E adesso un altro. Non si soffermò sul fatto che, alla CIA, era lui l'unico a conoscere il volto dell'agente, ma non il suo nome o il suo codice.
Non gli venne in mente che il giudice Moore non conosceva la faccia del CARDINALE, e da anni evitava di guardare le sue fotografie per motivi che non avrebbe potuto spiegare nemmeno ai suoi vicedirettori.
Squillò il telefono, e una mano uscì di sotto la coperta per prendere il ricevitore. «Pronto.»
«'Giorno, Candi» disse Al Gregory da Langley.
A tremiladuecento chilometri di distanza, la dottoressa Candace Long si rigirò nel letto per guardare l'orologio. «Sei all'aeroporto?»
«Ancora a Washington, tesoro. Se va tutto bene, prenderò l'aereo a fine giornata.» La voce tradiva la stanchezza.
«Che cosa sta succedendo?» domandò lei.
«Oh, qualcuno ha fatto un esperimento, e io devo spiegare a qualcun altro che cosa significa.»
«Okay. Fammi sapere quando arrivi, Al. Verrò a prenderti.» Candi Long era troppo intontita per capire che il fidanzato aveva contravvenuto a una norma di sicurezza per risponderle.
«Certo. Ti amo.»
«Anch'io, tesoro.» Posò il ricevitore e guardò di nuovo l'orologio. Poteva dormire un'altra ora. Si annotò mentalmente di andare in ufficio con un'amica.
Al aveva lasciato la sua macchina al laboratorio quando era partito, e lei l'avrebbe usata per andare a prenderlo.
Ryan si caricò di nuovo Gregory sulla Jaguar, e Moore prese con sé il generale Parks sulla limousine della CIA.
«Gliel'ho già chiesto prima: quante probabilità abbiamo di scoprire che cosa stanno facendo i russi a Dushanbe?»
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Jack esitò prima di rispondere, ma poi pensò che Gregory avrebbe sentito tutta la storia nell'Ufficio Ovale. «Abbiamo gente impegnata a scoprire che cosa hanno escogitato per aumentare la potenza in uscita.»
«Mi piacerebbe tanto sapere come fate» disse il giovane maggiore.
«No, non le piacerebbe, mi creda.» Ryan distolse per un attimo lo sguardo dalla strada. «Se lei ne sapesse qualcosa, e le scappasse una parola a sproposito, potrebbe far morire delle persone. È già successo. I russi non usano la mano leggera con le spie. Circola ancora una storia di come ne hanno cremata una —
voglio dire, l'hanno cacciata ancora viva in un forno crematorio.»
«Oh, andiamo! Nessuno è tanto...»
«Maggiore, un giorno o l'altro lei dovrebbe uscire dal laboratorio e vedere con i suoi occhi quanto può essere cattivo il mondo. Cinque anni fa, c'è stata della gente che ha tentato di assassinare mia moglie e la mia bambina. Per farlo, hanno dovuto volare per cinquemila chilometri, ma sono venuti.»
«Ah, sì, lei è quel tale che...»
«Storia vecchia, maggiore.» Jack non aveva più voglia di raccontare tutta la vicenda.
«Come ci si sente, signore? Dico, lei è stato in combattimento, quello vero, voglio dire...»
«Non è divertente.» Ryan per poco non si mise a ridere, nel sentire come impostava il discorso. «Devi fare quello che hai da fare, tutto lì. O lo fai bene, o ci lasci le penne. Se hai fortuna, il panico ti prende solo quando tutto è finito.»
«Una volta, al laboratorio, ha detto che era stato nei Marines...»
«Mi è servito. Almeno c'è stato un tempo in cui qualcuno si è preso la pena di insegnarmi qualcosa.» Quando lei era ancora al liceo, pensò Jack ma non lo disse. Basta con questi discorsi. «Ha già incontrato il Presidente?»
«No, signore.»
«Mi chiamo Jack, okay? È una brava persona, fa attenzione a quello che dici e fa domande intelligenti. Non si lasci ingannare dallo sguardo sonnacchioso.
Credo che lo usi per fregare i politici.»
«Sono facili da infinocchiare?» domandò Gregory, facendo ridere Jack.
«Alcuni lo sono. Sarà presente anche il capo della commissione per il controllo degli armamenti, lo zio Ernie. Ernest Allen, vecchia volpe della diplomazia; ha studiato a Dartmouth e a Yale. Un tipo furbo.»
«È lui che vorrebbe eliminare il mio lavoro. Che cosa se ne fa il Presidente, di quel tipo?»
«Ernie sa come trattare con i russi, ed è un professionista. Non permette alle sue opinioni personali di interferire con il lavoro. In tutta franchezza, non so che cosa pensi veramente delle varie questioni. È come per i medici. Non occorre che il chirurgo abbia simpatia per te, l'importante è che ti ripari i guasti. Nel 128
caso di Allen, lui è il genere di persona che può sopportare serenamente tutti le stronzate che accompagnano la trattativa. Non sa niente nemmeno di questo, vero?» Jack scosse la testa e sorrise guardando il traffico. «Tutti pensano che un negoziato sul disarmo sia una cosa drammatica, ma non lo è. Non ho mai visto nulla di più noioso. Entrambe le parti in causa dicono esattamente la stessa cosa per ore — la ripetono in media ogni quindici o venti minuti ogni giorno per tutto il giorno. Poi, dopo una settimana, una delle parti fa una piccola variante e continua a ripeterla per ore. L'altra parte sottopone la cosa al proprio Governo, fa anche lei un piccolo cambiamento, e attacca a ripeterlo. Va avanti così per settimane e mesi, a volte per anni. Però lo zio Ernie è bravo in questo, lo trova emozionante. Personalmente, dopo una settimana sarei pronto a dichiarare la guerra pur di mettere fine a quella tiritera,» altra risata «ma la prego di non citare questa dichiarazione. È eccitante pressappoco come guardare la vernice mentre asciuga, tedioso in modo inimmaginabile, ma è importante, e richiede un tipo speciale di mente per farlo. Ernie è un vecchio bastardo arido e con il pelo sullo stomaco, però sa fare il suo lavoro.»
«Il generale Parks dice che vuole farci chiudere bottega.»
«Maggiore, può chiederlo a lui direttamente. Non dispiacerebbe nemmeno a me saperlo.» Jack svoltò in Pennsylvania Avenue seguendo la limousine.
Cinque minuti dopo, lui e Gregory sedevano nel salone dell'ala occidentale sotto una copia del famoso quadro di George Washington che attraversa il Delaware, ad ascoltare il giudice che parlava con Jeffrey Pelt, consigliere del Presidente per le questioni della sicurezza nazionale. Il Presidente stava terminando una seduta con il ministro del Commercio. Infine un funzionario del servizio segreto li chiamò e li condusse lungo i corridoi.
L'Ufficio Ovale è più piccolo di quanto lo si immagini, proprio come la maggior parte degli studi televisivi. Ryan e Gregory furono indirizzati a un piccolo divano lungo la parete a nord. Nessuno si era ancora seduto; il Presidente stava in piedi vicino al suo tavolo di lavoro. Ryan notò che Gregory era un po' pallido, e ripensò alla sua prima visita. Anche coloro che lavoravano alla Casa Bianca ammettevano, qualche volta, di essere intimiditi da quella stanza e dal potere che essa conteneva.
«Lieto di rivederla, Jack!» Il Presidente venne a stringergli la mano. «E lei dev'essere il famoso maggiore Gregory.»
«Sì, signore.» Per poco Gregory non si strangolò nel rispondere, e dovette raschiarsi la gola. «Voglio dire, sì, signor Presidente.»