Sabato, 23 febbraio.
Capitolo 1.
C'era stata un'altra terribile scenata la sera precedente, e Marina non era riuscita a prendere sonno, continuando a sentire il cuore batterle in gola. Dopo il litigio a pranzo, Rob era rimasto fuori per un po', rincasando verso le quattro e chiudendosi senza dire una parola nella camera degli ospiti che occupava a casa di sua madre. Quando lei era andata a chiamarlo per cena, lui non aveva reagito. Soltanto verso le nove e mezzo si era deciso a scendere. Marina, che stava guardando la televisione in salotto, lo sentì prendere la giacca dal guardaroba. Lo raggiunse in corridoio.
«Vuoi fare un altro giro per il quartiere?» domandò in tono volutamente disinvolto, anche sé intuì subito con un certo sgomento che le sue intenzioni erano altre. Si era messo un sacco di gel nei capelli e profumava di dopobarba.
Lui si infilò il giubbotto. «Vado a cercare», rispose, «qualche posto dove ci sia un po'"di vita.» «Che cosa significa un po'"di vita?»
«Quello che significa. È venerdì sera. Non ho intenzione di passare il venerdì sera qui in periferia a guardare stupidi quiz in televisione!» «Dove hai intenzione di andare precisamente?»
Lui alzò le spalle. «Non ne ho idea. Darò un'occhiata in giro.» «Rob, non sei pratico dei dintorni. Non hai né amici né conoscenti qui. E hai solo sedici anni!»
Lui fece finta di non averla sentita, prese le chiavi di casa che lei gli aveva dato per la durata del suo soggiorno, e fece per uscire. «Rob!» lo chiamò Marina duramente. Lui si girò controvoglia. «Sì?»
«Non voglio che tu esca. Londra non è un paese. Non posso permetterti di andartene in giro da solo. È troppo pericoloso!» Lui si sforzò di mantenersi freddo e superiore, ma i suoi occhi erano pieni di rabbia e sofferenza. «Come farai a impedirmelo?» «Te lo proibisco.»
Lui sogghignò. «Che cos'è questa scenata, mammina?» domandò. «Credi veramente di potermi proibire qualcosa? Vuoi che ti mostri quanto me ne importi di quello che vuoi o non vuoi? Me ne importa così!» Le mostrò il dito medio e scomparve fuori nella notte prima ancora che Marina si fosse ripresa dallo sgomento di quel gesto osceno e potesse reagire.
Non avrebbe più saputo dire come aveva passato la serata. Era rimasta davanti alla televisione, ma non aveva seguito nessuno dei programmi trasmessi. Si mise a bere del vino, troppo vino, le lacrime le rigavano il viso, e continuava a vedersi davanti due scene distinte: il giorno della nascita di Rob, il momento in cui l'infermiera le aveva messo in braccio il neonato roseo e paffuto e lei era scoppiata a piangere, così forte e sconsolatamente, che alla fine le avevano dovuto fare un'iniezione per farla calmare. E la scena di quella sera, il ragazzo che le mostrava il dito, e poi, ignorando le sue proteste, usciva di casa e sbatteva la porta alle sue spalle. Era come se le lacrime che aveva versato tanti anni prima avessero avuto come conseguenza diretta e inevitabile l'odio che aveva visto quella sera negli occhi del figlio e che l'aveva tanto spaventata.
Era andata a letto verso mezzanotte, aveva dormito male fin verso le quattro, ascoltando tutti i rumori che potessero annunciare il ritorno del figlio, e cercando di placare il battito del proprio cuore con una respirazione più regolare. Alla fine si era addormentata, per risvegliarsi di nuovo alle sei e mezzo con la bocca asciutta e l'emicrania.
Si alzò a sedere gemendo. Stava pagando a caro prezzo la sbornia della sera prima. Probabilmente aveva bevuto molto più di quanto si fosse resa conto.
Si alzò dal letto, si infilò l'accappatoio e a piedi nudi raggiunse la camera degli ospiti, sbirciando all'interno. Regnava un gran disordine, perché Rob non si preoccupava di rifarsi il letto né di riporre la roba nei cassetti e nell'armadio, ma lasciava cadere tutto quanto nel punto in cui si spogliava. Nell'aria aleggiava ancora una traccia del suo dopobarba. Lui non c'era.
Scese di sotto. Le mattonelle del corridoio erano gelide sotto i piedi nudi. Le bastò un'occhiata per accertarsi che il giaccone di Rob non era appeso nel guardaroba e che mancava anche la chiave di casa. Senza dubbio non era ancora rincasato dalla sera prima. Sul tavolo in cucina c'erano due bottiglie di vino vuote. Marina le guardò. Ricordava vagamente che una era stata mezzo piena e l'altra l'aveva stappata la sera prima. Si era scolata un litro e mezzo di vino da sola. Non c'era da sorprendersi che si sentisse la testa stretta da una morsa.
Prese un bicchiere dalla credenza, lo riempì di acqua fresca, lo svuotò avidamente, lo riempì una seconda volta. In un cassetto trovò ancora un'aspirina effervescente e la gettò nel bicchiere. La domanda era che cosa fare adesso.
Stava albeggiando, il cielo era sereno, senza nebbia, la giornata prometteva bene. Il freddo del pavimento le risalì per le gambe nude. Aspettò che la compressa si sciogliesse meditando nel frattempo se fosse il caso di chiamare Dennis. Sarebbe servito ad alleggerirla in parte dal peso opprimente della responsabilità che gravava tutta sulle sue spalle, ma d'altro canto in quel momento Dennis non avrebbe potuto fare assolutamente nulla e si sarebbe soltanto preoccupato. Forse non era accaduto niente. Tuttavia... dove aveva passato la notte Rob?
Bevve l'aspirina, poi risalì in bagno, si fece una lunga doccia calda, indossò abiti caldi, tornò di sotto, mangiò una fetta di pane tostato e bevve una tazza di caffè forte. Cominciava a sentirsi già meglio. Siccome restare a casa le risultava impossibile, decise di prendere la macchina e di perlustrare i dintorni. Forse non aveva alcun senso, ma non era neppure escluso che lui si trovasse da qualche parte lì fuori e di sicuro era più logico che starsene lì ad aspettare. Si sarebbe data un orario per informare Dennis e per rivolgersi alla polizia con il suo consenso. Alle tre del pomeriggio. Se non fosse riuscita a rintracciare Rob per allora, e se lui non si fosse fatto vivo, avrebbe imboccato la via ufficiale.
Uscì di casa. L'aria era fredda, tersa e immobile. Le case tutt'intorno sembravano ancora addormentate.
Marina si mise alla ricerca del figlio.
Capitolo 2.
«Ti ammiro», disse Cedric dolcemente, «sei forte e coraggiosa. Sul serio.»
«Vorrei sentirmi così anch'io», replicò Pam. «Forte e coraggiosa. In questo momento però provo soltanto tanta paura.» Aveva l'aria stanca e scompariva quasi in un pullover grigio che le aveva prestato Cedric per darle modo di lavare le sue cose. Non era truccata, teneva i capelli scuri pettinati all'indietro. Sembrava più giovane della sua età. Una ragazza di vent'anni. Se non addirittura un'adolescente.
Erano seduti nel salotto della casa paterna di Cedric, Pam sul divano con le ginocchia raccolte al petto, Cedric in poltrona. Soffriva ancora di forti dolori, ma erano migliorati e quel giorno gli era bastata una dose di antidolorifici inferiore a quella del giorno prima.
La primavera si stava risvegliando impetuosamente. Nella stanza si sentiva il lieve ticchettio di un orologio. La strada fuori era silenziosa quel sabato mattina.
Cedric e Pam aspettavano la polizia.
Victor aveva preferito allontanarsi per delicatezza ed era andato al mercato per fare la spesa per la domenica. Tre quarti d'ora prima Pam aveva acconsentito a costituirsi all'ispettore Fielder e Cedric lo aveva immediatamente avvisato. Fielder, che aveva risposto personalmente, lo aveva subito aggredito: «È lì da lei? Da quanto tempo?»
Cedric non aveva nessuna voglia di mentire. «Da mercoledì sera.» «E mi telefona soltanto oggi?»
«Ha avuto bisogno di tempo. E io non sono un delatore. La sto chiamando con il consenso di Pamela, e per me era molto importante.» Fielder era molto arrabbiato, ma parve rendersi conto da solo che non era il momento di impartire una ramanzina a Cedric. «Si trova a casa di suo padre in questo momento?» si accertò. «Benissimo. Mando da voi qualcuno della polizia di Taunton. Pamela Luke verrà condotta a Londra immediatamente.»
«Sì, lo immaginavamo», disse Cedric formale, poi diede a Fielder l'indirizzo esatto e riagganciò.
«Non preoccuparti», disse quindi rivolto a Pam, «basta che tu dica la verità. Vedrai che Fielder si convincerà. Ne sono sicuro.» «Io invece no. Gli ho già mentito una volta. Non ha motivo di credermi ora.» «Non succederà niente.»
Lei gli rivolse un'occhiata triste. «Peccato che tu non possa accompagnarmi.» Lui scrollò il capo mestamente. «Lo farei subito, se potessi. È un viaggio troppo lungo, e non sono ancora in condizioni di affrontarlo.»
«Naturale. Devi riguardarti. È già abbastanza quello che stai sopportando per causa mia. Vorrei averti potuto evitare quell'incontro con Pit. Però...» alzò le braccia in un gesto sconsolato e contrito, «sarebbe stato meglio se non lo avessi mai conosciuto. Il dramma è cominciato allora.»
«In effetti non è stata proprio una scelta felice», ammise Cedric. Poi aggiunse pensieroso: «mi piacerebbe tanto sapere che cosa ti ha attirato in lui. Che cosa ti ha fatto credere di essere amata da lui. Era così brutale. Così disturbato. Così imprevedibile. E si capiva subito».
Lei scrollò le spalle. «Mi dava la sensazione di essere importante. Non mi era mai capitato prima. Era una cosa molto... speciale per me. È pazzesco, vero?» «No. Pazzesco no. Ma del tutto fatale.»
Lei annuì lentamente, poi si passò entrambe le mani sugli occhi, come se cercasse di cancellare dalla retina l'immagine del suo aguzzino. Quindi chiese senza preamboli: «Quanto tempo ti fermerai, prima di tornare a New York?»
«Finché i medici non mi daranno il via libera», rispose Cedric.
«Sono molto felice di restare qui ancora un po'. A mio padre fa molto piacere.»
«Deve sentirsi molto solo.»
«Già.»
«Andrai a trovare anche quel tuo amico? Quello sulla sedia a rotelle? Quello che è venuto a trovarti in ospedale quella sera che c'ero anch'io?»
«Si chiama Geoffrey. Geoffrey Dawson. È il fratello di Elaine. Sì, andrò a trovarlo. Anche lui è molto solo.» «Come vi siete conosciuti?»
«Oh... oddio, è passata un'eternità. Siamo cresciuti insieme qui. Da piccoli costruivamo castelli di sabbia. Siamo andati a scuola insieme. E anche all'università. Eravamo inseparabili. Fino... al giorno dell'incidente.»
«Che cosa accadde?» domandò Pam.
Lui esitò. Non ne parlava mai. Con nessuno. E tutti quelli che lo conoscevano rispettavano questo suo desiderio. Ma Pamela non poteva saperlo.
«Ecco... mi spiace, ma non voglio parlarne», rispose impacciato. Lei lo guardò con attenzione, senza dire niente.
Cedric girò faticosamente la testa verso la finestra. La strada era inondata di sole. Vuota e silenziosa. In giardino i narcisi sbucavano dal terreno. Non era ancora arrivato nessuno.
Pam seguì il suo sguardo. «Se non vengo arrestata», disse, «posso venire a trovarti a New York?»
Lui le fu grato di aver abbandonato il tema Geoffrey. «Naturalmente», rispose. «Ne sarei felicissimo.»
«Non sono mai stata a New York. E neppure negli Stati Uniti. Ho sempre creduto che non sarei mai riuscita ad andarci.» «New York ti piacerà. Per me è la città migliore al mondo.» Cedric tornò a guardare fuori, abbracciando con lo sguardo la strada tranquilla, le casette sul lato opposto, annidate dietro muretti in pietra e cespugli di ginestra, e i narcisi che sua madre aveva piantato, accudito e curato. Lo capì con assoluta certezza soltanto ora, contemplando questo idillio rurale. Nonostante la sensazione di essere a casa, nonostante la magia esercitata su di lui da tale sensazione, la nostalgia di New York era così intensa da fargli venire voglia di salire sul primo aereo e partire. «È l'unico posto dove vorrei vivere», disse.
Lei annuì e si avvicinò alla finestra. «Com'è bello qui», osservò.
«Devi aver avuto un'infanzia molto felice e protetta.»
Aveva ragione. Protezione e affetto a volontà, che forse spesso non aveva saputo apprezzare. Molte volte aveva trovato soffocante la vita a Kingston St. Mary, e non si era mai soffermato a riflettere su quanta serenità gli avessero dato l'amore e la dedizione incondizionata dei genitori. Negli anni passati aveva spesso creduto di essere una foglia in balia del vento, si era tormentato e lamentato, perché non era in grado di dare stabilità alla propria esistenza, né dal punto di vista professionale né nella vita privata. Ma osservando adesso il volto di Pamela, l'espressione di intenso terrore radicata negli occhi, si rese conto di quanta forza lui avesse effettivamente tratto dalla sua infanzia felice e spensierata. Aveva spesso imboccato strade sbagliate, molte volte si era sentito insicuro riguardo al futuro, ma intuiva che, nonostante tutto, alla base del suo essere c'era una sana fiducia istintiva nella vita, che lo aveva portato fin lì e avrebbe continuato a sostenerlo. La convinzione di essere finalmente all'altezza della vita era così radicata in lui quanto in Pamela la sensazione di dover affrontare con la vita il suo nemico più spietato. Da quando aveva aperto gli occhi aveva conosciuto soltanto minacce.
Lui, soltanto amore.
Si chiese fugacemente che cosa sarebbe accaduto tra di loro se lei fosse andata veramente a trovarlo a New York. Era diversa da tutte le donne che aveva conosciuto in vita sua, e gli piaceva. Lo interessava più di quanto avessero fatto le donne precedenti, e poteva darsi che questo interesse si trasformasse in fascino. Avrebbe aspettato il corso degli eventi. Non si poteva ancora dire se lei sarebbe andata. Dipendeva in parte dalle disposizioni della polizia, dal fatto se la sua storia avrebbe retto agli interrogatori di Scotland Yard.
Si accorse di sperarlo con tutto il cuore. Allo stesso modo in cui sperava che lei non gli avesse mentito.
Sentì il rumore di un'auto che si avvicinava, rallentava, si fermava. Pamela si staccò dalla finestra. Era molto pallida. «Sono arrivati», annunciò. «La polizia.»
Di colpo sembrava completamente perduta. Fuori si sentì sbattere una portiera.
Cedric si alzò faticosamente dalla poltrona. Gli costava ancora un'immensa fatica muoversi. Maledisse la propria lentezza. Gli sembrava di essere un matusalemme. «Ho paura», disse Pamela.
«Lo so», replicò lui. Stavano l'uno di fronte all'altra. Una seconda portiera si chiuse sbattendo. Doveva trattarsi di due agenti. «Davvero non ti dispiacerebbe se venissi a trovarti a New York?» domandò Pam. Aveva occhi enormi. Sembrava che per lei molto dipendesse dalla sua risposta.
«Ne sarei felicissimo», ribadì lui, rendendosi conto che era la verità. L'idea che lei andasse a trovarlo lo riempiva di gioia fin da ora. «Sul serio, Pam, ci conto.» Il cancelletto del giardino cigolò. «Allora, ci vediamo», disse Pam.
Improvvisamente lui provò il bisogno di regalarle qualcosa. Un... pegno, qualcosa che legasse entrambi ora che lei doveva tornare a Londra per farsi torchiare dall'ispettore Fielder. Qualcosa che li unisse quando lui fosse tornato a New York, con l'Atlantico a separarli, man mano che l'intimità tra di loro in quella stanza in un soleggiato giorno di febbraio fosse scivolata sempre più lontana.
«Accadde il primo anno di università», disse precipitosamente.
«Io e Geoff avevamo entrambi diciott'anni. Un nostro amico ci aveva invitato alla sua festa di compleanno.»
Passi pesanti fuori sul vialetto.
Pamela era totalmente concentrata su di lui.
«I genitori di questo nostro amico non erano in casa. Eravamo da soli. Il tizio aveva invitato un sacco di gente. Saremmo stati almeno una sessantina.»
Il campanello suonò.
Lui continuò il racconto frettolosamente. «Mancavano due giorni a Natale. Non aveva nevicato, ma di notte gelava. Faceva un gran freddo. Bevemmo fiumi di alcol. La musica era assordante. Ci sembrava... di non aver mai partecipato a una festa più esaltante.»
«Capisco», disse Pam.
«A un certo punto io, Geoff e qualcun altro uscimmo sul balcone al primo piano. Saranno state le quattro di mattina. Eravamo piuttosto su di giri. A qualcuno venne l'idea di salire in equilibrio sulla ringhiera.»
Il campanello suonò per la seconda volta.
«La cosa peggiore era che poi nessuno seppe dire a chi fosse venuta questa idea assurda. Come ho detto, eravamo completamente sbronzi. In seguito Geoff ha sempre affermato che fossi stato io a proporla. Non posso né confermarlo né negarlo, non lo so più.» Tacque.
«Dovevamo salire due alla volta, alle estremità opposte e, camminando tenendoci in equilibrio, dovevamo incontrarci a metà e poi cercare di raggiungere l'estremità opposta. La ringhiera era molto larga. Ma era anche molto liscia. Coperta di brina, come ci dissero poi. Ma noi non ce ne rendemmo conto.»
«Capisco», ripeté Pam.
Lui si accorse che qualcosa si muoveva dentro di lui. L'impotente disperazione che portava in sé da quella notte, che aveva seppellito in fondo alla propria anima, talmente in fondo che non riusciva più a vederla né a sentirla. Una parte di essa risalì in superficie, provocandogli un suono strozzato in gola.
«Era andato tutto bene. Per ultimi toccava a me e Geoff. Ci tenemmo in equilibrio...»
Rivide la scena davanti a sé. Il cielo buio e immenso pieno di stelle. La casa con le molte finestre illuminate. I volti degli altri ragazzi presenti. Geoffrey che avanzava verso di lui, barcollando ubriaco. Se stesso, che agitava le braccia per mantenere l'equilibrio.
Si incontrarono quasi esattamente a metà del balcone.
«Cercammo di scambiarci di posto. Ma... per qualche motivo ci trovammo in difficoltà. Non riuscivamo più a ritrovare l'equilibrio, ma credo che non ce ne rendessimo neppure conto, non vedevamo il pericolo.»
Gli bruciavano gli occhi. Sentì nuovamente il grido di Geoffrey: sto volando!
Gli agenti suonarono per la terza volta, mettendosi poi a bussare alla porta.
«Scivolammo entrambi nello stesso momento. Fu una cosa repentina, troppo veloce per poter fare qualcosa. Ciò che accadde dopo fu il destino, non dipendeva dal fatto che uno di noi fosse più sportivo, più agile o più previdente dell'altro. Fu soltanto destino.» Lei sapeva che cosa era successo. «Tu cadesti all'interno del balcone», disse lei, «e il tuo amico dall'altra parte.»
«Non cadde soltanto di un piano», proseguì Cedric. La sua voce, se ne rendeva conto lui stesso, suonava stranamente monotona.
«Proprio sotto il balcone c'era una piscina. Dieci metri per dieci, in cemento. Ovviamente, essendo dicembre, era vuota.»
La frase che spiegava in tutta la loro portata le conseguenze di quella bravata risuonò a lungo nella stanza. Ovviamente, essendo dicembre, era vuota.
Fu riconoscente a Pam che non disse niente. In precedenza, quando lui era stato ancora in contatto con le persone che avevano assistito alla tragedia, si era sentito sempre rivolgere frasi del genere, non potevi farci niente. Nessuno sa a chi è venuta quell'idea pazzesca. Tutti quelli che vi hanno partecipato sono allo stesso modo colpevoli o innocenti. Oppure: Geoffrey non era un bambino piccolo.
Sapeva di correre un rischio. Non l'ha costretto nessuno. È lui il responsabile del suo destino.
Non voleva più sentire certe parole. Indipendentemente che fossero giuste o no, non voleva più sentirle e basta.
«Dobbiamo aprire la porta», disse, «altrimenti i poliziotti la sfonderanno.»
Lei fece un cenno d'assenso. Poi lo abbracciò, con cautela, teneramente, in un gesto di tacita comprensione.
Dopodiché andò alla porta e aprì ai due agenti che l'avrebbero portata a Londra a scotland Yard.
Capitolo 3.
Marina trovò Rob quando stava per abbandonare le ricerche e voleva tornare a casa. Aveva perlustrato per due volte tutto il quartiere, cercando nei giardini, alle fermate degli autobus, scendendo persino dall'auto e inoltrandosi a piedi in qualche piccolo parco, ma non aveva trovato traccia di lui. Alla fine si convinse di essere stata ingenua. Come poteva pensare che lui si trovasse ancora nei paraggi? La giornata prometteva di essere soleggiata, ma l'aria era ancora fredda e nessuno sarebbe rimasto per strada dopo una notte passata all'aperto.
Ma allora dov'era? Dove si era rifugiato?
Non avrei dovuto permettergli di andarsene, pensò, ma sapeva di non aver avuto alcuna possibilità di fermarlo. Lui era stato determinato, a tal punto da essere pronto a commettere pure un gesto clamoroso.
«Maledizione!» imprecò lei a voce alta, dando un pugno al volante. Era stufa di tutti i sensi di colpa che le piovevano addosso da ogni parte. I sensi di colpa per non avere impedito a Rob di uscire di notte. I sensi di colpa per essersi evidentemente comportata sempre nel modo sbagliato con lui. I sensi di colpa perché tanti anni prima non si era sentita né comportata come una madre. Per la prima volta da quando Rob era spuntato inaspettatamente a casa sua si sentiva davvero irata.
Fece un ultimo giro alle propaggini esterne del quartiere, dove si trovavano le case più nuove, con i giardini ancora spogli e dove c'erano lotti ancora da costruire, terreni incolti pieni di rovi e piccoli abeti, e lo vide. Stava percorrendo uno dei tanti sentierini creati da generazioni di conigli, e non assomigliava affatto al giovane arrogante e arrabbiato della sera prima, che aveva deciso di andare per la sua strada. Ora le veniva incontro come un povero diavolo, infreddolito, affamato, con gli abiti stropicciati, le spalle curve in avanti. Indubbiamente doveva aver passato una nottata terribile.
Lei gli si fermò proprio accanto, si sporse di lato e aprì la portiera del passeggero.
«Forza», gli disse, «sali!»
Lui non si era accorto dell'auto che si avvicinava e trasalì spaventato. Quando la riconobbe, il suo sguardo si rabbuiò, strinse le labbra e scrollò energicamente il capo.
«Avanti, sei gelato e scommetto che non hai fatto colazione», disse lei. «Al tuo posto non mi farei sfuggire una doccia calda, degli indumenti puliti, un caffè e qualche fetta di pane tostato.»
Lui si avvicinò strascicando i piedi, salì controvoglia in auto.
Lei immaginò dove avesse trascorso la notte. Dall'altra parte dei terreni edificabili, da cui l'aveva visto provenire, si trovavano diversi orti con serre.
«Sei entrato in uno dei capanni», disse. «Spero che tu non abbia fatto danni.»
Lui scrollò le spalle senza rispondere.
Lei si rese conto di ribollire ancora di rabbia.
Spense il motore. «Bene, adesso ascoltami», disse. «Non ho nessuna voglia di continuare questo gioco. Non ho nessuna voglia di vedere giorno dopo giorno la tua faccia risentita, di ascoltare le tue domande e di dovermi giustificare continuamente. Ti ho detto tutto quello che avevo da dirti. Ti ho spiegato perché all'epoca mi comportai in un certo modo, ti ho esposto le mie ragioni. Puoi cercare di comprendermi, ma non posso certo costringerti a farlo. Non vorrei dovermi ripetere all'infinito e sentirmi come un'imputata.
Non vorrei ripetere la scena di ieri sera né restare sveglia un'altra notte senza sapere dove ti sei cacciato. Non vorrei più uscire di mattina presto e battere tutte le strade del quartiere per cercarti, chiedendomi intanto se non ti sia capitato qualcosa di male. Hai capito?»
Lui borbottò qualcosa di incomprensibile, senza guardarla. Lei si accorse che aveva le labbra bluastre per il freddo.
«Se non vuoi cambiare il tuo atteggiamento nei miei confronti», proseguì, «allora mi spiace, ma non puoi restare ancora con me.
Dovresti prendere il primo volo disponibile per Gibilterra e tornare da tuo padre.»
Lui continuava a guardare fisso fuori dal parabrezza. «Ho rotto un vetro», confessò controvoglia.
Marina annuì. «Lo immaginavo. Per entrare in una delle serre e passare lì la notte.» «Sì.»
«Troveremo il proprietario e tu ripagherai il danno. Con i tuoi soldi.» Lui annuì.
Lei riaccese il motore. «Adesso torniamo a casa mia. E poi potrai dirmi come vuoi che proseguano le cose. Se vuoi rimanere con me ancora qualche giorno con presupposti diversi, oppure se dobbiamo subito prenotare un volo.»
Alla fine lui si voltò a guardarla. Era molto pallido. «Vorrei andare da Rosanna», disse.
Capitolo 4.
Questa volta il club e la casa adiacente - dove abitava il custode delle barche, come spiegò Mare - erano completamente deserti.
Non c'era neppure la donna delle pulizie, né una bicicletta appoggiata alla staccionata, o una macchina nel parcheggio. Nella quiete del mattino d'inverno, si sentivano soltanto i richiami di alcuni uccelli acquatici. Il sole si stava levando all'orizzonte sulla riva opposta del fiume, dissolvendo con i propri raggi gli ultimi brandelli di nuvole nel cielo. Di tanto in tanto un refolo di brezza increspava le onde, facendo dondolare piano le barche ormeggiate al molo.
«È rimasto tutto uguale», disse Mare. Si era fermato un po'"più in alto del complesso, sul sentiero di sabbia che scendeva fino alla riva del fiume e osservava il panorama davanti a sé. «Sembra che non sia passato neppure un giorno. Persino l'odore è quello di un tempo.»
Rosanna, in piedi poco più indietro, cercò di osservare la scena con gli occhi di lui. Stava pensando agli spensierati fine settimana che un tempo trascorreva lì con la moglie e il figlio? Rivedeva loro tre insieme, mentre preparavano la barca? Josh, in pantaloncini e maglietta, allegro e contento di avere entrambi i genitori con sé. La bella Jacqueline, che probabilmente si portava a bordo un assortimento di matite e fogli da disegno, per catturare immagini e atmosfere. Lui stesso, Mare, ansioso di godersi qualche ora di tranquillità.
Ma forse le cose non erano mai state così. Forse anche gli innocui fine settimana da trascorrere in famiglia erano stati rovinati da litigi e accuse. Forse Jacqueline non aveva smesso neppure in barca di manifestare i propri sospetti e di rimproverarlo. Forse non erano immagini liete quelle che Mare vedeva davanti ai propri occhi.
«Quando sei stato per l'ultima volta?» domandò lei.
Lui ci pensò su. «Credo che sia stato diverso tempo prima della nostra separazione. La mia costante frenesia di lavoro travolgeva anche i fine settimana qui al club, e poi il nostro matrimonio andava sempre peggio. Negli ultimi tempi Jacqueline veniva qui quasi sempre da sola con Josh.»
«Ne sentivi la mancanza? Della barca? Degli amici?» «Dopo la separazione mi mancava soltanto Josh. Non avevo tempo per nient'altro.»
Scesero per il sentiero. L'odore di acqua si fece più intenso. Mare respirò profondamente. Aveva sottovalutato la forza dei ricordi che lo assalirono in questo luogo. Gli risultava faticoso stare qui. A Josh piaceva tanto giocare sul fiume. Lo rivide mentre preparava canali, costruiva dighe, creava intere città di terra e fango lungo la riva, concentrato sul lavoro, la lingua infilata tra i denti. A volte il padre lo aiutava, in quei rari momenti in cui riusciva a mettere da parte la professione e la carriera.
Si domandò se Josh pensasse a quelle ore, e se il ricordo gli desse felicità. Oppure esse erano scomparse, inghiottite dall'immagine di un padre che si affannava da un appuntamento all'altro e restava inavvicinabile, un padre che non si meritava tale definizione?
Si voltò verso Rosanna e si accorse che era rimasta indietro per parlare al cellulare con qualcuno. Lui non aveva sentito lo squillo, ma del resto era stato immerso nei propri pensieri. La osservò attentamente.
La notte di riposo le aveva fatto bene, stava meglio che la sera prima. Quel mattino non aveva più febbre. Lui avrebbe comunque preferito che rinunciasse al suo progetto di tornare ancora una volta lì a Wiltonfield. Avrebbe voluto che si fosse congedata definitivamente da tutta la vicenda di Elaine. Se doveva esserci un futuro insieme per loro due, dovevano affrontarlo in tutta tranquillità, perché c'erano già abbastanza problemi da superare.
Ma forse anche questo ha un suo ruolo, pensò improvvisamente.
Di sicuro lei è consapevole degli ostacoli che ci aspettano. È sposata, e il pensiero di chiarire tutta la situazione deve pesarle come un macigno sul cuore. Finché si occupa di Elaine può rimandare il momento fatidico in cui dovrà affrontare un simile fardello.
Lei intanto aveva finito di parlare e gli stava venendo incontro.
Aveva un'aria preoccupata.
«Era Marina. La ex fidanzata di mio marito. La madre di Rob. Ci sono problemi con Rob, è completamente sconvolto e vuole venire da me a tutti i costi. Non vuole tornare da suo padre, non vuole stare con lei. Soltanto con me.» «Allora forse dovresti...»
Lei scrollò il capo. «Le ho detto che andrò da lei oggi pomeriggio. Fino ad allora Rob dovrà aspettare.»
Si diressero verso gli edifici del club. Mare era ancora in possesso della sua vecchia chiave, ma naturalmente aveva messo in conto che nel frattempo le serrature potessero essere state cambiate. Di fatto, invece, ebbero fortuna: il portone d'accesso si aprì senza fatica. Attraversarono l'edificio che Rosanna già conosceva, e uscirono sul pontile. Era inondato di sole. Le barche ormeggiate luccicavano pulite. Su alcune si erano appollaiati dei gabbiani che, giunti dal mare, avevano risalito il fiume fino nell'entroterra. «Anche la barca è al suo solito posto», dichiarò Mare, una volta raggiunta la fine della passerella. Si fermarono davanti alla Heaven's Gate. «Qui non è cambiato proprio nulla.» «Possiamo salire a bordo?» domandò Rosanna.
Lui esitò. «La barca non è più mia. E probabilmente non è neppure di Jacqueline.»
«Ma non c'è nessuno. E che cosa potrebbe obiettare il nuovo proprietario? Potresti sempre dire di esserci salito perché volevi darle un'occhiata per motivi sentimentali.» «Però dobbiamo togliere il telo di copertura.» «Vedrai che non arriverà nessuno», lo incalzò lei.
Lui cedette. Con gesti abili e veloci arrotolò il telo protettivo e lo ripose nella cabina aperta. Si capiva chiaramente che conosceva molto bene la barca. Ma lei si rese conto anche che non era convinto. Si capiva che avrebbe preferito piantare lì quell'impresa secondo lui priva di senso. Neppure lei avrebbe saputo spiegargli che cosa l'avesse spinta a chiedergli di salire a bordo. Aveva seguito l'istinto. L'istinto che le diceva che qui a Wiltonfield e a bordo di questa barca si sarebbe forse avvicinata alla risposta sul mistero della fine di Elaine. Tuttavia, non avrebbe saputo dire se ciò che definiva istinto non fosse piuttosto un suo desiderio inconscio che alla fine non l'avrebbe condotta da nessuna parte.
Seguì Mare a bordo dell'imbarcazione. Ora che era stata tolta la copertura, le assi diffondevano un odore di marciume. «Credi che qualcuno sia mai salito a bordo in inverno?» domandò lei.
Lui scrollò le spalle. «Difficile a dirsi. Però direi di no. Navigare con il freddo e la nebbia non è proprio piacevole.» «Potremmo uscire sul fiume per un pezzettino?»
«E poi? Che altro?» Lui si passò entrambe le mani tra i capelli. «Perché, Rosanna? Che cosa credi di scoprire? Che cosa credi di trovare?»
Lei non sapeva spiegare neppure questo. «Vorrei provare qualcosa. Nel caso Jacqueline fosse uscita in barca quel mattino, vorrei sapere che cosa provò.» «Che cosa ti porterà questo?»
«Non lo so. Forse niente. Ma ho la sensazione che la barca sia importante. Non so dirti altro.»
«In mezzo al fiume farà molto freddo. Molto più freddo che qui sulla riva. E tu sei già malata. Ho paura che tutto quello che otterrai da questa impresa sarà una bella polmonite e nient'altro.»
Lei osservò lo scafo di legno scuro e il timone fissato alla poppa.
Sul pavimento del pozzetto c'era una botola, chiusa con un lucchetto.
«Lì dentro c'è il motore, giusto?»
«Sì.»
«Hai la chiave del lucchetto?»
«Ho la chiave del lucchetto che usavamo un tempo. Il nuovo proprietario di sicuro l'avrà cambiato.»
«Prova lo stesso. Se non funziona, pazienza. Ti prometto che allora scenderemo dalla barca, torneremo a Londra e io non dirò più nemmeno una parola sulla faccenda.»
Lui imprecò sottovoce, tirando fuori nuovamente il mazzo di chiavi dalla tasca della giacca. Chiavi dell'auto, chiavi di casa, chiavi dell'ufficio. Ce n'era un'altra piccolina, quadrangolare. La infilò nella serratura e il lucchetto scattò.
«Bingo!» esclamò Rosanna.
Lui guardò il lucchetto aperto con un'espressione a metà tra la collera e la rassegnazione. «Tu adesso vorresti partire e navigare lungo il fiume? Con una barca che non ci appartiene? Ma lo sai in che guaio potremmo finire?»
«Non dobbiamo necessariamente sapere che la barca non appartiene più a Jacqueline. Quanto meno tu non devi saperlo.»
«È una follia. Che cosa cerchi di fare? Di ricostruire una situazione? Jacqueline ed Elaine su questa barca una mattina di gennaio di cinque anni fa? Che cosa credi che succederà? Pensi forse che avrai un'illuminazione improvvisa?»
Lei gli stava di fronte sulla barca che ondeggiava piano, e di colpo curvò le spalle.
«Forse hai ragione tu. Forse... mi sono sbagliata.»
Aveva l'aria sconsolata e sofferente. Il che molto probabilmente dipendeva, oltre che dalla momentanea delusione, anche dal malanno che si era presa, ma tuttavia di colpo lui si impietosì. E pensò anche un'altra cosa: quello era il posto in cui lei doveva chiudere con qualcosa. Chiarire qualcosa per se stessa che non era in grado di spiegare a parole. Forse in ultima analisi si trattava soltanto di congedarsi da Elaine e dalla speranza di poter fare luce sul suo destino.
«Provo a vedere se il motore parte», disse lui, «e se ci riesco usciremo un pochino sul fiume. In caso contrario non mi metterò di certo a rubare il carburante a un'altra barca. È chiaro? Se non c'è benzina, torniamo a casa e dimentichiamo tutto quanto.»
Lei annuì.
Il motore partì sputacchiando e borbottando al terzo tentativo. «Aiutami a mollare le cime», disse Mare. «Salpiamo.»
Mare aveva ragione, al largo sul fiume soffiava un vento gelido. Rosanna si strinse nel giaccone, incrociando le braccia sul petto. Si calcò il berretto di lana sulla fronte e rimpianse di non aver dato ascolto a Mare: dopo questa avventura si sarebbe di certo ammalata sul serio.
La barca procedeva lentamente. Presero la stessa direzione che Jacqueline, o chi per lei, doveva aver preso quella mattina di gennaio. Dolci colline coperte di pascoli lungo le rive, grandi salici, qua e là fitti canneti, poi di nuovo ciottoli che l'acqua lambiva dolcemente. Ogni tanto un paesino, poi una cittadina ancora addormentata nel letargo invernale. Videro un ciclista solitario che arrancava faticosamente sull'alzaia sconnessa più in alto. Ma per il resto erano circondati dalla solitudine. Nessun indizio che lasciasse intendere che si trovavano a poca distanza dalla grande capitale. Erano in mezzo alla campagna, in mezzo al nulla. Completamente soli.
Poco prima di raggiungere Purley, Mare domandò: «Vuoi passare anche la chiusa? Potrebbe volerci molto tempo».
Lei scrollò il capo, improvvisamente stanca e rassegnata. «No, non ce n'è bisogno.»
Si rannicchiò sulla panca e si chiese che cosa avesse provato Jacqueline Reeve cinque anni prima. Forse portava a bordo il cadavere di Elaine, era impaziente e nervosa, si chiedeva se le sarebbe riuscito di superare velocemente la chiusa di Mapledurham. Doveva liberarsi del suo carico, cancellare le prove. Scossa dall'odio verso il marito, disperata, perché tale odio l'aveva condotta a compiere un gesto spaventoso.
La luce doveva essere stata ancora scarsa a quell'ora del mattino, il cielo grigio, nebbioso, appena più chiaro verso est. Era da escludere che si fosse trattato di una gita di piacere. Rosanna non riusciva proprio a immaginare che il viaggio della Heaven's Gate nelle prime ore del mattino dell'11 gennaio 2003 potesse aver avuto motivazioni innocenti.
Come se le avesse letto nel pensiero, Mare, seduto al timone, disse: «Sarebbe fondamentale accertare la data esatta della vendita della barca. Se fosse avvenuta subito prima della data fatidica, riterrei possibile che il nuovo proprietario, soddisfatto dell'acquisto, avesse voluto provare la sua nuova imbarcazione anche in un momento dell'anno così poco favorevole. Viceversa, la vendita poteva essere imminente, e allora si sarebbe potuto trattare di un viaggio di prova».
«A quell'ora? In inverno?»
Lui scrollò le spalle. «Può darsi che Jacqueline e l'acquirente non avessero trovato un altro momento disponibile. All'epoca lei andava tutti i fine settimana da sua madre a Cambridge. Quel giorno era un sabato. La sua giornata era già tutta occupata, l'unico momento libero era solo di primo mattino. Lo trovi tanto assurdo?» Lei sapeva che non era affatto assurdo. Molto spesso i comportamenti apparentemente inspiegabili delle persone avevano in realtà spiegazioni estremamente semplici, una volta che si guardava dietro le apparenze. Forse l'unica a sostenere una teoria del tutto assurda era proprio lei.
«Va bene se torniamo indietro?» domandò Mare. «Ci terrei a rimettere la barca a posto al club prima che arrivi qualcuno. Non credo che sarebbe poi così facile spiegare il nostro gesto.» Lei sapeva che aveva ragione. Non aveva senso continuare a percorrere il fiume. L'illuminazione non era arrivata. Restava il disagio, ma se fosse giustificato o no non era in grado di dirlo. «Possiamo tornare indietro», concordò lei. «Probabilmente è stata un'idea stupida da parte mia, inscenare... questo viaggio. Non mi è servito a nulla.»
Tornarono in vista dello yachtclub intorno alle dieci. Come prima, non sembrava esserci nessuno. Porte e finestre erano ermeticamente chiuse e, a quanto poteva giudicare Rosanna da lì, il parcheggio era vuoto. Erano stati fortunati, nessuno avrebbe scoperto la loro piccola infrazione.
«Ora so che cosa farò», annunciò lei. «Dirò definitivamente addio a tutta questa storia. Non ce la faccio più a vivere con questi dubbi che mi affollano la mente. Mi sono lasciata coinvolgere troppo emotivamente. Ora voglio liberarmi.»
Erano seduti l'uno di fronte all'altra. Mare la guardò speculativamente, «Sarà difficile», disse, «perché ti sei spinta molto in là.» «Lo so. Ma ce la farò.» «Però...»
«Telefonerò all'ispettore Fielder. Gli racconterò quello che ho scoperto, che la barca della tua ex moglie quel mattino di gennaio fece un misterioso viaggio. Forse lui sa già che il passaporto venne ritrovato qui a Wiltonfield, di sicuro lo verrà a sapere non appena Cedric avrà convinto Pam a costituirsi. Il resto lo valuterà da solo. Può darsi che giunga a conclusioni completamente diverse dalle mie.»
«Nel caso Jacqueline neghi di essere uscita con la barca, il suo alibi verrà verificato», disse Mare, «e la Heaven's Gate verrà esaminata in cerca di prove. Di prove che possano confermare la presenza di Elaine Dawson a bordo.» «A distanza di cinque anni?»
«Non hai idea di cosa sia possibile fare oggigiorno. Se è stata a bordo della barca, lo scopriranno.»
Lui aveva l'aria distrutta. Lei intuiva quanta fatica gli costasse consegnare alla polizia con un'accusa di omicidio la sua ex moglie, che era la madre e l'unica persona di riferimento del figlio. Le conseguenze sarebbero state particolarmente devastanti per Josh. Se la responsabilità di Jacqueline fosse stata dimostrata, per lui sarebbe stata una catastrofe.
Lei protese un braccio per accarezzare Mare, ma, colta da un impeto di timidezza, non lo fece. «Mare, comprendo quanto sia difficile per te. Ma non posso tenere nascosto quello che so. Non mi darei pace. So che questo significa un eventuale processo per Jacqueline e...»
Lui scrollò il capo. Il suo volto era diventato ancora più cereo. «Jacqueline non finirà in tribunale», la interruppe. «Ha un alibi per tutto il periodo incriminato.» Lei lo fissò senza capire. «Come?»
«Il 10 gennaio 2003 morì la mamma di Jacqueline», disse Mare. «Proprio il giorno in cui incontrai Elaine all'aeroporto. Siccome alla casa di cura si erano accorti che la fine era prossima, Jacqueline era stata informata telefonicamente il giorno prima, il 9 gennaio, e si era recata immediatamente a Cambridge. L'11 e il 12 gennaio rimase lì per occuparsi delle questioni organizzative. Per tutto il tempo Josh rimase a casa di un'amica. Jacqueline mi informò subito dopo il suo ritorno. Ci sono tantissime persone alla casa di riposo che possono testimoniare la sua presenza lì in quei giorni.» Lei continuava a non capire. «Ma... come...?»
«Mi spiace, Rosanna», concluse Mare, «ma Jacqueline è esclusa dalla lista dei sospettati.»
Capitolo 5.
La barca rollava lievemente vicina alla riva, dall'altra parte del canale, sempre in vista del club. Se qualcuno fosse arrivato lì, si sarebbe subito accorto che la Heaven's Gate non era al suo posto, ma galleggiava poco più al largo. Probabilmente la cosa avrebbe suscitato meraviglia, ma a quel punto Mare, che era sembrato tanto ansioso di tornare, non pareva più interessato.
Comunque non c'era anima viva in giro. L'edificio del club, il molo e il parcheggio erano sempre vuoti.
Rosanna era seduta sulla panca che aveva occupato per tutto il viaggio. Nella testa le vorticava una miriade di pensieri, senza che potesse dire esattamente che cosa riguardassero. Era come se fosse assalita da un gran numero di immagini, possibilità e conclusioni che avrebbe preferito lasciar fuori.
Mare era sempre seduto al timone. Il motore borbottava in folle. Nella fredda luce di quel mattino di fine inverno, aveva un aspetto quasi malato.
«Quando mi hai telefonato quasi due settimane fa», raccontò, «informandomi del reportage per il Cover, ho capito subito che ci sarebbero stati dei problemi. Non immagini neppure quanto mi abbia sconvolto l'idea che tutta la vicenda sarebbe stata rivangata. La notte successiva non sono riuscito a chiudere occhio. E ho deciso di incontrarti. Se non altro per riuscire a mantenere almeno una parvenza di controllo sulla situazione.»
Rosanna aveva l'impressione di essere sotto anestesia. «Lo hai... detto anche allora», replicò faticosamente. «Avevi... paura di finire nuovamente sotto accusa. Per questo volevi collaborare.» «Esattamente», confermò lui. «Per questo ho collaborato.» Lei guardò la riva del fiume alle spalle di lui. Nonostante gli alberi ancora spogli, il paesaggio appariva pieno di vita. Sereno. Preservato dai lati oscuri del mondo, dagli atroci segreti che le persone si portavano dentro.
«Che cosa mi hai tenuto nascosto?» gli domandò. «Che cosa c'è che ancora non so di tutta la storia?»
Lui cercò le parole giuste per rispondere. «Non ti ho raccontato tutto di quella notte», disse alla fine. «Della notte in cui Elaine rimase da me.»
«Perché non era rilevante?»
Lui le scoccò un'occhiata quasi condiscendente. «Sai perfettamente che era rilevante. Altrimenti avrei potuto raccontartelo.» Era come se un grosso macigno le stesse calando sul petto. Come se la gola si stringesse, impedendole di respirare. L'inconcepibile che stava prendendo forma di pensiero nella sua testa era così scioccante che tutto il suo essere si rifiutava di accettarlo. Di colpo lei capì perché le dame dell'epoca vittoriana avessero l'abitudine di svenire quando la situazione in cui si trovavano diventava troppo stressante. Per la prima volta in vita sua si augurò la stessa cosa: di perdere i sensi e di sperare che al suo risveglio tutto si fosse risolto. Ma non si sarebbe verificata né l'una né l'altra cosa. Non sarebbe svenuta, anche se respirava a fatica, e tanto meno sarebbe cambiato qualcosa quando si fosse riavuta.
«È vero che Elaine è stata su questa barca?» domandò lei. Si accorse che la sua voce suonava diversa dal solito.
Lui annuì. «Sì. Probabilmente la polizia scientifica ne troverebbe ancora le tracce.»
«Tu hai ancora la chiave del motore. Sei stato tu a uscire con la barca quel sabato mattina.» Lui annuì nuovamente.
«Ma perché?» domandò lei sottovoce. «Perché hai portato Elaine sulla barca?»
«Già, perché?» ripeté lui. «Un'ottima domanda. Perché, prima di tutto, portare Elaine nel mio appartamento? Perché mi feci coinvolgere in tutta questa maledetta vicenda?»
Lui la interruppe. «Ti sei mai chiesta dei tuoi perché? Perché volevi scrivere un articolo su Elaine? Perché volevi scavare nel passato?
Perché invece non lasciare perdere tutto a un certo punto?
Perché non lasciar perdere tutto a un certo punto?»
«Dapprincipio», rispose lei, «era soltanto un lavoro. Un incarico che mi permetteva di uscire dalla monotonia della mia vita.»
«E poi? Che cosa è diventato? Come mai a un certo punto non sei più riuscita a pensare ad altro? Come mai ti sei lasciata prendere dall'ossessione? Sei andata a trovare Jacqueline. Hai ficcato il naso qui allo yachtclub. Hai interrogato il guardiano delle chiuse. Perché?
È un lavoro? Ti pagano per questo? Perché non ti sei tenuta fuori da ciò che non ti compete? Si può sapere, maledizione, che cosa ti ha spinto a fare la detective?»
Lei si scostò il berretto dalla fronte, perché di colpo provava un gran caldo. Forse la febbre era salita di nuovo. Le parole di Mare erano aggressive, e lei non riusciva a capire per quale motivo le facesse tali domande. Gli aveva raccontato tutto di sé e di Elaine. Lui doveva sapere perché non era riuscita a smettere di indagare sul destino di Elaine.
Come se avesse formulato questi pensieri ad alta voce, lui disse: «Per cinque anni la tua amicizia con Elaine e i tuoi sensi di colpa verso di lei non sono stati sufficienti a farti intraprendere questa folle caccia. E poi, tutto d'un tratto, ritieni di non poter più smettere. E non ti importa nulla di ciò che distruggi e calpesti nel tuo cammino!»
Lei cercò di fare un respiro profondo. «Forse per te la parola giustizia non ha alcun senso», gli rinfacciò.
Lui scoppiò in una risata amara. «Giustizia! Prova tu a dirmi se al mondo esiste qualcosa di giusto! È stato giusto il modo in cui Jacqueline ha aizzato Josh contro di me? È stato giusto che lo abbia talmente influenzato con la sua ossessione dei miei presunti e continui tradimenti da indurlo a odiarmi ancora oggi? C'è qualcosa di giusto in tutto questo?»
Le tornò in mente la lettera che aveva trovato due giorni prima tra i suoi libri. Fathers in Defense. Quando l'aveva letta, aveva avuto l'impressione di guardare dentro l'anima di Mare. Nel suo appartamento impersonale e anonimo aveva toccato in quel momento il cuore della sua anima. Quella spina ardente e dolorosa che lo tormentava e lo infettava da anni.
Suo figlio. La perdita che non riusciva a superare. Ricordò ora che le era passato per la mente il pensiero che la chiave del mistero fosse lì.
Ma in quel momento non era riuscita a capire quale porta aprisse. «Josh», disse, «tutto ha a che fare in qualche modo con Josh.» «Sì», confermò lui sottovoce, «tutto ha a che fare con Josh.» Un uccello acquatico spiccò il volo improvvisamente dal canneto lanciando un richiamo stridulo. Rosanna e Mare sussultarono entrambi impauriti.
«Elaine è morta», disse Rosanna, «e si trova sul fondo del fiume. Da qualche parte dopo la chiusa.» Lui annuì.
Lei non provò neppure un briciolo di rabbia. Soltanto dolore. «Come mai il suo... corpo non è mai riaffiorato?»
«Era avvolto nella catena dell'ancora. Non poteva tornare in superficie.» «I suoi vestiti...»
«Era completamente vestita. Mi sono accertato di gettare in acqua anche la sua borsa e la sua valigia. Ma, tornato in auto, mi sono accorto che il suo cappotto era rimasto sul sedile. Lo gettai nel cassonetto degli indumenti usati al parcheggio. Non potevo immaginare che nella tasca del cappotto ci fosse il suo passaporto. Avevo creduto semplicemente che fosse nella borsetta. Ma probabilmente era andata come avevi intuito tu: lo teneva pronto per mostrarlo all'aeroporto.» Scrollò il capo. «Si dice che la maggior parte dei delitti venga scoperta proprio in questa maniera. Da una minuscola incongruenza, una piccola disattenzione. Nel mio caso è stato il passaporto. Quel maledetto passaporto. Il fatto di non aver frugato nelle tasche. Non riesco a togliermelo dalla mente.»
«In altre circostanze la cosa sarebbe stata scoperta molto prima», osservò Rosanna. «Se il passaporto non fosse scivolato fuori dalla tasca e finito accanto al cassonetto, la Croce Rossa lo avrebbe scoperto in fretta e l'avrebbe consegnato alla polizia. Oppure se fosse stato qualcun altro a trovarlo, invece di Pamela Luke. Una donna alla disperata ricerca di una nuova identità. Qualsiasi altra persona avrebbe di sicuro consegnato il documento alle autorità. Il luogo del ritrovamento nelle immediate vicinanze del tuo yachtclub ti avrebbe reso ancora più sospetto, e sicuramente la barca sarebbe stata esaminata. In un certo senso... sei stato molto fortunato.» «Fortunato!» Si prese la testa tra le mani. «Quella notte per me fu come vivere un incubo. Un vero incubo. Non sono un assassino, Rosanna. Sono stato trascinato in una tragedia che aveva una sua dinamica e non sono stato in grado di reagire. Di colpo potevo soltanto comportarmi come un criminale e cercare di arginare la catastrofe. Cancellando le tracce e... sbarazzandomi del cadavere.» Alzò la testa e guardò Rosanna. I suoi occhi lampeggiavano in maniera del tutto innaturale. «È stato un incidente, Rosanna. Devi credermi. È stato un terribile incidente, quello avvenuto quella sera, e tutto ciò che ho fatto dopo doveva in qualche modo salvarmi, invece mi ha gettato nella rovina. In realtà le cose non potevano andare diversamente da come sono andate.»
Capitolo 6.
«Ti ha detto che cosa ci è andata a fare lì a Wiltonfield o come cavolo si chiama il posto?» domandò Robert. Nelle ultime ore aveva ripetuto questa domanda almeno una dozzina di volte.
«La linea era disturbata, te l'ho già detto», ripeté Marina senza perdere la pazienza. «Se non ho capito male mi ha parlato di una gita in barca sul Tamigi, ma non sono sicura, perché non sentivo bene.»
«Mi chiedo come le sia venuto in mente di fare una gita sul Tamigi a febbraio.»
«Dopo tutto è pur sempre una bella giornata. E il paesaggio da quelle parti è incantevole. Forse conosce qualcuno che ha una barca.» «E chi potrebbe essere?»
Marina alzò le spalle. «Come faccio a saperlo io? Non conosco mica Rosanna!»
Erano seduti nella cucina di Marina. Rob si era fatto una lunga doccia e si era cambiato, mentre Marina apparecchiava il tavolo e preparava una bella teiera di tè al limone. La fuga di Rob, la notte passata all'addiaccio, il fatto di essere stato colto dalla madre in uno stato veramente patetico avevano cambiato il suo atteggiamento: la sua aggressività si era dissolta, la personalità arrogante e polemica che aveva mostrato prima si era trasformata in quella di giovane insicuro, che non sapeva come andare avanti e vedeva davanti a sé un appiglio soltanto: Rosanna. La donna che per lui era una madre. «Temo che abbia conosciuto un uomo», disse Rob dopo un po'.
Aveva una lunga sciarpa avvolta intorno al collo, una misura precauzionale probabilmente troppo tardiva, perché la sua voce gracchiava già in maniera preoccupante. Aveva i capelli ancora bagnati dalla doccia.
«Che cosa ti fa pensare che abbia conosciuto un uomo?» domandò Marina stupita.
«La prima volta che l'ho chiamata qui in Inghilterra, aveva appuntamento con un uomo», rispose Rob. «La chiamarono dalla reception per dirle che lui era arrivato. Evidentemente avevano in programma di passare la serata insieme.»
«Ma non c'è niente di strano in tutto questo. Forse era un vecchio conoscente. Forse qualcuno legato al suo lavoro. È possibilissimo che un uomo e una donna trascorrano una serata insieme senza che debbano avere per forza una relazione sentimentale.» «Però ho una strana sensazione», ribadì Rob. «Lei aveva litigato con papà. Non solo poco prima della sua partenza, ma da sei mesi almeno. Continuavano a litigare. E adesso non si decide mai a ritornare a casa. Continua a inventarsi nuove scuse. Poi questa gita sul Tamigi. Sono pronto a scommettere che non sia da sola.» «E anche se fosse? In tutta sincerità, Rob, mi sembra che tu veda degli spettri ovunque. Dennis mi ha raccontato che lei è vissuta a lungo a Londra. È naturale che abbia ancora dei conoscenti in città. Che cosa c'è di male se si vede con loro?»
Lui chinò lo sguardo sul piatto, dove c'era una fetta di pane intatta.
«Se non si facesse più sentire?»
«Ha promesso di richiamare. Oggi stesso.»
«Vedrai che se ne uscirà con una delle sue storie. Dirà che non ha niente con un altro. Poi addurrà una nuova scusa che le impedisce di tornare a Gibilterra. Come mai, tra l'altro, si trova ancora a Londra? Aveva detto di volersi trasferire dal fratello a Taunton giovedì scorso. Deve essere successo qualcosa di grosso che l'ha trattenuta nella capitale.»
«Rob!» Marina si sporse in avanti e guardò il figlio con aria seria. «Rosanna è una donna adulta, e può fare e disfare quello che vuole. Non spetta a te spiarla oppure chiederle spiegazioni. Alla fine servirebbe soltanto a creare dissapori tra di voi.»
Lui scostò il piatto da sé. «Mi accompagni a Wiltonfield?» domandò. Lei aggrottò la fronte. «Che cosa? Adesso?»
«Se non lo fai tu, andrò in autostop. Vedrai che troverò il modo.» «Ma non possiamo farlo.»
«Voglio sapere con chi si trova. E voglio parlare con lei.» «Non hai nessun diritto di farlo. Rob, sii ragionevole, tu...» Aveva gli occhi grandissimi e le labbra gli tremavano. «Ho paura. E questo mi dà il diritto. Ho paura che la mia famiglia si sfasci. Non posso starmene qui ad aspettare di vedere che cosa succede. Voglio sapere.»
Si era alzato mentre parlava. Anche Marina si alzò. «Rob...»
«Mi accompagni oppure no?»
Lei annuì rassegnata. Tanto sarebbe partito lo stesso e avrebbe fatto l'autostop, e lei non osava pensare a cosa sarebbe potuto succedere.
«Ti accompagno», disse.
Capitolo 7.
«Credo che l'inizio della tragedia fu il fatto che quella sera Elaine parlò troppo di sé. Mentre sedevamo in quel ristorante italiano, a mangiare pasta e forse a bere un po'"troppo vino, ebbi l'impressione che in lei si fosse infranta una diga. Era in preda a una profonda disperazione. La chiusura totale dell'aeroporto, che per me come per migliaia di altri passeggeri era semplicemente un irritante contrattempo, per lei rappresentava una catastrofe totale, a suo parere un evento tipico di un'eterna perdente. Non riusciva assolutamente a vederlo per ciò che era in realtà: una sfortuna che tuttavia non colpiva soltanto lei. Era distrutta, e allora riversò su di me tutta la storia della sua vita che era stata un unico dramma fin dal primo giorno. Non aveva veri amici, a scuola non era mai stata simpatica a nessuno, era diventata un'adolescente del tutto anonima, alle feste faceva tappezzeria, nessun ragazzo s'interessava di lei, aveva perso relativamente presto entrambi i genitori e così via. Il culmine era stato l'incidente che aveva ridotto il fratello sulla sedia a rotelle. Il fatto di doversi occupare di lui per lei era stato come la condanna definitiva all'isolamento, visto tra l'altro che lui si aggrappava a lei con ogni mezzo. Sognava di sposarsi, di avere dei figli, ma non vedeva davanti a sé alcuna possibilità di realizzare un giorno questi sogni. Sia a causa del ruolo che aveva assunto nella vita del fratello sia anche. perché nessun uomo la guardava. Mi disse che era ignorata da tutti e tutto. Dalle persone, ma anche da qualunque colpo di fortuna. Si lamentò della propria invisibilità. Mi diede l'impressione di essere al colmo della disperazione.
«L'ascoltai, ma più per educazione che per interesse. Avevo i miei problemi. Tanto per cominciare la cancellazione dell'appuntamento causata dalla chiusura dell'aeroporto, ma soprattutto Josh. Il divorzio da Jacqueline era imminente. Sapevo che non esistevano più possibilità di riunirci come famiglia. Josh non mi voleva vedere, ma speravo di trovare ancora un modo per comunicare con lui, per indurlo a guardare e giudicare la situazione con occhi diversi. Valutare se esistesse la possibilità di ottenere una custodia congiunta dal tribunale, cosa che di fronte all'atteggiamento distaccato, per non dire ostile di Josh, sarebbe stata molto difficile. In breve, neppure la mia vita era troppo rosea, ma non avevo nessuna voglia di raccontarlo a questa sconosciuta. Mi pentivo già di averla ospitata. Parlava troppo, e in un modo deprimente, che serviva soltanto a peggiorare il mio umore già tetro.
«Tornati a casa, le indicai la camera degli ospiti. La stanza di Josh si trovava proprio accanto. Quando se n'era andata, Jacqueline si era portata via molte cose, ma quello che era rimasto, soprattutto giocattoli per i quali Josh ormai era troppo grande, era ancora al suo posto da mesi. Anche la stanza conservava il suo aspetto di camera di un bambino. La porta era aperta.
«Elaine mi chiese subito se avessi dei figli, io le risposi di sì, un maschio che viveva con mia moglie separata. Allora cominciò a rigirare il coltello nella piaga ed è per questo che prima ho detto che la tragedia cominciò perché Elaine aveva raccontato troppo di sé.
Forse il breve tragitto dal ristorante nella fredda aria invernale aveva mitigato l'effetto dell'alcol, oppure per qualche motivo si era messa a riflettere. Fatto sta che, secondo me, cominciava a rimpiangere di essersi confidata con me, in un modo che la faceva apparire come una zitella per nulla attraente e perseguitata dalla iella. Si rendeva conto perfettamente che io adesso non potevo fare altro che guardarla con i suoi stessi occhi, e di certo non era una vista positiva.
Nel contempo, era ancora abbastanza alticcia da aver perso parte della sua timidezza e anche del senso della realtà. Non posso giurarlo, ma mi parve di riconoscere dei segnali che stavano a indicare come lei iniziasse a nutrire la speranza che da quella serata potesse nascere una storia duratura fra noi due. Non che dicesse nulla del genere apertamente. Ma accennò al fatto che il nostro incontro aveva qualcosa di fatidico. Io pensai soltanto, oddio, speriamo di no!
Mi auguravo che se ne andasse a letto presto, si addormentasse, e il mattino dopo lasciasse casa mia di buon'ora. A quel punto non avrei più saputo nulla di lei per tutta la vita.
«Lei invece non la smetteva di scavare nel tema Josh. Siccome non poteva rimangiarsi ciò che ormai aveva detto di sé, cercava di trascinarmi al suo livello per creare in questo modo un equilibrio tra di noi. Non credo affatto che si trattasse di un comportamento deliberato. Lo fece istintivamente. Forse lo avrebbe fatto chiunque al suo posto.
«Elaine non era stupida. Aveva subito intuito che Josh era il mio tallone d'Achille. Il matrimonio fallito, la perdita di mio figlio, questo mi rendeva quasi un perdente alla pari con lei. Forse io ero riuscito a ottenere più di lei dalla vita, ma avevo gettato tutto al vento e alla fine mi ritrovavo solo come lei. Me la vedo ancora davanti, seduta per terra in camera di Josh, che accarezzava un peluche spelacchiato e parlava in tono lamentoso di quello che era andato storto nella mia vita. E lo faceva senza il minimo tatto. Ripeteva pedissequamente tutto ciò che aveva letto o sentito sul destino dei figli di divorziati: i loro scompensi emotivi, il loro disorientamento, la loro lacerazione interiore. Ma non mancò di pontificare anche sulla incommensurabile tristezza di un padre che perde un figlio. Come sarei sopravvissuto alla cosa? Come l'avrei affrontata? Sarei rimasto emotivamente menomato, mi sarei trasformato in un eremita amareggiato? «Continuò a parlare in questi termini. All'inizio ero solo spazientito, cercavo di frenarla, dando soltanto risposte brusche e vaghe alle sue domande, senza aggiungere altro. Ma lei non mollava. Continuava a scavare, voleva sapere il motivo del fallimento del nostro matrimonio. Con che frequenza avrei visto Josh. Come fosse il nostro rapporto. Se credevo, nonostante tutto, di riuscire a costruire un rapporto saldo e fiducioso con mio figlio e a mantenerlo tale. «Oggigiorno non riesco più a capire come mai le osservazioni e le domande indiscrete di una perfetta sconosciuta che non aveva la minima importanza per me avessero potuto mettermi tanto alle strette. Sono un avvocato. Sono una persona adulta. Ero abituato a liquidare freddamente domande insistenti, faceva parte del mio lavoro. Col senno di poi, posso soltanto dire che il mio atteggiamento emotivo riguardo alla separazione da Josh all'epoca era molto più fragile di quanto credessi. Stavo sulla soglia di quella che era stata la sua camera, me lo vedevo davanti seduto sul letto a sfogliare libri, o intento a giocare per ore con il trenino, e mi rendevo conto con assoluta lucidità che queste immagini ormai appartenevano irrimediabilmente al passato, che non ce ne sarebbero state di nuove. Di colpo fui travolto con forza dalla spietatezza della mia perdita e vidi questa sconosciuta seduta lì, questa persona tanto antipatica che non vedevo l'ora se ne andasse da casa mia, con la quale non avevo niente in comune, che accarezzava un peluche del mio figlio perduto e blaterava frasi insensate.
«Ricordo che all'improvviso l'immagine si annebbiò davanti ai miei occhi e per un attimo fui assalito da un tremendo desiderio di violenza, volevo andare da lei, afferrarla, sollevarla brutalmente, assestarle un pugno in faccia e poi gettarla per strada. Soltanto per fare in modo che tacesse. Perché la smettesse di continuare ad affondare il coltello nella mia piaga. Volevo farla soffrire in modo da avvertire con meno violenza le mie sofferenze.
«Non lo feci. Non sono un assassino, come ho già detto, e non sono neppure un uomo violento. Al contrario, già solo il fatto di aver immaginato una tale situazione e di aver provato il desiderio di realizzarla mi scosse profondamente. E mi impaurì. «Di quello che accadde poi ho soltanto un ricordo confuso. Ho cercato innumerevoli volte di rivivere con precisione quei momenti. Quello di cui sono sicuro è che non le ho mai messo le mani addosso. Non le ho torto un capello. Credo anzi di aver tentato addirittura di uscire in maniera dignitosa dalla situazione, dicendo di non avere più voglia di proseguire quel dialogo, di voler andare a dormire. Ho il ricordo di lei che si alzava, mi veniva vicino e mi diceva che la soluzione giusta non era quella di fuggire dal problema, che non potevo evitare di affrontare me stesso. Qualcosa del genere. Psicologia da casalinga. Purtroppo circolano troppi libri con frasi simili, che offrono soluzioni banali e stereotipate per ogni situazione. «In ogni caso, lei non mollava. Non riusciva a capire quanto fossi già arrabbiato. Se avesse avuto anche soltanto un briciolo di istinto, si sarebbe accorta che era più che mai il momento di lasciarmi perdere, e allora tutto sarebbe andato diversamente. Ma credo che si fosse già innamorata del suo ruolo di mia consulente psicologica. Non c'è niente che distragga così bene dai propri pensieri come occuparsi intensivamente di quelli altrui. E poi disse che dovevo imparare a guardare negli occhi i miei errori, e a quel punto qualcosa esplose dentro di me. Se c'era qualcosa che avevo fatto da quando Jacqueline e Josh se n'erano andati, era stato pensare ai miei errori. Mi ero dilaniato e lacerato. Mi ero giudicato senza alcuna pietà, lo feci anche quella notte e continuo a farlo tuttora. Non avevo nessun bisogno di sentirmi dire una cosa del genere da una campagnola ventitreenne. Non volevo sentirmi angosciato perché una Elaine Dawson qualsiasi si era messa in mente di psicanalizzarmi. Adesso mi rendo conto - per la precisione me ne resi conto già il giorno successivo - di essermi comportato da idiota. Non aveva alcun senso farmi mettere alle strette da lei. Lei non mi conosceva. Non conosceva neppure Jacqueline e Josh. Non aveva idea di quale fosse la nostra situazione. Parlava di qualcosa senza cognizione di causa. Avrei dovuto affrontare la cosa con superiorità e distacco. Non mi sarei dovuto far coinvolgere... già, a che scopo? «Giuro, non ricordo più che cosa feci o dissi. Credo che cominciai a inveire contro di lei. Ma come si permetteva, ma che cosa si era messa in testa. Come osava intromettersi nella mia vita. Come poteva immaginare che a me interessasse qualcosa della sua pietosa esistenza. Faceva meglio a sparire subito. Non mi interessava dove avrebbe passato la notte, di sicuro non a casa mia. Doveva andarsene, e non farsi più vedere da me.
«So che lei si mise a tremare. So anche che era bianca come un cencio. Sembrava spaventata a morte. Non si era accorta che la situazione era degenerata fino a quel punto. Il mio sfogo la colse del tutto impreparata. La cosa che ancor oggi mi turba è il fatto che provasse un autentico terrore per me. Devo esserle sembrato terribilmente minaccioso, molto più di quanto mi sentissi io. A essere precisi, avevo una percezione di me stesso del tutto diversa: mi sentivo una vittima. Mi sentivo quello che era stato attaccato, che era stato ferito, al quale non restava altra scelta se non di difendersi gridando. Non volevo farle niente. Volevo soltanto che sparisse.
Che chiudesse la bocca. Che mi lasciasse in pace.
«Lei però deve aver creduto che da un momento all'altro volessi aggredirla. Forse alzai la voce più di quanto mi rendessi conto. Forse il mio viso era una maschera di collera. Non lo so. Lei uscì dalla camera, indietreggiando verso la scala, senza mai perdermi di vista, come se temesse che potessi aggredirla alle spalle con un martello o qualcosa del genere. Può darsi che io la seguissi, che le andassi troppo vicino, che avessi assunto una posa minacciosa. Come detto, i miei ricordi di quella notte sono lacunosi e confusi.
«Le scale di casa mia erano strette e ripide. Può darsi che Elaine sia scivolata fin dal primo gradino, può darsi che ne abbia sceso un paio prima di inciampare. Non lo so. La vidi cadere di colpo. Ero spaventato, ma incapace di reagire. Forse avrei potuto ancora trattenerla.
Forse invece la distanza tra di noi era troppa. In ogni caso rimasi come paralizzato. Lei cadde all'indietro. La sua testa sbatté più volte contro i gradini di pietra, con un rumore raccapricciante.
Così forte. Uno schianto. Come se si fosse rotta in mille pezzi. Invece non fu così. Quando rimase immobile ai piedi della scala, era perfettamente integra. Quando infine riuscii a scendere anch'io - e temo di averci impiegato parecchio, anche se avevo perso la cognizione del tempo - quando alla fine la raggiunsi e mi chinai su di lei, mi accorsi che era morta.
«Credo che si fosse rotta l'osso del collo. Adesso giaceva ingombrante e scomposta nell'ingresso di casa mia. Un attimo prima era ancora seduta in camera di Josh dandomi sui nervi con i suoi discorsi. Era accaduto tutto così in fretta. Così terribilmente in fretta. «Ma è così che accadono quasi tutte le tragedie, giusto? Nel giro di pochi secondi. Nascono da piccoli malintesi, da minuscoli errori. Da banalità o inavvertenze. In genere non succede molto, a volte addirittura niente di veramente drammatico. Dal mio punto di vista la situazione tra me ed Elaine era stata emotivamente carica, aggressiva, ma non pericolosa per lei. Dal suo punto di vista il nostro dialogo amichevole e sincero si era trasformato in un lampo in un attacco pieno di rabbia e collera. Ma comunque non sarebbe dovuto accadere niente. Lei se ne sarebbe dovuta andare e basta. Credo addirittura che l'avrei richiamata una volta in strada. Non l'avrei gettata in quella notte fredda e nebbiosa. Se solo avesse smesso di attaccarmi a causa di Josh, in un paio di minuti io avrei ritrovato il controllo. Volevo soltanto che capisse che doveva lasciarmi in pace su quel tema.
«Invece, si era compiuta la tragedia. Non c'era più niente da fare, niente di rimediabile.
«Dovevo fare in modo di salvarmi.»
Capitolo 8.
«E pensasti di farlo gettando il corpo di Elaine da qualche parte e cancellando le tracce?» domandò Rosanna.
Era seduta sempre nello stesso punto sulla barca che dondolava piano. Mare le sedeva di fronte. Il vento freddo continuava a increspare il fiume, ma il sole era più alto in cielo, la forza dei suoi raggi era aumentata. La temperatura era salita. Per il resto non era cambiato niente, sulla riva continuava a non esserci anima viva, e a parte una piccola chiatta anche il fiume era rimasto perfettamente immobile. Il silenzio era interrotto di quando in quando dai versi degli uccelli.
Non era cambiato nulla, eppure era mutato tutto.
Rosanna provava uno strano stordimento, che le provocava due sensazioni contrastanti e simultanee: una parte di lei si sentiva molto lontana dagli avvenimenti, vedeva la barca, il fiume, l'uomo che le stava di fronte come attraverso un velo, captava tutti i rumori attutiti.
Mentre un'altra parte era vigile, e registrava con dolorosa e accecante chiarezza tutto ciò che vedeva e sentiva.
E ciò che stava udendo avrebbe preferito non sentirlo per niente al mondo.
Mare alzò entrambe le mani in un gesto impotente. «Che cos'altro avrei potuto fare? Avevo avvicinato una sconosciuta all'aeroporto e me l'ero portata a casa, e adesso giaceva morta davanti a me. Come avrei spiegato una situazione del genere?»
«Come hai fatto con me adesso. Avresti dovuto raccontare quello che era successo.»
«Mi avrebbero creduto?»
«La polizia scientifica ha mezzi d'indagine molto sofisticati oggigiorno.
Penso che sarebbe stato possibile ricostruire le circostanze dell'incidente e verificare che tu dicevi la verità.»
«Può darsi. Ma non mi sarebbe servito a molto.» Si strofinò gli occhi. Erano arrossati dalla stanchezza. «In ogni caso la vicenda avrebbe nuociuto molto alla mia carriera. Molto probabilmente lo studio legale per il quale avevo fatto domanda non mi avrebbe voluto.
Ma cosa ancora più importante: secondo te che impatto avrebbe avuto questo... incidente nell'ambito della causa di divorzio e della richiesta di custodia congiunta? Si trattava pur sempre di una conferma della mia vita sentimentale extra coniugale apparentemente così disordinata. Ora davo l'immagine di un uomo che avvicina delle sconosciute negli aeroporti e le porta subito a casa. Il fatto che nel giro di poche ore queste donne finissero ai piedi della scala di casa mia con il collo spezzato non sarebbe servito certo ad aumentare la mia credibilità. Oppure secondo te potevo farmi passare per un uomo a cui affidare volentieri e con tranquillità un ragazzino minorenne, che presenta già enormi problemi di relazione con suo padre?»
Josh. Di nuovo Josh. Tutto ciò che era accaduto in quella vicenda, in quella tragedia, ruotava intorno a Josh.
«Pensavi davvero che avresti potuto farla sparire e che nessuno l'avrebbe cercata?»
«No di certo. Dopo tutto quello che mi aveva raccontato, era evidente che quanto meno il fratello paralizzato avrebbe mosso mari e monti per ritrovarla. Ma speravo che la polizia non avrebbe indagato con eccessivo zelo. Una donna adulta, che sparisce improvvisamente, senza che esistano indizi di un eventuale crimine, difficilmente suscita particolare clamore.»
«Tuttavia dovevi tener conto che qualcuno poteva avervi visto insieme.»
«Naturale. Eravamo rimasti abbastanza a lungo in quel ristorante italiano dove io ero un cliente abituale. Potevamo essere stati visti anche dai vicini. Ma contavo sul fatto che la foto di Elaine non fosse stata mostrata da nessuna parte. Non è che sul giornale vengono riportati uno per uno tutti i casi di persone scomparse. Finché non fosse accaduto, potevo sentirmi relativamente sicuro. Mi rendevo perfettamente conto di essere in una situazione maledettamente delicata. Ma esisteva la possibilità di uscirne senza danni, e io volevo sfruttarla.»
Lei scrollò il capo. «Parli in maniera così... distaccata. Così... a sangue freddo!»
«Forse ti do questa impressione adesso, a cinque anni di distanza.
Ma ti assicuro che quella sera non ero così. Credo di essere rimasto dapprima sotto choc, e questo significa sempre cercare protezione dal proprio sgomento. Agii in maniera calcolata, ma mi fu possibile perché ero come separato da me stesso. Uscii fuori, presi la macchina e la parcheggiai proprio davanti alla porta d'ingresso. Erano quasi le undici e mezzo e tutt'intorno le case del vicinato erano buie. Per sicurezza aspettai un'altra mezz'ora e, quando vidi che non si muoveva nulla, mi azzardai a prendere in braccio Elaine e a portarla fino alla macchina. Il tratto lungo il vialetto era il più pericoloso. Se qualche vicino avesse guardato fuori dalla finestra ma ebbi fortuna. Poi portai alla macchina anche la borsetta, la valigia e il cappotto. Elaine era sul sedile posteriore e le misi sopra una coperta. Poi tornai a casa e crollai.»
Aveva un'aria così tormentata che le venne voglia di prendergli la mano, per un momento soltanto. Per dimostrargli che, nonostante tutto, lei gli era sempre accanto. Ma per qualche motivo non riuscì a compiere questo passo.
«Avevo le gambe molli e le mani mi tremavano. Non sarei riuscito a guidare in quello stato. Credo di essermi seduto sul gradino più basso della scala e di essere rimasto lì per qualche ora. Il mio sgomento aumentava man mano che mi rendevo conto della situazione in cui mi ero cacciato. Fuori, nella mia macchina, c'era il cadavere di una donna, che doveva sparire a ogni costo. Già solo il fatto di averla caricata con tutte le sue cose mi impediva sostanzialmente di tornare sui miei passi. Dovevo andare avanti, ma non sapevo come. Tutto quello che sapevo era di essere piombato in un incubo agghiacciante all'improvviso. E intuivo vagamente che anche la mia vita, che nonostante gli intoppi era stata comunque una vita del tutto normale, non sarebbe mai più tornata tale.»
Lei cercò di restare aderente ai fatti. «Quando ti venne l'idea di portare Elaine sul Tamigi?»
«Non lo ricordo più con precisione. La cosa pazzesca di tutta la storia era che da una parte mi sentivo disperato e credevo di dover perdere il controllo da un momento all'altro, e contemporaneamente il mio cervello funzionava a pieni giri, alla ricerca di una via d'uscita. Mi dicevo che nessuno avrebbe mai più dovuto trovare il suo cadavere, perché allora sarebbero state fatte indagini a tappeto e io sarei stato coinvolto quanto prima. Alla fine mi venne in mente la barca. Non sapevo che Jacqueline avesse in mente di venderla. Evidentemente si trattò di una coincidenza che lo facesse subito dopo.»
«Quando partisti?»
«Credo intorno alle sei del mattino. Mi sentivo esausto e vuoto. Ma bene o male funzionavo ancora. Allo yachtclub naturalmente non c'era anima viva. Per fortuna ero ancora in possesso di tutte le chiavi necessarie - come hai visto, le possiedo tuttora. Non fu un problema preparare la barca, avevo ancora tutto il necessario. Ti assicuro che non fu facile trasportare Elaine dal parcheggio lungo il viottolo fino alla barca, alla fine ero tutto sudato. Poi portai la valigia e la borsa. Come ho detto, mi dimenticai del cappotto. Era scivolato dal sedile al pavimento.»
«Come mai passasti la chiusa? Era un rischio del tutto inutile.»
«In realtà non lo avevo programmato. Ma sul fiume mi trovai con una chiatta davanti a me e una a qualche distanza dietro. Non potevo azzardarmi a gettare un... oggetto voluminoso fuoribordo, il pericolo di essere visto era troppo grande. Continuai a navigare, nel disperato tentativo di sottrarmi in qualche modo a quelle due imbarcazioni che mi bloccavano. Purtroppo accadde soltanto dopo la chiusa di Mapledurham. Riuscii a sganciarmi dalle chiatte e a... concludere il mio progetto.»
«Quando tornasti...»
«... trovai il cappotto e capii che rappresentava un problema. Ma non avevo più la forza di tornare sul fiume. Inoltre, si stava facendo giorno e cresceva il pericolo di incontrare qualcuno al club. Perciò ripartii con la macchina e quando passai davanti al parcheggio con i cassonetti per gli indumenti usati, decisi su due piedi di far sparire lì il cappotto. Era un rischio, ma chi avrebbe potuto mettere in relazione quell'indumento con Elaine? Era un cappotto del tutto anonimo e normalissimo, sarebbe finito in quel cassonetto insieme a una gran quantità di pullover e calzoni e poi sarebbe finito nelle mani di qualche persona bisognosa. In effetti non c'è mai stato nessun problema al riguardo. Sarebbe bastato che il passaporto non fosse stato nella tasca...»
Le venne da pensare che l'aspetto più doloroso della situazione attuale era accettare il fatto che Mare le avesse sempre mentito in maniera tanto convincente fin dal primo istante. «Quando partimmo per il Northumberland», disse amareggiata, «e io ero tanto ottimista di poter ritrovare Elaine, e felice, anche nei tuoi confronti, perché in questo modo saresti stato libero dai sospetti che gravavano su di te, tu te ne stavi seduto accanto a me in auto e sapevi perfettamente che non l'avremmo mai trovata. Non era possibile. Però ti sei comportato come se...»
«Che cos'altro avrei potuto fare? Avrei dovuto dirti, Rosanna, è inutile compiere questo viaggio, Elaine è sul fondo del Tamigi e io ne sono sicuro perché ce l'ho gettata io? No, l'unica mia alternativa era di stare al gioco. Ero piuttosto irritato, anche teso, ma pensavo a una casuale omonimia. Quando poi venne fuori la storia del passaporto e tu affermasti che si trattava senza dubbio di quello di Elaine, per me fu come ricevere un colpo in testa. Cercai di capire disperatamente come fosse potuto accadere. Pamela Luke raccontò di aver trovato il documento nell'appartamento di questo protettore, ma come ci era arrivato? Credevo che il passaporto si trovasse nella borsetta, ma anche ammesso che si fosse per qualche motivo staccata e fosse riaffiorata il documento avrebbe dovuto recare i segni della permanenza in acqua. Non poteva apparire come nuovo, dopo essere rimasto per settimane o mesi in fondo al fiume! Ma quando fu tirato in ballo Wiltonfield mi resi conto di ciò che doveva essere accaduto. E in quel momento compresi che per me era finita.»
Tuttavia aveva retto ancora il gioco. Aveva ascoltato le sue teorie, si era dimostrato preoccupato e sollecito. Aveva cercato di curarle il raffreddore e la notte precedente l'aveva stretta forte tra le braccia. Era stata tutta una finta? Anche i suoi sentimenti verso di lei? Aveva finto di amarla, per soggiogarla emotivamente? Per impedirle di rivelare alla polizia quanto sapeva, non appena l'avesse capito? Lui proseguì: «La cosa pazzesca - o tragica - è che la mia situazione allora non migliorò nonostante le mie manovre diversive. Geoffrey Dawson inscenò un tale teatro intorno alla sorella, che alla fine la sua foto fu pubblicata dai giornali. Un paio di giorni più tardi, ricevetti un'informazione dalla mia vicina di casa. Una donna squisita, che vive sotto le grinfie di un marito tirannico. Avvicinandosi alla recinzione del giardino, mi sussurrò che suo marito si sarebbe rivolto alla polizia, perché era convinto di aver visto insieme a me la donna scomparsa segnalata sul giornale. Mi resi conto che la valanga si era messa in moto. Poi mi tornò in mente la nostra cena al ristorante. Dovevo partire all'attacco. Per questo mi recai di persona alla polizia, in pratica contemporaneamente al mio vicino. Raccontai tutta la storia, naturalmente con un finale diverso. Conosci già la mia versione.»
«Bisogna dire che sei stato molto bravo a imbastire una storia credibile. Immagino quindi che il misterioso amico di cui Elaine ti avrebbe parlato fosse in realtà una tua invenzione?» «Sì», ammise lui. «Volevo suffragare la teoria che Elaine fosse scappata. La polizia dal canto suo se ne convinse alquanto in fretta. Grazie non da ultimo al contributo di Geoffrey Dawson. Tormentò a tal punto gli agenti con i suoi attacchi isterici, che a un certo punto tutti si convinsero che Elaine non avrebbe mai trovato il coraggio di tornare da lui volontariamente. Tutti potevano comprendere benissimo perché avesse preferito sparire per sempre con il suo amante.» «Gli agenti avrebbero potuto rilevare tracce del suo cadavere nella tua auto.»
«A nessuno venne in mente di esaminare la mia auto. Del resto avevo ammesso io stesso che Elaine ci era salita. Così come che era stata a casa mia. Mi ero dimostrato aperto e collaborativo. La polizia non mi mosse mai accuse ufficiali. Tuttavia lo fece la stampa, perché Dawson la aizzò contro di me e i giornali sono sempre assetati di storie sensazionali. Tutto questo, ovviamente, ebbe un effetto fatale su Josh. Il fatto che io mi fossi portato a casa questa ragazza non faceva che confermare ciò che Jacqueline gli raccontava sempre di me. Probabilmente le cose non sarebbero potute andare peggio di così se avessi raccontato la verità fin dal principio. Se quella notte stessa avessi chiamato la polizia e un'ambulanza e avessi confessato tutto. Perché comunque persi mio figlio, la mia reputazione e in parte la mia carriera. Però», alzò le spalle con aria sconfitta, «non è possibile prevedere come andrà il futuro.»
Capitolo 9.
Giunti al molo, Mare balzò giù dalla barca e la ormeggiò saldamente alla passerella. Poi aiutò a scendere Rosanna, che nel suo stato prostrato non era più in grado di compiere nessuna azione logica. Quando l'ebbe accanto a sé, la osservò attentamente. Lei era scossa da un lieve tremito.
«Sei proprio cotta», disse, «e ho l'impressione che ti sia risalita la febbre. Senti, sii ragionevole, torna al parcheggio, sali in macchina, e aspettami lì. Io finisco di sistemare la barca e poi ti raggiungo.» Lei stava troppo male per obiettare alla sua proposta. Gli sarebbe piaciuto restare con lui e porgli mille domande, ma si sentiva tremare le gambe e aveva la fronte in fiamme. La navigazione sul Tamigi con quel vento gelido aveva dato il colpo di grazia alla sua salute. Per non parlare poi di ciò che aveva appena appreso. «Ok», rispose con un filo di voce.
Lui la strinse a sé per un istante. Il suo abbraccio come al solito era forte, protettivo e amorevole. E tuttavia in quell'istante Rosanna giunse alla dolorosa consapevolezza che lui non riusciva più a trasmetterle alcun calore. Almeno non ora, né forse mai più. Risalì il pendio lentamente. Si girò una volta a guardarlo, ma Mare non se ne accorse perché era occupato a rigovernare la barca. Non l'ha uccisa lui, si disse, in tal senso non devo correggere la mia valutazione che non sia un assassino. Si è trattato di un tragico incidente. Un incidente che né lui né Elaine potevano prevedere. Certe cose accadono.
Ma lei sapeva anche che certe cose non vengono normalmente nascoste. Le persone muoiono, per una caduta accidentale, per aver preso un medicinale sbagliato, annegate in piscina, ma nessuno poi le carica su una barca e le getta in fondo a un fiume. Per poi recitare la commedia di fronte a tutti. Si trattava però di un crimine?
Raggiunse l'auto e si accorse di avere il fiato corto. Soltanto per quella breve salita. Doveva stare veramente molto male. L'auto non era chiusa a chiave. Aprì la portiera del passeggero, si lasciò cadere sul sedile, appoggiò la testa all'indietro e chiuse gli occhi. Era sfinita, non vedeva l'ora di sdraiarsi in un letto caldo per ritrovare un po'"di pace. Ma il suo essere nel contempo vibrava di tensione, lei si sentiva vigile e sapeva che non sarebbe mai riuscita a dormire in un momento del genere.
Doveva cercare di capirlo. Se riusciva a farlo, forse sarebbe stato possibile trovare un futuro insieme per entrambi. Se viceversa fosse rimasta irritata, insicura e impaurita, allora era arrivata alla fine della sua breve relazione con Mare Reeve. Si era comportato da delinquente?
Quella notte si era trovato in una situazione emotivamente straordinaria. Il divorzio era imminente, entro breve si sarebbe svolta l'udienza che avrebbe stabilito giuridicamente il diritto di visita o la custodia congiunta nei confronti del figlio tanto amato. Ai suoi stessi occhi, ma anche a quelli di Josh e probabilmente del giudice, lui era stato un padre del tutto carente. Gli venivano imputate due cose: la sua ossessione per la carriera, in pratica ventiquattro ore al giorno, e la sua costante infedeltà matrimoniale. Lui stesso riconosceva senza problemi la prima accusa, mentre respingeva categoricamente la seconda. Ma proprio riguardo a questo secondo punto esisteva una prova inconfutabile: una giovane donna, conosciuta all'aeroporto, che lui aveva portato a casa con sé e che sfortunatamente era caduta dalle scale di casa sua rompendosi il collo.
Una fatale concatenazione di eventi, in grado di far perdere la testa a chiunque. Agendo d'impulso, aveva caricato in macchina il corpo di Elaine e tutte le sue cose. Come aveva detto lui stesso, si era subito reso conto che ormai non poteva più tornare indietro: gli esperti della scientifica avrebbero capito subito che il corpo era stato trasportato, probabilmente lo avrebbe stabilito anche l'autopsia. Nel giro di breve tempo, Mare era passato da una situazione in cui quasi sicuramente nessuno avrebbe potuto muovergli obiezioni, almeno da un punto di vista giuridico, a un'altra in cui diventava sospetto. C'era soltanto la sua parola che non avesse spinto Elaine giù dalle scale. Dopo tutti i preparativi compiuti per nascondere la vicenda, che peso avrebbe avuto la sua parola?
La dinamica stessa degli eventi da lui messi in moto lo aveva indotto a un comportamento obbligato di cui ben presto aveva perso il controllo. Il suo primo gesto impulsivo subito dopo la morte di Elaine lo aveva messo nella situazione di poter reagire soltanto in base alle necessità del momento. Fino al punto di presentarsi spontaneamente alla polizia, gesto che alla fine, per ironia della sorte, era stato causa proprio delle difficoltà che lui avrebbe voluto evitare.
Aveva perduto il figlio e la sua carriera aveva subito un tracollo.
Lei riaprì gli occhi e guardò fuori. Non c'era traccia di Mare, evidentemente era ancora occupato sulla barca.
Forse non è tanto il pensiero che possa essersi comportato come un criminale a tormentarmi, pensò, bensì la consapevolezza di essere stata ingannata da lui. Mi ha mentito fin dal principio. Ma che cosa avrebbe potuto fare?
Forse avrebbe dovuto confessare prima. Nel momento in cui dalla simpatia reciproca erano passati a una vera e propria relazione.
Oppure ancora, quando lui si era accorto del peso che quella vicenda aveva per lei, di quanto si adoperasse per trovare delle risposte.
Invece aveva continuato a mantenere in piedi il suo castello di menzogne. Soltanto quando si era sentito con le spalle al muro, quando aveva capito che la polizia, non appena fosse stata informata da lei, avrebbe riaperto le indagini, aveva ammesso tutto. Non si poteva certo parlare di una decisione spontanea. Comunque fossero andate avanti le cose, sarebbe rimasto questo retrogusto amaro.
Aveva appreso qualche cosa anche su Elaine. Cercò di immaginarsi la giovane quella notte. Era tipico di Elaine riversare tutta la storia della propria vita in maniera patetica e lamentosa su un perfetto sconosciuto. Del tutto insolito era invece il ruolo che a quanto pareva si era data in un secondo tempo, quello di consolatrice, di consulente spirituale. Era incredibile come lei avesse potuto considerare il controllato Mare Reeve, sempre padrone di se stesso, in grado di erigere muri impenetrabili intorno a sé, come oggetto del proprio intervento, probabilmente compiuto a fin di bene. Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta vulnerabilità doveva aver emanato quella notte Mare? In ogni caso Elaine doveva aver visto in lui un uomo bisognoso d'aiuto, per quanto le sue analisi e i suoi consigli indesiderati fossero stati motivati anche dal desiderio di sviare l'interesse dal proprio sfogo spontaneo. Forse un'altra plausibile risposta sul perché Mare avesse portato Elaine a casa propria stava proprio in questo aspetto. Lui l'aveva sempre spiegato con la compassione provata nei confronti di una giovane apparentemente disperata e confusa. Ma forse quella sera all'aeroporto di Heathrow anche lui si era sentito angosciato all'idea di tornare nella sua casa buia e vuota, da solo con il ricordo di Josh e con il pensiero dell'imminente divorzio. L'appuntamento a Berlino aveva rappresentato per lui una fuga di uno o due giorni da una situazione che lo faceva soffrire. Improvvisamente impossibilitato a farlo, forse aveva visto un guadagno anche per sé in un gesto di altruismo: Elaine era una giovane per nulla attraente, in preda alla disperazione e irritante, ma rappresentava un diversivo e questo bastava a renderla preziosa ai suoi occhi. Rosanna non credeva che lui avesse pensato anche solo per un istante di avere un'avventura con lei. Ma stare in sua compagnia, lasciarla parlare, avrebbe, se non impedito, quanto meno frenato il proprio rimuginare. Purtroppo lei poi aveva parlato troppo. E dell'argomento sbagliato.
Si accorse di avere caldo e aprì la portiera. L'aria fresca che la investì immediatamente si posò come un balsamo rinfrescante sulle sue guance. Scese dall'auto, le girò intorno, cercò di guardare verso il molo attraverso la vegetazione. Riusciva a scorgere l'edificio del club, sempre chiuso e silenzioso sotto il sole, e qualche barca, ma non la Heaven's Gate. Dal punto in cui si trovava il club le nascondeva la vista del molo.
Quanto tempo impiegava Mare a rimettere tutto a posto? Quanto tempo era passato? Gettò un'occhiata all'orologio e si accorse che era quasi mezzogiorno, ma questo non le fu di grande aiuto, dato che non sapeva a che ora fossero approdati. L'istinto le diceva che dovevano essere trascorsi almeno tre quarti d'ora da quando era risalita fino alla macchina. Mare non poteva avere impiegato tutto quel tempo per rimettere il telo protettivo sulla barca, giusto?
Forse non ci era riuscito. Per quanto fosse esperto di barche, il nervosismo poteva avergli giocato qualche scherzo.
Nonostante si sentisse ancora le ginocchia molli, si avviò lungo il sentiero, per andare ad aiutarlo.
La passerella adesso era inondata di sole. D'estate doveva essere stupendo sedersi lì e lasciare dondolare i piedi nell'acqua. Rosanna si soffermò a pensarci mentre si spingeva sul ciglio del molo. Un luogo davvero romantico. L'immagine di un uomo che nelle prime ore di una fredda e nebbiosa giornata di gennaio trascinava lì il cadavere di una donna non si adattava a quel sereno idillio.
Si fermò davanti alla Heaven's Gate. Si era aspettata di trovare lì Mare, ancora impegnato con la barca, oppure seduto su una panchina, assorto a riflettere sulla propria vita, il proprio futuro. Sulla barca invece non c'era nessuno. Non era stata neppure coperta. Era esattamente nelle stesse condizioni di un'ora prima, quando lei era scesa.
«Mare?» chiamò. La sua voce risuonò estranea e irreale nel silenzio. Come una nota stonata. Qualcosa che non apparteneva a quel luogo.
«Mare? Sei lì?» Cercò di sbirciare in cabina, ma era troppo buio dietro gli oblò, non si vedeva niente. Tirò la cima e avvicinò la barca al molo, poi ci salì. Con un notevole sforzo, provò a scostare la paratia che chiudeva l'accesso alla cabina, alla fine ci riuscì e scese nell'angusto spazio sotto coperta. C'era un odore di umidità e di muffa. Nella penombra riconobbe due panche imbottite una di fronte all'altra, un tavolo, ripiani lungo le fiancate occupati da una varietà di oggetti: un flacone di olio solare, due libri tascabili, un paio d'occhiali, qualche penny. Non c'era traccia di Mare, né sembrava essere sceso lì sotto.
All'improvviso Rosanna pensò che molto probabilmente il cadavere di Elaine era stato su una di quelle panche. Di sicuro l'aveva nascosto lì sotto, ogni altro posto sarebbe stato troppo pericoloso. Con la pelle d'oca si affrettò a uscire dalla cabina. Le immagini che le si erano affollate davanti agli occhi erano troppo angoscianti, voleva scacciarle quanto prima.
Tornata sulla passerella, si guardò nuovamente intorno, ma non c'era anima viva, a parte i gabbiani che continuavano a emettere i loro richiami striduli e incessanti. Per tutto il tempo Rosanna non li aveva notati, erano parte del paesaggio, parte di questa giornata, ma ora di colpo sussultò sentendo le loro strida che sottolineavano ancora di più la sensazione di totale solitudine che avvolgeva tutto.
Nonostante quanto accaduto nelle ultime ore, Rosanna aveva trovato la giornata chiara e soleggiata, un vero e proprio assaggio di primavera. Nel giro di pochi minuti tuttavia questa sensazione era radicalmente mutata. Ora vedeva gli alberi spogli, l'azzurro freddo del cielo, le persiane chiuse nell'abitazione del guardiano delle barche.
Nessuna colonna di fumo che si levasse verso il cielo, nessuna voce, nessun rumore che indicasse una presenza umana.
Sono completamente sola, pensò.
No, Mare deve essere da qualche parte.
Improvvisamente, fu assalita dalla paura.
«Mare?» tornò a chiamare, ma la sua voce era incerta e lieve, e non dipendeva soltanto dal raffreddore.
Si mise a correre lungo il pontile e attraversò la parte aperta della rimessa per le barche. Scrollò la porta che conduceva nella sala del club, ma era chiusa a chiave. Chissà se Mare possedeva anche questa chiave? Ma perché avrebbe dovuto chiudersi dentro il club?
Rimase ferma sull'altro lato della recinzione e guardò in alto verso il parcheggio. Forse Mare nel frattempo era tornato alla macchina. Lei non riusciva a vedere nulla. Risalì il vialetto più in fretta che poteva. Aveva delle fitte al petto, l'aria fredda che immetteva a ogni respiro le bruciava in gola. Era scossa dai brividi e nel contempo madida di sudore.
Mare non era né in macchina né nelle vicinanze. Rosanna si fermò, ansimando col fiato corto. Non capiva che cosa stesse succedendo.
Lui si era fermato per coprire la barca. Forse era rimasto senza energie, forse di colpo non ce l'aveva più fatta. Doveva trovarsi in uno stato emotivamente molto provato.
Ma perché si nascondeva da lei?
Perché io rappresento la sua più grande minaccia.
Deglutì con forza, perché il terrore di colpo l'aveva assalita con tanta veemenza da seccarle la bocca e ingrossarle la lingua. Finora aveva pensato soltanto alla propria delusione, al proprio dolore, alla perdita di fiducia che la confessione di Mare aveva scatenato in lei, ma non le era venuto in mente che ora anche lui per forza di cose la vedeva sotto una luce diversa rispetto a sé. Finora erano stati un team, che cercavano insieme di chiarire un mistero, che stavano dalla stessa parte, che tiravano lo stesso capo della fune. E invece si era scoperto che tutto ciò non era mai stato vero, che da parte di Mare era stata solo una finta e da parte di Rosanna un'illusione. D'altro canto, erano amanti. Quanto fosse stato sincero Mare in questo era ancora da vedere.
Però adesso si aggiungeva un altro elemento: sarebbe bastato pochissimo per trasformare Mare in un ricercato dalla polizia. E Rosanna era la persona che avrebbe potuto scatenare la caccia all'uomo.
Non avevano parlato di come si sarebbero evolute le cose. L'ultima frase che lui aveva sentito pronunciare da lei sull'argomento era stata la sua decisione di chiamare l'ispettore Fielder e di riferirgli ciò che sapeva - in quel momento il fatto che il passaporto di Elaine fosse stato rinvenuto a Wiltonfield, che Jacqueline Reeve possedeva una barca allo yachtclub locale e che la barca aveva superato la chiusa di Mapledurham la mattina dell'11 gennaio 2003. Nel frattempo lei era venuta a sapere molto di più. E non aveva specificato di voler tenere per sé queste informazioni. In realtà non ci aveva ancora pensato su. La domanda era: quanta paura aveva di lei Mare? E a quali mezzi sarebbe ricorso, per eliminare il pericolo incombente?
«Accidenti!» esclamò lei, guardandosi intorno nervosamente. Non si vedeva ancora nessuno.
Mare non era un criminale. La morte di Elaine era stata un incidente al quale lui aveva reagito senza pensare e nel modo sbagliato, ma non era stato lui a eliminarla.
Di questo ho soltanto la sua parola. Nient'altro.
Non l'avrebbe mai saputo con certezza. Per tutta la vita. Elaine era caduta all'indietro sulla scala battendo la testa? Oppure Mare l'aveva aggredita, l'aveva spinta, colpita, forse aveva perso del tutto il controllo, molto più di quanto fosse pronto ad ammettere? Mare si era dato molto da fare per nascondere la tragica vicenda, alla quale non era dato sapere fino a che punto avesse contribuito. Fino a dove si sarebbe spinto ancora? Anche se la polizia avesse creduto alla sua versione, anche se fosse stato condannato soltanto per la sua manovra di occultamento e non per omicidio, la sua carriera non avrebbe superato l'ennesimo colpo. La stampa lo avrebbe annientato, non gli sarebbe stato più possibile ricominciare un'altra volta. La riconciliazione con Josh, nella quale lui sperava in vista della crescita e della maturazione del ragazzo, si sarebbe allontanata all'infinito.
Io sono la chiave per la sua definitiva catastrofe esistenziale. Lui era al corrente dei sensi di colpa che lei nutriva nei confronti di Elaine. Degli obblighi che sentiva verso il fratello di lei. Poteva sperare anche solo lontanamente che lei sarebbe stata disposta a tacere su tutto ciò che aveva appreso quel mattino a bordo della Heaven's Gate?
Se non avesse nutrito questa speranza, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe aspettato che lei andasse a Scotland Yard? Oppure... Perché si nasconde? Dov'è? Che cosa ha in mente?
Aprì precipitosamente la portiera dell'auto, fece scattare il cassettino del cruscotto dal lato passeggero e rovistò all'interno. Naturalmente non trovò una chiave di scorta, chi metterebbe la chiave di riserva dell'auto nel cassettino del cruscotto? Non poteva andarsene. Si trovava lì in quel luogo deserto dimenticato da Dio e non poteva andarsene, e a poca distanza da lei, da qualche parte, c'era Mare, un uomo che si sentiva del tutto messo con le spalle al muro. Che, almeno dal suo punto di vista, non aveva più niente da perdere. Valutò brevemente l'ipotesi di chiudersi dentro la macchina e di sperare che prima o poi arrivasse il custode delle barche oppure un socio del club. Possibile che nessuno volesse fare un giro lungo il fiume in una giornata tanto bella? Oppure riparare la barca, o bere qualcosa al bar del club o che so io? Magari nel tardo pomeriggio. Di sabato in genere la gente prima faceva la spesa. Poteva passare diverso tempo senza che si presentasse nessuno. E nessuno sapeva dove si trovava lei.
No, non era esatto. Le venne in mente la telefonata di Marina, madre di Rob ed ex compagna di Dennis. Quante ore erano passate? Le aveva detto dove si trovava, ma la linea era disturbata, lei non sapeva quanto fosse riuscita a capire l'altra. In ogni caso aveva promesso di richiamare più tardi. Sarebbe passato del tempo prima che Rob trovasse strano che lei non si facesse sentire. Sempre ammesso che lo giudicasse insolito. Nei giorni scorsi le era già capitato di dimenticarsi di lui.
Mare aveva le chiavi dell'auto. Poteva aprire le portiere tranquillamente da fuori, e allora come avrebbe fatto lei a riguadagnare il controllo di quattro serrature e un bagagliaio?
Sussultò quando le parve di sentire un rumore alle proprie spalle, ma non c'era assolutamente niente, doveva essersi sbagliata. Anche giù al club e lungo il molo non si muoveva nulla. Mare poteva risalire fino al parcheggio compiendo un ampio arco attraverso il bosco e arrivare all'improvviso senza farsi vedere. Poteva arrivare da qualsiasi parte. La considerava la sua unica possibilità? Chiudere la bocca a Rosanna e sperare che la polizia non avrebbe stabilito un collegamento tra di lui e le dichiarazioni di Pamela Luke? Si sarebbe spinto a tanto?
Lei non lo conosceva. In realtà non lo conosceva affatto. Si era innamorata di lui, del suo aspetto attraente, della sua gentilezza, forse persino della sua malinconia. Ma lui le aveva mentito su vari aspetti fondamentali parlando di sé, aveva sempre recitato e finto con lei, per questo l'unica cosa che sapeva in più di lui era che era un ottimo attore. In sostanza non sapeva neppure se fosse un adultero impenitente come affermava Jacqueline. Né poteva sapere se fosse o no un assassino.
Doveva andarsene da lì. Il più in fretta possibile. Aveva aspettato già per troppo tempo e non potevano più esserci spiegazioni plausibili per la sparizione di Mare. La più ingenua sarebbe stata che si fosse allontanato a piedi lungo il fiume, anche se non era da lui compiere un gesto tanto assurdo. Meno ingenuo sarebbe stato immaginare che si fosse nascosto da qualche parte ad aspettare l'occasione giusta per eliminare la donna che poteva distruggere il suo futuro.
Il paese più vicino, Wiltonfield, distava quasi quattro chilometri. Una bella distanza da superare a piedi, ma per lei non c'era altra scelta.
Corri più in fretta che puoi!
Stringendo forte la borsetta al petto, cercò di ignorare il fatto che le gambe minacciavano di cederle. Le bruciava la fronte. Ma non c'era tempo per sentirsi male.
Partì di corsa voltandosi ripetutamente indietro. Tutto rimase immobile e silenzioso.
«Wiltonfield!» esclamò Rob, quando individuò per primo il cartello. «Ancora cinque chilometri.»
«Sei proprio deciso ad arrivare fin lì vero?» domandò Marina. «Se Rosanna è andata a fare una gita sul fiume, non riusciremo a trovarla.»
«Allora l'aspetteremo. Vorrei tanto sapere con chi è andata.» «Rob! Non è affar tuo!»
Lui continuò a guardare fuori dal parabrezza, senza risponderle. Marina ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che a volte poteva essere incredibilmente testardo.
Entrarono nel paese di Wiltonfield e percorsero lentamente la strada principale. Alla loro sinistra scorreva il Tamigi, anche se la vista del fiume era in gran parte nascosta dalle case e da una sottile striscia alberata. Cercarono con attenzione il cartello che indicasse un approdo oppure un'area escursionistica. Non trovarono niente. «Qui non c'è niente del genere», dichiarò Marina quando ebbero quasi raggiunto l'estremità opposta dell'abitato. «Te l'avevo detto che la linea era molto disturbata. Non so neppure se ho capito bene il nome della località.»
«La nostra unica possibilità è di cercarla qui», insistette Rob. «Non ne abbiamo altre.»
«Invece sì. Abbiamo la possibilità di tornare a casa e di aspettare la telefonata di Rosanna. Poi potrai farle tutte le domande che ti angustiano.»
Lui lanciò un'occhiata diffidente alla madre. «E tu credi che mi direbbe la verità? Che ha conosciuto un altro e che se la vuole svignare con lui? Inventerà delle scuse. Come ha fatto negli ultimi giorni.»
Avevano appena superato il cartello con il nome della località, quando Rob esclamò all'improvviso: «Aspetta! Chiederò a quella donna lì!»
Un'anziana donna stava sopraggiungendo verso di loro tenendo un cagnolino al guinzaglio. Marina frenò, Rob scese con un balzo. Quando tornò aveva l'aria esaltata. «Credo che tu abbia capito bene le indicazioni di Rosanna. Qui esiste uno yachtclub. A circa tre chilometri di distanza. Proprio lungo la strada.»
Marina, che aveva sperato di poter concludere lì quell'impresa senza senso, alzò gli occhi al cielo. Trovava la situazione patetica e non era affatto soddisfatta del proprio ruolo. Che il sedicenne Rob, spinto dalla paura e dalla gelosia, spiasse la madre adottiva era un conto; che lei, una donna adulta e ragionevole, lo sostenesse in questo era tutt'altro. Era ben cosciente del motivo che la spingeva a farlo: la paura che lui scappasse di nuovo, l'ansia di un eventuale ennesimo litigio. Non aveva nessuna voglia di doversi giustificare con la moglie del suo ex compagno. Sarebbe stato come ammettere di non riuscire a stabilire un rapporto con il bambino che aveva messo al mondo sedici anni prima e che l'altra aveva cresciuto al posto suo.
Wiltonfield si trovava su un'altura. La strada scendeva compiendo un ampio arco e attraversava un fitto bosco. Sebbene gli alberi fossero ancora spogli, erano così fitti, da non lasciar penetrare neppure un raggio di sole. In estate doveva essere un posto piacevole, ombreggiato e quasi magico. In quella giornata di febbraio l'atmosfera era piuttosto sinistra e minacciosa.
«Non dovrebbe mancare molto al cartello», disse Marina, mentre quasi contemporaneamente Rob esclamava: «Eccola! Fermati! E lei!»
Marina inchiodò. Con sua meraviglia scorse una donna che risaliva da sola la strada buia. Più che camminare, si trascinava. Si teneva una sciarpa davanti al viso. La sua figura era leggermente piegata in avanti.
«Quella è Rosanna!» gridò Rob.
La macchina si fermò proprio davanti a lei sul ciglio della strada.
Rob balzò a terra.
«Rosanna!»
La donna trasalì. Marina vide gli occhi spalancati che spuntavano dalla sciarpa. Occhi pieni di paura.
«Che cosa è accaduto, Rosanna?» domandò Rob.
Anche Marina scese dall'auto.
«Sono Marina», si presentò, porgendo la mano a Rosanna, «la madre di Rob. Ci siamo sentite per telefono. Mi spiace piombarle davanti in questo modo, ma Rob era così impaziente e...»
«Dobbiamo andarcene da qui», la interruppe Rosanna con voce roca. Marina si rese conto che era molto raffreddata e probabilmente doveva avere la febbre alta.
Non certo le condizioni di salute migliori per fare un giro in barca a febbraio, pensò perplessa.
«Non ha la macchina?» domandò, guardandosi intorno, come se si aspettasse di vedere l'auto di Rosanna parcheggiata da qualche parte.
Anche Rosanna si guardò intorno, nervosa. «Siamo venuti con l'auto di Mare. Ma...» Non aggiunse altro. Marina ebbe la sensazione che non sapesse come riassumere in poche parole una vicenda molto complicata.
«Chi è Mare?» domandò subito Rob.
«Siete un dono del cielo», disse Rosanna invece di rispondere.
Poi starnutì. «Ho un terribile raffreddore», aggiunse.
Marina la prese sottobraccio. «Dovrebbe mettersi a letto, invece di andarsene in giro, e tanto meno in barca. Venga. Intanto la porto a casa mia. Lì potremo parlare di tutto quanto.»
Fece per tornare verso l'auto, ma di colpo Rosanna esitò.
«Mare è ancora allo yachtclub», disse, «almeno così credo.»
«Vuoi dirmi chi diavolo è questo Mare?» ripeté Rob spazientito.
Rosanna gli accarezzò distrattamente i capelli. «Non è il momento né il luogo per raccontarti tutta la storia. È solo che... ci siamo persi di vista, e pensavo... ma sono preoccupata per lui...»
Guardò Marina. «Mi farebbe un enorme piacere? Tornerebbe con me allo yachtclub? Mi sento più sicura se lei e Rob siete con me, così potrò cercare meglio Mare.»
Marina non riusciva assolutamente a capire che cosa stesse accadendo, ma riconobbe l'ansia e l'urgenza nella voce dell'altra. Annuì. «D'accordo.»
L'auto era sempre al suo posto in alto nel parcheggio. Rosanna aveva quasi sperato che Mare nel frattempo se ne fosse andato o quanto meno fosse seduto al volante, ma non c'era niente che lasciasse pensare che fosse salito fino al parcheggio. Appariva tutto deserto e abbandonato. La casa del guardiano era sempre chiusa e il club e il molo erano sempre vuoti.
Sarei potuta rimanere seduta qui ad aspettare in eterno, pensò Rosanna, ma dove si è cacciato Mare? E che cosa sta aspettando? «Vuoi spiegarci adesso che cosa sta succedendo?» domandò Rob dal sedile posteriore. Nello stesso istante Marina osservò: «Certo che è un posto proprio deserto. Quella è l'auto del suo... conoscente?»
«Già. Mi chiedo...» Rosanna aprì la portiera. Devono giudicarmi parecchio confusa, pensò, e probabilmente lo sono. Avrei dovuto allontanarmi da qui invece di tornare.
«Vi prometto che vi spiegherò tutto più tardi», si affrettò a dire. «Adesso però voglio scendere un'altra volta fino alla barca a cercare Mare. Se non torno tra quindici minuti, per favore chiamate la polizia.»
Rob spalancò gli occhi e Marina esclamò: «mio Dio!»
Rosanna scese lentamente per il sentiero. Quante volte aveva percorso quella strada quel giorno? Non lo sapeva, la sua unica certezza era che il cuore ogni volta le diventava più pesante. Erano successe così tante cose che doveva rielaborare. Ma su un punto era giunta a una conclusione definitiva, mentre avanzava faticosamente per la strada senza fine nel bosco: aveva deciso di credere a Mare.
Di credere che con Elaine fosse stato un incidente e non un delitto.
E aveva capito che avrebbe potuto convivere con questa consapevolezza, avrebbe potuto tenere per sé ciò che sapeva. Se la polizia non fosse risalita alla verità dalla dichiarazione di Pamela, lei non avrebbe comunque rivelato niente. Non era compito suo fare la detective.
Non era compito suo denunciare l'uomo che amava. Doveva dirglielo. Il prima possibile.
Il problema era che in quel momento aveva paura dell'uomo che amava. Anche se, di questo era altrettanto sicura, gli faceva un terribile torto. Lui era scomparso, ma questo non doveva necessariamente significare che stesse aspettando l'occasione di farle del male. Non avrebbe già avuto innumerevoli possibilità? Lei era rimasta seduta nell'auto molto a lungo, sarebbe stata del tutto indifesa. Lui non ne aveva approfittato. Forse si era dato alla fuga. Senza ragionare, prigioniero del proprio panico. Come era accaduto quella notte.
Superò la casa del guardiano e si incamminò lungo il molo. Non aveva alcuna speranza di trovarlo alla barca e in effetti questa era vuota e abbandonata come prima. Si guardò intorno. Naturalmente lui si sarebbe potuto nascondere in un'altra barca qualsiasi, ma che cosa ci avrebbe guadagnato? «Mare?» lo chiamò lei.
Nessuno le rispose, a parte i gabbiani.
Si sentiva un pochino più tranquilla, ora che sapeva che Rob e Marina l'aspettavano poco distanti, e tuttavia la situazione le creava ansia e disagio. Lo chiamò ancora una volta per nome, ma le rispose soltanto il silenzio.
Tornò lentamente verso la riva, entrò nella rimessa per le barche.
Fu assalita nuovamente dall'intenso aroma di legno. Alla sua destra si trovavano i ripiani dove erano collocati gli Optimist, gli scafi per i bambini. Scorse un corridoio lungo il quale erano allineati gli armadietti chiusi a chiave dei soci del club. Lo imboccò, ma al buio non riusciva a vedere quasi niente e ben presto si trovò davanti a un muro. Nessuno si nascondeva lì.
Tornata indietro, approfittò della luce del sole che entrava dalle due porte per dare un'occhiata all'ora. Erano passati quasi dieci minuti. Doveva sbrigarsi, altrimenti Rob e sua madre avrebbero avvisato la polizia. Diede un'occhiata alla scala che saliva in soffitta. «Mare?» chiamò a bassa voce.
Le restavano ancora un paio di minuti. Sarebbero bastati per salire a dare un'occhiata di sopra.
Con il cuore in gola, salì la scala. Si era aspettata di trovarsi nella più totale oscurità, e aveva temuto di non riuscire a trovare l'interruttore della luce per la fretta, ma in realtà un piccolo lucernario sporco faceva filtrare un fioco chiarore. Era uno stanzone enorme, che occupava tutta la superficie dell'edificio. Ed era riempito in tutta la sua ampiezza dalle vele appese ai fili fissati alle grosse travi del tetto. Enormi vele bianche. Dovevano essere state messe lassù ad asciugare. Trasformavano la soffitta in una specie di labirinto, creando una gran quantità di piccole nicchie, corridoi e spazi. Sarebbe stato un vero paradiso per qualsiasi bambino.
Rosanna pensò soltanto: oh Dio!
Il suo primo impulso fu di tornare indietro, scendere di sotto e correre a perdifiato verso la macchina. In effetti non le restava più neppure un minuto. Le sembrava improbabile che Mare si trovasse lì sopra. Anche se fosse stato in preda al panico, non avrebbe cercato un nascondiglio tanto assurdo, dove sarebbe stato scoperto rapidamente e inoltre non poteva restare a lungo. A meno che non avesse alcuna intenzione di nascondersi, ma avesse semplicemente aspettato che lei salisse di sopra per poterla... Credevo che avessi deciso di dargli fiducia?
Di colpo fu assalita da una sensazione inspiegabile, di non essere sola. Non necessariamente in quella stanza, ma all'interno dell'edificio. Era soltanto una sua fantasia, oppure l'istinto? Probabilmente i nervi le stavano giocando un brutto scherzo. Rimase perfettamente immobile, ad ascoltare nella penombra che regnava tutt'intorno a lei. Il cuore le martellava nel petto. Sentiva il rumore del proprio respiro. Sentiva gemere e cigolare le pareti di assi, ma sapeva che era del tutto normale in una costruzione fatta esclusivamente di legno. Era probabile che la sua sensazione che ci fosse qualcuno derivasse proprio da questi rumori. Dalla qualità viva del legno. Dal fatto che si muoveva instancabile. Non aveva nessun motivo di angosciarsi. Si girò nuovamente verso le scale. Doveva tornare alla macchina. Lassù non c'era nessuno. Non aveva senso aggirarsi faticosamente in mezzo all'intrico di vele.
Fu proprio in quell'istante che lo percepì. Un rumore che non era in grado di identificare, di riconoscere. Non avrebbe saputo dire se si trattasse del respiro di un'altra persona, i passi... ma era un rumore diverso dallo scricchiolio del legno, non ne faceva parte, era estraneo. Proveniva dalla scala.
Qualcuno stava salendo.
Qualcuno che procedeva cercando di non farsi udire. Rosanna fece un passo indietro senza fiatare. Al primo momento ebbe la tentazione di chiamarlo per nome. Mare? Sei tu? Sono quassù!
L'istinto la indusse a tenere la bocca chiusa. Chiunque fosse, perché avanzava di soppiatto?
La consapevolezza di non avere più via di scampo la colpì con la forza di un pugno allo stomaco. Là sopra era come un coniglio in gabbia. Rob e Marina avrebbero chiamato la polizia. Quanto tempo sarebbe passato prima dell'arrivo degli agenti? Rob e sua madre avrebbero preso l'iniziativa di andarla a cercare loro stessi? Avrebbe voluto gridare, ma non riuscì a emettere neppure un suono. Adesso non aveva più dubbi: c'era qualcuno sulla scala. Le pareti di vele l'accolsero protettive. La penombra era permeata da una miscela di odori diversi: acqua, legno, olio per motori, detersivi, muffa. Si ritrasse ulteriormente.
L'altro - Mare? - era arrivato di sopra. Lo sentiva indugiare mentre cercava di orientarsi. La sua vista doveva ancora abituarsi alla fioca penombra. Rosanna invece l'aveva già fatto, e questo le dava un piccolo vantaggio. Che molto probabilmente alla fine non le sarebbe servito a niente. Perché prima o poi si sarebbe trovata contro il muro. Oppure poteva spostarsi incessantemente nel labirinto delle vele. Sino a trovarsi l'altro davanti. Poteva accadere in qualsiasi momento.
Un'asse del pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi. Lei si bloccò immediatamente, trattenendo il fiato. Bastava il minimo movimento per tradire il punto in cui si trovava. Doveva essere più cauta. Avanzò fino all'angolo successivo, rischiando di inciampare su un mucchio di cime arrotolate sul pavimento. All'ultimo istante riuscì a scavalcarle con un lungo passo.
Le vele intorno a lei si mossero. Qualcuno le era alle spalle. E poi, nell'attimo successivo, accadde tutto contemporaneamente. Senza badare a non fare rumore, Rosanna girò l'angolo successivo. Qualcuno la chiamò: «Rosanna!»
Lei si bloccò e lanciò un grido, un grido pieno di raccapriccio, sconcerto e terrore per ciò che vide davanti a sé, e poi di colpo due braccia la strinsero da dietro, braccia forti, calde, sicure, un viso si premette contro il suo e la voce di Rob le sussurrò: «Non guardare, Rosanna, non guardare!»
Ma lei non poteva distogliere gli occhi. Dal corpo che dondolava impercettibilmente, inerte, davanti a lei. Dai lineamenti contorti nella lotta contro la morte del volto di Mare Reeve. «Rosanna, ci sono io!»
Lei non riusciva a smettere di urlare.
Sabato, 10 marzo.
«Dovresti andare da lei», lo incalzò Pam, «è di sopra da quasi un'ora ormai. Forse ha bisogno di te.»
«Aveva detto di voler rimanere sola», replicò Cedric a disagio. Temeva un crollo emotivo della sorella e non voleva essere quello costretto a sostenerla. «Non preferiresti farlo tu...?» «Tu sei suo fratello. Con me non ha in pratica nessun rapporto.» Alla fine Cedric si decise a scendere a malincuore dall'auto. Erano parcheggiati davanti alla casa in cui aveva abitato Mare Reeve. Jacqueline Reeve aveva dato la chiave a Rosanna, dicendole che poteva prendere dall'appartamento un ricordo, quello che voleva. Rosanna non si sentiva affatto bene, per questo Cedric e Pam l'avevano accompagnata, ma poi lei li aveva pregati di salire da sola. «Ho bisogno di un momento per me», aveva detto. Pam aveva ragione: quel momento ormai durava da un'ora. Cedric attraversò la strada. Le costole rotte gli facevano ancora male, ma le sue condizioni non erano più paragonabili a quelle di qualche giorno prima. Riusciva a muoversi molto meglio e aveva superato senza problemi anche il viaggio da Taunton a Londra. Nel giro di breve tempo sarebbe tornato quello di una volta.
Il portone era soltanto accostato. Salì le scale ed entrò nell'appartamento. Trovò la sorella in piedi in mezzo al salotto di Mare, ed ebbe l'impressione che non si fosse mossa di un passo dal momento del suo arrivo.
«Pam mi ha mandato a vedere come stavi», disse lui, «sei quassù già da parecchio tempo.»
Lei si voltò lentamente a guardarlo. «Davvero?» «Da un'ora.»
La cosa parve sorprenderla. «Non me n'ero resa conto.»
Lui si guardò intorno per la stanza. Il piccolo angolo cottura con le piastrelle bianche. I mobili economici, né brutti né belli, semplicemente neutri. L'anonimo tappeto. Si accorse di rabbrividire.
Come si poteva vivere così, si chiese, come si poteva resistere in quell'atmosfera fredda e grigia?
L'unico oggetto personale era un acquerello appeso al muro.
Una barca davanti a un molo di pietra. Il quadro se non altro rappresentava qualcosa di peculiare nella mera funzionalità di tutto il resto, ma l'immagine era così scura e malinconica, da non rischiarare affatto la generale aura di tristezza.
Rosanna aveva seguito il suo sguardo.
«La nostra vita è così piena di cliché», disse, «anche quando crediamo di saper guardare le cose fino in fondo in tutta la loro verità e giustizia. Mare era riuscito in maniera perfetta a crearsi una propria immagine, e neppure io mi sono accorta di quanto fosse incompleta. Avvocato di successo. Ambizioso. Affascinante. Intelligente. Certo, era tutto questo. Ma prima di tutto era una persona profondamente depressa. Ha usato tutte le proprie energie per fare in modo che nessuno se ne accorgesse.»
«In effetti l'appartamento lo rivela chiaramente», osservò Cedric. «Non avevo mai visto una stanza tanto...» Cercò l'aggettivo esatto.
«Impersonale», gli suggerì Rosanna. «Fredda. Priva di vita. Come deve essere un uomo che crea un ambiente simile?»
«Secondo te è stata la vicenda di Elaine a farlo piombare in questo stato? Oppure la storia del figlio?»
«Io credo che fosse depresso già prima. Però non so quasi niente di lui, Cedric. Anzi, proprio niente. Non conosco particolari della sua infanzia o della sua giovinezza, delle sue origini. Nelle due settimane in cui ci siamo frequentati, lui si è adoperato esclusivamente a tenere in piedi la sua versione dei fatti di quel gennaio 2003. Doveva sentirsi con le spalle al muro. Doveva sempre trovare un nuovo modo di reagire a ciò che io man mano scoprivo. Io non mollavo, non gli lasciavo riprendere fiato. Ero ossessionata dal pensiero di dimostrare la sua innocenza. E alla fine... non gli ho lasciato più nessuna via d'uscita.»
Lui avvertiva chiaramente la tristezza della sorella, era quasi tangibile, mescolata al dolore che Mare Reeve aveva lasciato in quella stanza. Avrebbe voluto abbracciarla, ma aveva la sensazione che lei non volesse.
Perciò disse soltanto: «È stato lui stesso a crearsi la sua prigione, Rosanna. Ha cominciato la notte dell'incidente di Elaine. Se si è veramente trattato di un incidente, non avrebbe dovuto nasconderlo. È stato quello il principio della fine».
«Sì», rispose lei tornando a guardare fuori dalla finestra, dove il cielo grigio non contribuiva a rallegrare la giornata, «è così. Ma la fine non doveva necessariamente essere quella che è stata. Se gli fossi rimasta accanto... se lui avesse saputo di avere il mio sostegno!., forse per lui ci sarebbe stata una speranza.»
«O forse no. Non ha senso specularci ora. Rosanna, posso immaginare quello che provi, ma... non serve a niente. Ti tormenti e basta. Come a restare in questo orribile appartamento. Prendi qualcosa, un ricordo qualsiasi, e poi andiamo via.»
«Che cosa dovrei prendere? Davvero, Cedric, non so quale degli oggetti qui dentro possa rappresentare un collegamento tra di noi.»
Aveva l'aria tanto infelice. Lui avrebbe voluto semplicemente prenderla per mano e portarla fuori da lì. «Adesso che cosa farai?» domandò.
Lei alzò le spalle. Nonostante il suo sguardo turbato, Cedric ebbe l'impressione che essere distratta dal pensiero di Mare Reeve in questo momento potesse darle un po'"di sollievo.
«Non lo so ancora. Penso che mi cercherò un lavoro qui a Londra.
E un appartamento.»
«Non torni più da Dennis?»
«No.»
«E Rob?»
Qualcosa di caldo e morbido distese per un istante le linee che negli ultimi giorni si erano incise sul suo viso. «È stata la mia ancora di salvezza, Cedric. In quel terribile momento quando... ho trovato Mare... mio Dio, Rob ha soltanto sedici anni. Ma è stato così forte. Così determinato. Mi ha sorretto ed è stato solo questo che mi ha permesso di superare quel momento. Non so che cosa sarebbe successo senza di lui.»
«Ti vuole molto bene.»
«Vorrebbe venire a stare con me.»
«Per farlo ti servirebbe l'autorizzazione di Dennis.»
«Forse si lascerà convincere. La cosa più importante per lui è la felicità di Rob. Penso che entrambi, io e Rob, abbiamo una possibilità.»
Rimasero in silenzio e Cedric cercò di rendersi conto che la sua sorellina stava gettando all'aria tutta la sua vita e lo faceva con una determinazione e una lucidità che lui poteva soltanto ammirare.
«Io tornerò per qualche giorno a New York», disse infine, «sono veramente sfinito. Secondo il medico dovrei aspettare ancora, ma non ce la faccio più a stare qui senza uno scopo. Devo trovare il modo di andare avanti.»
«Pamela verrà con te?»
«Le farebbe molto piacere. Io non ho ancora deciso. Non credo di poter essere il suo rifugio, figurati, proprio uno come me! Prima devo mettere ordine nella mia stessa vita.»
«Forse le serve soltanto un trampolino. Lei è forte, Cedric, altrimenti non sarebbe riuscita a sopravvivere questi ultimi anni. Non credo che diventerà un peso per te.»
«Mi piace», ammise Cedric, «ma non ho ancora idea di che cosa potrà venirne fuori.»
«Neppure io ho idea di cosa ne sarà della mia vita.»
«Proprio un bel casino, tutto quanto», commentò Cedric, scostandosi i capelli dalla fronte, un gesto impacciato con il quale spesso mascherava i momenti difficili.
«Sono stato da Geoff», riprese senza pause, «per l'ultima volta. Per salutarlo.»
«Scommetto che si è dato un sacco di arie, vero? Perché aveva visto giusto fin dal primo istante.»
Cedric scoppiò a ridere, suo malgrado. Era la prima volta che lo faceva quel giorno. «Il buon vecchio Geoff. Il nostro Catone. Ceterum censeo, che Mare Reeve sia colpevole. Era diventata una specie di litania per lui. E alla fine si è rivelata la verità. Ma lui non ha esultato.
Mi è sembrato semplicemente sollevato di poter finalmente chiudere quel capitolo. Per lui era l'unica cosa importante.»
Lei poteva capirlo. Poter chiudere era importante. Avere delle certezze.
Lui sembrò leggerle nel pensiero.
«È questo che ti tormenta tanto?» le chiese cauto. «Che non potrai mai avere la certezza definitiva che Mare abbia detto la verità?
Che quello di Elaine fu un incidente? E non un'aggressione da parte sua?»
Lei scrollò il capo.
«No. Mentre camminavo verso Wiltonfield, ho deciso di credergli, e resto di questa opinione. Gli credo. Quello che mi tormenta è che... non ho più avuto modo di dirglielo. Non ho fatto niente per lasciargli vedere una via d'uscita diversa da quella che poi ha scelto. È questo che mi tormenta. E mi tormenterà sempre.» Che cosa avrebbe potuto risponderle?
«Il suicidio di Mare è stato un gesto dettato dal panico», disse lui dopo un po', «come l'occultamento del cadavere di Elaine. Evidentemente nelle situazioni critiche tendeva a prendere decisioni avventate.»
«Un altro aspetto della sua personalità che nessuno avrebbe indovinato, frequentandolo nella vita quotidiana», disse Rosanna.
«No, davvero, non lo avrebbe detto nessuno. La sua maschera era sempre impeccabile.» Protese il braccio e prese la mano del fratello.
«Vieni, andiamo. Qui non c'è niente che vorrei portare via con me. Non dipende soltanto dal fatto che in questo appartamento non ci sia nulla di significativo. Ma in primo luogo perché io non lo conoscevo.»
Uscirono in strada. Il vento soffiava gelido tra le case, sebbene fosse il 10 marzo e la primavera sembrasse imminente.
Il 10 marzo, pensò Rosanna, il compleanno di Josh. Non potrà mai più riconciliarsi con suo padre. Ma forse non avrebbe neppure voluto farlo.
Pamela era scesa dall'auto e camminava avanti e indietro sul marciapiede, le braccia conserte sul petto. Aveva il naso rosso, le labbra bluastre. Ma sembrava più rilassata, non aveva più quell'aria inquieta. Si era liberata definitivamente dal suo aguzzino Pit Wavers, uccidendolo. In questo modo aveva eliminato l'assassino di Jane French e il presunto assassino di Linda Biggs. Nel suo sguardo si leggeva il primo bagliore di una nuova consapevolezza, di una nuova forza.
«Accidenti, finalmente», disse vedendo venirle incontro i due fratelli, «qua fuori si muore di freddo. Stavo congelando.» Si fronteggiarono indecisi.
«E adesso?» domandò Cedric. «Cosa facciamo con il resto della giornata?»
Cosa facciamo con il resto della nostra vita? pensò Rosanna, ma preferì non parlare. Tanto, chi avrebbe potuto darle una risposta? Cedric, che, come lei intuiva, l'ammirava per la sua presunta determinazione? Come avrebbe potuto capire il vuoto che si sentiva dentro? Come avrebbe potuto immaginare che ciò che lui considerava determinazione in realtà era pura e semplice disperazione? «Per quanto mi riguarda», disse Pamela, «mi ci vorrebbe qualcosa di forte. Un bar accogliente e una doppia grappa.» «Ottima idea», concordò prontamente Cedric.
Lasciarono lì la macchina e si avviarono lungo la strada, in armonioso silenzio. Da qualche parte lì intorno avrebbero trovato un bar. E poi sarebbe venuto loro in mente che cosa fare in seguito. E dopo ancora.
Per il resto della giornata.
Per il tempo a venire.