Le prime sei pallottole
I.
11 aprile 1990.
“Impossibile, impossibile sotto ogni punto di vista”.
Entra in macchina di pessimo umore. Parla fra sé e sé, in cerca di una soluzione che non riesce a trovare.
Si infila in un colonna di diversi chilometri di macchine che non superano i quindici all'ora. Prima… seconda… frenata. Di nuovo prima… seconda… Alla radio programmi inascoltabili. Nello specchietto retrovisore solo macchine, nebbia, strada bagnata, case grigie.
“Non c'è nessuna ragione, nessuna logica: andare in galera, nella sezione di quelli che non usciranno mai, e convincerli a immaginare di essere qualcun altro! E magari quelli vengono al laboratorio solo per trovare degli arnesi che possano servire a bucare, a scavare, a limare… illusioni anche quelle. Se sapessero chi comanda davvero nelle prigioni, chi decide della vita e della morte dei carcerati, rimarrebbero tutti allibiti. E il pubblico? Ma chi può credere che esista un pubblico per quelli che rimarranno chiusi là dentro tutta la vita? Ma lo avete mai visto il pubblico agli spettacoli dei “Fine pena mai”? Quando va bene, anzi benissimo: un po'di autorità, qualcuno dell'amministrazione penitenziaria, i secondini, qualche generoso generale dei carabinieri, qualche moglie del personale di sorveglianza… Certo, ci sono le famiglie… L'unica cosa pura sono i testi, letti sottovoce, non recitati, perché quelle mura, quei riverberi infettano tutto, anche i suoni e i significati. I testi no! Sono l'unica evasione possibile, l'unica bellezza rimasta. Bisbigliati in dialetto sono ancora più potenti, nonostante il tempo, nonostante le cattive traduzioni… Il monologo di Shylock, il discorso di Enrico V prima della battaglia di Azincourt… Il Marat-Sade di Weiss.
Di nuovo una frenata. Un autotreno sta facendo manovra. Una moto con due uomini gli si affianca. Quello sul sellino di dietro gli punta una Magnum 377 davanti alla faccia.
Non ha nemmeno il tempo per urlare «Ma che cazzo stai facendo?» che quello spara. Il primo colpo gli distrugge la mano, il secondo lo colpisce sotto lo zigomo e gli porta via un pezzo di mandibola, il terzo arriva dritto al centro del torace con una potenza tale da fargli sobbalzare il corpo e fargli sbattere la testa contro il tettuccio della macchina. Gli ultimi tre colpi sono per il cuore. Anche la macchina sussulta, ancora in seconda, e poi si zittisce.
L'ultima cosa che vede Roberto è la canna nera di quella Smith & Wesson illuminata dalla fiammata del colpo, poi più nulla.
II.
Appena il procuratore, accompagnato dall'ufficiale dei carabinieri, entra nel suo ufficio con quell'espressione grave, Armida Paternostro capisce che è successo qualcosa e scatta in piedi.
– È per mia madre, vero? Le è successo qualcosa?
– No, dottoressa, non è per sua madre. Si tratta di suo marito. Gli hanno sparato da una moto… Roberto non ce l'ha fatta.
Improvvisamente il mondo di Armida Paternostro si rimpicciolisce fino a diventare un invisibile granello di niente. Rimane immobile, gli occhi chiusi per un tempo non misurabile. Resta sorpresa quando sente uscire dalla sua stessa bocca la frase:
– Voglio andare sul posto. Voglio vederlo prima che lo portino via.
“Non sono stata io a parlare. Io sono incapace di parlare. Io ora, semplicemente, non esisto più”.
Non sa come, ma esce dal buio che l'avvolge solo quando arriva in quel luogo indefinito, senza niente di speciale, e lo vede: il volto senza mandibola, la mano spezzata in due, il petto trafitto da tre pallottole. Ed è come se a lei mancasse una mano, se quella mandibola fracassata fosse la sua, suoi quei tre squarci nel cuore.
III.
Ore 13:10. Nella stanza 39 dell'Ispettorato delle carceri arriva una telefonata. L'uomo che parla ha un forte accento calabrese:
– Pronto, Ispettorato carceri? Cosa siete capaci di fare ai detenuti bravi? E a quelli cattivi?
Mezza risata. Sullo sfondo si sente rumore di traffico.
Ore 15:40. Agenzia d'informazione di Bologna. Un altro telefono squilla. A rispondere è Arianna, una giovane cronista bionda, dagli occhi azzurri e dalla faccia sempre seria. Ascolta attentamente la voce che esce dal microfono.
– Ma lei chi è?
Lo sconosciuto riattacca.
Arianna attende qualche secondo, senza muoversi. Pensa. Poi, di scatto, si alza e raggiunge l'ufficio del suo superiore.
– Capo, ma che cosa è successo oggi a Milano?
– Stamattina hanno ucciso in strada un educatore carcerario, Roberto Vertile. Organizzava dei laboratori teatrali con gli ergastolani. C'è stata una telefonata all'Ispettorato delle carceri che ha annunciato questo omicidio, ma non lo ha rivendicato. Perché me lo chiedi?
– Un'altra telefonata è appena arrivata qui. L'ho presa io. Quello che ha chiamato ha detto: «Il terrorismo non è morto. Bisogna estendere l'amnistia anche ai detenuti politici. Ci conoscerete in seguito».
– Ha specificato da chi o cosa proviene il messaggio?
– No. Non ha lasciato nomi.
– Molto strano. Fatti la domanda: «Perché un messaggio del genere, senza firma?»
– Me la sono già fatta.
I due si guardano, in silenzio, per qualche secondo. È il capo a rompere quel silenzio.
– Prendiamo per buono che siano gli stessi che hanno sparato a Milano, e non qualche mitomane. Un gruppo organizzato, forse nuovo, chi lo sa. Perché una telefonata del genere, senza rivendicazione esplicita? Sono pronti per le azioni armate, tanto da essere già passati all'omicidio, ma non abbastanza per rivendicarle senza lasciare traccia, senza prendersene la responsabilità. Comunque, fai tre righe con lo stesso titolo dell'educatore carcerario ucciso; e trascrivi esattamente le parole che ti sono state dette al telefono.
IV.
27 ottobre 1990, ore 12:25.
– Pronto, Agenzia di informazione. Con chi parlo?
– Qui Frangia armata carceraria. La prego di registrare quello che dirò. All'inizio di quest'anno abbiamo individuato due fronti di lotta armata: uno politico-giuridico-finanziario e l'altro interno alle carceri. Qui abbiamo individuato cinque operatori-educatori, che non sono operativi ma sono cervelli dell'organizzazione della legge Gozzini. Vertile a Milano è già stato giustiziato. Gli altri quattro saranno colpiti al momento giusto e opportuno. Domani sera avrete un comunicato nei cestini dei rifiuti della stazione di Bologna.
– Scusi, non sono sicura di avere capito bene. Ha detto Falange o Frangia?
Lo sconosciuto riattacca.
– È arrivato un nuovo messaggio. Questa volta chi ha telefonato si è definito “Frangia armata carceraria”. Questo è il testo.
Arianna porge al caporedattore un foglio dattiloscritto di appunti.
– Parlava con accenno tedesco, ha minacciato di morte quattro educatori e ha rivendicato l'uccisione di Roberto Vertile. Ha anche annunciato per domani un altro comunicato nei cestini dei rifiuti della stazione di Bologna.
– Riporta la notizia come al solito, senza darle troppo spazio, ma domani vai alla stazione ferroviaria e cerca nei cestini dell'immondizia prima che vengano vuotati, se qualcuno ha lasciato veramente un messaggio. Ma non ci sperare troppo. A questa gente, mitomani o no, piace prendere in giro le persone: fanno il finto accento tedesco, ti mandano in giro per nulla, godono nel vedersi sui giornali. Credono di essere molto intelligenti. Diranno poi che il messaggio non è stato trovato perché l'abbiamo fatta sparire noi.
– Ma non dovremmo informare prima la polizia?
– C'è tempo, c'è tempo…
V.
Milano, 9 maggio 1991.
Guido è uno sbirro della Digos di Milano, trasferito poi a Firenze. Non molto alto, magro, a prima vista ha un aspetto comune che nasconde una faccia da avventuriero. Guido è un solitario, uno che quando lo guardi negli occhi non fa trapelare nulla di sé. Solo quando parla puoi scoprire una sottilissima piega delle labbra che nasconde un sorriso beffardo. Guido è uno sbirro fuoriclasse. Uno che sa ragionare come un bandito, come un ricercato, come un latitante. Con una certa criminalità, infatti, si trova a suo agio: conosce la loro spavalderia e la favorisce, conosce la loro invisibile lealtà e la rispetta, conosce la loro vicinanza agli ambienti neofascisti e finge di condividerla, e qualora dovesse scegliere tra arrestare un delinquente o coltivarlo come fonte confidenziale, sceglierebbe senza dubbio la seconda possibilità. Per questo non gli è difficile immaginare dove cominciare a cercare i latitanti dei Nar. E solo per questo motivo entra in quella libreria.
– Ehi, Guido, come va?
– Ciao Michele, vecchio falangista maronita. Vedo che sei tornato dal Libano.
– Sono scappato in Libano perché in Italia ne avevo combinate troppe, e ora sono tornato in Italia perché ne ho combinate troppe in Libano. Spero che qui, nel frattempo, i tuoi colleghi si siano stancati di cercarmi.
– Sicuramente non avrai nostalgia della Falange maronita, visto che ora ne avete creata una anche qui. Avete fatto tendenza, voi dei Nar. Hai aperto una filiale, o paghi i diritti di franchising?
Per una frazione di secondo una lama di gelo contrae il volto di Michele e Guido, da vecchio sbirro, capisce di avere fatto centro al primo colpo. Ora però deve alleggerire l'impatto e non spaventarlo, se vuole cucinarselo ancora un poco.
Con lo stesso tono canzonatorio, Guido prosegue:
– È una domanda semplice: pagate dei soldi per usare quel nome in franchising o siete la succursale dei cristiani maroniti libanesi a Milano?
Michele, teso come una corda di violino, si guarda in giro un attimo e abbassa la voce in un sussurro:
– Non mi va molto di parlare di queste cose, e ancora meno con questo tuo tono strafottente.
Guido spegne quel suo sorriso beffardo. Tace per alcuni minuti, sfogliando distrattamente un libro di Julius Evola raccolto da uno scaffale lì a fianco; poi alza il volto dal libro e piazza i suoi occhi freddi davanti a quelli di Michele:
– Sono venuto qui solo per incontrare te, e nessun altro. Non ho bisogno di informatori per immaginarmi che sei nella merda: se ti fossero rimasti dei soldi avresti continuato a spenderteli con i tuoi amici libanesi; se sei tornato è perché sei rimasto a secco; e se sei incazzato è perché molti dei tuoi vecchi camerati stanno dietro le sbarre e non ti possono più aiutare. Mentre tu potresti essermi molto utile se riuscissi a collaborare: sto raccogliendo informazioni sui nuovi sostenitori della Falange Armata, e potremmo fare il vecchio gioco dell'informatore che porta notizie allo sbirro…
– Guarda Guido che anche a me tornerebbe molto utile avere un poliziotto amico in grado di avvisarmi per tempo quando è ora di preoccuparsi, e tenermi fuori dai guai quando i guai stanno per arrivare.
All'angolo delle labbra di Guido rispunta una ruga con l'accenno di un sorriso beffardo.
– Allora siamo già d'accordo: tu mi fai capire come vanno le cose dalle parti della Falange e io cercherò di farti avere un minimo di aggiornamenti sul quadro generale.
Michele si tranquillizza e riprende a parlare.
– Il discorso è molto semplice: è un'operazione seria; abbiamo un artificiere che è straordinario: è in grado di dissolvere una casa e lasciare in piedi quella accanto. Siamo una ventina, gente addestratissima.
– Solo venti?
– Siamo organizzati in due squadre operative da otto, poi abbiamo un ottimo apparato logistico-informativo in grado di compiere inchieste approfondite e di individuare gli obiettivi da colpire.
– Che armi avete?
– Armi da guerra: uno stock di fucili d'assalto americani non ancora acquistabili in Italia, gli SC70, che possono sparare sia colpi singoli sia a raffica fino a esaurimento del caricatore. Sono ottime armi. Avrei voluto averle in Libano, dove c'erano solo i vecchi AK. Poi abbiamo fucili mitragliatori, fucili a pompa e tutte le pistole che abbiamo preso nella rapina dell'anno scorso all'armeria di Milano.
– E i camerati come sono?
– Combattenti preparati. A livello operativo non ho dubbi su di loro.
– E dove vi addestrate?
– Sempre dalle parti di Como, dove dopo qualche chilometro sei già in territorio svizzero e non ti possono arrestare più.
– Sempre lo stesso progetto di golpe?
– No, ora non ci interessa rafforzare il potere, ma al contrario destabilizzarlo.
– Non ci credo che non ci siano più golpisti tra di voi!
– I nostalgici ci sono sempre, e da noi ce n'è uno solo: un sottufficiale che aveva fatto parte della Folgore, che poi è entrato nel Col Moschin e ha fatto uscire dall'armeria dei parà del materiale straordinario, un arsenale scomparso senza mai una denuncia.
– Sono quegli SC70 di cui mi hai parlato?
– Potrebbe essere.
– Se avete delle armi dovete avere anche dei nemici ben individuati…
– Colpiremo chiunque in Italia sia responsabile del degrado sociale e politico.
– Puoi essere meno generico? Chi sarà a rischio?
– Il direttore di «la Repubblica», per esempio.
– Poi?
– Un giornalista di «Famiglia Cristiana»… Lui deve stare attento perché è una spia del Sismi.
– E chi altro?
– Il colonnello a capo dei Nocs.
– Perché?
– Lui lo sa.
– Io no.
– E infatti non lo devi sapere.
– Però ora tu stesso mi hai dato uno spunto per capirlo.
– Cioè?
– Lo hai chiamato colonnello, mentre invece è un funzionario del Ministero degli Interni. Tu queste differenze le conosci bene, e se lo chiami colonnello lo fai in modo dispregiativo, come se fosse un traditore, uno passato dall'altra parte… Volete farlo fuori per questo? Perché non condivide più la logica dei Nar? Perché non è più un simpatizzante del vostro esercito segreto? Non ti sembra eccessivo?
– Dovresti imparare a farti i cazzi tuoi…
– Ammettilo che fate tutto questo perché il presidente del Consiglio vi ha lasciato disoccupati quando ha svelato l'esistenza di Gladio.
–Il presidente è un infame. Ci ha ridicolizzati, ci ha descritto come se fossimo i soci di una bocciofila o un'associazione di ex alpini. Tu non sai come si sono incazzati i camerati… Fai un giro al Col Moschin o al Comsubin o tra quelli delle squadre speciali… E poi hanno tutti fatto una gaffe dopo l'altra: hanno raccontato che Gladio è stato sciolto nel '72, poi si sono corretti e hanno detto che Gladio c'è ancora e fa parte della Nato. Il giorno dopo il portavoce della Nato li ha smentiti, e lo stesso presidente della Repubblica li ha smentiti nuovamente, confermando che Gladio non fa parte della Nato… Ma che paese di merda! Poi quattro servizi del Tg1 per dire che siamo pagati dalla Cia… E chi altri ci avrebbe dovuto pagare? La Caritas? Per fortuna c'è stata la Cia tutti questi anni che è riuscita a far combattere quelli che lo volevano e lo sapevano fare, con perdite, tra i civili, irrisorie.
– E come fate senza i botti?
– Di questo non posso parlare.
– Senti, Michele, tu mi conosci e sai che di me ti puoi fidare. Le notizie che mi hai dato oggi mi interessano molto. Ti lascio il mio telefono, mi farebbe piacere rivederti, magari a metà strada. Io devo tornare a Firenze. Se mi dai notizie importanti possiamo cercare di creare un rapporto più stretto e conveniente per ciascuno di noi.
– Va bene, camerata.
– Ti saluto, fratello.
VI.
Firenze, 9 maggio 1990.
Nel suo rapporto ai superiori Guido avrebbe potuto riportare le esatte parole di Michele, il suo amico falangista, ma sarebbe stato un errore. Bisogna sempre “fare la tara” alle dichiarazioni dei partecipanti ai Nuclei Armati Rivoluzionari. Sicuramente sono addestratissimi, e sotto il profilo operativo sono il massimo, hanno coraggio da vendere e sparano da Dio, ma niente di più. Decide quindi di non enfatizzare troppo i toni:
«È difficile dare alla Falange Armata una precisa collocazione politico-ideologica, non essendo possibile considerarla un gruppo eversivo nel senso più puro del termine. Tra i suoi obiettivi non ci sarebbero, sembra, quelle finalità che caratterizzavano le organizzazioni dell'estrema destra dello scorso decennio, ovvero destabilizzare lo Stato democratico attraverso una strategia della tensione. Anche quel Carlo è stato recentemente trasferito ai servizi non operativi, non per demerito ma per sopravvenuta diminuita idoneità fisica. Non è nota, invece, la provenienza di fucili a pompa Spas 12 e Spas 15 della Franchi e di alcune pistole Beretta RM12S in dotazione alle forze di polizia, presenti – a quanto appreso – nei loro arsenali.
È sorprendente che la fonte da me interpellata fosse a conoscenza che uno degli obiettivi della Falange Armata fosse un componente dei corpi speciali di polizia, ritenuto strategicamente importante, e che ne conoscesse addirittura il nome. Secondo la mia fonte, il supporto logistico-informativo della Falange Armata sarebbe in grado di compiere inchieste molto approfondite e di individuare e colpire gli obiettivi prestabiliti».
Guido firma e spedisce.
Conosce i suoi superiori e non si aspetta né promozioni né encomi, ma che la sua informativa non susciti alcuna reazione è un fatto che lo impensierisce. O qualcuno del Ministero c'è dentro fino al collo, o hanno già fatto un accordo che prevede che nessuno si muova perché gli equilibri sono ancora troppo instabili. Succede, e non è nemmeno una strategia sbagliata: spesso il miglior alleato in molte guerra è stato il temporeggiamento.
VII.
– Pronto, Michele, ci vediamo a Roncobilaccio, all'uscita dell'autostrada, alle 20 in punto.
– Ok, il tempo di chiudere la libreria.
Guido riattacca e pensa: “Naturalmente le spese di benzina sono a carico mio, non ho in dotazione nessuna macchina di servizio, zero supporto informativo. La solita fatica solitaria di chi non conta un cazzo per poi vedere conferire i meriti ai capi. Ma va bene così perché, se avessi visibilità, sarei fottuto”.
Appena dopo il casello di Roncobilaccio Guido parcheggia la macchina e si mette a guardare la montagna. Per un po' riesce a sgombrare la mente.
Si immagina gli animali che vivono nel bosco, lassù. Chissà se si fermano a guardare le nuvole, da quelle cime così vicine al cielo. Sta quasi per addormentarsi, cullato dal flusso dei pensieri, quando viene riportato sulla terra da un leggero ticchettio sul vetro. È Michele, il suo informatore.
– Dai, apri, che non ho molto tempo.
– Finalmente. Sono contento di vederti.
Michele si siede davanti accanto a Guido, che salta i convenevoli per arrivare subito al dunque dell'incontro:
– Vorrei tornare su quello che mi hai detto a proposito di quel poliziotto dei Nocs. Perché questi della Falange Armata ce l'hanno a morte con lui?
La cosa strana è che questa notizia non aveva suscitato nessuna reazione fra i suoi capi. Eppure è uno dei migliori poliziotti dei Nocs. Dovrebbe stare a cuore anche a loro.
– Su quel poliziotto ti racconto solo questo aneddoto e poi non mi fare più domande. Pasquale, uno dei Nar che tu hai sicuramente conosciuto, perché di poliziotti ne ha fatti fuori un certo numero, voleva eliminarlo ma, non riuscendo a trovare il suo indirizzo, decide di fare fuori il suo vice. Rintraccia il suo indirizzo e lo aspetta sotto casa. Siamo ai primi di agosto, un'afa che si taglia a fette; e Pasquale si presenta in perfetta divisa da killer: giubbotto di pelle scura, occhiali Ray-Ban, pistola nascosta sotto il giornale. A un certo punto arriva un tizio enorme su un motorino Ciao a pedali. Si accorge della presenza di Pasquale e con una agilità sorprendente scende dal motorino, lo appoggia al muro e mette la mano dentro il marsupio che ha in cintura. Pasquale resta imbambolato a guardare la manovra e perde un po'di tempo prima di capire che quello è l'uomo che deve far fuori e che a essere fatto fuori, invece, potrebbe essere lui stesso, visto che il gigante col motorino sembra proprio tenerlo sotto tiro con la pistola che impugna dentro il marsupio. Così i due si guardano negli occhi per alcuni secondi, muovendosi al rallentatore; poi il gigante entra nel portone di casa e, una volta al sicuro nell'ombra dell'androne, rimane a guardare Pasquale che si allontana nell'afa di agosto senza voltarsi, col suo giaccone di pelle nera e la pistola ciondoloni sotto il giornale. Ma adesso basta con queste stronzate. Parliamo di cose più importanti. La notizia che ho da darti è questa: la Falange Armata sta preparando un attentato con dell'esplosivo al plastico a Bari, contro i partecipanti al congresso del Psi. In particolare, nella città sarebbero presenti in questi giorni otto elementi della Falange Armata tra i quali, appunto, un esperto in esplosivi.
Guido accoglie la notizia con evidente sorpresa. Capisce che qualcosa di grosso sta bollendo in pentola.
– Come sono organizzati?
– Questi viaggerebbero utilizzando due auto: una Fiat Uno di colore bianco e una Fiat Regata Weekend. Entrambe le macchine sono munite di targhe contraffatte. La Regata, targata Torino, avrebbe sulle fiancate laterali la scritta Rai TV. Nel gruppo degli attentatori si troverebbe anche un camerata dei Nar, attualmente latitante. Sarebbe rientrato in Italia da poco e si muoverebbe con un passaporto falso intestato a tal Mattei. Il latitante dei Nar dovrebbe entrare in contatto con quel Carlo della Folgore di cui ti ho già parlato. Questo Carlo, che aveva già fatto parte di un gruppo con aspirazioni golpiste quando stava nei parà, è stato poi allontanato e trasferito per un certo periodo in Sicilia, e infine destinato a compiti non operativi. Ciononostante continua a frequentare latitanti dei NAR, come Pasquale, il killer della storia che ti ho raccontato. L'attentato a Bari servirebbe a fare “debuttare” in modo adeguato la Falange Armata.
Appena terminato di parlare, Michele riapre lo sportello della macchina, saluta velocemente e scompare nel buio. Guido aspetta un minuto o due, poi, come vede passare la macchina di Michele, copia velocemente il numero della targa, accende il motore e prova a seguirla, ma deve desistere dopo pochi metri, perché si accorge che nelle immediate vicinanze c'è un'altra vettura con i fanali puntati verso di lui. Sicuramente è la copertura della Golf dell'informatore. Non appena Guido si muove per seguire l'auto, l'altra macchina comincia a lampeggiare ripetutamente nella sua direzione per convincerlo a desistere dal proseguire. E Guido inverte la direzione.
Non appena rientrato in caserma, scrive una seconda relazione sull'incontro informativo da poco terminato e la manda al suo superiore. L'ispettore si guarda bene dall'inserire nel rapporto le proprie intenzioni sul da farsi: “Se vengo lasciato solo, tanto meglio. Il tanfo che emana questa storia è sempre più forte. Vado avanti comunque. Se entro una settimana nessuno si fa vivo, mi muoverò per capire che sta succedendo”.
Come previsto, le informazioni sull'attentato a Bari apparentemente non generano conseguenze. O forse ci sono state conseguenze positive e l'attentato è stato sventato dagli apparati di sicurezza; ma per evitare contraccolpi, Guido decide di non mostrarsi interessato con suoi capi e di non indagare ai piani alti, ma di riprendere i contatti con Michele. Prima, però, deve riassumere in una informativa più precisa quello che ha raccolto sulla Falange. Scrive una terza relazione e la invia ai suoi superiori.
VIII.
Lodi, 16 aprile 1990.
È quasi l'alba. Armida non riesce a dormire. Si veste per andare a fare jogging, poi prende anche i vestiti da lavoro, li mette in una borsa e la butta sul sedile posteriore della sua Alfa 33. Sta sorgendo il sole. Si ferma a un paio di chilometri dal carcere di Lodi, parcheggia la macchina e comincia a correre. Corre con tutte le sue forze verso il cimitero: una corsa faticosa, forzata, ma liberatoria. Non le manca il fiato e per questo aumenta l'andatura, non si permette nessuna indulgenza. Ora corre in salita e, invece di rallentare, accelera. Finalmente, con il cuore che le sta per scoppiare, raggiunge l'entrata del piccolo cimitero. La porta è chiusa, chiama il guardiano che la apre. Raggiunge la tomba di Roberto, il suo uomo, e trattiene a stento un grido nel leggere la frase che qualcuno ha scritto sulla lapide: «Morirai». Resta impietrita, sconvolta. Cerca inutilmente di cancellare quella scritta. Non può fare a meno di pensare, con quel briciolo di lucidità che le è rimasto, quanto suoni paradossale e inutile quella frase, in quel luogo. Sa bene che la destinataria del messaggio è lei. Si guarda intorno. Nel cimitero non c'è nessun altro. Torna alla macchina senza più forze. Poi si calma e ragiona: “Un assassino non te lo manda a dire prima. Questo non è un criminale, è un verme. Non ha nemmeno il coraggio di affrontarmi. Vuole solo spaventarmi. Per farmi stare zitta. Perché sa che io so…” Questo pensiero la calma e la conferma nella sua ricostruzione dei fatti. La paura è passata. Hanno commesso un errore per eccesso di arroganza e si sono smascherati. Ora Armida può completare il puzzle.
IX.
Guido sa che la prima firma della Frangia armata carceraria è stata spesa per rivendicare la morte dell'educatore Roberto Vertile, ma ancora non si sa spiegare per quale motivo abbiano ucciso proprio lui; e allora ricorre ai vecchi ambienti che ha frequentato da giovane quando l'amicizia e la fiducia nascevano non sulla terra, ma nell'aria, dentro le carlinghe dei monomotori che li ospitavano prima dei lanci.
– Bruno, ci facciamo un paio di salti insieme?
– Certo. Dai: si va a Cecina, ci si lancia e poi si cena là.
Quando ci si lancia con qualcuno, anche se si è molto esperti, si ha bisogno di una concentrazione assoluta, fatta di condivisione e solitudine. È una emozione straordinaria: nel silenzio totale, rotto solo dal rumore del vento, si precipita in picchiata verso il basso, a poche decine di metri l'uno dall'altro; e poi, quando il paracadute si apre, si galleggia nel vento con il tuo compagno accanto, che non potrà mai aiutarti se ti trovi in difficoltà, ma che vive con te tutto il tempo di quella emozione, dal momento in cui ti getti nel vuoto del cielo a quello in cui ti trovi a rotolare di nuovo sulla terra. Un'esperienza di quel tipo ti rende fratello di tutti coloro che l'hanno provata; annulla in pochi minuti tutte le chiacchiere e le strategie che chi cammina sulla terra si inventa per essere qualcuno. Gli stupidi conflitti verbali e culturali per essere più importanti di quelli che ti sono accanto si rivelano per quello che sono: meschine sciocchezze, che chi si butta giù dal cielo non potrà mai tollerare. La verità che conosci mentre precipiti verso il suolo è la sintesi perfetta della brevità e della futilità della nostra esistenza, e quei pochi coraggiosi che riescono a non temerla possono camminare alti sul terreno, non piegati da stupide invidie e ancora più stupidi rancori.
Poi, dopo tutto il silenzio del cielo, davanti a un piatto di minestra calda e a tre o quattro bottiglie di birra vuote, si può tornare a parlare da vecchi camerati.
– Sai, ho rivisto Michele.
– Sì? È tornato a fare il latitante?
– Meglio qua che in Libano, ma continua a fare il falangista.
– Te lo ha raccontato lui?
– Mi ha annunciato una serie di attentati a Bari, con molti dettagli sui responsabili. Per fortuna non è successo nulla, ma io rischio grosso a sparare cazzate e a fare nomi. Qualcuno potrebbe non essere contento della pubblicità.
– Guido, io ti considero uno di noi, e penso che tu l'abbia capito. Stiamo vivendo un momento molto delicato. Insieme al nemico comunista, sono cadute le coperture che hanno sempre tutelato la nostra guerra senza quartiere alle emanazioni del comunismo nel nostro Paese. Guerra che abbiamo condotto con disciplina e determinazione per anni; chi ci ha finanziato e sostenuto dietro le quinte per tutto questo tempo ha smobilitato, venendo meno la propria ragion d'essere principale. La stessa Settima divisione, la punta di diamante del nostro esercito, composta per la maggior parte da nostri fidati camerati, formalmente è stata sciolta ed è stata messa sotto indagine dalla magistratura. Nei Servizi si è aperta una guerra intestina tra uffici e correnti per spartirsi i fondi che si sono liberati da questa ipoteca, e noi non vogliamo essere merce di scambio per nessuno. Le contrattazioni ufficiali si sono aperte tutte nello stesso momento, insieme alle “trattative” vere e proprie. Chi farà la voce più grossa farà tacere gli altri. Se qualcuno ti ha annunciato stragi e non sono avvenute, non ti meravigliare. Dagli avvertimenti si passerà ai fatti. Qualcosa di grosso succederà, te lo garantisco io, e verranno colpiti uomini ben individuati che sanno troppo. Di tanto in tanto occorre rinfrescare la memoria a chi finge d'averla persa, per ricordare a chi ha usufruito dei nostri servigi, e usato i soldi delle nostre rapine, che farebbe bene a non scordarsene. A certe persone basta poco per passare dalle bombe di notte in luoghi deserti alle stragi di giorno in mezzo alla folla.
– In tutto questo, Bruno, c'è qualcosa che ancora non mi torna. Falange Armata. Una sigla nuova, mai comparsa prima, ma molto ambigua: sembra voler indicare la luna, ma non si vede neanche il dito. Che ruolo ha in questa storia?
– Falange Armata è il nome di comodo di chi si occuperà di rivendicare le azioni, tutte, quelle vere e quelle presunte, quelle compiute e quelle no. Non ci dovrà essere più alcuna certezza, il Paese dovrà assaggiare il sapore del terrore e della vera instabilità. Troppo a lungo ha goduto di una democrazia costruita sulle nostre operazioni sporche, di guerra psicologica, e dai nostri interventi silenziosi. I tempi sono cambiati.
Guido, mentre annuisce in silenzio, appunta mentalmente le informazioni confidenziali che il suo vecchio commilitone gli sta fornendo, forse in onore di quel cameratismo a cui sembra ancora credere.
– Potrà succedere di tutto. Fai arrivare ai tuoi colleghi dell'ufficio politico questo messaggio: da questa stagione non si uscirà con i comunisti al governo, solo perché hanno cambiato nome. Chi di dovere se lo dovrà mettere bene in testa, o lo faremo noi con la terapia del terrore, che è l'unica che funziona sempre. Anche se chi dava gli ordini non c'è più, rimaniamo un esercito armato e invisibile.
– Bruno, un esercito senza paga non va molto lontano.
– Fallo sapere ai tuoi capi. Sappiamo rispondere colpo su colpo. Non gli conviene intralciarci. Chi cercherà di mettersi contro, chi si lascerà sfuggire dei nomi, ti assicuro che non passerà dei bei momenti. Camerati o non camerati.
Guido coglie la minaccia, neanche troppo velata, che gli viene indirizzata per bocca del parà. Gli si chiede reticenza, che vuol dire complicità. La conversazione sta prendendo una brutta piega, e Guido cerca di mitigare i toni.
– Ma a voi non vi toccheranno, quelli che avevano delle responsabilità sono stati coperti di denaro e gli altri hanno fatto soldi con ogni genere di traffici, dalla coca alle armi. Quelli che staranno male, ma male veramente, saranno i detenuti, soprattutto quelli delle organizzazioni criminali e mafiose. Saranno loro le vittime sacrificali.
– Vedi, sono stati tutti arruolati dentro quella che doveva essere una crociata; in prima linea contro un nemico considerato assoluto; poi, di colpo, licenziati, perché non servivano più. Il loro discorso è semplice: vogliono soldi per il servizio assolto, e libertà di movimento nelle carceri. Per il resto sono nella nostra stessa situazione: hanno lavorato con noi e non vogliono essere condannati. Se parlano loro c'è il rischio che cada non solo il Governo, ma qualche pezzo dell'Alleanza atlantica. Per questo, per evitare che certe notizie trapelino, un segnale deve essere dato.
– Che segnale?
– I primi a cui verrà cucita la bocca saranno quei civili che hanno frequentato troppo le carceri per non avere orecchiato qualche frammento di cosa stava avvenendo là dentro: tipo gli educatori, i teatranti e rompicoglioni vari; poi i pentiti, quelli veri. Gli altri, quelli finti, sono tutti gestiti dall'organizzazione. E quelli che non saranno fatti fuori, verranno arruolati con uno stipendio anche dentro le carceri. Così saremo sicuri che staranno zitti. Ti sei mai domandato perché hanno ucciso Roberto Vertile?
– Un avvertimento della Falange ai detenuti? Questa è la spiegazione dell'omicidio Vertile?
– Quelli dei Servizi hanno mandato un messaggio di speranza ai detenuti e si sono parati il culo: hanno evitato che Vertile potesse raccontare gli incontri tra i loro agenti e i capi del clan Papalia nel carcere di Opera, a cui in qualche modo aveva assistito. Ma non si tratta solo di incontri: nelle carceri si sta riscrivendo la storia, si decidono le versioni su quello che è successo e perché, si creano pentiti finti e pentiti veri, si fa sparire chi non è d'accordo. Non è la prima volta che accade: tanto per capirci, dopo il ritrovamento di Moro il carcere di Paliano era diventato una facoltà di storia dove si potevano incontrare rossi, neri, politici, servizi segreti a cercare accordi e a riscrivere una storia di comodo. Vedrai quanti ne moriranno per suicidio nella loro cella.
– Mi hai dato un sacco di informazioni importanti e dettagliate. Ti ringrazio per la fiducia.
– La fiducia non c'entra. Se sei dei nostri, ok. Se sei uno sbirro infiltrato, nessun problema, ok lo stesso. La macchina va avanti e tu non potresti fare proprio niente per fermarla. Vuoi la prova di quello che dico? Informa i tuoi capi e vedi che cosa succede: nella migliore delle ipotesi, un beato cazzo di niente. Vedrai che non si muoverà nessuno, perché non si può muovere nessuno. La storia ha delle veloci accelerazioni. Quando si è dentro il turbine del cambiamento nessuno lo capisce, continuano tutti a fare le stesse cose come prima, anche quelli che lottavano per quello stesso cambiamento. Ti vedo sconcertato, Guido. Fatti abbracciare, camerata, e non ti spaventare di quello che succederà.