Bombe e traffici internazionali
I.
Questa volta è Arianna che appena vede Guido, già seduto ad un tavolo della trattoria, gli stampa un bacio sulla labbra, con un rossetto così rosso che avrebbe imbarazzato anche Casanova. Lui le sorride beato e non dice una parola. Lei invece si siede, ordina un aperitivo, e passa subito ad aggiornarlo.
– Ho saputo dal tuo capo che state facendo un'indagine interessantissima. Mi ha chiesto se ti conosco e gli ho risposto che ti avevo incontrato una volta a Firenze. Dice che sei il migliore e hai scoperto più cose tu, in sei mesi, che loro in tre anni; e la prossima settimana quanto torno a trovarlo vuole chiamarti al nostro incontro settimanale e tessere le tue lodi davanti a me.
– Sono sciocchezze. Meglio tenere separati i settori: del tuo apprezzamento vado fiero, di quello dei miei capi, che hanno aspettato tre anni per muoversi, non vado fiero affatto. Di che ti ha parlato?
– Mi ha fatto promettere di non parlarne con nessuno, ma siccome tu sai già tutto, con te posso parlare. Mi ha detto di questa indagine realizzata utilizzando la banca dati degli alloggiati in tutti gli alberghi italiani, che vi ha fornito dei dati molto interessanti: un elenco di persone che, integrato coi racconti dei tuoi confidenti, permette di vedere in trasparenza le riunioni dei combattenti più preparati delle nostre forze armate assieme ad alcuni rappresentanti dell'industria militare, mobilitati probabilmente per scongiurare la possibilità che gli eredi dei comunisti possano arrivare al governo, proprio ora che Psi e Democrazia Cristiana stanno andando allo sfascio.
– La situazione, in realtà, è più complessa: hanno creato e mantenuto un esercito segreto per cinquant'anni e poi improvvisamente, proprio perché hanno vinto, hanno dovuto scioglierlo il più velocemente possibile. Il più conservatore dei leader democristiani è proprio colui che ha svelato l'esistenza di questo esercito clandestino, e ha deciso di smobilitarlo da un giorno all'altro. È chiaro che ora se li trova tutti schierati contro, lo capirebbe anche un bambino. Lui si è smarcato, ma il suo partito è praticamente finito, e ora il problema è evitare che un intero esercito venga portato nelle aule di un tribunale.
– Ma l'esercito clandestino di cui parlate, che tipo di forza è? Un esercito serio o un esercito di Pulcinella?
– Si è fatto il possibile per farlo passare per una milizia sgangherata e raffazzonata, ma non credo affatto che lo sia, e credo che le stragi ne siano la prova; non parlo solo di quelle che tu hai conosciuto, ci sono anche quelle che erano state preparate e sono state congelate. Ad esempio, era stato preparato un attentato che prevedeva l'esplosione di un'autobomba proprio al passaggio dei carabinieri a cavallo, e sai in quale luogo? In via dei Gladiatori, una via accanto allo stadio Olimpico di Roma. Il collegamento con Gladio non si tenta neanche di mascherarlo. I motivi della sospensione della strage ancora non sono chiari, c'è chi parla di problemi tecnici, ma io non credo che personaggi così esperti possano essere fermati da un banale disguido. Io penso piuttosto che ci sia stato un accordo, un accordo politico ad altissimi livelli; una contrattazione, un patto: noi ci “dimentichiamo” del 41 bis, non lo rinnoveremo, almeno per qualche centinaio di detenuti – se non erro il numero esatto è 331, puoi controllare – e voi la piantate con le bombe. Due giorni dopo il discorso del presidente Scalfaro, quando parlò alla Nazione il 4 novembre sera e disse nelle prime parole del suo discorso: «Prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. A questo gioco al massacro io non ci sto», il carcere duro per tutti questi detenuti non venne rinnovato. Uno spettacolo teatrale perfetto nella sua semplicità: mostrare indignazione e rabbia pubblicamente per nascondere accordi e trattative sotterranee. Per quali motivi pensi siano stati fermi per tre anni prima di iniziare un'indagine sulla Falange Armata? E posso anticiparti che di questa indagine parleranno molto, faranno molto rumore, molto sdruscio come si dice in Sicilia, per poi non fare assolutamente nulla: vogliono solo che si sappia che loro sanno chi ha fatto parte della Falange Armata. Non penserai seriamente che la prossima settimana mi faranno venire a parlare delle mie indagini per ringraziarmi e farti felice? Al contrario, sfrutteranno questa occasione per far uscire, tramite te, la notizia che conoscono i falangisti uno per uno, ma si guarderanno bene dal renderne pubblici i nomi e intervenire per perseguire i reati che hanno commesso «nell'esercizio delle loro funzioni». Quando si studia l'arte della guerra, la prima cosa che ti insegnano è che la guerra migliore è quella che viene vinta senza combattere. Tu non sai quanto siano pericolose queste persone, addestrate a uccidere. Se tu lo sapessi, seguiresti esattamente la strategia dei miei capi.
– Ma c'è qualcun altro che sostiene queste tue supposizioni?
– Sai chi è il prefetto Finocchiaro, Arianna?
– So che è il capo del Sisde.
– Era il capo del Sisde. Si è dimesso il giorno dopo le bombe di Milano e Roma e alla stampa ha dichiarato: «Vorrei mettere subito in chiaro che, per quanto ci riguarda, la nostra analisi è arrivata subito dopo la strage di via dei Georgofili, quando ai piani alti tutti si accanivano sulla pista mafiosa. Roba da matti parlare di mafia quando è chiaro che la vecchia criminalità organizzata è fuori gioco da un pezzo, che sopra di loro si è inserito un disegno internazionale molto più ampio con giri di capitali inimmaginabili».
– Devi perdonarmi Guido, ma mi mancano i collegamenti per capire quello che dici. Ok, capisco che il segretario del Sisde, dopo che gli fanno scoppiare a Roma due autobombe, si deve dimettere, e capisco anche che veda dietro questi attentati qualcosa di diverso dalla “semplice” mafia. Se è vero che la mafia ha giocato un ruolo importante, finanziandola e non solo, nella lotta contro il comunismo, allora non c'è molta distanza tra chi si occupava di combattere la guerra fredda e la mafia, anzi direi che c'è una certa contiguità. E fino a qui ci arrivo. Ma cosa c'entrano i fondi neri del Sisde con le stragi?
– Del conto FF2927 ne sai nulla, Arianna?
– Niente.
– Bene, te lo racconto come se fosse una serie televisiva. Primo episodio Nel mese di luglio del ‘93 il presidente del Consiglio propone di promuovere Martino Orofino all'incarico di direttore o vicedirettore del Sisde. L'operazione viene bloccata dal segretario del Cesis e dal ministro dell'Interno. Secondo episodio. Si formulano diverse ipotesi investigative sul cosiddetto “delitto dell'Olgiata”, l'assassinio di una nobildonna avvenuto nell'estate del 1991 in un lussuoso complesso residenziale alla periferia di Roma. Il procuratore aggiunto della Procura di Roma e due pubblici ministeri scoprono l'esistenza di ingenti disponibilità di denaro in conti intestati alla vittima, depositati presso alcune banche francesi, svizzere, inglesi e di Hong Kong. In questa ricerca di tangenti e fondi depositati in una rete infinita di banche incorrono in conti che potrebbero essere ricollegabili allo 007 Martino Orofino. In particolare sembra che nel conto svizzero numero FF2927 venissero convogliate tangenti provenienti da diverse grandi operazioni finanziarie, e che dallo stesso conto provenissero finanziamenti ad alcune correnti politiche. Ma i fondi neri del Sisde che affiorano in diverse banche non hanno nulla a che fare con il delitto dell'Olgiata, che viene poi confessato da un inserviente della nobildonna. Hanno invece a che fare con il Credito Industriale di San Marino, dove vengono individuati circa trentotto miliardi di lire. Ma in realtà, i soldi dirottati dal Sisde in questi conti sono molti di più, e così il pm chiede non solo l'arresto per tutti e cinque i funzionari, ma anche l'arresto per il capo del Sisde e la sua assistente, per aver consentito che tali somme, entrate nella disponibilità degli indagati per finalità connesse alla loro funzione, venissero sottratte con il suo accordo.
Terzo episodio. Uno dei cinque condannati, che fino a quel momento era stato latitante, si presenta in procura con un documento esplosivo: un libro nel quale sono contenuti i nomi di politici, prefetti, carabinieri, giornalisti e magistrati che sono stati pagati dal Sisde. Tra i nomi di politici a libro paga dei servizi vi sono tutti i ministri dell'Interno in carica dal dopoguerra, fatta eccezione per Amintore Fanfani. I più numerosi sono i politici, ma non mancano anche giornalisti e personaggi famosi. A quel punto, uno dei funzionari coinvolti ammette di aver dato somme provenienti dai fondi del Sisde, oltre che agli stessi direttori del servizio, a questori, politici e generali. La Procura di Roma emette una serie di ordini di arresto per peculato per tutti i direttori del Sisde che si sono succeduti dal 1982 al 1992. Le indagini successive accertano che tra il 1987 e il 1991, le spese relative ai fondi riservati sono salite da 328 a 536 miliardi di lire: questa è la cifra, approssimata per difetto che sarebbe stata a disposizione del gruppo di 007 romani. Approssimata per difetto, in quanto i documenti contabili venivano distrutti ogni tre mesi. Tuttavia una stima realistica dei fondi complessivi stornati al Sisde dai funzionari infedeli viene calcolata con una verosimile certezza in circa sessanta miliardi di lire. Soldi che in gran parte non sono mai stati restituiti. Come se non bastasse, dalle indagini risulterebbe come il funzionario del Sisde in questione abbia commissionato lavori negli appartamenti di ministri e di alte autorità istituzionali, addebitandone i costi ai fondi del Sisde. Tra super fatturazioni virtuali e costose fatturazioni reali emerge infine come l'architetto al quale venivano abitualmente affidati questi lavori abbia fornito la sua consulenza nel campo degli investimenti immobiliari a Roma, alle famiglie appartenenti alla ‘ndrangheta dei Piromalli, dei Pesce e dei Mancuso. Ma, come sempre succede in questi casi, tutti gli indagati politici e istituzionali coinvolti nell'inchiesta dei fondi neri ricevono la notifica di archiviazione dalla procura, a eccezione del senatore Nicola Mancino, per il quale il gip chiede il rinvio a giudizio. Anche nel suo caso, però, non manca il lieto fine. Ci penserà il Senato a negare per dieci volte l'autorizzazione a procedere. Mia cara Arianna, capisci ora come funziona?
– Ma tutti quei soldi nascosti erano un furto privato di un gruppo di persone? Se alla fine salta fuori un funzionario che consegna ai magistrati il libro dei corrotti dai servizi, allora non si tratta solo del colpo di una banda… I ladri rubano per se stessi e non per corrompere funzionari del governo. I servizi di intelligence dovrebbero essere, appunto, al servizio dell'esecutivo e non cercare di corromperlo. Se tra il Governo e i servizi comandano i servizi, significa che c'è una politica più forte di quella del Governo, che ha bisogno di corrompere i ministri del Governo stesso. Insomma c'è un'altra linea di comando che opera parallela, a volte perfino contro il Governo. Insomma, se ho capito bene, durante la prima Repubblica, e anche dopo, avrebbero operato nelle istituzioni due poteri: uno ufficiale e trasparente e, parallelamente, uno occulto e clandestino, che agiva attraverso una parte dei servizi, una parte delle istituzioni e una parte di fondi neri. Se nella parte finale della guerra fredda affiora anche questa forza enorme di corruzione, io credo che si dovrebbe cogliere il momento per fare piena luce su questo scontro, affrontarlo in modo aperto. Ogni giorno sento dire che c'è una guerra dentro la polizia, che c'è una guerra dentro i carabinieri, che c'è una guerra dentro i servizi. Ho capito che sono state compiute ogni genere di nefandezze per impedire che i comunisti andassero al governo, ma l'Unione Sovietica, e tutto ciò che rappresentava, si è dissolto. Allora finiamola una buona volta con le guerre segrete, i fondi segreti, le operazioni segrete, dove il costo più alto è sempre pagato dalle vittime innocenti e dalla verità.
– Bel discorso, Arianna, ma un tantinello ingenuo. Mi piacerebbe che ci fosse in polizia qualcuno, anche una sola persona, che la pensasse come te…
II.
Le avventure che uno sbirro spregiudicato come Guido ha collezionato durante la sua carriera sono ciò che più attrae Arianna. Ma la sua è una curiosità non solo alimentata dalla deformazione professionale, ma percorsa da sfumature di tenerezza quasi materne: le interessa sapere quello che gli è successo, ma nello stesso tempo vorrebbe essere certa che nel futuro non si faccia più coinvolgere in situazioni rischiose, e dunque indirizza la sua attenzione sugli aspetti più ridicoli e divertenti del suo passato. Altri giornalisti calcolerebbero gli anni previsti dal codice penale per i reati descritti in ogni suo racconto; Arianna, invece, trova interessante come Guido riesca sempre a cacciarsi nelle situazioni più paradossali. A lui tutto questo non sfugge e a volte, per rendere ancora più attraente il racconto delle sue vicende, lo arricchisce con qualche tocco di fantasia.
– Arianna, devo assolutamente raccontarti un episodio molto strano che mi è successo a Milano. Ovviamente sei sempre vincolata…
– …dall'impegno del segreto. Come non potrei? Mi sembrava che mancasse qualcosa. Questa storia però me la racconti davanti a un cappuccino e a un cornetto alla crema.
Si siedono al tavolino di un bar, al sole, e si preparano al reciproco piacere del racconto e dell'ascolto.
– La storia riguarda uno di quei sedici nomi dell'elenco di Dell'Arti, che tu conosci bene. Questo tizio ha un fratello che fa l'autista alla Digos di Milano, lo conoscono tutti e a sua modo è molto simpatico. Una bella mattina, al bar dove abitualmente lui e i suoi colleghi fanno colazione, tutti lo vedono silenzioso e preoccupato. Mentre è lì in disparte, che si tormenta le labbra, entra un ispettore di polizia che conosce. Lui lo chiama vicino e, usando un tono di voce molto basso, gli dice: «Ispettore, devo parlarle. Io tengo un fratello che lavora al Sisde a Roma. Come tutti i suoi colleghi è un camerata, e mi ha confessato che sono tutti molto spaventati da quello che sta succedendo. Mi hanno chiesto aiuto, vogliono trovare l'indirizzo dove abita il procuratore della Repubblica Borrelli, perché hanno deciso di mandargli una bombetta. Questo suo progetto mio fratello mi ha detto che deve rimanere segreto, ma di lei mi fido, ispettore, so che è un uomo che non metterebbe nei guai dei colleghi, e soprattutto dei patrioti. Mi aiuti a trovare questo indirizzo e mi raccomando non lo faccia sapere in giro; anzi, mio fratello ha detto di farlo chiamare il prima possibile dai miei colleghi che hanno queste informazioni. Poi c'è un secondo problema che vorrebbe riuscire a risolvere: vuole sapere chi è il carabiniere che fa la scorta a Borrelli, che poi passa tutte le informazioni ai giornalisti…» L'ispettore della Digos di Milano finge di essere interessato e di poter esaudire le sue richieste, e lo rassicura che parlerà volentieri con il fratello. Intanto si prepara a registrare la telefonata, e dice all'autista di chiamare l'agente del Sisde. L'autista lo chiama, poi passa il telefono all'ispettore. Il tizio all'altro capo del filo dice: «Dato il momento storico particolare, abbiamo assoluta urgenza di ciò di cui mio fratello le ha parlato. Lei sarebbe disponibile a dare informazioni sulla prima cosa?» L'ispettore pensa subito che la prima cosa sia l'indirizzo della casa di Borrelli e risponde che no, non conosce quell'indirizzo. Il tizio al telefono, poi, gli chiede se è in grado di dargli notizie sul secondo argomento per il quale suo fratello lo aveva chiamato, e l'ispettore pensa che si tratti dell'identità del carabiniere che accompagna sempre Borrelli e che comunica alla stampa le notizie sull'attività del magistrato. Anche in questo caso l'ispettore risponde che non sa nulla, ma che cercherà di trovare qualcosa. Finita la conversazione al telefono, l'ispettore saluta l'autista e va nel suo ufficio a preparare un breve rapporto su queste strane richieste che lo 007 romano gli ha fatto, e lo consegna al procuratore di turno, che a sua volta lo fa avere alla Procura di Brescia che è la sede competente sui fatti riguardanti il Tribunale di Milano. Viene aperta un'inchiesta, e ovviamente lo 007 romano riceve l'avviso di garanzia e viene interrogato dalla Procura di Brescia. La sua prima linea di difesa è che a lui interessava solo sapere qual era l'indirizzo dell'abitazione di Borrelli, perché voleva verificare se fosse stata acquistata regolarmente oppure ottenuta grazie a favori. Ovviamente la versione dell'ispettore, che ha registrato anche la telefonata, è diversa, ed è quella che viene accolta come attendibile dal Procuratore di Brescia. Una volta resosi conto che le informazioni date dall'ispettore al magistrato sono più dettagliate e verosimili delle sue, allora lo 007 romano passa subito alla seconda strategia di difesa: è tutto un terribile malinteso! Il Sisde romano era preoccupato che qualcuno potesse mettere una bomba davanti alla casa di Borrelli, e c'è stato un malinteso, qualcuno ha frainteso questa loro preoccupazione pensando, al contrario, che il Sisde volesse mettere la bomba… Accolta questa plausibilissima spiegazione, il caso viene presto archiviato.
Ad Arianna non sembra vero che ci siano degli agenti dei servizi così approssimativi, sia nella preparazione degli attentati che nel negare di averli preparati. Ma la storia, come le spiega Guido, ha un seguito non molto rassicurante.
– Aspetta, non è finita qui. Sfogliando il materiale raccolto, mi sono reso conto che l'agente del Sisde in questione, davanti al magistrato che lo stava interrogando sulle ragioni per le quali era andato in Mozambico per un anno, ha risposto con una bugia così poco credibile che mi ha convinto a raccogliere altra documentazione su di lui. Alla domanda «Per quale ragione è andato in Mozambico?», lui risponde: «Sto facendo un proficuo commercio di tendine, costruite con un materiale scacciamosche che aiuta a evitare le epidemie…» Capisci, Arianna? Per un anno, un membro che fa parte della Settima Divisione, va in Mozambico a vendere tendine scacciamosche. La storia comincia a essere interessante, perché dopo una breve ricerca scopro che in Mozambico ci sono andati anche altri due sospettati falangisti della lista dei sedici: uno lo abbiamo chiamato lo Spazzino del Mozambico e l'altro il Radioamatore del Mozambico. Tre agenti con licenza di uccidere vanno in Mozambico… A far che? Cosa c'è di così importante in Mozambico? C'è Lixeira, la più grande discarica di rifiuti del mondo; e in Mozambico, inoltre, non è difficile scaricare rifiuti radioattivi e tossici: ci sono discariche illegali e nascoste sulle quali non si può transitare nemmeno con elicotteri o aerei, pena il loro immediato abbattimento. Lixeira è una discarica del tutto simile a quelle che esistono sulla costa della Somalia. Arianna, questa è una lunga storia: il nostro Paese è stato, alla fine degli anni Novanta, coinvolto in un enorme traffico di rifiuti tossici e radioattivi. E prima ancora il traffico avveniva attraverso le milizie falangiste dei cristiani maroniti libanesi. È bastato che i Maroniti vedessero i loro compagni morire come mosche dopo essersi avvicinati ai barili tossici scaricati dalle navi italiane nel porto di Beirut, per i quali gli stessi Maroniti si erano fatti pagare profumatamente, per iniziare una violentissima campagna contro l'Italia, minacciando in modo molto serio l'ambasciata italiana, mettendola al primo posto dei loro obiettivi terroristici. Il nostro Paese fu costretto a ritornare e a caricare tutti quei bidoni velenosi su delle vere e proprie carrette del mare. In parte li scaricarono in alcuni tratti delle costa meridionale tirrenica; alcune navi vennero affondate con il loro carico; le rimanenti sparirono misteriosamente.
Parola dopo parola, Arianna è sempre più sconvolta dalle rivelazioni e dai retroscena che Guido le sta raccontando minuziosamente. L'agente si fida talmente della ragazza, sebbene sia una giornalista, che non riesce più a trattenere le pericolose indiscrezioni di cui è venuto a conoscenza, liberandosi in parte del peso che comporta mantenere segreti di quella portata.
– Poi le rotte cominciarono a spostarsi vero altri Paesi del sud del mondo, come la Somalia, perché, non esistendo in quel caso un'autorità statale che vigilasse sulle coste, l'operazione era tutto sommato semplice. E fu ideato un bel piano, all'insegna della “collaborazione fra popoli”, del “progresso”, dell'“eccellenza italiana” che andava a civilizzare i “selvaggi”. Come luogo di occultamento di questi rifiuti tossici furono individuate delle cave, le stesse da cui veniva estratta la ghiaia che doveva servire per la costruzione di una strada che il Dipartimento della Cooperazione aveva progettato tra le città di Garoe e Bosaso, nella zona nord della Somalia. E poi furono inventati appositamente progetti simili in Mozambico e in altri paesi simili. Si trattava di traffici illegali, tenuti celati ma molto lucrosi, che spesso venivano organizzati in parallelo con la vendita di armi, così il guadagno aumentava almeno del doppio: si guadagnava anche sul contrabbando di armi per ottenere un luogo dove sbarazzarsi dei rifiuti.
– Ma chi sono i responsabili di questo malaffare organizzato ai più alti livelli? – chiede Arianna, allibita.
– La centrale italiana di questi traffici è nata da un accordo tra politici socialisti ed ex comunisti, dove questi ultimi fornivano la struttura logistica nata dai loro contatti con le imprese dell'est, che procuravano soprattutto buone armi a basso costo. Le riunioni tra i miglioristi dell'ex Pci e gli uomini dei servizi – quelli della Settima Divisione – durante gli anni della “Milano da bere” e dell'Hotel Rafael a Roma avvenivano nella capitale, all'ultimo piano del palazzo in piazza Ricci, a due passi da via Giulia. Questi traffici spregiudicati ed estremamente redditizi, che avevano il centro operativo in alcuni settori del Dipartimento della Cooperazione del Ministero degli Esteri e naturalmente di quello della Difesa, produssero, soprattutto verso la fine del Governo Craxi, ma anche dopo, un mare di soldi. Questo ha portato alla creazione di un vero e proprio comitato d'affari dentro l'intelligence, e una serie di morti strane. Quella più famosa e misteriosa è avvenuta in un palazzo in un quartiere molto periferico di Roma, il Torrino, dove un agente segreto del Sismi, Mario Ferraro, incaricato di svolgere un controllo sulla correttezza dei comportamenti dei suoi colleghi d'ufficio, fu trovato nel bagno del suo appartamento, impiccato a un portasciugamani alto meno di ottanta centimetri. La sua compagna racconterà di non aver visto nulla in casa, perché sarebbe salita sul tetto del palazzo per prendere il sole, in un luogo a prima vista davvero scomodo, e stranamente senza nemmeno un materassino, o una sdraio, o un asciugamano disponibile sul posto. Sull'agenda del militare fu trovato un foglio nel quale prometteva vendetta contro il generale del Sismi attivo in Somalia e contro altri soggetti. Sempre nel suo quaderno, lo 007 ha lasciato un breve scritto su una missione in Somalia dove era stato mandato senza un motivo preciso, in una situazione che lo aveva molto spaventato e dove il rischio più comune era quello di essere colpito da una pallottola vagante, come successe poi a un altro agente. Il suo nome compare nella seconda lista che abbiamo individuato e noi lo abbiamo soprannominato il Vincentino. Bene, proprio lui sarebbe stato colpito da una pallottola vagante durante una battuta di caccia in quel paese, almeno così si dice. Credere che uno dei membri della Settima Divisione, che era già a capo di una delle basi di Gladio in Sicilia, sia stato ucciso da una pallottola vagante durane una battuta di caccia in Somalia è un po' come dire che Jesse Owens, il campione olimpionico di velocità nel 1936, abbia perso una gara perché ha sbagliato la direzione nella quale doveva correre. Per un vecchio sbirro scettico e disilluso come me, l'annuncio della morte non mi basta per crederci: è più facile che un membro della Settima finga di morire che venire davvero ucciso. Lo dico per tre motivi: il rispetto che ho per la loro preparazione in combattimento; per la loro capacità di essere imprevedibili; e per le mille occasioni che hanno avuto di trovarsi al centro di spostamenti di capitali legali o clandestini che siano. Una cosa è certa: i nostri servizi sono stati più volte in Somalia e in Mozambico, e il Dipartimento della Cooperazione del Ministero degli Esteri ha donato un flotta di cinque navi a una società a maggioranza somala, a sua volta partecipata da una società a maggioranza italiana. E non credo che si tratti di doni disinteressati. Proprio due giornalisti italiani, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sono stati uccisi di recente prima di trasmettere un servizio sulle navi regalate alla Somalia, ma gestite sempre dagli italiani. Comunque sono troppi gli uomini del Sismi che hanno avuto a che fare con quel paese devastato e sono stati uccisi o sono morti in modo poco chiaro. Viene da pensare che l'obiettivo di queste missioni in Somalia fosse, più che un safari o una caccia alle quaglie, una caccia al tesoro.