La malattia nazionale

Sad

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Il Libro esoterico dell’imperatore giallo, un antico trattato di medicina tradizionale cinese, descrive come le stagioni influenzino tutti gli esseri viventi e suggerisce che durante l’inverno si dovrebbe «andare a dormire presto e alzarsi con l’alba… I desideri e l’attività mentale dovrebbero essere mantenuti cheti e soffusi, i desideri sessuali dovrebbero essere contenuti, come se si custodisse un segreto felice». Anche Ippocrate parla di cambiamenti nell’umore legati all’andamento stagionale affermando che con l’arrivo dell’autunno aumenta la produzione di bile nera, responsabile, secondo lui, della melanconia. Che questo fenomeno sia più pronunciato nelle regioni settentrionali lo nota già lo storico goto Giordane, nel Sesto secolo d.C., che nei Getica dedica una sezione alla regione che chiama «Scandza», i cui abitanti «in estate hanno una luce continua per quaranta giorni e quaranta notti, e allo stesso modo nella stagione invernale non conoscono la luce chiara per lo stesso numero di giorni e di notti. A causa di questa alterazione del dolore e della gioia, non sono paragonabili a nessun’altra razza nelle loro sofferenze e benedizioni». Un millennio e mezzo più tardi sappiamo solo poco di più di queste sofferenze (anche meno, forse, delle benedizioni). È stato lo psichiatra sudafricano Norman E. Rosenthal a descrivere per primo, nel 1984, il Disturbo affettivo stagionale (opportunamente abbreviato Sad, dall’inglese Seasonal affective disorder), un disturbo dell’umore caratterizzato da depressioni ricorrenti che si verificano in specifici intervalli di tempo nell’arco dell’anno (esiste il Sad invernale, più diffuso, ma anche quello estivo). L’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali o Dsm-5, lo considera come una sottoclasse della depressione generalizzata (o, in una proporzione minore di casi, del disturbo bipolare) da distinguere dal cosiddetto «winter blues», una forma lieve di malessere stagionale, classificata come subsindrome, che colpisce una fascia più ampia della popolazione: uno studio del 2007 indica, in Italia, una prevalenza dell’11,5 per cento di quest’ultima mentre il 3,5 per cento degli italiani sarebbe affetto dal Sad vero e proprio. Queste percentuali, seppur con significative eccezioni che portano alcuni studiosi a dubitare dell’esistenza stessa del disturbo, aumentano con la latitudine fino a raggiungere picchi del dieci per cento nelle regioni settentrionali di Europa e Nord America. Le cause fisiologiche del disturbo non sono ancora state stabilite con certezza ma la maggior parte delle teorie ha a che fare con il ritmo circadiano, l’«orologio interno» all’organismo che si mantiene sincronizzato con il ciclo naturale del giorno e della notte: in particolare l’«ipotesi dello sfasamento» sostiene che i giorni brevi invernali provochino una «desincronizzazione» a causa di un ritardo nel rilascio della melatonina, un ormone che influenza positivamente l’umore. Più a nord più depressi, quindi? Non necessariamente. Un’altra teoria chiama in causa la genetica, sostenuta dal caso dell’Islanda, che mostra una prevalenza significativamente inferiore a quella di paesi più a sud. Una spiegazione alternativa a questa discrepanza potrebbe venire dalla cultura: Tromsø, nella Norvegia settentrionale, è una delle città più a nord del mondo, quasi 400 km a nord del Circolo polare artico. Durante la «notte polare», tra il 21 novembre e il 21 gennaio, il sole non si alza nemmeno sopra l’orizzonte. E tuttavia ricerche hanno dimostrato che gli abitanti hanno tassi più bassi di Sad di quanto ci si aspetterebbe a quella latitudine. Kari Leibowitz, psicologa della Stanford University, ha trascorso dieci mesi, tra il 2014 e il 2015, nella città, cercando di capire il fenomeno, arrivando alla conclusione apparentemente semplice che è una questione di atteggiamento, mentalità o mindset. A Tromsø, il sentimento prevalente è che l’inverno sia una cosa da godersi, e non da subire: la neve, lo sci, lo spettacolo dell’aurora boreale e dei cieli colorati dal sole nascosto dall’orizzonte la rendono una stagione da vivere a pieno. I norvegesi hanno anche una parola che li aiuta ad affrontare il buio e il freddo: koselig, un concetto che racchiude comfort, calore, intimità. È il camino acceso, la luce delle candele, una tisana calda o una coperta morbida – o tutte queste cose insieme. Nulla di cui avere paura. Anzi, come già aveva capito l’imperatore giallo, l’inverno è un segreto felice.