Dollari dal cielo
di Richard Wilson
Titolo originale: The South Waterford Rumple Club
Traduzione di Beata Della Frattina
© 1967 Galaxy Publishing Corporation
Gli esseri extraterrestri arrivarono la prima volta nel cuore di una notte estiva e illune, e sganciarono il contenuto dei loro vani-bombe sul villaggio di South Waterford. Erano le 3 antimeridiane di un martedì. Si trattava, probabilmente, di una prova della messa in atto di un progetto di ricerche.
Se l’attacco fosse stato diretto su tutti gli Stati Uniti, o anche su una grande città, sicuramente il Governo avrebbe reagito in modo più diretto e tempestivo. Ma, stando così le cose, la notizia del fenomeno, così lo definì il Comando Aereo di South Waterford, non giunse a Washington subito. E quando ci arrivò venne in certo qual modo confusa con le indagini UFO (Oggetti volanti non identificati), e trasmessa nel Colorado, all’attenzione del dottor Condon. Tutto questo può spiegare come mai il Ministero della Difesa per un certo periodo non si interessò alla cosa.
Il Ministero del Tesoro, invece, rimase molto turbato. Infatti, non erano state sganciate bombe. Il carico che aveva volteggiato scendendo come foglie autunnali su South Waterford, sebbene fatto di carta, non consisteva in volantini propagandistici. Era formato da banconote degli Stati Uniti.
L’Assistente dell’Assistente del Segretario al Fisco del Ministero del Tesoro rammentò un analogo caso precedente, nel corso di un’intervista fattagli da un radiocronista. Tutti sapevano, naturalmente, che nel corso della Seconda Guerra Mondiale, i Tedeschi avevano fabbricato banconote inglesi false, e, fra l’altro, se ne erano serviti per pagare le spie. Tuttavia, i Nazisti non avevano mai lasciato cadere le loro sterline false su Londra.
Pochi sapevano che gli Stati Uniti avevano preso in considerazione l’eventualità di bombardare Berlino e altre città tedesche con marchi abilmente contraffatti. L’Assistente dell’Assistente del Segretario al Fisco disse ai giornalisti: «Il Presidente Roosevelt si era quasi convinto a ordinare di farlo. Perché mai un operaio tedesco avrebbe dovuto continuare a passare dieci o dodici ore al giorno in fabbrica, per guadagnare lo stesso tipo di denaro che avrebbe potuto raccogliere per strada?»
«Mi sembra che fosse un’ottima idea» disse il cronista. «E Roosevelt non l’approvò?»
«Gli piacque alla follia. Chiamò il Segretario al Tesoro, Henry Morgenthau, e gli disse: «Henry, state a sentire che bell’idea è venuta a qualcuno», e glielo disse. Ma Morgenthau ne rimase inorridito.»
«Perché? Perché il denaro era sacro?»
«Forse anche per questo. Però, mi ricordo che Morgenthau gli fece notare che probabilmente i tedeschi avrebbero fatto la stessa cosa nei nostri confronti. Era come la faccenda dei gas venefici. Nessuno osava adoperarli.»
Anche dopo che la notizia dell’incidente di South Waterford fu riferita a Washington, non ci fu una reazione immediata. Il fatto che due potenti Ministeri, quelli della Difesa e del Tesoro, ne fossero coinvolti, significava che bisognava consultare altissimi funzionari, dare pareri e giungere a un compromesso, prima che venisse sottoposto alla firma del Presidente un ordine esecutivo.
E, quando questo accade, il Presidente rifiutò di firmare. A quanto sembra, pensava che, facendolo, si sarebbe potuto diffondere il panico, con conseguente tracollo dell’economia degli Stati Uniti, e questo solamente perché un minuscolo villaggio del Nord-Est poteva godere di un temporaneo beneficio. Un consigliere abilissimo nelle statistiche calcolò quale fosse la percentuale della popolazione complessiva degli Stati Uniti abitante a South Waterford. Era infinitesimale. Perciò era meglio lasciare che quei pochissimi abitanti si godessero il Natale anche di luglio. Intanto le colombe si consultavano, per esaminare la faccenda e cercare di prevenire le mosse dei presunti stranieri, invece di lasciare l’iniziativa nelle loro mani.
Ma allora tutti ignoravano che i cosiddetti stranieri non avevano mani. Avevano dei tentacoli, per non parlare delle mandibole color arancione. Molto più tardi, alla Sezione Pesci e Animali Selvatici Nazionali, si disse che parevano più polipi che non esseri umani. Nessuno, al Ministero del Tesoro, riuscì a immaginare in quale modo creature simili potessero aver acquisito una abilità tale da riuscire a imitare alla perfezione le banconote degli Stati Uniti. Al Ministero della Difesa, invece, interessava di più il tipo di apparecchio su cui viaggiavano gli extraterrestri. Ma quando questi interrogativi ebbero finalmente una risposta, grazie all’osservazione diretta, si trattava di questioni ormai puramente accademiche.
In mancanza di un Ordine Esecutivo che avrebbe potuto proteggere il resto degli Stati Uniti da un bombardamento come quello di Waterford, il Consiglio della Riserva Federale compì il passo, ufficioso, di consigliare alle banche sue aderenti di accettare solo moneta usata. Il consiglio passò di bocca in bocca, finché raggiunse anche l’unico istituto finanziario del paesello, la “South Waterford Trust & Deposit Company”.
Una coppia di coniugi invitava una dozzina di vicini e di amici. Poi, per due o tre ore, conversazione e cocktail venivano sostituiti dal passaggio da una mano all’altra delle banconote nuove e fruscianti, fino che non avessero assunto un aspetto usato.
A un dato momento, le banconote venivano immerse in una miscela di cipria e di mozziconi di sigaretta sbriciolati, per conferire ad esse il particolare aroma che le banconote acquistano nelle borsette delle donne. La sera dopo, il gruppo si trasferiva nella casa di un’altra coppia e lavorava per invecchiare altro denaro.
La tecnica di Jim Vernon consisteva nell’appallottolare le banconote e poi rigirarle fra le mani. Harold Rihelmann le pieghettava il più fittamente possibile nel senso della lunghezza, mentre Jane, sua moglie, eseguiva la stessa operazione nel senso della larghezza.
Lou Aramis era particolarmente ben accolto in queste riunioni. Era proprietario e unico lavorante di un’autofficina, e veniva senza essersi prima lavato le mani. Lou, da solo, riusciva a invecchiare una banconota meglio di tutti gli altri messi insieme.
Lou Aramis parcheggiò la macchina nello spiazzo del “South Waterford Shop n’ Save Center” e scese lungo la Main Street, con la sua vecchia sacca militare in spalla. Erano le 9.01 di giovedì. Il sole scottava e Lou sudava abbondantemente. Per prima cosa si recò all’Emporio-Farmacia di Eric Palmer, dove trovò solo Eddie Grimes socio, e aiutante farmacista di Eric, e la ragazza addetta alle bibite.
«Ehilà, salve, Lou» lo accolse gaiamente Eddie. «Non sarai di nuovo sotto le armi, eh? Combatti il misterioso nemico. Un vecchione come te?» Eddie era maggiore di Lou.
Lou depose la sacca sul banco dove, davanti al registratore di cassa, c’era un piccolo spazio quadrato libero, chiuso da tubetti di aspirina, pastiglie contro la tosse, pile elettriche, portachiavi, pettini, penne a sfera, pellicole fotografiche, lamette, profumi, creme per il viso, scatole di cioccolatini, carte da gioco, gettoni da poker, libri tascabili e altri oggetti che si trovano negli empori e sono fatti per spingere i clienti a comprare d’impulso.
«Non aver paura» disse Lou. «Sono venuto per pagare il mio vecchio conto. Centocinquantaquattro dollari e settantadue centesimi.» Aprì la sacca e ne estrasse una manciata di banconote.
Eddie Grimes fece una risatina un po’ allarmata. «Ma non c’è nessuna fretta, Lou. Sai che qui godi di un buon credito.»
«Lo so, Eddie, e non credere che non ti sia grato per aver mi aiutato quando ho passato quel periodo nero, la primavera scorsa. Ma ieri ho ricevuto il tuo conto, e sopra c’era stampato a maiuscole in rosso PREGHIAMO DI SALDARE SUBITO I CONTI, e quindi ho pensato che non mi restava altro da fare.»
«Ma, Lou, nel tuo caso non c’è assolutamente premura. Non volevamo fare nessuna allusione...»
«Centocinquantacinque... centosettantacinque, duecento...» Lou stava ammucchiando banconote logore e sgualcite sul banco davanti a un distributore automatico di Sominex.
«Andiamo, Lou, aspetta un momento» disse Eddie.
Ma l’altro continuò a contare. «Duecentocinquanta, duecentosettanta, duecentonovanta, trecentodieci, trecentosessanta, trecentottanta. Tu hai fatto credito a me, e adesso sono io che voglio far credito a te per i prossimi mesi, Eddie. Ecco qua, sono quattrocento dollari precisi. Solo, mi vuoi fare la ricevuta?»
«Certo, Lou, però Eric non è qui, adesso, e...»
«A me basta la tua firma, Eddie. Ecco, benone. Grazie, e arrivederci.»
Avviandosi per uscire, Lou si fermò al banco dei tabacchi e acquistò dieci stecche di sigarette, pagando alla commessa con una banconota da venti, molto logora, e con una da dieci altrettanto sgualcita. «Se fossi in voi» disse alla ragazza «farei anch’io una provvista. Ho sentito che aumenteranno i prezzi. Basta metterle nel freezer e si conservano perfettamente a lungo. Ciao, Eddie» concluse poi, salutando il farmacista.
«Ciao... e grazie di essere venuto.»
La successiva sosta, Lou la fece alla filiale della catena di grandi magazzini “T.T. Grantberry”, dove si vendeva di tutto, dalle noccioline salate ai pesci tropicali, ai frigoriferi agli articoli di vestiario, ai pneumatici per automobile e ai mobili; e tutti questi articoli si potevano acquistare mediante il sistema di debito rotativo, pagando un tanto al mese, con la maggiorazione di un interesse del 18% che, alla lunga, veniva a gravare non poco.
Lou sorpassò il reparto biancheria maschile e femminile, quello dei tendaggi e tappeti e si recò all’ufficio crediti. L’orologio che recava stampato sul quadrante PAGATE A TEMPO – ONORATE IL VOSTRO CREDITO RATEALE, segnava le 9,17. «Buongiorno, signore» disse la giovane impiegata.
«Buongiorno» rispose Lou. Depose la sacca sul pavimento e sfilò dalla tasca posteriore dei calzoni il suo contratto di pagamento rateale mensile con la “T.T. Grantberry”. «Qui c’è scritto che vi devo quattrocentocinquantasette dollari e sessantatré, compresi i servizi amministrativi, il che credo significhi gli interessi.» Quando sua moglie era malata e si temeva che morisse, lui le aveva comperato un televisore a colori.
«Sissignore» replicò la ragazza. «Ma, naturalmente, secondo il contratto rotativo, ci dovete pagare solo quarantasei dollari, questo mese. Volete pagare adesso?»
«Nossignora. Voglio pagare tutto e farla finita col debito rotativo che mi fa ruotare verso la morte.»
«Certo, signore, come preferite. Volete pagare con un assegno?»
«Nossignora. Voglio pagare in contanti, tutto il debito, e chiudere così il conto.» Aprì la sacca e incominciò a contare i biglietti logori e ben spiegazzati. Erano biglietti che avevano circolato molto, nel salotto di Jim Vernon.
«Oh, signore» protestò la ragazza «non so se devo accettare tutto questo denaro. Non vorreste parlarne col signor Malmster, il nostro vicedirettore alla sezione crediti?»
«E perché mai dovrei parlare col signor Malmster? Guardate, ecco qua cosa c’è scritto... “Potrete risparmiare sul futuro carico dei servizi di credito, pagando mensilmente più del minimo o saldando tutto il debito in una sola volta”. E questa è la volta buona. Pago tutto.» Lou continuò a contare: «... quattrocentoquaranta, quattrocentosessanta. Adesso datemi il resto e la ricevuta, da brava. È stato un piacere trattare con voi.»
Finalmente la ragazza sorrise: «Per me, va bene. Detto fra noi, senza che c’entri la “T.T. Grantberry”, quanto avete in quella sacca militare, signor Aramis?»
«Parecchio.»
«Io pure. Ho saldato il mio debito, per prima cosa, stamattina, prima ancora che il magazzino aprisse. Non sono riuscita a invecchiare le banconote bene come voi: le avevo messe nella sacca dell’aspirapolvere, con un po’ di quella polvere scura che serve a lucidare i mobili. Comunque, l’hanno accettato lo stesso» concluse strizzando l’occhio.
«Brava» commentò Lou. «E adesso, infilate la ricevuta nella macchina... Lì, ecco fatto. Grazie.»
Mentre stava avviandosi, lei lo richiamò: «Avete dimenticato i bollini regalo.» Lou tornò indietro a prenderli.
Prima di lasciare il magazzino, acquistò un nuovo frigorifero, con doppio scompartimento freezer, un divano letto, dodici paia di calzoni, otto copertoni nuovi, una provvista di dentifricio per un anno, aspirina e altre dieci stecche di sigarette. Pagò in contanti, si fece dare i bollini, e si avviò verso l’auto.
Finora, aveva fatto un po’ di allenamento; adesso lo aspettava la prova decisiva.
Lou Aramis si diresse alla sede della “South Waterford Trust & Deposit Company”, detentrice dell’ipoteca accesa sulla sua villetta a due piani, del suo prestito personale e dei suoi due prestiti FHA. Il signor William Briese, ovvero Bill Brezzolina, per i consoci del “Lions” e del “Rotary”, vicepresidente della sezione prestiti, accolse il signor Aramis, apprezzato cliente, con un sorriso circospetto. «Bella giornata, signor Aramis» disse, alzandosi dalla scrivania dietro il bianco, per andare a stringergli la mano. «Come va?»
«Benone, e voi?» Lou lasciò cadere per terra la sacca. Guardandolo con simulata cordialità, il signor Briese proseguì: «Di partenza? Richiamato?»
«Oh, niente affatto. Ho solo pensato di saldare qualche debito.»
«Davvero?» Il signor Briese si tirò il labbro inferiore, lasciandosi cadere sulla sua sedia girevole. «Be’, entrate e mettetevi a sedere.»
Lou varcò il cancelletto a molla, trascinandosi dietro la sacca, e prese posto nella sedia destinata ai clienti. Pescò nel taschino il pacchetto di sigarette, ma era vuoto; allora ne prese una stecca dalla sacca e aprì un pacchetto, offrendo da fumare anche al signor Briese. Un biglietto da cinquanta dollari era svolazzato per terra, e il banchiere andò a raccattarlo, porgendolo a Lou con una mano mentre prendeva la sigaretta con l’altra.
«Grazie» disse poi, e accese le sigarette con l’accendino da tavolo. Infine tornò a sedersi, appoggiandosi allo schienale della sedia e tirando nervose boccate.
Lou, anche lui in preda al nervoso, non riusciva a trovare le carte che cercava; finalmente le prese e le depose dentro al cestino della corrispondenza in partenza, posto sulla scrivania del signor Briese.
«Io vi debbo parecchio denaro, signor Briese: svariate somme, per motivi diversi, come, ad esempio...»
«Suvvia, signor Aramis, anzi, Lou, se permettete; ci dovete diverse somme, ma siete in regola coi pagamenti, se ben ricordo, salvo l’ultima rata del prestito FHA. Ma niente di cui preoccuparsi.»
«A esser sinceri, signor Briese, mi preoccupa moltissimo venir meno a uno dei miei obblighi, e sono perciò qui a riparare, prima che la cosa diventi imbarazzante per tutti e due.»
Prima di andare in banca aveva provato e riprovato questo discorsetto introduttivo.
«Chiamatemi pure Bill. Non c’è niente per cui sentirsi imbarazzati, Lou. Capita normalmente che uno possa dimenticarsi. Noi siamo comprensivi. E se siete venuto per pagarci la rata di quaranta dollari e cinquanta più la multa di due dollari e mezzo, tutto è sistemato. Voi siete un cliente correttissimo e vorrei che tutti fossero così. Devo anzi dirvi che ho personalmente pregato il nostro presidente, il signor Dell, che tutti i vostri ritardi nei pagamenti non compaiano nei libri mastri, in modo che non risulti nulla a vostro carico.»
Lou, che aveva riacquistato sicurezza, sorrise attraverso una nuvola di fumo.
«Molto gentile davvero, signor Briese... Bill. Generoso da parte vostra. Per mostrare quanto apprezzo il gesto, contraccambierò pagando subito tutto l’ammontare dei miei debiti.»
Bill Brezzolina si drizzò a sedere, deponendo la sigaretta. «Certo, se proprio volete. Naturalmente, ci dovrete qualcosa di meno sugli interessi previsti. Ma bisogna anche che voi pensiate a non rischiare di trovarvi a corto di contante...» Lanciò un’occhiata alla sacca. «Alludevate ai prestiti FHA?»
«A tutti e due» spiegò Lou. «Quello di mille dollari per la camera da letto e quello di milleduecento per il bagno del primo piano. Ho già pagato per tre quarti il primo, di cinque anni, e circa la metà per il secondo, di due anni e mezzo.»
«Ma non c’è nessuna fretta» disse Bill, e Lou avrebbe scommesso che era sincero.
«Sta di fatto che ora dispongo del denaro» ribatté Lou «e devo considerare gli interessi, che sono piuttosto elevati.»
«Siamo felici di accordarvi credito, signor Lou, felici sul serio.»
Ma Lou Aramis insisté: «Ho il denaro, signor Briese, e preferisco saldare tutto. Vi devo ancora quattrocentoottantasette dollari e settantasei per il primo prestito, e quattrocentoquarantacinque e cinquanta per il secondo; il che fa un totale di novecentotrentatré e ventisei, in tutto. Preferirei saldare subito.»
Frugò nella sacca e ne estrasse mille dollari, in biglietti sgualciti. «Faremo i conti precisi in seguito» disse.
Il signor Briese lasciò che deponesse il denaro sulla scrivania, e non lo toccò. Anzi, lo guardò con disgusto; poi guardò Lou, cercando faticosamente di sorridere.
«Posso domandarvi, senza sembrare troppo curioso, come mai disponete di tanto liquido?»
«Non ho rapinato nessuna banca, se è questo che pensate.»
Sulla faccia del signor Briese tornò l’espressione disgustata.
«Scusatemi. Capisco che non è stata un’osservazione spiritosa» disse Lou, rendendosi conto che era controproducente irritare Bill Brezzolina Briese a quel punto delle trattative. «È capitato che ieri molti miei clienti hanno saldato i loro debiti. Qualcuno era in arretrato da anni.»
«Sarebbe a dire che hanno pagato tutti in contanti, nello stesso giorno?» replicò Briese con aria dubbiosa.
«Già» rispose Lou, con un’alzata di spalle. «Penso che si potrebbe definire una bella coincidenza.»
«Pare.» Il signor Briese prese una banconota da cinquanta dollari, la esaminò, poi se la portò al naso per annusarla. «È proprio usata» ammise con riluttanza.
«Legale per pagare i debiti, pubblici o privati che siano» dichiarò Lou, col vento in poppa. «Non c’è stampato sopra così?»
«Effettivamente, c’è scritto così.»
«E voi non siete qui per fare affari? Il denaro è la vostra merce, come per me le automobili, e se il mio denaro è a posto, perché non debbo servirmene per pagare i debiti? Non posso mica mangiarmelo.»
«È vero» disse il signor Briese che, evidentemente, aveva avuto un’ispirazione. «Però lo potreste mettere in una cassetta di sicurezza che io sarei ben felice di affittarvi per otto dollari all’anno.»
Lou fece per ribattere, ma ci ripensò e disse: «D’accordo.»
«D’accordo?» ripeté il signor Briese, che non s’era aspettato una resa così subitanea.
«Affitterò la cassetta.» Lou prese alcune banconote dal mucchio sulla scrivania e le porse al signor Briese. «Vi pago in anticipo. Potrei avere la ricevuta?»
Il signor Briese scrisse la ricevuta su un blocchetto e la porse a Lou con un sorriso. «Bene. Ora vi accompagno nel locale blindato...»
«No, non subito» lo fermò Lou. «Mi servirà per tenerci la polizza dell’assicurazione sulla vita e qualche altra carta.»
«Credevo che ci voleste mettere il denaro.»
«L’avevo capito. Invece il mio denaro ve lo prendete voi, e tutto è sistemato. Non è la stessa cosa se voi vi tenete i miei novecentotrentatré dollari e ventisei centesimi per il saldo del prestito FHA?»
Bill Briese si diede per vinto. «E va bene, come volete, Lou» disse. «Poiché non hanno ancora ordinato di non accettare valuta corrente come la vostra, non mi resta altra scelta che timbrare “saldato” sui vostri prestiti FHA.»
Lou gli porse le cartelle del prestito e tirò un sospirone quando vide il signor Briese strappare le pagine perforate e stampigliare un bel PAGATO sulle matrici.
«È un piacere trattare con voi, Bill» disse, mettendosi in tasca le ricevute. «E adesso» aggiunse con un sorriso «passiamo all’ipoteca.»
«L’ipoteca?» ripeté Bill Briese. «Come sarebbe a dire?»
«La mia ipoteca» specificò Lou. «Ieri sera ho calcolato che vi devo esattamente dodicimila quattrocento ventisette dollari. Voglio estinguerla.»
Frugò nella sacca e ne estrasse una manciata di banconote logore, che si mise poi a contare sulla scrivania. «Venti, quaranta, novanta, cento. Centodieci, centosessanta...»
Il banchiere si lasciò andare contro lo schienale fissando a bocca aperta Lou che continuava a contare.
«… millecinquanta, millecento, millecentoventi... Oh, guardate, questa è una di quelle banconote che voi banchieri chiamate spazzatura, milleduecentoventi, quaranta, novanta...»
Dopo un po’, Briese cominciò a ridere. Prese il timbro PAGATO e si mise a timbrare la carta assorbente, in attesa che Lou Aramis finisse il suo conto meticoloso.
Finalmente, il Governo si decise ad agire, dopo che gli extraterrestri avevano sganciato ottocentotrenta miliardi di dollari in banconote accuratamente logore, di taglio non superiore ai cinquanta dollari, su New York, Chicago, Los Angeles, New Orleans, Denver, Boston, Detroit, Pittsburgh, Dallas e Miami.
Ma prima che questo avvenisse, Lou Aramis e i consoci del “Circolo Gualcitori di South Waterford” avevano fatto in tempo a pagare tutti i loro debiti. Erano padroni assoluti delle proprie case e delle proprie automobili e avevano fatto provvista di tutti gli articoli che erano riusciti a comprare. Bill Briese, sebbene non appartenesse al Circolo, s’era preso qualche ora di libertà, aveva falciato il prato e pagato trentamila dollari di debiti, prima di mettersi a lavorare in proprio. Si dimise dalla banca dopo una riunione d’emergenza tenuta nel pomeriggio dalla direzione, e lo fece senza apparente rimpianto. Prima di sera, aveva affittato un ufficio nella stessa strada, per iniziare la carriera di consulente finanziario.
Ma questo nuovo lavoro durò solo pochi giorni, in quanto un Ordine Esecutivo dichiarò ben presto illegale la valuta cartacea.
Gli extraterrestri, adattandosi prontamente, sganciarono monete metalliche. Quelle che fecero più danno furono i mezzi dollari Kennedy, perché erano in quantità maggiore delle altre. Ma c’erano anche dollari d’argento in abbondanza, e quarti di dollaro Washington, e “decini” Roosevelt. Gli extraterrestri non lasciarono né nichelini né centesimi, che cominciarono a scarseggiare. Per tacito accordo, la gente rinunciò alle monetine, arrotondando i prezzi alla decina successiva.
La gente che si trovava all’aperto alle tre antimeridiane, quando cominciò la pioggia di monete, fu colta di sorpresa e molti rimasero colpiti con tale violenza da perdere i sensi. Molti vetri di finestre andarono in frantumi.
Il Governo dichiarò illegale il denaro, compresi gli assegni. Tutte le banche chiusero. I supermercati e le catene di magazzini di ogni tipo chiusero i battenti, in attesa di tenere consultazioni ad alto livello, ma intraprendenti negozianti rimasero sulla breccia, dando inizio al commercio sulla base degli scambi.
Lou Aramis uscì prima di colazione per falciare il prato davanti alla casa che adesso era proprio sua. Fece un mucchio dei biglietti da cinque, dieci, venti dollari e vi appiccò il fuoco. Rastrellò poi le monete d’argento sul vialetto dove scintillavano al sole, con un effetto molto migliore della ghiaia.
Il suo vicino, Jim Vernon, stava bruciando anche lui un mucchio di banconote. Disse a Lou che aveva messo da parte le monete per pavimentare il patio. «Colerò il cemento venerdì sera e poi ci verserò sopra le monete. Ma ho pochi dollari d’argento per il bordo.»
«Serviti pure» gli disse Lou Aramis, additando il suo vialetto.
«Grazie.»
«Ho qualche dozzina di uova. Ti servono?» Il suocero di Lou aveva un allevamento di polli.
«Altroché» rispose Jim. «Ma non so cosa darti in cambio. Devi essere pieno di vestiti, credo.» Vernon era proprietario del negozio “Abbigliamento Maschile Vernon”.
«Io sì, ma Susie comincia a essere invidiosa. Peccato che tu non abbia anche abiti da donna.»
«Potrei fare un cambio con i “Keegan Brothers” di Parrish. Che misura ha Susie?»
Quando Lou rientrò, Susie stava portando in tavola la frittata. Sfogliando un nuovo libro di cucina, disse: «Stasera potrei fare un soufflé. Ci vogliono moltissime uova.»
«Dev’essere nutriente» rispose Lou. «Si potrebbe nascondere un po’ il sapore?»
«Ho ancora un pezzo di formaggio Cheddar. E ieri la signora Lucia mi ha detto che forse si potrebbero avere delle melanzane.»
«Melanzane!» Solo il nome dava il voltastomaco a Lou.
Georgie, il loro figlioletto minore, disse: «Voglio i fiocchi d’avena.»
«Invece devi mangiare le uova» lo rimbeccò Susie. «I fiocchi d’avena li avrai per il tuo compleanno.»
«Detesto le uova» dichiarò Georgie.
Lou, che era dello stesso parere, si avviò per andare al lavoro. Susie lo rincorse: «Hai dimenticato il pranzo» gli disse porgendogli sei uova sode.
Quando andò al parco per consumare il pasto, Lou barattò tre uova contro una pagnotta. Aveva fatto amicizia col garzone di un fornaio.
Lou aveva preso l’abitudine di svegliarsi alle 3. Anche quella notte si alzò senza far rumore, al buio, e nel silenzio udì una serie di tonfi sul tetto. Infilatasi la vestaglia, uscì in giardino. Il prato pareva interamente coperto da palline di ping pong. Ne raccolse una e scoprì che era elastica come una palla di gomma. Lou scosse la testa e tornò a letto.
Il mattino dopo si alzò prima di Susie. Uscì e, presa una delle palline, la scagliò contro un gradino di pietra. La pallina si ruppe e ne sgorgò un liquido bianco e rosso. Nelle poche ore da che erano cadute, il loro involucro era diventato secco e fragile come un guscio d’uovo.
Lou rimase sconcertato. Sentiva che l’economia della sua famiglia, basata sullo scambio delle uova con altri prodotti, era destinata a un rapido fallimento.
Si chinò a odorare la pallina che aveva fracassato. Il liquido aveva un profumo gustoso, come di carne.
Lou raccolse una manciata di sfere e le portò in cucina. Le ruppe in padella e le frisse; un aroma delizioso si diffuse nell’aria. Cotte, avevano la consistenza del formaggio fuso. Il sapore ricordava vagamente quello dell’aragosta. Dapprima ne assaggiò un po’, con circospezione, ma poi finì col mangiarle tutte.
I membri del “Circolo Gualcitori di South Waterford”, a cui Lou comunicò la scoperta, gradirono molto la pioggia di carne d’aragosta, così come avevano gradito quella di denaro; e ben presto tutto il paese ebbe gratuitamente a disposizione viveri ad alto contenuto proteinico. Alcuni buongustai asserirono che il cibo piovuto dal cielo aveva il sapore dei calamaretti.
I buongustai si rivelarono profeti; ma, portate a maturazione, le uova non producevano calamaretti, ma polipi. Queste creature corrispondevano esattamente alla descrizione data dal funzionario del “Servizio Pesci e Animali Selvatici”. Avevano otto tentacoli e mandibole color arancione vivo.
La questione se potessero essere o meno commestibili si rivelò puramente accademica, per due motivi. Intanto, non se ne stavano lì buoni buoni in attesa di venir catturati, ma si muovevano sulle loro otto pseudo-gambe più velocemente dei ragni, mettendosi fuori portata in un batter d’occhio. In secondo luogo, gli extraterrestri arrivavano ormai tutti i giorni, alle 3 di notte in punto, a sfornare altre uova. Ben presto, la gente imparò a distinguere quelle fresche da quelle vecchie. Macchiette bianchissime sul guscio attestavano freschezza e commestibilità. Quando le chiazze si attenuavano, significava che le uova stavano per schiudersi.
Con l’aumentare dei polipi, che crescevano molto in fretta, il Governo federale mandò un contingente di truppe per isolare South Waterford. Ma fu una precauzione inutile perché South Waterford era ormai solo di ventiquattr’ore in anticipo sul resto del paese. Al Governo non restò che prevedere quello che sarebbe successo.
Lou Aramis, dopo un’ottima colazione a base di pseudo-aragosta (o calamaretto che fosse), uscì sul prato a raccogliere qualche altro uovo fresco. Ma si dimenticò subito di farlo quando vide un polipo, ormai completamente sviluppato, che se ne stava appeso con due dei suoi otto tentacoli al ramo più basso della catalpa. Con uno dei tentacoli liberi fece cenno a Lou di avvicinarsi.
«Prego?» disse Lou accostandosi. E non sentì paura né ripugnanza quando il polipo gli mise familiarmente un tentacolo sulla spalla.
L’extraterrestre parlò in tono cortese e molto cordiale; Lou capì che scene analoghe si stavano svolgendo in tutta South Waterford, come tra ventiquattr’ore si sarebbero svolte in tutti gli Stati Uniti; capì anche che la dieta a base d’uovo doveva essere stata un’ottima premessa a quella felice e cordiale intesa.
«Sono sicuro» disse il polipo «che voi avete perfettamente assimilato le nostre... i nostri concetti. Non è vero?»
«Ma certo!» rispose Lou con fierezza, guardandosi compiaciuto i tentacoli che gli erano spuntati al posto delle gambe e delle braccia.
«Ora» continuò paternamente l’extraterrestre «insistendo con la nostra dieta ve ne cresceranno otto, come a noi.»
«Avremo anche le mandibole color arancione?» chiese con orgoglio Lou.
«Anche quelle, ve lo garantisco» disse il buon polipo.