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I dati dell’ultimo viaggio di Rrengyara vennero integrati con le informazioni che la Supermente andava raccogliendo dai ricordi degli ultimi due secoli. Era una dimostrazione in più che il mondo stava cambiando mentre la Supermente era occupata a sognare l’immortalità.
Il cambiamento più importante era sopravvenuto nel clima. Fino a due secoli addietro, la temperatura media era aumentata secondo una linea di progressione costante. Invece ora l’aumento della temperatura si era molto staccato dai valori precedenti, tanto che la Supermente poté notare che, in effetti, la progressione era logaritmica. Il continuo aumento delle radiazioni solari scaldava il mondo molto più celermente di quanto avesse previsto la Supermente.
E anche l’evoluzione progrediva. I pallidi ghiri, creature fatte di gelatina entro un involucro solido chitinoso, stavano rapidamente cambiando. Ora, nelle fattorie, erano al lavoro molte nuove specie viventi, specie che erano state addomesticate senza difficoltà. I ghiri non erano i soli che si erano evoluti. Il tasso di mutazione non era cresciuto di molto, ma le nuove mutazioni contenevano una percentuale molto più bassa di fattori genetici indesiderabili, di quanto fosse avvenuto prima. Il lavoro degli allevatori si era più che raddoppiato nello sforzo di adattare le nuove specie al servizio della Supermente.
Inoltre, un numero insolitamente alto di pesci abbandonava il mare tentando di adattarsi alla vita terrestre. I pesci avevano cercato di. ricolonizzare la terra fin dopo l’ultima Era Glaciale, quando la Supermente era ancora giovane; ma questo fenomeno si era verificato assai raramente.
Nella grande isola che era stata uno degli ultimi avamposti della civiltà umana, e che gli umani chiamavano ancora col suo antico nome di Madagascar, si era verificata una forma di evoluzione sociale fra rare specie di uccelli. Molti secoli prima, gli allevatori avevano ricreato i colibrì, estinti, con funzione di tessitori. Questi uccelli, piccoli, dai colori vivaci, dai movimenti rapidissimi, adoperavano il becco, lungo e sottile, per cucire insieme grandi foglie che fungevano da piatti, o altri utensili. I colibrì erano ancora al servizio delle formiche, ma adesso vivevano in colonie di società organizzate come gli insetti comunitari. Costruivano intricate strutture di foglie nel fitto della giungla, a imitazione delle città delle formiche. Il loro numero era in continuo aumento, cosicché potevano ancora rendersi utili alle formiche, anche se un quarto di essi lavoravano nelle città fra gli alberi. L’aspetto più interessante del cambiamento era la complessa organizzazione relativa alla cova delle uova e all’allevamento dei piccoli.
Anche altri uccelli erano mutati. I sabbiaioli erano uccelletti inadatti al volo. che abitavano i margini del deserto nella Terra di Nord-Est. Avevano cominciato con lo scavare gallerie nella sabbia indurita dal lavorio dei vermi, rinforzando le pareti con un impasto di sabbia e saliva. Per ora, gli scavi erano individuali, e non c’era indizio che i sabbiaioli si dedicassero ad attività di gruppo, come facevano i colibrì.
Nel continente più piccolo e isolato dagli altri, che gli antichi chiamavano Australia, si verificò un fenomeno che non aveva spiegazione razionale. Le piccole e sparse colonie di formiche riferirono che, nel corso degli ultimi anni, la migrazione annuale dei diversi animali aveva assunto un nuovo aspetto. Branchi di pecore, canguri, stegosauri, umani, cani, e altre bestie, vagavano in circolo intorno ai grandi ossari dove le creature non controllate dalla Supermente andavano a morire. Ogni singolo animale girava più volte intorno all’ossario, impiegando quindici giorni circa, prima di riprendere la migrazione così interrotta. In tal modo, in ogni stagione dell’anno, c’era sempre qualche branco che girava lentamente intorno a un ossario. Questo fatto non intralciava il programma di trasformazione dei deserti in fertili pianure, ma la mancanza di scopo rituale era sconcertante.
Sul continente-isola esisteva un altro problema che per poco non aveva indotto i1 piccolo centro di coordinamento a richiamare l’attenzione della Supermente, prima che apparisse chiaro che non c’erano pericoli per la civiltà delle formiche. Gli umani di questo territorio semideserto erano giganti dalla pelle nera, che avevano perduto l’intelligenza, contrariamente ai loro simili, schiavi delle formiche. Tuttavia quei giganti stavano ora riacquistando le facoltà mentali, perdute quando erano tornati allo stato animale. Dopo aver ripulito il terreno dove si tenevano le danze rituali nei tempi passati, avevano ripreso a inchinarsi davanti alle pietre sacre erette vicino ai bacini salati. I giganti stavano ridiventando intelligenti.
Le spedizioni sottomarine continuavano a riscoprire i resti delle città sommerse, sepolte nella melma. In quelle città vi erano le abitazioni degli antichi uomini marini, ormai estinti, che erano stati gli ultimi esseri umani intelligenti e indipendenti. La Supermente aveva concesso la priorità a questo progetto archeologico perché voleva studiare la differenza fra le civiltà terrestri e quelle subacquee. Se essa fosse stata capace di sentimenti, sarebbe rimasta sgomenta quando le unità della memoria l’avevano messa al corrente della situazione attuale. Le difficoltà erano andate continuamente aumentando, e uno degli scavi era stato abbandonato. Le città in rovina erano state invase da mostri informi, che si nutrivano della melma smossa e di quanto defluiva dalle abitazioni. Questi mostri erano formati da un complesso di cellule bianche e opache, simili ad ammassi di gommapiuma o di schiuma di sapone. Normalmente, se ne restavano immobili sul fondo del mare assorbendo il nutrimento dalla melma e dividendosi in due parti quando avevano raggiunto una data grandezza. Ma ora erano cambiati anche loro e quando invasero le zone archeologiche erano già in grado di nutrirsi senza dividersi. Ricoprivano le zone degli scavi e, se qualche brandello si staccava contro uno spigolo, subito cresceva per diventare un nuovo complesso di cellule.
Non appena si riusciva, a ripulire una zona, arrivavano altre di quelle creature ad infestarla. I lavori archeologici andavano a rilento e venivano portati alla superficie solo pochi relitti, a grandi intervalli.
La Supermente era abituata a vivere in un mondo che cambiava di continuo; la sua civiltà era fluida, basata sul principio che le creature potevano generarne altre di tipo diverso. La genetica era la scienza più importante delle formiche. La Supermente pensò che negli ultimi due secoli la questione principale concerneva il grado di adattabilità che poteva raggiungere un individuo nell’adeguarsi all’ambiente in continuo mutamento, senza perdere la propria identità. Ma adesso le cose erano andate troppo oltre. La Supermente aveva esaminato meno di metà dei ricordi accumulati, ma sapeva già che anche l’evoluzione, come la temperatura del globo, stava progredendo secondo una curva logaritmica. La causa andava ricercata nel presente ciclo di radiazioni solari, il peggiore dopo il termine dell’Era Glaciale.
Un sottoprodotto di non grande importanza delle intense radiazioni solari, era la serie dei miraggi temporali. Si trattava di scene o soggetti del passato, visibili attraverso distorsioni locali del continuum spazio-tempo, provocati dalla azione combinata delle radiazioni solari e del campo di radiazioni naturali terrestri. Gli oggetti più strani che si vedevano attraverso quelle deformazioni erano i dischi o le gigantesche croci volanti che gli antichi esseri umani avevano adoperato come mezzi di trasporto aerei. Taluni individui, a volte, cercavano di raggiungere in volo gli apparecchi che comparivano nei miraggi, con lo stesso esito di chi tenta di raggiungere l’arcobaleno.
La Supermente aveva scoperto che una serie prolungata di miraggi temporali precedeva invariabilmente un’esplosione di progresso evolutivo.
Mentre Rrengyara stava esplorando l’altopiano, altri individui, nella Terra di Sud-Ovest cadevano in preda all’individualismo e alla combattività, sotto l’influenza dei fiori guerrieri. Si verificarono altre sommosse, ma la Supermente riuscì a prendere il sopravvento. Unità disposte a sorvegliare l’eventuale comparsa delle colonne di luce aiutarono a vincere la battaglia contro i mortali fiori color azzurro cobalto.
Quanto alle colonne di luce, si trattava evidentemente di una nuova forma di vita che si era evoluta sull’altipiano. La loro comparsa fu causa d’incertezza nella classificazione degli organismi viventi.
Anteriormente, la difficoltà principale consisteva nella distinzione fra piante e animali. Per esempio, i complessi cellulari spugnosi che invadevano gli scavi sottomarini erano tanto animali che vegetali. Anche i cespugli di svolazzini erano decisamente vegetali, ma il seme lanuginoso conteneva, celato all’interno, un corpo da insetto nascosto fra i filamenti bianchi, di cui erano visibili solo gli occhi. Tuttavia, le colonne di luce non erano né animali né vegetali. Per quel che ne sapeva la Mente, le colonne non possedevano una struttura cellulare fisica.
Le colonne avevano distrutto il condizionamento in molte unità e dominavano le erbe semoventi. L’immagine delle erbe che rotolavano intorno ai cristalli ricordava quella degli animali australiani che giravano intorno agli ossari. Si trattava di una coincidenza? La Supermente non disponeva di dati sufficienti per stabilirlo. Le colonne erano in qualche modo responsabili della morte di Rrengyara? Qualcosa aveva lanciato quei minuscoli cristalli nella grotta. Sicuramente esisteva un rapporto fra le colonne di luce, le erbe semoventi e i grandi cristalli, sebbene la Supermente non riuscisse a comprendere perché i cristalli fossero stati incaricati di scavare quei tredici segmenti bruciando il terreno.
La morte di Rrengyara era una questione a parte. Qualcosa aveva voluto mettere a tacere l’intrusa, e, non fosse che per quello, la Supermente aveva una valida giustificazione per continuare le indagini.
6
La spedizione era composta da cinquanta formiche alate, ventidue umani e ventiquattro pipistrelli, cioè novantasei membri in tutto. Erano tutte creature alate, in quanto disponevano di maggior facilità di movimento che non quelle terrestri. Le formiche erano presenti in numero sufficiente per proteggere se stesse e gli altri partecipanti da qualsiasi tentativo di decondizionamento intrapreso dalle colonne di luce. Gli umani fungevano da portatori e avevano il compito di respingere eventuali attacchi contro i loro compagni, essendo dotati di maggior forza fisica. I pipistrelli, infine, bellissime creature dalla lucida pelliccia bruna, fungevano da esploratori e avrebbero svolto perfettamente il lavoro di perlustrazione.
Come sempre, sulle montagne splendeva il sole e faceva molto caldo. Nonostante l’altitudine, i membri della spedizione avevano l’impressione che facesse molto più caldo che in pianura. Presero quota sopra la vallata arida e raggiunsero l’altopiano dove si erano perdute le tracce di Rrengyara. Le strane costruzioni rocciose si perdevano a vista d’occhio nella foschia: pilastri bruni e purpurei, enormi ammassi rocciosi, color rosso arancio, a forma di piante o di animali, macigni rossi, simili a zanne che volessero mordere il cielo, un arco naturale con striature che andavano dal giallo al bruno disposte come i colori dell’arcobaleno.
I pipistrelli andarono avanti in ordine sparso allo scopo di esplorare una vasta zona del terreno sottostante, mentre il resto della spedizione volava alla volta del cerchio dei cristalli. La Supermente controllava tutti i membri, non concedendo alcuna iniziativa individuale agli umani. Rrengyara aveva goduto di parte della propria individualità, perché costituiva un’esca tentatrice in vista di un attacco telepatico; ma ora non era necessario ripetere l’esperimento.
Avvistarono il cespuglio di svolazzini che Rrengyara aveva segnalato. Alcune sfere di quel vegetale, che avevano seguito la spedizione fin dalla pianura, si precipitarono verso il cespuglio con gridolini ultrasonici di piacere.
Poco più oltre, un pipistrello dislocato all’ala sinistra della formazione ad arco, vide qualcosa che Rrengyara non aveva visto, perché nascosto da uno spuntone di roccia. Alcuni cactus-camaleonte crescevano in una depressione del terreno. Il pipistrello si abbassò, restando indietro rispetto ai compagni, per osservare l’insolito comportamento di quelle piante. Non si accordavano alla generale sfumatura color rossoarancio del paesaggio, ma ciascuno di essi andava lentamente cambiando colore. Ne seguì che il pipistrello poté assistere contemporaneamente a tutti gli stadi del ciclo. Due colori erano noti alla Supermente: carminio e verde limone. Il resto delle serie comprendeva due altre sfumature di colori citrini, l’arancio e il giallo limone, oltre a un azzurro tenuissimo. C’era anche il bianco, ma non il nero.
La Supermente mandò il pipistrello a raggiungere il resto della spedizione, dato che, per il momento, non c’era altro da vedere. L’incidente costituiva una dimostrazione in più dello strano potere esercitato sulle creature più piccole dalle colonne di luce. Sotto un certo aspetto, le colonne avevano infranto il normale meccanismo di colorazione protettiva dei cactus, sostituendolo con il ciclo ritmico di colori.
Prima che il pipistrello avesse raggiunto il suo posto nella formazione, un altro pipistrello, che si trovava vicino al centro dell’arco, vide una colonna color giallo limone ferma su una roccia.
Il pipistrello accelerò, precedendo gli altri, ma la colonna gialla incominciò ad attenuarsi finché non svanì, lasciando solo le rocce purpuree e l’onnipresente foschia dovuta alla calura. La spedizione esaminò attentamente la zona, senza trovare ombra della grotta in cui la colonna avrebbe potuto nascondersi. La sua scomparsa restava quindi inesplicabile. Infine, la Supermente abbandonò le ricerche e inviò la spedizione nel punto in cui Rrengyara era morta. Una formica alata rimase indietro per segnalare una eventuale riapparizione della colonna giallo limone.
La spedizione arrivò al cerchio di alti cristalli trasparenti scoperto da Rrengyara. Erano sopravvenuti dei cambiamenti nel cerchio, per cui una coppia di unità si staccò dalla formazione per osservare meglio, mentre il resto atterrava vicino alla caverna. La spedizione riuscì ad arrivare all’ingresso senza alcuna difficoltà e due esploratori furono mandati in avanscoperta: un pipistrello con una torcia e una formica alata capace di vedere al buio per mezzo dei raggi infrarossi di cui era dotata.
Se qualcuno, o qualcosa, avesse assalito il pipistrello, la formica alata avrebbe visto che succedeva, anche se fosse stato interrotto il contatto telepatico con la vittima.
Il pipistrello entrò dunque nella caverna colla torcia di plancton luminoso che illuminava appena le tenebre fitte. Le pareti laterali della caverna erano scheggiate e piene di fenditure, e il pavimento era cosparso di detriti di questa roccia, così sottili da sembrare aghi di pino. La volta, invece, era intatta: e questo era un particolare molto strano.
Il corpo di Rrengyara era scomparso, ma gli aghi di roccia erano imbrattati di sangue nel punto in cui era caduta. Oltre quel punto, si notava nell’oscurità un debole bagliore biancastro, sfumato di verde. Il pipistrello avanzò. La Supermente voleva provocare la reazione dell’arma che aveva assalito Rrengyara. Migliaia di minuscoli cristalli, tutti appiattiti e non più larghi di un centimetro, erano posati sulle sporgenze e negli orli delle fessure che ricoprivano le pareti, come uno stormo di uccelli marini che riposassero su una scogliera. In quel punto, i cristalli che coprivano le pareti erano così fitti che la loro luce era più vivida di quella della torcia.
La formica volante riferì che i cristalli emanavano una luce infrarossa, oltre alla luce normale visibile. Tutto rimase tranquillo. I cristalli non si mossero quando il pipistrello passò nella zona illuminata.
Più oltre, la caverna si divideva in due rami; entrambi gli imbocchi erano avvolti nel buio più fitto. Il pipistrello volò nella diramazione di sinistra e, poco dopo, scoprì davanti a sé un’altra luminescenza verdastra.
Dopo aver voltato un angolo, vide che il corridoio si allargava a formare una sala sotterranea nella quale la grotta finiva. Il pavimento della sala era parzialmente ricoperto da una pozza di liquido lattiginoso che stava evaporando, a giudicare dalla chiazza bianca intorno alla depressione centrale del pavimento. Il liquido, opaco e luminoso, sgocciolava lentamente nella pozza da un gruppo di stalattiti di un genere che la Supermente non aveva mai visto in quelle caverne. Ma la luce verdastra non era emanata soltanto dalla pozza: ammassi di cristalli erano raccolti lungo i bordi della pozza stessa e scintillavano come se fossero umidi. Nei suoi laboratori, la Supermente fabbricava cristalli seguendo lo stesso procedimento evaporazione di una soluzione satura.
Il pipistrello non raccolse esemplari, sapendo che il resto della spedizione avrebbe esaminato a fondo quelle caverne. Tornò indietro lungo il corridoio, fino al bivio, dove lo stava aspettando la formica alata, e voltò a sinistra per esplorare l’altra biforcazione. Il corridoio terminava bruscamente poco oltre.
Il pipistrello sollevò la torcia spostandone la luce in tutte le direzioni e vide un mucchio di piccoli oggetti incolori, che sembravano spine di pesce. Scese a terra per esaminarli da vicino. Erano piccoli cristalli a forma di diamante, identici agli altri che aveva già visto, ma privi di luminosità. Le radiazioni si erano esaurite, e i cristalli erano trasparenti, come i dischetti di corno con cui giocavano i bambini umani. Erano cristalli morti.
Nel frattempo, due formiche volanti esaminavano il circolo di grandi cristalli all’interno. Non si vedevano colonne di luce, e anche le erbe semoventi erano scomparse, cosicché le due unità poterono avvicinarsi senza pericolo al circolo.
Il disegno inciso nella roccia era completo, e la roccia, fusa al passaggio dei cristalli, si era nuovamente solidificata. Pareva la raffigurazione di un polipo a tredici braccia, o una rappresentazione simbolica del Sole. La zona circolare centrale, che Rrengyara aveva visto nel corso del processo di formazione, aveva un diametro di circa un metro e venti. I tredici segmenti, che uscivano dal centro per raggiungere la circonferenza formando una curva, erano larghi una cinquantina di centimetri e lunghi due metri e settanta.
Gli enormi cristalli incolori non si trovavano più sulla circonferenza, ma dodici erano situati a intervalli regolari lungo i solchi che portavano al centro; il tredicesimo era sul centro stesso. Gli altri dodici erano disposti in file di quattro, e, in ciascun gruppo, il cristallo più interno aveva quasi raggiunto il centro, mentre il più esterno era ancora vicino alla circonferenza; gli altri due occupavano posizioni intermedie nei rispettivi solchi. Ogni solco era occupato da un cristallo, a eccezione del tredicesimo, che era vuoto.
Il cristallo centrale era un po’ decentrato. La Supermente continuò a osservarli, e si accorse che i cristalli si muovevano. Stavano avanzando gradualmente lungo i solchi che essi stessi avevano scavato nella roccia. La Supermente ebbe una rapida intuizione: quel disegno scavato nella roccia era un luogo di danza, simile a quelli che i giganti umani stavano ricostruendo in Australia. Il lento movimento dei cristalli era una cerimonia religiosa; essi si trascinavano lungo i solchi perseguendo uno scopo ben definito.
La Supermente sapeva che le pietre normali, inanimate, potevano spostarsi coi propri mezzi nei deserti, ma questo rito era diverso. Nessun oggetto inanimato era in grado di pensare individualmente a quel modo. Quelli, erano cristalli viventi.
Se la deduzione corrispondeva al vero, confermava la nuova teoria della Supermente; e cioè che anche i cristalli della caverna erano creature vive. I processi mentali della Supermente erano tali per cui non sarebbe mai giunta a una simile conclusione basandosi unicamente su una sola serie di dati. Tuttavia, le informazioni ricavate nella caverna, e il circolo, formavano due serie di dati, e la consapevolezza della comparsa di una nuova forma di vita, ossia le colonne luminose, costituiva un terzo dato.
Stando così le cose, la Supermente doveva presumere, almeno temporaneamente, che i cristalli erano vivi. Erano soggetti anch’essi a un controllo di mentalità di gruppo come altre creature? Quali erano i loro rapporti con le colonne di luce? I grandi cristalli avevano costruito il terreno di danza di propria volontà? Se i cristalli della caverna avevano ucciso Rrengyara, perché avevano lasciato che il pipistrello esplorasse la caverna senza assalirlo? La Supermente poteva rispondere in parecchi modi plausibili a queste e ad altre domande, immagazzinandole per controllarle in un secondo tempo, quando avrebbe potuto disporre di un maggior numero di dati.
7
Stava facendosi tardi, e la spedizione aveva viaggiato tutto il giorno. La Supermente decise di fare sosta per la notte e di riprendere le ricerche alle prime ore del mattino, dato che ormai restava poco più di un’ora di luce. La temperatura era scesa parecchio, e le unità avrebbero lavorato meglio, il giorno dopo, se i preparativi d’uso venivano eseguiti prima del tramonto. Se avessero iniziato ora delle ricerche scientifiche avrebbero dovuto far tutto in fretta, e le unità si sarebbero stancate troppo, rendendo in modo inferiore alle loro possibilità normali. Pertanto, l’unico lavoro eseguito quella sera fu la ricerca, accurata ma inutile, del corpo di Rrengyara.
Intanto, la maggior parte delle gigantesche risorse mentali della Supermente erano occupate nell’incredibile compito di esaminare i ricordi degli avvenimenti occorsi durante gli ultimi due secoli. La Supermente non aveva l’equivalente del concetto di “errore”, ma classificava le cose in tre categorie: vantaggiose, svantaggiose, e non pertinenti; il tempo trascorso nel sognare l’immortalità era stato decisamente svantaggioso, constatò la Supermente, specie se messo in rapporto con altre attività, quali le condizioni della civiltà rimaste uguali finora per alcuni millenni. Se la Supermente fosse stata in grado di indulgere in introspezioni masochiste, avrebbe concluso che non le restava altro da fare, ormai, che mandare regolarmente e subito squadre a esplorare le terre non occupate, per vedere quali nuove specie si stessero evolvendo in quelle zone. Invece, essendo fatta a modo suo, si limitò a decidere di mandare spedizioni esplorative di quel genere in futuro. Forse i cristalli e le colonne di luce avevano le loro controparti in altri continenti.
Le unità stavano preparandosi al riposo notturno sull’altopiano, quando la Supermente scoprì nei suoi ricordi un altro dato enormemente significativo: nel rapporto annuale di un museo, centro di studi archeologici, compariva la dichiarazione che i segnatempo di una certa raccolta avevano raggiunto lo zero.
La raccolta in questione conteneva, fra l’altro, alcuni congegni raccolti tremila anni prima in una città subacquea perfettamente conservata. I segnatempo avevano funzionato in modo perfetto, registrando il passare degli anni verso una determinata data del futuro. La data era giunta tre settimane prima in coincidenza con la più grande concentrazione dei miraggi temporali finora notati.
La città sommersa in cui erano stati trovati quei segnatempo conteneva anche altri oggetti. Gli esploratori vi avevano trovato prove sufficienti per dimostrare che gli uomini marini avevano fatto un ultimo disperato tentativo per salvare la propria razza, cercando di proiettarsi nel futuro per mezzo dei miraggi temporali.
La Supermente, conoscendo la frequenza ricorrente dei miraggi e le condizioni di indebolimento del continuum spazio-tempo, era certa che i segnatempo erano stati programmati in modo da segnare la data del loro arrivo nel futuro: il segnatempo non era che uno dei molti congegni elettrometallici e meccanometallici trovati nelle città marine. Parecchie altre invenzioni degli uomini marini erano state riposte in luoghi dove non potessero provocar danni, ma la maggior parte delle macchine più voluminose ancora funzionanti erano state lasciate al loro posto. La Supermente, una volta, aveva perduto parecchi milioni di unità nel tentativo di rimuovere una macchina da una città deserta. Dopo i disastri che avevano fatto seguito ai primi tentativi, la Supermente aveva abbandonato le ricerche in campo atomico, elettrico e tecnico, concedendo solamente l’uso dei congegni semplici e facilmente controllabili. Cosicché la Supermente non poteva disporre delle informazioni sufficienti per poter intraprendere qualsiasi azione, quando ebbe la notizia dei segnatempo. Doveva quindi ottenere al più presto le informazioni necessarie. Alcuni coltivatori che abitavano vicino al mare dove giaceva una città sommersa, furono mandati a indagare. La città era rimasta chiusa da secoli, ma la Supermente non esitò a riaprirla. Se gli uomini marini erano riusciti a proiettarsi attraverso i secoli, o se le macchine abbandonate erano state programmate in modo da riattivarsi quando i segnatempo avrebbero segnato l’ora zero, la civiltà avrebbe potuto sopportarne gravissime conseguenze. Il momento zero era arrivato e nuove forme di vita erano comparse dal nulla: poteva esserci un rapporto fra i due fatti. Gli uomini marini erano stati una razza ingegnosa, ed era sorprendente, sotto molti punti di vista, che si fossero estinti. La Supermente spedì i coltivatori nella città sommersa, a gran velocità.
8
Durante la notte, una colonna alta e sottile di luce candida scivolò accanto alle unità addormentate. Le sentinelle di turno subirono gli stessi traumi mentali caratteristici del primo stadio della pazzia provocata dai fiori guerrieri. La Supermente svegliò tutta la spedizione per condurre un attacco mentale contro la colonna, ma lo sbarramento di forza mentale non ebbe alcun effetto su di essa. Gli umani condussero un attacco fisico diretto, che fallì a sua volta. Uno scudo invisibile impedì agli attaccanti di giungere all’intrusa. La barriera, sebbene invisibile, esisteva realmente; alle unità non era stato imposto alcun condizionamento. La colonna bianca si era circondata da un impenetrabile cilindro di forza, ritirandosi. La Supermente inviò alcune unità al suo inseguimento, fino all’imbocco della caverna in cui essa si rifugiò. Ma quando le unità tentarono di seguirla all’interno, scoprirono un’altra barriera invisibile che chiudeva l’imbocco della caverna. La colonna bianca ne aveva sbarrato l’accesso.
Due unità trascorsero tutta la notte davanti all’entrata, per sorvegliare le mosse della colonna bianca, ma fino al mattino non si verificò alcun fatto nuovo. La spedizione non poteva più entrare nella caverna, e quindi la Supermente riprese l’esplorazione dell’altopiano. Le avanguardie scoprirono altre colonie di cactus-camaleonte, e la Supermente notò che tutte le piante erano leggermente inclinate verso le colline settentrionali, mentre passavano attraverso il ciclo di colori ispirato dalla colonna.
Un pipistrello esploratore, incaricato di indagare nella zona color marrone indicata dall’inclinazione dei cactus, scoprì il cratere: uno specchio di acqua azzurra scintillava all’interno della grande depressione circolare. In quell’enorme cono vulcanico non c’erano laghi, l’ultima volta che la Supermente aveva visitato l’altopiano. Il pipistrello continuò a volare e, avvicinandosi al cratere, vide file di cactus e di erbe semoventi, disposte in file regolari che si dipartivano dal bordo del cratere come i raggi di una ruota. Era evidentemente un allineamento artificiale. Abbassandosi, il pipistrello si accorse che in certi punti la nuda roccia era ricoperta da un leggero strato di terriccio, portato sicuramente dal vento, e raccoltosi in strisce sparse sulle quali erano cresciute erbe selvatiche. Ma dove crescevano i cactus e le erbe semoventi non crescevano altre piante. Il lago era separato dalle zone erbose dall’alto bordo frastagliato del cratere.
Il pipistrello riprese quota e sfrecciò verso il lago che occupava la cavità dell’antico vulcano spento. Era solo. Infatti gli altri esploratori s’erano sparpagliati in tutte le direzioni, alla ricerca di altri cerchi di cristalli, trovandone due. Se il pipistrello fosse caduto sotto l’influenza delle colonne di luce non c’era nei paraggi nessun compagno che lo potesse salvare.
Ad un tratto, il pipistrello vide sotto di sé un rapidissimo bagliore rosso sulle rocce brune e notò un enorme cristallo scarlatto, un monolito semitrasparente alto un metro e mezzo, che stava allontanandosi decisamente dal lago lasciando dietro di sé una scia sottile nella polvere. Alla Supermente piacevano molto le luci viste attraverso i cristalli colorati, o sostanze similari, e questa inclinazione fece sì che il pipistrello si avvicinasse al monolito errante, attraverso il quale il Sole pareva una sfera di fuoco sanguigno. Quando la Supermente ebbe soddisfatto il suo capriccio, il pipistrello riprese a volare verso nord. Adesso sapeva cosa cercare: notò altre sottili tracce nella polvere. E vide anche tre altri cristalli, due blu e uno giallo, tutti diretti verso sud.
Quando fu sopra il cratere, il pipistrello compì diversi lenti giri, per dar modo alla Supermente di avere una visione completa del luogo. Dal lago circolare salivano vapori caldi, e nuvolette di vapore si adagiavano sulla superficie delle acque color zaffiro. Notando la quasi luminosa intensità di quel liquido azzurro, la Supermente giudicò che quell’acqua doveva esser stata contaminata da minerali: probabilmente da minerali di qualche elemento di transizione. Il pipistrello vide delle ombre vaghe sotto i banchi di nebbia, ma erano troppo indistinte perché le potesse identificare. Fra il lago di zaffiro e le cime dentate delle pareti verticali, c’erano due diversi tipi di terreno. La zona più elevata, direttamente al di sotto dell’orlo del cratere, era una fascia di terriccio, in ripido pendio, dove si vedevano migliaia di erbe semoventi ancora radicate al suolo. Le loro foglie, alte e piumate, erano verdi e puntate verso l’alto: il che stava a indicare come le erbe fossero ancora troppo acerbe per muoversi. La zona più bassa, fra le giovani erbe e il lago, era la spiaggia. Quando il pipistrello capì quello che stava vedendo, la Supermente lo mandò a posarsi sull’orlo della spiaggia, sopra un grosso macigno da cui poteva godere di una vista più ravvicinata di quella spiaggia unica al mondo.
Il macigno doveva essere precipitato dai contrafforti sovrastanti, perché su quella spiaggia non c’erano pietre, né sabbia. Tutto il terreno era ricoperto da minuti frammenti di un materiale simile al vetro. I colori più comuni erano il blu zaffiro, il rosso, il verde smeraldo e il giallo. I frammenti erano di varie dimensioni: i più grossi avevano una lunghezza di alcuni centimetri, i più piccoli erano dei minuscoli granellini. Evidentemente, erano resti di cristalli scheggiatisi vicino all’acqua. Molte di quelle schegge colorate si muovevano scivolando penosamente verso l’acqua color zaffiro, con moto lento. Una scaglia color smeraldo avanzò faticosamente per qualche centimetro, poi si trovò davanti una grossa scheggia rossa, troppo alta perché riuscisse a scivolarci sopra. Il pipistrello osservò una scheggia color malva, che aveva una forma triangolare, intenta a ruotare intorno ai vertici, prima di posarsi sui suoi compagni e scivolare sopra di essi verso l’acqua a cui tendevano tutti. Il frammento color malva urtò una grossa scheggia gialla e si ruppe in due. Tutti e due i pezzi continuarono a muoversi, e infine riuscirono a infilarsi nell’acqua azzurra. Appena immersi, sfrecciarono come pesci e scomparvero nel profondo, sotto le volute di vapore.
A una ventina di metri di distanza, un gigantesco cristallo scarlatto stava emergendo dall’acqua. Più alto di un umano, uscì dal liquido azzurro e rimase fermo, eretto sulla spiaggia. Era scosso da frequenti vibrazioni, e il pipistrello scese in volo verso di esso per osservarlo meglio. Improvvisamente, il cristallo si coricò su un fianco, cadendo sulla spiaggia come se avesse perso l’equilibrio. La caduta lo frantumò in mille pezzi, alcuni dei quali ricaddero in acqua. Gli altri frammenti scarlatti si misero subito in movimento scivolando sopra gli altri frammenti, più vecchi e più deboli, per tornare a loro volta nel lago. Alcuni concentravano i raggi solari su altre schegge: un cristallo color giallo canarino, spaccatosi in due, lasciò scaturire una nuvoletta di polvere impalpabile, che fu trasportata verso il lago. I resti del cristallo, ancora sottoposti al riflesso del cristallo rosso, incominciarono a fondersi.
Lungo tutta la spiaggia era un fiammeggiare di colori riflessi dai cristalli in movimento verso le acque azzurre. Da lontano, la colorazione assumeva una sfumatura di un compatto bruno rossiccio, ma da vicino erano chiaramente visibili tutti i colori di ciascun frammento. Era uno spettacolo affascinante, come le foreste di vetri colorati mobili appesi nelle cupole trasparenti delle città delle formiche. Il continuo movimento delle piccole schegge dava l’impressione che tutta la spiaggia tremolasse come le foglie di un albero scosso dal vento. Vicino alla riva, dove l’acqua era più bassa e trasparente, la Supermente distinse dozzine di cristalli giganti che, avanzando sott’acqua, si dirigevano verso la riva.
Fra di essi ve n’era uno rosso, malformato, con una chiazza opaca da un lato. Appena emerso dall’acqua, incominciò a vibrare, esitò, sempre con la base ancora immersa nel lago; poi, lentamente, si ritrasse e tornò a immergersi. Sporgeva ancora dalla superficie, quando s’inclinò su un fianco e scomparve in mezzo a una fontana di spruzzi. Nel punto in cui era scomparso incominciò a formarsi una serie di cerchi concentrici, interrotti da increspature nei punti in cui cadevano frammenti del cristallo.
La Supermente osservò altri due giganteschi cristalli, ambedue color zaffiro, emergere dal lago e frantumarsi in migliaia di frammenti sulla riva. Un quinto cristallo, alto un metro e venti e di un brillante color smeraldo, non si autodistrusse. Uscendo con movimenti decisi dall’acqua, si trascinò sulla spiaggia, lasciando sul suo paesaggio una scia di frammenti e di umidità. Il cristallo smeraldino raggiunse il luogo dove crescevano le erbe semoventi e continuò a marciare verso i contrafforti del cratere che circondavano il lago. Mentre il cristallo passava, alcune erbe semoventi si arrotolarono, estrassero le loro radici dal terreno e presero a rotolare seguendo il cristallo. Il monolito verde era diretto verso una stretta fessura della roccia, attraverso la quale avrebbe potuto passare al di là delle alte pareti del cratere. Il pipistrello si levò in volo e prese rapidamente quota, mettendosi anche lui a seguire il cristallo. Questo, accompagnato dalle sfere di erba, procedeva sicuro lungo lo stretto passaggio, attraverso il quale uscì sul polveroso altopiano, continuando poi a procedere verso nord. La Supermente ordinò al pipistrello di seguirlo.
9
La pozza nella caverna e il lago nel cratere avevano ambedue la medesima funzione. In essi si creavano cristalli viventi. Nella caverna, il processo di evaporazione era relativamente semplice, mentre la formazione di cristalli nel lago seguiva un procedimento più complicato, anche se la similarità fondamentale era innegabile. Probabilmente, c’erano sull’altopiano altri luoghi in cui nascevano i cristalli e perciò bisognava esaminare a fondo tutte le caverne.
Per quanto affascinanti potessero essere i cristalli, erano tuttavia insignificanti in confronto al problema principale le colonne di luce. La caverna dove era morta Rrengyara era ancora sbarrata dalla barriera di forza creata dall’alta colonna bianca, e nelle zone periferiche della Terra di Sud-Ovest avevano fatto la loro comparsa altre colonne, aumentando le difficoltà causate dall’improvviso sboccio dei fiori guerrieri. Le manifestazioni seguivano invariabilmente la stessa procedura. Colonne di luce di diversi colori arrivavano alle fattorie sulle colline, accompagnate da una gran quantità di erbe roteanti, e nelle unità che lavoravano alla fattoria si verificavano le ormai note manifestazioni di turbe mentali. Reazioni automatiche di solidarietà collettiva aiutavano le unità colpite, fino all’arrivo dei rinforzi. Rendendosi apparentemente conto che forze mentali superiori si opponevano ad esse, le colonne di luce battevano allora in ritirata sulle montagne. Unità di soccorso seguivano poi le colonne nelle alte zone vulcaniche, dove esse scivolavano nelle caverne scomparendo dietro barriere invisibili. Tutti questi attacchi si erano verificati nel corso della mattina, o durante la serata precedente, e l’ultimo era ancora in corso.
La situazione era statica, per il momento, e c’erano squadre di guardiani posti dinanzi all’imbocco delle caverne in attesa che la barriera scomparisse. Sull’altopiano, erano comparsi numerosi cristalli, ma le colonne di luce apparvero solo in seguito: un pipistrello ne avvistò un gruppo, color giallo limone, vicino a un cerchio di cristalli. Il pipistrello scese in volo per esaminarle più da vicino e, nello stesso tempo, la Supermente incominciò a ricevere informazioni sull’antica città degli uomini marini. Le unità mandate a esplorare erano arrivate sul posto.
Alcuni secoli prima, la Supermente aveva completato le sue ricerche nella città subacquea e aveva evitato che qualcuno la esplorasse di nuovo senza autorizzazione, mediante il semplice accorgimento di evitare che le unità pensassero di entrarci. Dopo di allora, infatti, nessuno ci si era più avventurato. E ora le unità di esplorazione stavano avvicinandosi alle mura che la circondavano, completamente rivestite di fanghiglia. La Supermente non aveva mai scoperto il motivo di quelle fortificazioni. Al di là delle mura, oltre una fascia di terreno sgombro, brillavano delle luci dove prima aveva sempre regnato l’oscurità. Altre macchine, oltre i segnatempo, avevano aspettato l’ora zero.
La densità della vita animale e vegetale nella città era estremamente alta, e l’acqua era più calda del normale. Gli esploratori sentirono odore di varie materie organiche e di carne umana in decomposizione. Avvicinandosi al primo edificio, che aveva forma di cubo, videro pesci predatori nuotare lungo le strade radiali collegate fra loro, stretti in grossi branchi in cui comparivano specie diverse e abitualmente nemiche tra di loro. Nell’acqua galleggiavano brandelli di cibo mangiato dai predatori di tutte le forme, dalle meduse ai vermi. Gli occhi allenati dei coltivatori di plancton notarono la presenza di innumerevoli esseri unicellulari che si cibavano di microorganismi. Granchi, gamberetti ed altri animali si aggiravano a un livello più basso. Nessuno fece caso agli esploratori.
La città era stata costruita su un piano emisferico, cogli edifici più alti al centro e quelli più bassi al termine esterno delle strade circolari concentriche. Le costruzioni degli anelli esterni erano quelle meglio conservate, perché molti edifici centrali erano crollati col passare dei secoli, travolgendo nella loro caduta le case vicine. Le unità di esplorazione nuotarono lungo le strade esterne, per esaminare le rovine che si stendevano sotto di loro. Al centro della città, dove i fabbricati erano ormai ridotti a mucchi di detriti a cui il tempo aveva conferito una patina uniforme sotto la coltre di fango, la grande depressione rotonda entro il perimetro degli edifici più alti superstiti era piena di cadaveri di esseri umani. Era un cimitero sottomarino, e molte ossa avevano ancora attaccati brandelli di carne putrefatta, che fluttuava in lunghe strisce intorno agli scheletri. L’odore di marcio, in quel punto, era insopportabile. Torme di pesci strappavano brandelli di carne sotto gli occhi degli esploratori. In molti edifici ancora intatti, c’erano altri cadaveri: inviando alcune unità a guardare attraverso le impannate trasparenti delle finestre nelle stanze chiuse e illuminate, la Supermente ebbe la conferma circa l’identità di quei morti. Erano gli uomini marini, estinti già da migliaia di anni.
Nel corso delle ricerche effettuate tremila anni prima, la Supermente aveva scoperto numerosi strumenti scientifici in quegli edifici. Ne aveva trasportati alcuni altrove, come i segnatempo, ma la maggior parte era stata riportata sul posto, dopo che la Supermente ebbe terminato di esaminarli. Le unità di esplorazione vennero inviate a riaprire un antico laboratorio, dove trovarono alcuni strumenti scientifici perfettamente conservati. Quasi tutti quegli strani congegni elettromeccanici avevano ripreso a funzionare, contemporaneamente al dispositivo d’illuminazione della città e a quello del controllo della temperatura.
La Supermente, molti anni prima, aveva imparato, per esperienza diretta, i simboli numerici e i sistemi di calibratura usati dagli uomini marini, cosicché ora poteva comprendere le indicazioni degli strumenti. Scoprì ben presto che i cadaveri degli uomini marini erano leggermente radioattivi, e ne controllò molti per averne l’assoluta certezza. La radioattività era troppo bassa per danneggiare le creature che si nutrivano di essi, però era decisamente superiore al normale. I coltivatori di plancton mandati in esplorazione sezionarono alcuni cadaveri e scoprirono che ogni parte dei corpi era ugualmente radioattiva. La Supermente accolse questa notizia, la immagazzinò, e fece progetti perché una spedizione attrezzata adeguatamente si recasse immediatamente a visitare la città.
I corpi erano nell’acqua da circa tre settimane, e i conta-giri avevano segnato l’ora zero tre settimane prima. Prove archeologiche stavano a dimostrare che gli uomini marini avevano tentato di proiettarsi attraverso il tempo, nel futuro, e il cimitero si era formato durante un periodo di miraggi più lungo di quanti se ne fossero mai verificati.
Comunque, era dubbio che queste informazioni fossero utili per risolvere l’assillante problema delle colonne di luce: la comparsa di quel lago in cui si formavano i cristalli, entro il cratere vulcanico, aveva, fra l’altro, molti sottintesi estremamente inquietanti. Era assai improbabile che gli uomini marini avessero una qualche responsabilità o rapporto con gli avvenimenti dell’altopiano. La Supermente, sulla base delle prove di cui disponeva, avrebbe detto che era impossibile, se non per la coincidenza fra la comparsa delle colonne e la decomposizione ritardata dei marini. Se i due fatti non avevano un rapporto diretto, potevano essere collegati entrambi a un terzo fattore, non ancora scoperto.
10
Ora la Supermente conosceva la destinazione dei cristalli color smeraldo e della torma di erbe semoventi. Procedevano secondo una linea retta verso il cerchio di cristalli che era stato appena scoperto da un pipistrello. La loro velocità, che non era mutata da quando erano emersi dal lago, li avrebbe portati al cerchio entro un’ora. Modificando i propri piani per accordarli a quel nuovo schema di avvenimenti, la Supermente fece atterrare il pipistrello vicino al cerchio, in modo che, tenendosi al riparo dietro un macigno rossiccio, potesse misurare esattamente la portata degli impulsi telepatici emanati dalla colonna di luce. L’altro pipistrello, intanto, continuava a seguire il cristallo color smeraldo.
La leggera aberrazione mentale provocata dalle colonne verde limone non riuscì a impedire alla Supermente di mantenere il controllo assoluto sul pipistrello che stava in osservazione. Undici cristalli, alti ciascuno poco più di un metro, stavano lentamente trascinandosi lungo il perimetro di una zona circolare del diametro di sette metri. L’interno del cerchio era composto di terra liscia. I cristalli, finora, non vi erano ancora entrati. Gli undici erano spaziati in modo regolare, mentre si muovevano intorno alla circonferenza, e il pipistrello vedeva a intervalli regolari il bagliore dei riflessi del sole sulla loro superficie colorata. Gli undici cristalli avevano uguali dimensioni e forma, ma differivano nei colori. Cinque erano blu, quattro cremisi, due verde smeraldo. A differenza dei cristalli incolori del primo cerchio, non avevano scheggiature né abrasioni. Le facce erano lisce e diritte, e si capiva che erano tutti relativamente giovani. L’aria intorno ad essi era limpida e brillante; i loro spigoli spiccavano nitidi contro lo sfondo bruno del terreno, reso indistinto dalla foschia.
Il pipistrello restò in osservazione per un’ora, senza notare alcun cambiamento nei movimenti ritmici dei cristalli. Le colonne color verde limone rimasero immobili vicino al cerchio.
Finalmente comparve il grande cristallo solitario color smeraldo, seguito dalle erbe verdi che gli rotolavano intorno. Quando fu vicino al circolo, gli altri cristalli si avvicinarono, lungo il perimetro, per fargli posto. L’ultimo arrivato si unì ad essi: e così, ora, c’erano dodici monoliti colorati che giravano lentamente in tondo. Le erbe semoventi si staccarono dal cristallo e andarono a fermarsi accanto alla colonna di luce.
Il secondo pipistrello, che seguiva il cristallo solitario a distanza, stava per scendere accanto al primo esploratore, sul macigno, quando scorse un fugace lampo di luce verde, poco lontano dal cerchio, in direzione Sud-Est. Mantenendosi in quota, vide un altro cristallo color smeraldo che stava avvicinandosi al cerchio, accompagnato da esseri di altre specie, comprese due colonne di luce, una color carminio e L’altra giallo limone. La Supermente allora fece scendere l’esploratore sul masso e mandò l’altro, quello che si era fermato a lungo, a esaminare il gruppo dei nuovi arrivati.
Oltre al cristallo smeraldo, le colonne carminio e gialle, e le inevitabili erbe mobili, la strana comitiva comprendeva anche parecchie dozzine di cactus vaganti, forniti di ventose. Queste insolite piante erano alte un metro e larghe solo pochi centimetri e avanzavano sulle rocce a balzelloni, aggrappandosi ai massi con le ventose. Tre alte colonne di luce, di un pallido color turchese, erano accompagnate da alcune sfere di svolazzini, i primi che la Supermente avesse mai visto in tale compagnia. Un branco di minuscoli cristalli delle caverne, di colore lattiginoso, procedeva in formazione a diamante sopra ai cactus. Il gruppo era completato da una femmina umana, bruna, la cui epidermide aveva uno strano colore: la donna camminava accanto al cristallo smeraldo.
Osservandola meglio, la Supermente si rese conto che era Rrengyara, l’unità uccisa nella caverna.
Un rapido sondaggio mentale al massimo della sensibilità non rivelò traccia di pensieri nella mente di lei. Questo particolare, unito al suo passo strascicato, dimostrava che Rrengyara era morta. La Supermente non poteva tuttavia esserne certa, in quanto non aveva registrato i suoi impulsi di morte, ma c’era pochissima probabilità che si sbagliasse. Qualcosa doveva controllare il suo corpo: tuttavia, i serpenti zombie erano stati sterminati da migliaia di anni e non erano più comparse creature dotate del loro potere. La conclusione ovvia era che responsabili del fenomeno dovevano essere le colonne di luce. Esse infatti erano le uniche creature indipendenti, dotate di intelligenza e capacità potenziali, atte a raggiungere lo scopo di controllare un corpo. I gatti, talvolta, riuscivano nello stesso intento, ma solo con creature vive.
Rrengyara camminava come una sonnambula, colle braccia penzoloni e la testa china. Quando il gruppo passò vicino al pipistrello in osservazione nei pressi del cerchio, la Supermente poté avere una descrizione esatta e minuziosa della strana colorazione dell’epidermide di Rrengyara. Il suo corpo nudo, un tempo liscio e bruno, era ricoperto da una sostanza resinosa nera, cosparsa di particelle luccicanti. I cristalli che l’avevano assalita nella caverna le si erano incastrati nella carne, provocando migliaia di minuscole ferite, e non si erano più staccati. Non si vedeva la pelle, perché il sangue sgorgato dalle innumerevoli ferite si era coagulato in una pasta nera che ricopriva in parte i cristalli. Le narici erano rimaste libere, mentre occhi e orecchie erano bloccati. Il rivestimento di sangue e cristalli aveva fuso le dita delle mani e dei piedi, che si distinguevano appena.
Il cristallo color smeraldo e le creature che lo attorniavano raggiunsero il luogo delle danze. Le colonne di luce scivolarono silenziosamente sopra la colonna verde limone ferma da un lato, e le erbe semoventi vicine alle colonne verdi rotolarono verso le compagne appena arrivate. Rrengyara si afflosciò a terra, e i cristalli volanti delle caverne le si ammucchiarono accanto. Anche tutte le altre creature si fermarono, ad eccezione del cristallo verde smeraldo. I cristalli del cerchio rallentarono fermandosi lungo la circonferenza a intervalli regolari, lasciando però uno spazio vuoto in cui prese posto l’ultimo arrivato. Tutti erano immobili, anche gli svolazzini e le erbe. Il tredicesimo cristallo stava eretto, alto e scintillante sulla linea circolare che gli altri avevano inciso nella roccia.
Poi, molto lentamente, i grandi cristalli incominciarono a muoversi. Uno dietro l’altro, si trascinarono, seguendo una curva, verso il centro del cerchio. Mentre procedevano, sul terreno dove il loro passaggio aveva scalfito la roccia, incominciò a formarsi un disegno ormai noto: la stella a tredici punte, comune a tutti i cerchi di cristalli che la Supermente aveva scoperto.
Poi, i cristalli conclusero il rito e tornarono nella primitiva posizione lungo la circonferenza. Le altre creature ripresero anch’esse a muoversi. Le erbe rotolarono turbinando intorno al cerchio, la frotta di minuscoli cristalli si innalzò in volo, i cactus vaganti saltarono all’unisono, Rrengyara si mosse e si alzò, le sfere lanuginose di svolazzini emisero i loro squittii ultrasonici, e tutte le colonne di luce, ad eccezione di quelle verdi limone, incominciarono ad allontanarsi scivolando dal cerchio. Le colonne color turchese aprivano la marcia verso la massa di affioramenti purpurei al margine occidentale dell’altopiano, e solo alcuni ciuffi di erbe semoventi, oltre alle colonne verde limone, non le seguirono. Le enigmatiche colonne di luce e la femmina umana morta, un’orda di cactus saltanti e di rimbalzanti erbe, gli svolazzini e i cristalli delle caverne che roteavano formando caotiche geometrie sullo sfondo del cielo, si allontanavano in fila dai tredici cristalli.
Un pipistrello seguì a distanza di sicurezza quel gruppo di creature; l’altro rimase a sorvegliare il cerchio. Le creature erano appena scomparse dietro un’alta roccia dentata, quando i grandi cristalli ripresero a muoversi. Erano inclinati secondo angoli diversi ed era un continuo fiammeggiare di raggi d’ogni colore: cremisi, zaffiro, smeraldo. I tredici cristalli concentravano la luce del sole su uno dei tratti che avevano scalfito nella roccia; quando questa incominciò a fondersi, sotto una nuvola di foschia, le erbe semoventi si disposero a cerchio intorno ai tredici cristalli e percorsero rotolando il perimetro del terreno di danza, acquistando via via velocità, mentre le colonne color verde limone stavano a osservare impassibili. Solo il sommesso bisbiglio mentale indicava che anche le colonne partecipavano alla cerimonia.
Quelle color turchese condussero il loro seguito verso l’ampia imboccatura di una caverna: il pipistrello rimase all’esterno.
Quando fu evidente che non sarebbero uscite, la Supermente ordinò al pipistrello d’entrare nella caverna. Altri membri della spedizione stavano sorvolando la zona, ma, in quel momento, il pipistrello era solo. Poiché, fin quando non arrivavano i rinforzi, non poteva permettersi di perderlo, la Supermente si tenne pronta a farlo uscire dalla caverna al minimo segno di pericolo.
Nella galleria tenebrosa, la Supermente faceva assegnamento sugli squittii riecheggianti del pipistrello per ottenere una descrizione dell’ambiente. Il quadro così ottenuto era abbastanza preciso, ma mancavano molti particolari, ottenibili solo attraverso la visione diretta. Il pipistrello scivolò silenziosamente in un piccolo locale da cui si dipartivano altre tre gallerie che si addentravano nella roccia. In quella centrale, si distingueva una debole luminosità lattiginosa, e il pipistrello si diresse da quella parte. La Supermente notò che le pareti della caverna erano dritte e lisce, segno che quella parte della caverna era artificiale. Man mano che la luminosità diventava più intensa, emozioni sconosciute si infiltravano nei processi mentali del pipistrello, ridestando piacevoli pensieri di pace, fratellanza, individualismo, in conflitto con il loro opposto nel condizionamento della Supermente. Fu questo il primo indizio che il controllo della Supermente sul pipistrello stava per spezzarsi; evidentemente, nella caverna, più avanti, doveva esserci almeno una colonna di luce.
La Supermente lasciò che il pipistrello continuasse a volare verso la luce, pronta a farlo indietreggiare non appena le turbe telepatiche fossero diventate troppo forti: il livello di interferenza era ancora sopportabile quando il pipistrello arrivò alla fine della galleria; l’esploratore si appese a testa in giù alla volta, nascondendosi fra le ombre, per osservare il piccolo mondo sotterraneo che si stendeva sotto di lui. C’erano ovunque alti cristalli di ogni colore, che mandavano raggi di luce colorata in tutti gli angoli della caverna. Un’ampia pozza di liquido luminoso, situata all’estremità opposta del locale, illuminava di luce bianca una serie di terrazze di pietra e strisce di vegetazione verde. Il soffitto, alto tre metri sopra la più alta delle terrazze, era coperto di ammassi di minuscoli cristalli lattiginosi, che emanavano una fluorescenza verdastra. Alte colonne di svariati colori erano immobili sul pavimento di pietra che si stendeva come un viale fra le strisce di vegetazione, interrotte da gruppi di cactus-camaleonte, i cui colori, in continuo cambiamento, imitavano alternativamente quelli delle varie colonne. Altre piante crescevano sotto il tetto di roccia: erbe semoventi, cactus vaganti e molte qualità di felci. Sulle terrazze c’erano animaletti scuri, che strisciavano fra le colonne di luce. La Supermente non li aveva mai visti: erano privi di testa e di coda, ed erano forniti di quattro arti pelosi che li facevano somigliare a stelle marine. I corpi, di forma indefinita, erano straordinariamente mobili.
Lo sforzo di resistere al continuo sbarramento rasentale stava indebolendo il pipistrello, che perdeva i suoi poteri di concentrazione e non riusciva più a esaminare con cura la caverna. La Supermente gli ordinò di uscire attraverso la galleria percorsa nell’andata. Poi, avrebbe potuto esplorare uno degli altri corridoi. Non c’erano tracce di Rrengyara né degli svolazzini, nella caverna, per cui era probabile che la comitiva proveniente dal cerchio dei cristalli avesse preso un’altra direzione. Il pipistrello tornò in volo nel piccolo locale in cui la caverna si divideva in tre.
Nello stesso momento, la Supermente ricevette, da due formiche volanti che precedevano il grosso della spedizione, la notizia che era stato avvistato un gruppo di colonne luminose, circondate da erbe semoventi, che, da Nord, si dirigevano rapidamente verso la zona delle caverne, dove sarebbero arrivate nel giro di pochi minuti. Immediatamente, il pipistrello ricevette l’ordine di uscire dalla caverna; all’esterno, l’unità si mise di guardia su un alto pinnacolo roccioso. Da quel punto di osservazione, il pipistrello vide tre colonne color giallo limone e una turba di erbe semoventi arrivare e scomparire subito dopo nell’imbocco della caverna. La Supermente non diede altri ordini. Aspettava che arrivassero le altre unità della spedizione, per riprendere l’esplorazione della caverna.
11
La Supermente era ormai certa che non esistesse un rapporto diretto fra le colonne di luce e gli uomini marini estinti. Però aveva trovato un terzo fattore ipotetico: i miraggi temporali. Dopo quella intensa serie di miraggi, verificatasi tre settimane prima, erano state registrate piccole scosse telluriche che avevano come epicentro l’altopiano. I terremoti continuavano ancora, e talvolta aumentavano di intensità. Fenomeni simili erano stati. scoperti quando erano state costruite nuove gallerie, e la deduzione logica era che le colonne di luce stessero ampliando il sistema naturale di caverne.
La Supermente rifiutava di accettare l’ipotesi delle coincidenze, almeno finché non fossero state scartate tutte le altre possibilità; doveva esistere qualche motivo perché le colonne di luce avevano incominciato a scavare gallerie solamente subito dopo lo scoccare della ora zero, cioè tre settimane prima. Forse le colonne erano riuscite dove gli uomini marini avevano fallito, proiettandosi da un’altra era mediante i miraggi temporali. Questo avrebbe spiegato la mancanza di qualsiasi rapporto tra le colonne e le normali forme protoplasmatiche di vita. Ma avrebbe altresì fatto presumere che le colonne possedevano facoltà di gran lunga superiori a quelle di qualsiasi creatura conosciuta. Significava che in sole tre settimane erano riuscite ad effettuare sull’altopiano tutti i cambiamenti notati dalla Supermente, compresa la trasformazione dell’antico cratere, in bacino di evaporazione dei cristalli. I cristalli, poi, costituivano un altro problema, essendo creature viventi delle quali era stato finora impossibile scoprire una forma di processo mentale. Erano stati creati sull’altopiano, o erano venuti con le colonne, attraverso i miraggi temporali? Certo, la loro comparsa non era dovuta a un normale processo evolutivo.
Un altro punto di inquietante importanza era la serie dì attacchi contro le fattorie periferiche. Erano attacchi strani, che la Supermente non riusciva a classificare. Se avessero voluto, le colonne avrebbero potuto sferrarne di ben più decisi; stando così le cose, invece, facevano più danno i fiori guerrieri. Naturalmente, a questo punto sorgeva la domanda: cosa intendevano fare le colonne? Valeva forse la pena di sacrificare una piccola fattoria per vedere cosa sarebbe successo.
Anche gli animaletti bruni, scoperti nella caverna, costituivano un problema. La Supermente aveva ormai finito di riesaminare i propri ricordi e sapeva che simili animali non erano mai stati visti da quando le formiche dominavano il mondo. Inoltre, non avevano predecessori diretti. Come i cristalli e le colonne, forse erano comparsi spontaneamente. Naturalmente, c’era una differenza, in quanto le creature brune erano composte di protoplasma. La Supermente esaminò l’ipotesi che le colonne avessero creato i cristalli seguendo un processo relativamente semplice; ma avevano anche la facoltà di creare cellule viventi? Era impossibile dare una risposta plausibile, perché troppi erano i fattori ignoti. Tuttavia si erano già verificate situazioni analoghe; e se ne sarebbero verificate ancora. La Supermente si era imbattuta in molti animali strani, subito dopo l’Era Glaciale, nel corso della sua sfortunata spedizione verso Nord: gli stadi dell’evoluzione di quegli animali erano rimasti oscuri per secoli. Analogamente, molti paralleli erano registrati nei ricordi che la Supermente aveva revisionato. Per esempio, la Terra di Sud-Est era stata recentemente teatro dell’invasione di piccoli insetti forniti di tentacoli, che si erano sparsi numerosissimi ovunque, provenendo dalla costa. Col tempo, si sarebbero scoperti i loro antenati. Tutto considerato, la Supermente concluse che non sarebbe stato possibile giungere a una conclusione finale riguardo agli animaletti bruni, prima di possedere altri dati. Fra poco la spedizione avrebbe raggiunto il pipistrello in attesa fuori dalla caverna, e allora alcune unità avrebbero esplorato il sistema di gallerie. Erano state disposti turni di sorveglianza accanto all’ingresso di altre caverne in cui erano entrate le colonne di luce, ma quello era l’unico ingresso che, almeno finora, non fosse stato precluso da una barriera invisibile.
La comparsa degli insetti forniti di tentacoli era un altro dei cambiamenti evolutivi avvenuti a casaccio, registrati nei ricordi che la Supermente aveva esaminato. C’erano anche altri mutamenti altrettanto interessanti. Per esempio i “nastri di palude” avevano cambiato colore, e il loro corpo non assomigliava più a un ammasso di vermi trasparenti. Questi parassiti erano adesso color fiamma, e un gruppo appeso a un ramo di un albero poteva facilmente esser scambiato per un fuocherello, quando le loro lunghe code si agitavano alla brezza. Anche altre creature avevano cambiato colore.
Le libellule erano enormemente cresciute di numero nella civiltà delle formiche, e i corpi degli insetti adulti, vivacemente colorati, costituivano il soggetto di molte sculture mobili, nelle sale di riposo. Le larve delle cavallette, le mostruose ninfe, venivano tollerate perché la Supermente desiderava impossessarsi degli insetti adulti. Forse, dopo un nuovo mutamento, anche le disgustose larve sarebbero potute diventare ambite quanto gli adulti, perché la loro spessa epidermide era coperta di grosse scaglie metalliche che scintillavano al sole. Alcune unità deboli di mente erano rimaste ipnotizzate alla vista di quei mostri ingioiellati che si agitavano nel fango, sul fondo degli acquitrini.
I gatti, che vivevano nel profondo delle foreste vergini, avevano subìto scarsi cambiamenti. I loro sistemi di difesa erano divenuti un po’ più complessi, e i topi erano diminuiti di numero. Tutto qui. I gatti si accontentavano di restare nel loro territorio e rispettavano le unità formiche, non avendo alcun motivo di sospettare che queste ambissero a cacciare gli animali che servivano loro da cibo. Poiché nelle foreste le formiche si limitavano a portar via alberi, non si erano verificati più screzi, dopo il vano tentativo di incorporare i gatti nella Supermente. Ora, le formiche consideravano i gatti alla stregua di un fenomeno naturale, non nocivo se non provocato. L’incredibile resistenza fisica e mentale che si era opposta alle formiche, avrebbe finito col distruggere la civiltà, se la Supermente non si fosse ritirata in tempo. I gatti erano l’unica razza di individui intelligenti indipendenti, noti alle formiche. Gli uomini marini, infatti si erano estinti prima che la Supermente venisse a sapere della loro esistenza.
I topi, che vivevano in società con i gatti, non erano intelligenti e stavano estinguendosi. La popolazione felina non era aumentata.
Un dato costante nei rapporti era la comparsa, sulle spiagge, dì pesci mutati che cercavano di vivere all’asciutto, senza rendersi conto che i loro sforzi erano troppo tardivi. Col nuovo aumento delle radiazioni solari, un sempre maggior numero di pesci stava passando attraverso questa fase di evoluzione e in parecchi luoghi aveva provocato un sorprendente effetto sulle forme di vita esistenti nelle pianure costiere, nella Terra di Sud-Est.
Fin dal principio, nel corso dell’attuale ciclo di radiazioni, le ispide stipe avevano subìto un mutamento spettacoloso. Espandendosi sulle dune di sabbia finora nude, le stipe si erano intrecciate formando una spessa coltre che offriva riparo ai topolini del deserto, ai rondicchi, agli scorpioni e agli altri animali che vivevano sulle coste aride. L’erba accoglieva brandelli di cibi in decomposizione, un regolare rifornimento di escrementi e le carogne degli animali. La simbiosi funzionò per qualche tempo: poi, i piccoli pesci coi loro polmoni rudimentali e le gambe appena abbozzate, incominciarono a vivere fra l’erba spinti da un disperato desiderio di colonizzare la terra. Dapprima restavano solo di notte nei nidi fra le stipe, andando a caccia di cibo nell’oceano durante il giorno; ma, al ritorno dal mare bagnavano le erbe di acqua salata, e in tal modo finirono poco a poco coll’ucciderle. Quando lungo la riva non ci fu più vegetazione, i pesci si addentrarono vieppiù nell’entroterra, e il procedimento continuò fino al giorno in cui i pesci non furono più in grado di raggiungere il mare in un solo giorno. Alcuni si adattarono a cibarsi di quanto trovavano sulla terraferma, altri morirono. La forza della selezione naturale, agendo su geni instabili, accelerò il processo evolutivo. Dopo un centinaio d’anni, strane creature anfibie si muovevano in grandi branchi migratori dalle pianure alle acque costiere e da queste a quelle, impiegando un mese per compiere il percorso. Nelle pianure e nelle dune coperte di stipe la vita dipendeva da queste migrazioni mensili.
Un altro cambiamento ecologico era quello dell’atmosfera. Il plancton aereo era costituito da microscopiche piante e animali unicellulari, che trascorrevano la loro breve vita trasportati nell’atmosfera come pulviscolo, senza mai toccare terra. Essi costituivano l’unico cibo di molti piccoli insetti ed esistevano nella forma attuale fin da molto tempo prima che iniziasse la civiltà delle formiche. Adesso, per la prima volta dopo migliaia di anni, le innumerevoli specie. di plancton aereo stavano subendo un processo di mutazione in massa. Molte si appiattivano, e i loro corpi assumevano bellissime forme geometriche composite, simili a quelle dei fiocchi di neve. Il loro numero stava subendo un vertiginoso aumento, poiché parecchie specie di insetti predatori non si erano ancora assuefatti alle nuove forme di cibo. Per controllare questa improvvisa crescita, le formiche dovevano provvedere all’allevamento di nuove specie di insetti destinati a decimare il plancton aereo.
In una delle regioni deserte, i cactus vaganti avevano dato inizio all’equivalente vegetale degli ossari animali. Soli, o a coppia, i cactus vaganti arrivavano da ogni parte del deserto procedendo a balzi sulla sabbia per andarsi a piantare in una valletta arida, circondata da pareti a picco, dove morivano per disidratazione. Il fondo della valle era coperto di cactus morti, secchi e verdi. Anche altre piante si recavano a morire in quella valle; per esempio, le erbe semoventi e le graziose campanule scintillanti. La Supermente sapeva, come certo sapevano anche le piante, che nelle rocce della valle erano chiuse grosse vene di carbone. Un giorno, le piante morte ammucchiate avrebbero preso fuoco, forse a causa di un raggio dì sole riflesso dal petalo trasparente di una campanula, e allora il carbone si sarebbe incendiato. Una volta iniziate, le migrazioni di morte non sarebbero più finite. Le piante anziane avrebbero continuato a recarsi nel loro cimitero anche quando la valle si sarebbe trasformata in un ammasso infuocato.
Alcune unità artiste, incaricate di decorare le città, avevano previsto il fenomeno e avevano dipinto affreschi in cui si vedevano piante in moto lungo le distese di sabbia gialla, che andavano a immolarsi nella valle di fuoco.
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La spedizione raggiunse il pipistrello sullo spiazzo antistante l’ingresso della caverna. Il pinnacolo di roccia purpurea torreggiava sul gruppo, stagliandosi nitido contro l’azzurro del cielo. La Supermente, senza perdere tempo, inviò subito nella caverna una formica alata. Essendo in grado di vedere grazie ai raggi infrarossi, la formica poté esaminare il luogo con cura, ma non trovò nulla finché non arrivò nel punto più largo, dopo il quale la grotta si divideva in tre rami. Il locale era illuminato da una fievole luminosità bianca, e la formica si arrestò immediatamente. Davanti a lei si stagliavano due alte figure una sottile colonna bianca, e Rrengyara, col corpo annerito cosparso di puntini luminosi. Attorno ad esse roteava una nube vivente di cristalli delle caverne. Nessun pensiero estraneo era percepibile, ma questo particolare non fu sufficiente a rallentare le reazioni della Supermente. La formica ricevette l’ordine di tornare indietro alla massima velocità. Poi, di colpo, e senza il minimo segno di perturbamento mentale, il contatto venne interrotto. La situazione era identica a quella verificatasi con la morte-cattura di Rrengyara. La Supermente ordinò a tre robusti umani di entrare nella caverna, ma ne furono impediti da una barriera invisibile.
Intanto, nei pressi del cerchio di cristalli, il pipistrello che sorvegliava i monoliti colorati era in pericolo. Le colonne color verde limone stavano avanzando verso di lui incapace ormai di riprendere il volo. Il suo corpo non ubbidiva più agli ordini della Supermente. Nel suo cervello era un susseguirsi di interferenze, in cui predominavano gli allettanti pensieri di libertà, indipendenza e fratellanza, trasmessi dalle colonne. Le contraddizioni esistenti fra i tre concetti non li rendevano per questo meno pericolosi. La Supermente ricorse a tutti i sistemi di controllo di cui disponeva, ma senza successo. Il pipistrello reagiva solo alle colonne di luce. I suoi pensieri erano sempre più deboli, fino a diventare offuscati e incoerenti come quelli delle unità relegate nelle grotte dei sogni.
La Supermente ordinò al resto della spedizione di dirigersi in volo, a gran velocità, verso il punto in cui l’esploratore era intrappolato. Se il gruppo fosse arrivato in tempo, avrebbe salvato il pipistrello ricorrendo alla forza della solidarietà mentale. Il tentativo non riuscì per un pelo. Le unità di soccorso erano già arrivate in vista del cerchio quando i pensieri del pipistrello cessarono completamente.
Le unità, sospese a una buona quota al di sopra dei cristalli, videro il pipistrello scivolare dal suo punto d’osservazione e ricadere sulle rocce, accanto alle colonne color verde limone. Impulsi telepatici bisbigliarono nella mente dei soccorritori, che riuscirono però a resistere all’attacco unendo le loro risorse mentali.
Il pipistrello non era morto. Riuscì a riprendere il volo, e, non senza difficoltà, arrivò fino al gruppo degli otto soccorritori che sorvolavano il cerchio. Come Rrengyara, anche il pipistrello si muoveva senza pensare; la Supermente non riuscì a scoprire alcun processo mentale, nonostante i ripetuti sondaggi telepatici fatti mentre esso stava avvicinandosi alle altre unità. Quando si fu avvicinato, incominciò a svolazzare qua e là, come se fosse in preda ad acuti dolori.
La Supermente attendeva. Finalmente, una fortissima carica di energia mentale, formata dai pensieri delle colonne, amplificati molte volte, fu riversata sulle unità di soccorso. Le difese di queste unità entrarono subito automaticamente in azione, e l’attacco cessò dopo meno di un secondo. Il pipistrello ridiscese a terra, accanto alle colonne di luce, in prossimità del cerchio. L’incidente era chiuso, e la Supermente si chiese a che cosa avessero mirato le colonne. Forse quegli “attacchi” non erano che tentativi di mettersi in comunicazione. Ma questa ipotesi non spiegava la catturauccisione di Rrengyara e delle altre unità perdute.
Un altro spuntone isolato di roccia purpurea sorgeva a sud del cerchio di cristalli. La spedizione atterrò sulle sue sporgenze, e di lì rimase a osservare il cerchio e le colonne, in attesa dell’attacco successivo. La Supermente era certa che le colonne di luce avrebbero continuato i loro sforzi per mettersi in contatto mentale, e voleva che le sue unità fossero pronte non appena si fosse verificata la mossa successiva.
Trascorse quasi un’ora. Tutte le creature erano immobili, anche le sfere d’erba. I tredici cristalli colorati stavano ai margini del loro luogo di danza, anch’essi in attesa.
Poi, dietro un macigno di roccia rossa, comparvero due figure in movimento. La Supermente le identificò subito. Si trattava di Rrengyara e della bianca colonna di luce. Migliaia di piccolissimi cristalli della caverna svolazzavano fra i due. La colonna emanava una debole statica mentale. Si fermarono quando ebbero raggiunto le colonne color giallo limone; di lì Rrengyara proseguì da sola, verso lo spuntone su cui erano appollaiate le unità della spedizione. Gli umani che ne facevano parte caddero in preda a strane emozioni, al suo avvicinarsi. Il suo corpo scuro era ancora cosparso di minuscoli cristalli.
Ritta davanti allo spuntone, senza guardare le unità che vi stavano appollaiate, Rrengyara disse: «Dobbiamo parlarti, Supermente della Terra.»
La comunicazione era incominciata.
13
Rrengyara si serviva del linguaggio orale ancora in uso fra gli umani. Il contatto telepatico era più remoto che mai, e perciò la Supermente fu costretta a rispondere attraverso una delle sue unità umane, che scese dalla roccia e andò a porsi davanti a Rrengyara. Lentamente, ricorrendo al linguaggio parlato ormai in disuso, la Supermente venne a conoscenza di tutto quanto riguardava le colonne e le forme di vita loro associate.
La Supermente era esperta di astronomia, e inoltre le sue unità scienziate avevano continuato a studiare il Sole per prevedere gli effetti delle variazioni nelle radiazioni solari. Tuttavia, non aveva mai preso in considerazione la possibilità di servirsi di queste cognizioni sul sistema solare per altri scopi. Man mano che Rrengyara parlava, particolari apparentemente sconnessi nei ricordi della Supermente incominciarono ad acquistare un significato e a connettersi con altri.
Gli antichi umani si erano recati su altri mondi, disse Rrengyara. Al culmine della loro potenza, quegli umani erano arrivati fino al Sole, aggredendolo con le loro macchine. Pur gravemente colpito, il Sole era riuscito a liberarsi di loro. A quel tempo, esso era ancora in fase di auto-riscaldamento, e le sue radiazioni non sarebbero tornate normali finché non fosse guarito. Le radiazioni che provocavano sulla Terra i mutamenti evolutivi erano una delle caratteristiche dello stadio di sviluppo del Sole fanciullo, ed avevano provocato i grandi balzi nel processo evolutivo, verificatisi nel passato, finché, quando il Sole fu adolescente, non si indebolirono. Le radiazioni attuali erano le più forti che si fossero mai attuate nel corso della vita del Sole, e costituivano l’anello mancante che collegava le colonne di luce agli uomini marini. Gli uomini marini erano venuti dal passato, attraverso i miraggi temporali, e le colonne di luce erano venute dal Sole, lungo le onde delle radiazioni solari.
Il Sole era una creatura vivente (cos’altro se non la vita potrebbe sprecare energia in quantità così enorme?) e aveva dei parassiti nel sistema circolatorio. Le colonne di luce vivevano nelle Vie Risplendenti, correnti di materia viva che portavano complessi sistemi energetici a tutte le parti di quell’immane fornace atomica che era il Sole.
Con tutta la loro potenza e la loro grande esperienza, le colonne erano solo dei parassiti della cui presenza il Sole non si accorgeva nemmeno. Dopo l’arrivo e la ritirata degli umani, parecchi gruppi di colonne si erano convinte che la vita sulla Terra sarebbe stata molto più promettente di quella nelle Vie Risplendenti. Dopo aver calcolato il periodo in cui il Sole sarebbe guarito, e aver scelto la più potente esplosione di radiazioni, le colonne di luce avevano abbandonato gli altri parassiti loro simili, intraprendendo il lungo e rischioso viaggio verso la Terra. Il novanta per cento delle colonne era morto prima di arrivare alla meta.
Le colonne di luce che erano riuscite ad arrivare sulla Terra avevano imparato presto che il pianeta era un mondo morto, e che la vita era dominio di strani oggetti di consistenza gelatinosa. Le macchine che avevano affascinato i parassiti solari erano scomparse da secoli. Ma le colonne non si erano date per vinte e avevano dato il via a una nuova civiltà basata sulla loro mente comune. Il lago nel cratere, dove si formavano i cristalli giganti, era stato creato in cinque giorni, e i primi cristalli delle caverne in un tempo minore. Il lavoro di ampliamento del sistema delle caverne era stato iniziato immediatamente. Le erbe semoventi erano arrivate rotolando sull’altopiano, dalle fertili valli occidentali, accompagnate dagli animaletti bruni che la Supermente aveva visto sulle terrazze sotterranee. Le colonne avevano insegnato ai cristalli ad adorare il Sole, e questo era stato il primo passo sulla via dello sviluppo della loro intelligenza potenziale. Il lavoro era proseguito senza intoppi fino al giorno in cui alcune colonne, intente a esplorare le aride valli orientali, non si erano imbattute in un gruppo di piccoli umani.
Da quel contatto fuggevole le colonne di luce avevano appreso che sul pianeta esisteva un’altra coscienza di gruppo, probabilmente ostile. Mentre le colonne facevano progetti per indagare su questa intelligenza, l’esploratrice umana Rrengyara era stata scoperta da alcuni cristalli delle caverne. Era stata catturata e inserita a forza nella mente di gruppo. Studiando gli errori compiuti su di lei, le colonne avevano appreso il sistema di dominare altre creature, senza causar loro danni fisici. Tuttavia, quando i loro emissari si erano recati in alcune fattorie, erano stati respinti da difese mentali apparentemente inespugnabili. Altri esploratori, controllati dalle formiche, erano stati presi; ma il problema della comunicazione non era stato risolto finché le colonne non erano riuscite a far sì che Rrengyara si mettesse in contatto vocale con la Supermente.
Mentre Rrengyara parlava, la Supermente apprese che il suo stesso condizionamento era responsabile del silenzio mentale dei cristalli, delle unità catturate e delle altre forme vitali associate alle colonne. La scoperta della propria impotenza aveva provocato un accidentale blocco mentale. Impulsi mentali in conflitto tra loro avevano sortito il risultato di interrompere i canali di comando, aprendoli contemporaneamente alla ricettività. Allora la Supermente elaborò un metodo per decondizionare le unità, in modo da rendere possibile il contatto mentale diretto con le colonne. In tal modo sarebbero scomparsi i blocchi mentali autoindotti. Fatto questo, bisognava prendere il sopravvento sulle colonne, e la Supermente elaborò subito un metodo per raggiungere, anche questo secondo scopo. Restava tuttavia sconosciuto un importantissimo fattore: la forza di resistenza delle colonne. La Supermente decondizionò in modo parziale una formica alata e, attraverso quella, lanciò una sonda mentale nel cristallo più vicino.
Rrengyara s’interruppe: tramite suo, le colonne di luce dissero: «Smetti subito!»
Il cristallo era una creatura intelligente, dotata di un campo mentale simile a quello umano. La Supermente si ritirò da esso e scandagliò Rrengyara. La sua mente era un vuoto, in cui piccoli pensieri figurativi vagavano nelle tenebre, come meteore nella notte. Il controllo delle colonne trafiggeva quel vuoto come una sbarra cilindrica incandescente. In quelle fiamme, la Supermente vide l’impulso fondamentale che spingeva le colonne di luce: un desiderio istintivo di estendere la vita a tutte le particelle di sostanza inanimata esistenti. Le colonne avevano una visione di una Terra in cui tutto era vivo e sapeva di essere fratello di tutto il mondo vivente. Perfino i sassi avrebbero avuto coscienza e consapevolezza di se stessi.
«Questo deve cessare» disse Rrengyara. «Noi dobbiamo dominarvi.»
«Lo deciderò quando disporrò dei dati necessari» rispose la Supermente; e, senza esitare, lanciò una sonda nella colonna più vicina.
Il risultato fu il caos. Adesso la Supermente sapeva quanto fossero potenti i pensieri delle colonne, se usati come armi. L’onda di forza mentale per poco non ingoiò le unità, prima che si erigessero le difese automatiche. Immediatamente, tutta la spedizione, comprese le unità non ancora giunte sul posto, cadde in uno stato di trance catalettico, che rese possibile alla Supermente di continuare la battaglia senza essere costretta a sprecare energia vitale per mantenere in vita i corpi delle unità. La percezione dell’ambiente circostante cessò del tutto nelle unità, mentre le loro energie vitali venivano usate unicamente per la difesa. Nel giro di pochi secondi l’attacco perse di forza, e la Supermente capì che le colonne di luce non erano in grado di sostenere uno sforzo prolungato, a quel livello. Poteva dominarle. E, mentre se ne rendeva conto, l’attacco cessò completamente.
Le colonne di luce avevano perduto vigore. La Supermente entrò in rapido contatto mentale con la colonna che aveva già sondato. Il parassita delle Vie Risplendenti era capace di pensiero indipendente, come gli umani. E nella struttura psicologica delle colonne esistevano equivalenti delle emozioni umane. Predominava su tutto la vivida visione delle Vie Risplendenti, il paradiso che avrebbe potuto essere ricreato sulla Terra. L’impellente desiderio di espandere la vita a qualsiasi atomo di materia esistente emanava dalla colonna color verde limone, insieme all’intensa brama che tutta la vita non creata diventasse parte di un gigantesco organismo universale.
Mentre la Supermente assorbiva i pensieri della colonna, i ritmi mentali dei suoi associati emanarono onde di disturbo simili a quelle dei fiori guerrieri. L’unità decondizionata, tramite la quale la Supermente stava agendo, incominciò a sognare selvagge battaglie, sconfitte dei nemici, a vedere il sangue che sgorgava dalle ferite...
La Supermente interruppe il contatto per analizzare la breve schermaglia. La colonna aveva approfittato della debolezza interiore dell’unità, invece di cercar di vincere con la forza.