CAPITOLO XVIII

Terrorismo romantico

1. Perché non mi ami? è domanda altrettanto difficile (sebbene assai meno piacevole) dell’altra: Perché mi ami? In entrambi i casi, è una reazione al nostro difetto di controllo del meccanismo amoroso, dato che l’amore ci è arrivato come un dono, per ragioni che non riusciamo mai a capire veramente o a meritare. Nemmeno la risposta stessa ci è di grande aiuto, non essendo in grado di fornirci alcuna spiegazione o motivazione ad agire. La ragione non è in un rapporto di causa-effetto, viene dopo il fatto, è solo una giustificazione per modificazioni più profonde, una superficiale analisi post hoc. Nel momento in cui poniamo tali domande, ci troviamo costretti a spingerci da un lato verso un’assoluta arroganza, dall’altro verso un’assoluta umiltà: Cosa ho fatto per meritare questo? chiede l’innamorato umile; non posso aver fatto niente. Cosa ho fatto per vedermi negato l’amore ? protesta il tradito, reclamando arrogantemente il possesso di un dono che non è mai dovuto. A entrambe le domande, chi tiene in mano l’amore non può che rispondere: Perché tu sei tu - risposta che fa oscillare l’amato pericolosamente e imprevedibilmente tra l’esaltazione e la depressione.



2. L’amore può nascere a prima vista, non muore però con altrettanta rapidità. Chloe deve aver temuto che andarsene, o anche solo parlare dei dubbi sulla nostra relazione, sarebbe stato precipitoso, che c’era il rischio di scegliere una vita che non offriva un’alternativa più favorevole. Fu quindi una separazione lenta, un’opera di riedificazione dell’affetto, che solo gradualmente andava rivalutando se stesso svincolato dal corpo dell’amato. C’era senso di colpa per l’infedeltà sottintesa, e per il residuo senso di responsabilità verso un oggetto un tempo apprezzato, come quando un liquido dolciastro, rimasto in fondo al bicchiere, ha bisogno di tempo per sciogliersi.



3. Quando qualsiasi decisione è difficile, ogni decisione è sospesa. Chloe si comportava in maniera ambigua; così facevo io (poteva qualsiasi decisione essere piacevole per me?). Continuammo a vederci, a dormire insieme, a fare progetti per passare le vacanze di Natale a Parigi. Chloe si mostrò stranamente disponibile a organizzare il viaggio - forse perché era più facile occuparsi di biglietti aerei che dei problemi che stavano dietro il loro acquisto o non-acquisto. La sua indecisione celava la speranza che, non facendo niente, un altro prendesse la decisione per lei; che manifestando la sua irresolutezza e la frustrazione che ne derivava, sarei stato alla fine io a compiere quel passo che lei avrebbe voluto compiere (ma ne era troppo spaventata).



4. Cominciò così il periodo del terrorismo romantico.

«C’è qualcosa che non va?»

«No, perché, dovrebbe esserci?»

«Pensavo che avessi da dirmi qualcosa.»

«A proposito?»

«Di noi.»

«Vuoi dire di te», disse Chloe bruscamente.

«No, di noi.»

«Cioè?»

«Non saprei, in realtà. È solo una sensazione, ma dalla metà di settembre è come se noi non comunicassimo più. È come se tra noi ci fosse un muro, e tu ti rifiuti di ammettere che c’è.»

«Non vedo alcun muro.»

«È proprio questo che voglio dire. Ti rifiuti persino di ammettere che prima era tutto diverso.»

«Da cosa?»



5. Una volta che il partner ha cominciato a perdere interesse, non c’è apparentemente nulla che l’altro possa fare per arrestare il processo. Come la seduzione, la ritirata soffre sotto una coltre di reticenza, un’innominabile questione al centro della relazione: Ti desidero/Non ti desidero; in entrambi i casi, ci vuole un’eternità perché l’uno e l’altro messaggio trovino articolazione. La fine del dialogo è argomento difficile da affrontare, se entrambe le parti non hanno un vero desiderio di ripristinarlo. Così l’innamorato si trova in una situazione disperata: l’incanto e la seduzione dello scambio legittimo sembrano esauriti, non resta che l’irritazione. Per quanto l’innamorato agisca legittimamente (cioè con dolcezza), ne risulta normalmente un’azione ironica, azione che soffoca l’amore nel tentativo di rinvigorirlo. E così a questo punto, nel disperato tentativo di riconquistare a ogni costo la compagna, l’innamorato ricorre al terrorismo romantico, risorsa nelle situazioni estreme, una serie di stratagemmi (malumore, gelosia, senso di colpa) messi in atto nel tentativo di costringere il partner a ricambiare l’amore, crollando (in accessi di pianto, collera o altro) di fronte all’amata. Il partner terrorista sa di non poter realisticamente sperare di vedere ricambiato il suo amore, ma l’inutilità di un’azione non sempre è (in amore come in politica) motivo sufficiente a fermarla. Certe cose sono dette non perché saranno ascoltate, ma perché è importante parlare.



6. Quando il dialogo politico non riesce a ricomporre una vertenza, la parte lesa può, per disperazione, far ricorso all’attività terroristica, strappando con la forza il riconoscimento che non è stata in grado di ottenere pacificamente dall’opposta fazione. Il terrorismo politico è nato da situazioni incagliate, è un comportamento che mescola la necessità di agire di un gruppo con la consapevolezza (totale o parziale) che l’azione non porterà in alcun modo alla realizzazione dello scopo desiderato - e se porterà a qualcosa sarà soltanto ad alienarsi ulteriormente la parte avversa. La negatività del terrorismo rivela tutti i segni di una rabbia infantile, la rabbia per la propria impotenza verso un avversario più forte.



7. Nel maggio 1972 tre membri della Armata Rossa Giapponese, che erano stati armati, addestrati e finanziati dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, atterrarono con un regolare volo di linea all’aeroporto di Lod, nei pressi di Tel Aviv. Sbarcati, seguirono gli altri passeggeri nel terminal e una volta dentro estrassero dalle loro borse mitragliatori e bombe a mano. Cominciarono a far fuoco sulla folla indiscriminatamente, massacrando ventiquattro persone e ferendone altre sette, prima di essere a loro volta uccisi dalle forze di sicurezza. Che relazione c’era tra questo massacro e la causa dell’autonomia palestinese? Gli assassini non accelerarono il processo di pace, incattivirono invece l’opinione pubblica israeliana contro la causa palestinese, e come beffa finale per i terroristi venne fuori che la maggior parte delle loro vittime non erano neppure israeliani, ma appartenevano a un gruppo cristiano di Portorico in pellegrinaggio a Gerusalemme. Eppure l’azione fu da alcune parti giustificata, come il bisogno di sfogare la frustrazione per una causa dove il dialogo aveva smesso di dare frutti.



8. A entrambi non rimase che salvare il weekend a Parigi, così partimmo con l’ultimo volo da Heathrow un venerdì, progettando di ritornare tardi la domenica. Sebbene fossimo in Francia per festeggiare il nostro anniversario, sembrava più un funerale. Quando l’aereo atterrò a Parigi, il terminal dell’aeroporto era buio e deserto. Aveva cominciato a nevicare e soffiava un pungente vento artico. C’erano più passeggeri che taxi, e andò a finire che dividemmo la corsa con una donna incontrata al controllo passaporti, un avvocato che arrivava da Londra a Parigi per una conferenza. Sebbene fosse attraente non ero nello spirito per notarlo, tuttavia civettai con lei durante il tragitto verso la città. Quando Chloe tentava di inserirsi nella conversazione, la interrompevo con un commento rivolto esclusivamente (e seducentemente) alla terza passeggera. Ma il successo nel provocare la gelosia dipende da un fattore determinante: la tendenza della vittima designata a infischiarsene. Ecco quindi che la gelosia terroristica è sempre un azzardo: fin dove potevo spingermi nel tentativo di ingelosire Chloe? Che significato aveva la sua mancanza di reazione? Forse stava solo camuffando la sua gelosia per smascherare il mio bluff (come i politici che si presentano in televisione a dichiarare che non cederanno mai alle minacce dei terroristi), o forse era davvero indifferente, non potevo sapere. Una cosa, però, era certa: Chloe non mi concesse il piacere di una scenata di gelosia ed era amabile, quanto non era più stata da molto tempo, quando finalmente raggiungemmo la nostra camera, in un piccolo hotel in rue Jacob.



9. I terroristi giocano d’azzardo se pensano che le loro azioni dimostrative possano assicurare loro forza contrattuale. Si racconta di un ricco uomo d’affari italiano che un pomeriggio ricevette in ufficio la telefonata di una banda di terroristi, che lo informava di avere rapito la sua figlia più giovane. Per lasciarla libera chiesero un’ingente somma, minacciando il padre che, se non avesse pagato il riscatto, non l’avrebbe più rivista viva. Quell’uomo, però, non perse la testa, e rispose con indifferenza che se avessero ucciso sua figlia gli avrebbero fatto un grande favore. Spiegò che aveva dieci figli, e che tutti erano per lui fonte di grattacapi e preoccupazioni, oltre che costosi da mantenere, frutti disgraziati di pochi momenti di sbadataggine nelle sue prestazioni a letto. Il riscatto non sarebbe stato pagato, se volevano ucciderla erano fatti loro. E con tale brusco messaggio riattaccò il telefono. I rapitori gli credettero e, nel giro di poche ore, liberarono la ragazza.



10. Stava ancora nevicando quando ci svegliammo, la mattina seguente, ma non faceva abbastanza freddo perché la neve attaccasse, così i marciapiedi erano melma marrone, sotto un basso cielo grigio. Avevamo deciso di visitare il Musée d’Orsay dopo colazione, e progettato di andare al cinema nel pomeriggio. Avevo appena chiuso la porta della camera in albergo che Chloe mi chiese aspramente: «Hai la chiave?»

«No», risposi, «mi hai detto un minuto fa che l’avevi tu.»

«Io? Non è vero», rispose Chloe, «non ho io la chiave. Adesso siamo chiusi fuori.»

«Certo non sono stato io. Ho chiuso la porta pensando che avessi la chiave tu, perché non era dove io l’avevo lasciata.»

«Be’, è stato stupido da parte tua, perché io non ce l’ho, così siamo chiusi fuori, grazie a te

«Grazie a me! Per l’amor del cielo smettila di incolpare me, se sei tu che hai dimenticato la chiave.»

«Io non c’entro niente con la chiave.»

In quel momento Chloe si diresse verso gli ascensori e (con tempismo romanzesco) la chiave della camera scivolò dalla tasca del suo cappotto, cadendo sulla moquette color ruggine dell’hotel.

«Oh, mi dispiace. L’avevo io, guarda», disse Chloe.

Io, però, decisi che non gliel’avrei fatta passare liscia, le risposi con asprezza: «Appunto», quindi mi diressi verso le scale in silenzio e con fare melodrammatico, mentre Chloe mi chiamava: «Aspetta, non fare lo sciocco, dove stai andando? Ho detto che mi dispiace».



11. Una collera terroristica strutturalmente valida deve essere provocata da una cattiva azione, anche se piccola, da parte di chi poi quella collera subisce, e si caratterizza per la sproporzione tra l’offesa inferta e il malumore conseguente, e per la punizione assai poco commisurata alla gravità dell’affronto originario: insomma, non può essere facilmente risolta attraverso i normali canali. Da tempo aspettavo l’occasione per fare il sostenuto con Chloe, ma piantare il muso quando non si è stati veramente offesi è controproducente, perché si corre il rischio che l’altro non se ne renda conto e quindi non scatti il senso di colpa.



12. Avrei potuto, in breve, alzar la voce con Chloe, lei di rimando con me, e poi la nostra discussione sulla chiave della camera si sarebbe esaurita da sola. Alla base di ogni malumore è un torto subito, che potrebbe facilmente rientrare, ma che invece è preso al volo dal partner offeso e tenuto in serbo per una detonazione a scoppio ritardato, tanto più sgradevole. Rimandare le spiegazioni dà alle rimostranze un peso che queste non avrebbero se la faccenda venisse affrontata al momento del suo verificarsi. Manifestare risentimento subito dopo un’offesa è atto oltremodo generoso, perché salva il provocatore dal covare sensi di colpa. Non me la sentii di fare a Chloe un simile regalo, così uscii solo dall’hotel, incamminandomi verso Saint-Germain, dove passai due ore a curiosare per librerie. Poi, anziché tornare in albergo a lasciare un messaggio, pranzai da solo in un ristorante e me ne andai a vedere due film, uno dopo l’altro; infine, alle sette di sera, tornai in albergo.



13. Intento del terrorismo è prima di tutto richiamare l’attenzione, in una sorta di guerra psicologica con scopi (per esempio, la creazione di uno stato palestinese) non direttamente collegati alle tecniche militari adottate (aprire il fuoco nel salone degli arrivi all’aeroporto di Lod). Tra mezzo e fine c’è un divario, e la collera si concentra su un argomento che con essa ha ben poco a che fare: sono arrabbiato con te perché mi hai incolpato di aver perso la chiave sottintendeva in realtà il più esteso (ma inconfessabile) messaggio sono arrabbiato con te perché non mi ami più.



14. Chloe non era insensibile e, qualunque cosa io potessi affermare, era generosamente disposta ad assumersene la colpa. Aveva cercato di seguirmi a Saint-Germain, ma mi aveva perso nella folla. Era ritornata in albergo, aveva aspettato un po’, poi era andata al Musée d’Orsay. Quando finalmente ritornai in camera, la trovai che riposava, mi diressi in bagno senza dire una parola e feci una lunga doccia.



15. Chi tiene il broncio è un essere complicato, che lancia messaggi molto ambigui, che pretende aiuto e attenzione, ma allo stesso tempo li respinge se gli vengono offerti, che vuole essere compreso senza dover parlare. Chloe chiese di essere perdonata, dicendo che non sopportava le questioni lasciate in sospeso e che voleva passare una piacevole serata di anniversario. Non le risposi. Incapace di esprimere tutta la portata della mia collera (una collera che niente aveva a che vedere con la chiave), ero diventato irragionevole. Perché non riuscivo a esprimere ciò che provavo? Avvertivo il pericolo di comunicare la ragione vera del mio rancore, che Chloe aveva smesso di amarmi. Il mio malessere era tanto inesprimibile, era così lontano dal problema della chiave dimenticata, che avrei fatto la figura dell’ imbecille a tirarlo fuori in quel momento. La mia collera fu quindi ricacciata dentro. Incapace di manifestare il mio pensiero con lucidità, avevo fatto ricorso a significati simbolici, metà sperando, metà temendo che il simbolo venisse decodificato.



16. Dopo la doccia, finalmente chiudemmo l’incidente della chiave e andammo a cena in un ristorante all’Ile de la Cité. Eravamo entrambi molto ben disposti, attenti ad evitare tensioni, chiacchierando di argomenti poco insidiosi come film, libri e grandi capitali. Poteva sembrare (dal punto di vista del cameriere) che la coppia fosse felice - e che il terrorismo romantico avesse messo a segno una significativa vittoria.



17. Eppure i terroristi comuni hanno un netto vantaggio sui terroristi romantici, il fatto che le loro rivendicazioni (per quanto scellerate) non includono la pretesa più scellerata di tutte, quella di essere amati. Sapevo che la felicità, di cui stavamo godendo quella sera a Parigi, era illusoria, perché l’amore che Chloe manifestava non era spontaneo. Era l’amore di una donna che si sente colpevole perché non prova più emozioni, ma che nondimeno cerca di comportarsi lealmente (per convincere se stessa quanto il partner). Quindi la mia serata non fu felice: il mio broncio aveva funzionato, ma la sua riuscita era stata vana.



18. Può verificarsi che i terroristi comuni, facendo saltare in aria edifici o scuole, riescano a ottenere dai governi alcune concessioni; i terroristi romantici, invece, a causa della fondamentale contraddizione del loro approccio, sono condannati alla delusione. Tu mi devi amare, sostiene il terrorista romantico, ti costringerò ad amarmi tenendoti il muso o provocando la tua gelosia; poi, ecco il paradosso: se l’amore è ricambiato, allora è sospetto e il terrorista romantico non può che lagnarsi, Sono io che ti ho costretto ad amarmi, quindi non posso accettare questo amore, perché non è offerto spontaneamente. Il terrorismo romantico è una richiesta che nega se stessa nel processo della sua determinazione, conduce il terrorista a cozzare contro una sgradevole realtà - che la morte dell’amore non si può arrestare.

19. Mentre ritornavamo a piedi verso l’albergo, Chloe fece scivolare la mano nella tasca del mio cappotto e mi baciò sulla guancia. Non le restituii il bacio, non perché un bacio non fosse la conclusione più desiderata a una giornata terribile, ma perché non sentivo più spontanei i baci di Chloe. Avevo perso la volontà di estorcere amore a un destinatario riluttante.