CAPITOLO VII

Note false

1. Assai prima di raggiungere l’intimità con l’essere che amiamo, può accaderci di provare la strana sensazione di averlo già conosciuto. È come se l’avessimo incontrato da qualche parte, in un’altra vita forse, o nei nostri sogni. Nel Simposio di Platone, Aristofane spiega questa sensazione di familiarità con l’ipotesi che l’amato fosse la perduta e rimpianta «altra metà», al cui corpo eravamo originariamente attaccati. All’inizio, tutti gli esseri umani erano ermafroditi, con schiena e fianchi doppi, quattro mani e quattro gambe e due facce sulla stessa testa, rivolte in direzione opposta. Questi ermafroditi erano così potenti e il loro orgoglio tanto arrogante che Zeus fu costretto a dividerli in due, una metà maschile e una femminile, e da quel giorno ogni uomo e ogni donna anelano a ricongiungersi con la metà dalla quale sono stati separati.



2. Chloe ed io passammo il Natale divisi, ma quando ritornammo a Londra con l’anno nuovo, cominciammo a trascorrere ogni minuto disponibile l’uno con l’altra, soprattutto nelle braccia l’uno dell’altra, spesso nel letto dell’uno o dell’altra. Vivevamo il tipico romanzo di vita urbana di fine ventesimo secolo, compressi tra le ore di lavoro (il telefono come cordone ombelicale quando l’attesa diveniva insopportabile), animati da quel perenne girovagare di passeggiate al parco, visite alle librerie, pranzi al ristorante. Era come se in quelle prime settimane stessimo riscoprendo l’altra metà di un originario corpo ermafrodita. L’armonia derivava da un numero così grande di punti di contatto che era inevitabile concludere che, nonostante mancassero tracce evidenti di separazione, un tempo eravamo stati due parti di uno stesso corpo.

3. Quando i filosofi immaginano le società utopiche, raramente le concepiscono come crogioli di differenze, quanto piuttosto come luoghi caratterizzati da identità di opinioni e unità, somiglianza e omogeneità, tensione verso scopi e presupposti comuni. Era appunto questa corrispondenza che rendeva così avvincente la vita con Chloe, il fatto che dopo infinite, insanabili differenze in faccende di cuore, avevo finalmente trovato qualcuno di cui capivo le battute senza l’aiuto del dizionario, di cui condividevo le opinioni, i cui amori e odi andavano di pari passo con i miei, con cui mi ritrovavo a dire in continuazione: «È fantastico, stavo per dire/ pensare / fare / raccontare la stessa cosa...»



4. A buon diritto gli studiosi dell’amore hanno sempre nutrito dei sospetti sulla teoria della fusione, secondo la quale le diversità tra le persone si possono a tal punto ridurre che due esseri arrivano a fondersi in uno. Il sospetto deriva dall’impressione che sia più facile presupporre somiglianza che diversità (ciò che è familiare non deve essere inventato) e che, in assenza di prova contraria, sempre inventeremo ciò che conosciamo, e non ciò che ignoriamo e che ci incute timore. Basiamo il nostro innamoramento su materiale insufficiente, e integriamo la nostra ignoranza con il desiderio. Ma, come i critici rilevano, il tempo ci dimostrerà che la membrana che separa i corpi non è un confine fisico, ma un simbolo di quelle più profonde contraddizioni di natura psicologica che saremmo folli se cercassimo di oltrepassare.



5. Quindi, in un rapporto amoroso maturo, non si cade a prima vista. Si cade solo quando si avverte la profondità delle acque in cui ci si immerge. Solo dopo uno scambio approfondito sulla vita passata, di opinioni su politica, arte, scienza e preferenze alimentari, due persone dovrebbero decidere che sono pronte ad amarsi, confidando su una base di comprensione reciproca e di affinità confermata, piuttosto che supposta. In una relazione amorosa matura, è solo quando si conosce veramente il partner che si dà all’amore l’opportunità di crescere. Eppure, nella perversa realtà della passione (amore che nasce appunto prima che ce ne rendiamo conto), una conoscenza approfondita può costituire uno steccato più che uno stimolo, perché può portare l’Utopia in un conflitto pericoloso con la realtà.



6. Faccio risalire a un certo momento, verso la metà di marzo, quando mi fece vedere un nuovo paio di scarpe, la percezione che, nonostante le piacevoli somiglianze tra noi, forse Chloe non era la persona dalla quale mi aveva separato la crudele mossa di Zeus. Era certo banale l’episodio su cui basai tale assunto, ma le scarpe si rivelarono un importante segnale di divergenza estetica, e quindi, per estensione, psicologica. Mi è capitato spesso di notare come certe zone e rivestimenti del corpo potrebbero più di altri rivelare lati della personalità: come le scarpe parlano più dei pullover, i pollici più dei gomiti, la biancheria più dei soprabiti, le caviglie più delle spalle.



7. Cosa c’era che non andava nelle scarpe di Chloe? Niente, se vogliamo essere obiettivi (ma si può essere obiettivi in amore?). Le aveva comprate un sabato mattina in un negozio sulla King’s Road, apposta per un party a cui eravamo invitati quella sera. Capii il compromesso tra tacco alto e tacco basso che lo stilista aveva cercato di conciliare; una suola come una piattaforma che si impennava in un tacco, largo come quello di una scarpa piatta, ma alto come uno a spillo. Avevano una linea molto accollata, vagamente rococò, erano decorate da un fiocco e da stelle, e orlate da un nastro sfrangiato. Erano certo all’ultima moda, quelle scarpe, ben confezionate ed eleganti; eppure erano proprio il genere di calzature che detestavo.



8. «Non le trovi fantastiche?» chiese Chloe con enfasi, tutta eccitata dal nuovo acquisto. «Le indosserò ogni giorno, non sono splendide?»

Sebbene amassi lei, la bacchetta magica che avrebbe dovuto trasformare anche le scarpe in oggetti del desiderio non riuscì a compiere la solita alchimia.

«Davvero, avrei comprato tutto il negozio. Hanno cose bellissime. Avresti dovuto vedere gli stivali.»

Fu uno shock vedere Chloe (con la quale fino a quel momento mi ero trovato d’accordo praticamente su tutto) cadere in estasi per quello che io ritenevo, nel migliore dei casi, un orribile paio di scarpe. La mia idea su chi era Chloe, la mia aristofanica certezza su chi lei fosse, non aveva incluso quel particolare entusiasmo. Infastidito dal pensiero di cosa passasse per la mente a Chloe quando le aveva comprate, chiesi a me stesso: «Come può amare allo stesso tempo quel genere di scarpe e me?»



9. Quella scelta in fatto di calzature era uno sgradevole avvertimento che Chloe aveva il suo mondo (al di là delle mie fantasie sull’unione dei corpi), che i suoi gusti non sempre coincidevano con i miei, e per quanto su determinate cose fossimo compatibili, la nostra affinità non poteva estendersi all’infinito. Era un ammonimento che approfondire la conoscenza di qualcuno non sempre è quel piacevole processo che il senso comune crede, perché se è vero che ci si può imbattere in gradevoli somiglianze, si possono anche incontrare minacciose diversità. Osservando le scarpe di Chloe, mi attraversò la mente il fugace desiderio di non approfondire la conoscenza di alcuni lati della sua personalità, perché non stridessero con l’immagine meravigliosa che, dal momento che avevo posato gli occhi su di lei, mi ero costruito nella mia immaginazione.



10. Baudelaire scrisse un poema in prosa su un uomo che, per un giorno intero, cammina per Parigi in compagnia di una donna che si sente pronto ad amare. Si trovano d’accordo su tante cose, così prima di sera lui è convinto di aver trovato l’anima gemella. Assetati, si fermano in un nuovo, scintillante caffè all’angolo di un boulevard. L’uomo vede avvicinarsi una famiglia di operai ridotta in povertà che si ferma a sbirciare, attraverso le vetrine di cristallo, i clienti ben vestiti, le pareti scintillanti e le decorazioni dorate. Gli occhi di quei poveri spettatori sono pieni di meraviglia per quello spettacolo di ricchezza e splendore, riempiendo il narratore di pietà e vergogna per la sua condizione privilegiata. Si volta verso l’amata sperando di vedere riflessi in lei i suoi stessi pensieri. Ma la donna, alla cui anima era pronto a unirsi, dice bruscamente che quei disgraziati, con i loro occhioni spalancati, le sono insopportabili e gli chiede di dire al proprietario di allontanarli. Non ci sono momenti simili in ogni storia d’amore? La ricerca di occhi che riflettano i propri pensieri e che finiscono in una (tragicomica) divergenza - che sia questa la lotta di classe o un paio di scarpe.



11. Forse è vero che le persone di cui è più facile innamorarsi sono quelle che di sé ci dicono assai poco, oltre a ciò che riusciamo a leggere nella loro espressione o nella voce. Nella fantasia, una persona è amore-volmente malleabile, all’infinito. Per il vero sognatore, non c’è niente di più romantico di quelle storie d’amore che scrive solo per sé, nei lunghi viaggi in treno, osservando una persona attraente che guarda fuori del finestrino; una perfetta storia d’amore interrotta quando Troilo, o Criseide, si volta verso lo scompartimento e comincia una sciocca conversazione con i vicini, oppure si soffia il naso in maniera inelegante con un fazzoletto non proprio pulito.



12. Lo sgomento che può portare una conoscenza approfondita dell’amata è come quello di chi, composta nella propria testa una meravigliosa sinfonia, l’ascolta in seguito eseguita da un’orchestra completa in una sala da concerti. Nonostante l’emozione che prova a verificare la sua invenzione durante l’esecuzione, non può fare a meno di notare piccoli dettagli difformi da ciò che lui aveva in mente. Il violinista non è leggermente fuori tono? E il flauto in ritardo nell’intervento? Le percussioni non sono un po’ troppo forti? Le persone che amiamo a prima vista sono meravigliose come una sinfonia composta dentro la propria testa. Sono immuni da conflitti di gusti in fatto di calzature o letteratura, come una sinfonia mai eseguita è immune da violini stonati o flauti tardivi. Ma appena la fantasia è suonata in sala da concerto, gli esseri angelici sospesi nella coscienza cadono a terra e si rivelano quali essere materiali, carichi di tutta la loro (spesso imbarazzante) storia mentale e fisica; veniamo a conoscere quale dentifricio usano e come accorciano le unghie dei piedi, se preferiscono Beethoven a Bach e le matite alle stilografiche.

13. Le scarpe di Chloe erano soltanto una di tutte le note false avvertite nella prima fase della nostra relazione, il periodo di transizione (se si può parlare in termini così ottimistici) tra la fantasia interna e la realtà esterna. Vivere con lei giorno dopo giorno era come acclimatarmi in un paese straniero, ed ero quindi preda di occasionale xenofobia, allontanandomi dalle mie tradizioni e dalla mia storia. Ciò implicava una dislocazione geografica e culturale, costringendoci ad attraversare una vulnerabile fase tra due abitudini, vivere da soli e vivere insieme, una fase in cui (per esempio) l’occasionale entusiasmo notturno di Chloe per un night-club, o il mio per un film d’avanguardia, rischiavano di andare contro le consolidate abitudini notturne, o cinematografiche, dell’altro.



14. Tali minacciose diversità non riguardavano cose importanti (nazionalità, sesso, classe, occupazione), ma piuttosto le piccole coincidenze di gusti e opinioni. Perché Chloe insisteva a lasciar bollire la pasta quei fatali minuti in più? Perché ero così attaccato al mio ultimo paio di occhiali? Perché si ostinava a fare i suoi esercizi di ginnastica in camera da letto ogni mattina? Perché non sapevo rinunciare a otto ore di sonno? Perché non trovava il tempo per l’opera? Perché io non lo trovavo per Joni Mitchell? Perché detestava così tanto il pesce? Come si poteva giustificare il mio disinteresse per i fiori e il giardinaggio? O la sua avversione per le traversate in mare? Come poteva avere idee tanto elastiche riguardo a Dio («almeno fino al primo cancro»)? Ma perché io ero così rigido al riguardo?



15. Sostengono gli antropologi che il gruppo viene sempre prima dell’individuo, che per capire il poi bisogna passare dal prima, sia questo nazione, tribù, clan o famiglia. Chloe non dimostrava particolare attaccamento alla sua famiglia, però quando i suoi genitori ci chiesero di passare una domenica da loro, nella casa nei pressi di Marlborough, la pregai di accettare l’invito. «Vedrai, te ne pentirai», mi disse, «ma se ci tieni davvero ad andare, bene. Almeno ti renderai conto da cosa cerco di scappare da tutta la vita.»

16. Nonostante il suo desiderio di autonomia, vedere Chloe nel suo contesto familiare mi aiutò a capire certi lati del suo carattere, nonché l’origine di alcune differenze tra noi. Tutto, a Gnarled Oak Cottage, testimoniava che Chloe era nata in un mondo (una galassia direi) e io in un altro. Il soggiorno era arredato in falso chippendale, il tappeto di un marrone rossastro era macchiato, rivestivano le pareti scaffali polverosi con volumi di Trollope e riproduzioni di Stubbs, tre cani salivanti correvano dentro e fuori tra il soggiorno e il giardino, in un angolo si afflosciava una pianta corpulenta. La madre di Chloe indossava uno spesso pullover bucato, color porpora, un’informe gonna a fiori, aveva lunghi capelli grigi disordinati. Ti saresti aspettato quasi di trovarle addosso fili di paglia, un’aria di trasandatezza rurale rafforzata dalle ripetute dimenticanze del mio nome (e il suo creativo sforzo di trovarmene un altro). Pensai alla differenza tra la madre di Chloe e la mia, al contrastante rapporto con il mondo che le due donne avevano avuto. Per quanto Chloe fosse fuggita da tutto questo, cercando nella grande città nuovi valori e amici, la famiglia rappresentava ancora un comune bagaglio genetico e storico al quale apparteneva. Notai degli scambi tra le due generazioni: la madre cucinava le patate allo stesso modo di Chloe, schiacciando un piccolo aglio nel burro e spargendovi sopra del sale, e condivideva lo stesso entusiasmo per la pittura, la predilezione per i giornali della domenica. Il padre era un appassionato girandolone, e anche Chloe amava camminare: spesso mi trascinava durante il weekend in un veloce giro per la collina di Hampstead, esaltando i benefici dell’aria fresca come probabilmente suo padre aveva fatto un tempo con lei.



17. Era tutto così strano e nuovo. La casa in cui Chloe era cresciuta evocava un passato che io non avevo colto, e di cui dovevo tenere conto se volevo capire lei. Il pranzo trascorse per la maggior parte in un ping-pong di domande-risposte, tra Chloe e i genitori, su faccende varie del folklore familiare: l’assicurazione aveva rimborsato le spese del ricovero in ospedale del nonno? Era stata riparata la cisterna dell’acqua? Carolyn aveva avuto notizie dall’agenzia immobiliare? Davvero Lucy andava a studiare negli Stati Uniti? Qualcuno aveva letto il romanzo della zia Sarah? Era vera la notizia del prossimo matrimonio di Henry e Jemima? (Tutti personaggi che erano entrati nella vita di Chloe molto prima di me, e che probabilmente, con la tenacia di tutto ciò che riguarda la famiglia, sarebbero stati ancora lì quando io non ci sarei stato più).



18. Era intrigante vedere quanto fosse diversa dalla mia la percezione che di Chloe avevano i genitori. Io l’avevo conosciuta accomodante e generosa, a casa aveva fama di despota esigente. Da bambina era stata una piccola tiranna che i genitori avevano soprannominato Signorina Pompadosso, come l’eroina di un famoso libro di fiabe. Io la consideravo equilibrata con il denaro e il lavoro, il padre sottolineava che la figlia «non capisce gli aspetti più elementari della realtà», mentre la madre scherzava sulla sua «tendenza a tiranneggiare tutti i fidanzati fino alla sottomissione». Alla conoscenza che avevo di Chloe mi vidi costretto ad aggiungere un capitolo intero della sua vita, anteriore al mio arrivo, essendo la mia visione di lei ormai in conflitto con quanto mi arrivava dalla storia della famiglia d’origine.



19. Nel pomeriggio Chloe mi fece visitare la casa. Mi portò nella stanza in cima alle scale che tanto la spaventava da bambina, uno zio le aveva raccontato che nel pianoforte viveva un fantasma. Curiosammo nella sua vecchia camera da letto, adesso adibita a studio per la madre, e mi indicò una botola attraverso la quale si rifugiava in solaio con l’elefante Guppy quando si sentiva infelice. Passeggiammo in giardino, oltre un albero in fondo a un pendio che portava ancora i segni di un urto con l’auto di famiglia, quella volta che lei aveva osato sfidare il fratello a togliere il freno a mano. Mi mostrò la casa dei vicini, con i cespugli di more che d’estate lei depredava, mi raccontò che al figlio del precedente proprietario aveva dato un bacio tornando da scuola.



20. Più tardi, nel pomeriggio, feci una passeggiata in giardino con il padre, un uomo pedante a cui trent’anni di matrimonio avevano ispirato al riguardo particolari teorie.

«Conosco mia figlia, non è di lei che si è innamorato. Non sono esperto in amore, ma voglio dirle una cosa. Alla fin fine, credo che sia irrilevante chi si sposa. Se uno all’inizio ama una donna, probabilmente non l’amerà più alla fine. E se inizia detestandola, c’è sempre la possibilità che alla fine pensi che va tutto bene.»



21. Tornando in treno verso Londra quella sera, mi sentivo esausto, provato da tutte le differenze percepite tra il vecchio mondo di Chloe e il mio. I racconti e gli scenari del suo passato mi avevano incantato, ma terrificanti e bizzarri si erano rivelati tutti quegli anni e abitudini di prima che io la conoscessi, e che invece erano parte di lei, come la linea del suo naso o il colore dei suoi occhi. Provai una gelosia istintiva per il mondo familiare, conscio dello scompiglio che ogni relazione comporta: una persona completamente nuova da scoprire, da presentare a me stesso, con la quale acclimatarmi. Ci fu forse un momento di panico al pensiero di tutte le differenze che avrei trovato in Chloe, di tutte le volte che lei sarebbe stata una cosa ed io un’altra, e i nostri punti di vista sarebbero stati incapaci di allinearsi. Fissando fuori del finestrino la campagna del Wiltshire ebbi, come un bambino smarrito, il desiderio di qualcuno che io già conoscessi a fondo, le eccentricità della cui casa, genitori e storia avessi già addolcito.