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Racconto di Colin Lamb
Appena arrivato a Londra, andai a rapporto dal colonnello Beck. Nel vedermi agitò il sigaro e disse: - Dopo tutto, in quella vostra pazza idea delle mezzelune ci dev'essere qualcosa, sapete?
- Oh, vivaddio, cos'è saltato fuori?
- Non molto, in verità, ma qualcosa comincia a prender forma. Quel vostro ingegnere edile, per esempio, Ramsay, non è affatto quel che vuol apparire. Ultimamente ha accettato degli strani incarichi. Ditte autentiche, ma senza storia. Senza tradizione, diciamo, dato che quelle che hanno una storia non danno oggi molto affidamento. Ramsay è partito all'improvviso, lo scorso agosto, per la Romania.
- Sua moglie ci ha parlato della Svezia, se non sbaglio.
- Può darsi che il marito non le abbia rivelato la verità, come può darsi che lei, pur sapendola, non voglia ammetterla, con gli estranei. Vorremmo sapere qualcosa di più, sul suo conto. Perciò preparatevi a partire, ragazzo. Ho fatto fare un bel passaporto nuovo per voi, con i visti già a posto. Stavolta sarete Nigel Trench.
Botanico. Rinfrescate le vostre nozioni sulle piante rare dei Balcani.
- Qualche istruzione speciale?
- No. Quando ritirerete i documenti vi faremo sapere con chi dovrete mettervi in contatto. Cercate di scoprire quel che potrete sull'ingegner Ramsay. Non mi sembrate molto entusiasta, come mai?
- Oh no, sono contento. E' sempre un piacere riscontrare che il fiuto non ci ha ingannato.
- La mezzaluna era giusta, ma il numero era sbagliato. Al sessantuno infatti abita un imprenditore edile del tutto inoffensivo, almeno per ciò che riguarda il nostro campo. Il povero Hanbury aveva sbagliato il numero, ma non era lontano.
- Avete fatto controllare anche gli altri, o soltanto Ramsay?
- "Diana Lodge" sembra a posto. C'è solamente una lunga storia di gatti che non interessa nessuno. Mcnaughton si è rivelato vagamente peculiare. Come sapete è un insegnante in pensione, di matematica. Molto in gamba, a quanto dicono. Ma ha dato le dimissioni improvvisamente, con la motivazione della cattiva salute. Speriamo che sia la verità, anche se sembra che si comporti in modo un po' strano. Ha tagliato i ponti con tutte le sue vecchie amicizie, e questo non mi pare naturale.
- Il guaio è che ormai tutto quello che fa la gente ci sembra strano, con l'atteggiamento mentale che abbiamo assunto...
- Può darsi che abbiate ragione. A volte io sospetto persino di voi, Colin, e mi domando se, per caso, non siete passato dall'altra parte. E a volte sospetto anche di me stesso e mi domando se non comincio a pensarla come gli altri. E' un grosso pasticcio.
Dato che il mio aereo partiva alle dieci di sera, andai a fare un'altra visitina al mio amico Hercule Poirot. Stavolta lo trovai intento a sorbirsi uno sciroppo di ribes. Me ne offrì un po', ma io rifiutai. George mi portò il whisky, come sempre faceva.
- Avete l'aria depressa, mi pare - fu il commento di Poirot.
- No. Sto per andare all'estero.
Mi fissò, e io assentii.
- Ah, è così?
- Già.
- Vi auguro il migliore successo.
- Grazie. E voi come ve la state cavando con il compito?
- Pardon?
- Ma sì, il compito che vi ho dato: Il caso misterioso degli orologi di Crowdean. Immagino che vi sarete rovesciato all'indietro sulla poltrona, avrete chiuso gli occhi per mettere in moto le cellulette grigie e ora sarete pronto per darmi il vostro responso.
- Ho letto con vivo interesse gli appunti che mi avete lasciato.
- E non ci avete trovato gran che, vero? Ve l'avevo detto che i vicini si erano dimostrati deludenti - rimarcai io.
- Al contrario. Almeno in due casi sono state fatte delle osservazioni assai rimarchevoli.
- Quali?
Poirot mi suggerì in maniera assai irritante di rileggermi le mie annotazioni.
- E vedrete da voi stesso. Salta all'occhio, che diamine! Ora è necessario parlare con altri vicini.
- Non ce ne sono più.
- Ci devono essere. C'è sempre qualcuno che ha visto qualcosa. E' un assioma.
- Sarà un assioma, tuttavia in questo caso non serve. Ho nuovi particolari per voi, ad ogni modo: c'è stato un altro assassinio.
- Davvero? Così presto? Interessante. Raccontatemi.
Raccontai quel che era accaduto, ed egli continuò ad interrogarmi perché non dimenticassi il pi- piccolo particolare. Gli parlai anche della cartolina di Londra ricevuta da Sheila Webb, quella che avevo dato a Hardcastle.
- "Ricorda. 4.13" - ripeté. - Sì, il genere è lo stesso.
- Cosa volete dire?
Chiuse gli occhi.
- A quella cartolina manca soltanto una cosa: un'impronta digitale rossa di sangue.
- Mi prendete in giro?
- No, è il sistema che mi fa ridere.
- Cosa ne pensate di questa faccenda, insomma?
- Si fa sempre più chiara. Come al solito l'assassino non è capace di starsene tranquillo.
- Ma chi è l'assassino?
Poirot aggirò abilmente la domanda e mi domandò a sua volta: - Mentre sarete via, posso fare qualche ricerca?
- Per esempio?
- Domani darò istruzioni alla mia gentile segretaria, la signorina Lemon, perché scriva a un mio vecchio amico avvocato. Ho bisogno di far consultare i certificati di matrimonio di Somerset House. Poi le farò mandare anche qualche telegramma.
- Ma non è giusto! Voi dovete solo starvene qui seduto a pensare.
- Non mi muovo, infatti. La signorina Lemon dovrà soltanto verificare e darmi la conferma di quelle risposte che io mi sono già dato. Non domando informazioni, ma conferme, capite?
- Io sono convinto che non sappiate un bel nulla, Poirot! Il vostro è un bluff. Nessuno sa chi sia il morto, e...
- Io lo so.
- Come si chiama?
- Non ne ho la minima idea. Il nome non ha importanza, comunque. Diciamo che so più o meno cos'era, non chi era.
- Un ricattatore?
Poirot chiuse gli occhi.
- Un detective privato?
Riaprì gli occhi.
- Vi darò una piccola citazione, come ho fatto l'altra volta. E dopo non dirò più nulla.
Recitò con la massima solennità:
Venne il vecchio d'oltremare
e lo fecero ammazzare.