II
Eppure esistono le ragazze come quelle che ho conosciute o sfiorate (non solo sognate) vicine al mio ideale, solo qualche volta che mi sia mosso di qui.
Mi è sembrato sempre facile conoscere dappertutto delle meraviglie, ma proprio appena arrivato, città grossa, posto di villeggiatura, o all’università; e non era un giudizio falsato dall’amor proprio, nei vari luoghi parlando con i giovani di là sentivo che mi invidiavano sinceramente, ma come, a questo ultimo venuto, càpitano tutte le fortune, più di noi, ecc. Ma d’altra parte proprio la naturalezza della cosa, quando càpita, persino sotto le armi, finisce per sembrarmi sospetta: va bene che ne ho parecchio da offrire, e loro lo capiscono subito, ma possibile che sia così semplice solo per me?
È una fortuna che non discuto, è così: quasi tutte le ragazze che incontro in viaggio hanno le qualità giuste per il matrimonio (e proprio quelle che deploro, quando mancano); o almeno mi sembra così; disgraziatamente per forza di cose non è possibile mai frequentarsi molto a lungo, conoscerle in maniera intima e più profonda (ma è soprattutto su una certa lunghezza della conoscenza che io insisto, è la durata che mi pare essenziale) per vedere se anche gli altri aspetti corrispondono alla prima impressione entusiastica. Delusioni e fregature arrivano sempre dopo.
L’anno scorso ho incontrato a Cortina una ragazza che era in albergo a Misurina. Era venuta giù quella volta con la corriera a trovar della gente che aveva la stanza al mio stesso albergo e al mio stesso piano, ma poi per tutto il tempo che sono stato là ancora, andavo su io in macchina ogni giorno.
Era un gruppo di ragazze perugine, amiche, quattro, stavano in stanza due e due; e sembrava che fossero venute su in montagna addirittura tutte quattro col cuoricino spezzato, però mi ha raccontato Laura in seguito che solo dopo essere state insieme qualche giorno avevano confessato i loro dolori amorosi, e si erano decise a tirar fuori tutta la storia.
Quattro perugine malate d’amor: sembra un valzer lento.
Di loro, Giuse e Laura erano una laureanda e l’altra appena laureata in lettere, Tere faceva l’ultimo anno di un liceo artistico; Giuse aveva 21 anni, Laura 23, Tere 19. Poi Maria Pia era la più vecchia, 26 anni, ma sembrava una ragazzina, minuta, carina, gattina, elegante e ben pettinata, con manine sottili e lunghe; ma era la più dritta del gruppo, e aveva più prestigio. Sapeva benissimo le lingue, e faceva la segretaria d’azienda; ma prima per quasi un anno aveva volato come hostess.
Aveva i capelli nerissimi, Tere bruni, Giuse e Laura castani chiari. Giuse si è presa immediatamente una cotta per me, ma io non ho corrisposto neanche per bontà d’animo. Questione di pelle, di capelli e di occhi. Con Maria Pia sarebbe stata una avventura molto divertente; lei sapeva tener testa, e che cosa dire al momento giusto; quel «senso» dei silenzi, della risata opportuna. Sapeva amministrarsi come si deve.
Ma devo ammettere che Tere mi ha attirato nelle prime ore, quando ancora Laura, per qualche cosa che aveva detto o letto, mi dava l’impressione della maestrina saccente. Tere aveva un corpo magnifico, solo un po’ pesante, ma occhi scuri profondi e intensi, solo un po’ sporgenti, capelli coi riflessi caldi, e voce anche calda, e sapeva mettere, cambiare, fare buon uso di scarpe fazzoletti e borsettine.
L’abbiamo vista una sera appartarsi dal gruppo e voltare la testa; e chiamata rispondeva «vengo» senza muoversi. Ma quando siamo stati più vicini gli occhi le luccicavano di lacrime vere, anche se ribatteva «non è niente» o «è una sciocchezza», pronta a ammettere «sì, sono una stupida» pur di troncare il discorso.
Né di lei, né sul conto delle altre due, Laura ha voluto ripetermi una parola, quando magari per scherzo le domandavo di quelle confidenze notturne. C’erano state, collettive, dopo che le sfuggì non poteva negarlo, ma senza un particolare di più. Guarivano da una pena amorosa, tutte, si limitava a riferire come la prima volta, poi cambiava argomento.
«Ma tu le conoscevi già, eravate amiche, prima di venire?». «Così così. Io sono amica di Giuse; con lei sono venuta qui»; e da principio sembrava anzi che tentasse di favorire in ogni modo la predilezione per me di questa amica, ragazza che sembrava camminare sempre su piedi molto più grossi che in realtà.
Ma – e Laura? C’era anche una sua pena amorosa, poi? Non sono mai riuscito a saperne niente. Ogni indagine si arrestava davanti a risatine elusive. Cambiare il discorso qui mostrava una decisione ferma; e regolare poi che si passasse a ridere dietro al Sernagiotto.
Era un dottore commercialista di Genova, non alto e piuttosto rotondo, coi capelli neri lunghi e un gran naso; tutt’altro che ciarliero, ma sornione, e probabilmente buon calcolatore nel mostrare senza ostentazione modi e discorsi da viveur; sui trent’anni circa; e questo Sernagiotto era lì all’albergo da solo.
Chi conosce Misurina sa bene che non esiste un paese; ma solo pochi alberghi dove il passo è più largo intorno al lago, e uno spaccio; alcuni poi di questi alberghi sono adibiti ad usi assistenziali da certe colonie o istituzioni pontificie, e vanno tolti quindi dal calcolo. La popolazione turistica si riduce così a pochissimi maschi, e fra questi si era subito esercitato il calcolo o rilevazione statistica degli «uomini possibili» da parte delle ragazze, già la sera stessa del loro arrivo, una settimana avanti. E risultava l’unico, per il momento, quel Sernagiotto di volta in volta oggetto di muta irrisione («tutto qui? e dovremmo contentarci?») o di una considerazione più attenta. Insomma, se ne parlava.
Senza mostrare tuttavia indifferenza il Sernagiotto non aveva fatto ancora una scelta al momento della mia entrata in scena; e se anche più tardi mostrò una inclinazione verso Tere, la cosa non venne mai nettamente definita, né senza un mucchio d’ambiguità e controsensi.
Io però so fare molto bene la imitazione di Alberto Sordi, e credo che me l’abbiano fatta ripetere almeno dieci volte in quei dieci giorni. Ci si ritrovava spesso tutti insieme davanti all’albergo; e io ho continuato a ignorare deliberatamente, fino alla fine, le occhiate di Giuse, piene di desideri o rimproveri. Cercava, povera ragazza, di mostrarsi interessata con domande sulla mia professione. Una delle prime cose che ha detto mi ricordo che è stata se è vero che mentre i dentisti europei curano la conservazione del dente malato, invece in America lo strappano al primo segno di carie; è proprio così, sono propensi a toglierli tutti, sostituendoli con meravigliosi apparecchi, e questi sono mobili, per facilitare la pulizia, e non fissi come preferiscono farseli mettere qui. Fresco di laurea e di due congressi, se non di esperienza, di queste cose potrei parlare per mezze giornate. Certo fa un certo effetto da noi pensare a gente giovane che di sera si leva gli apparecchi mobili per disinfettarli; dà un po’ l’idea della zitella con la parrucca o dell’invalido con gli arti ortopedici; ma è una pratica più che sensata, e dovrebbe diffondersi contro tutte le prevenzioni. In America è veramente normale, dalle dive del cinema all’ometto della strada; è questo il segreto di tanti sorrisi luccicanti, nonostante la percentuale altissima dei denti cariati per tutte le caramelle che mangiano.
Non si ha neanche l’idea di tutte le porcherie che riescono a penetrare sotto i cosiddetti apparecchi fissi; e dei disturbi che possono dare alla gengiva. Per ragioni igieniche io li sconsiglio. E poi con le porcellane e le nuove resine sintetiche di ogni colore si possono creare dentature splendide.
Con Laura ho passato qualche mattina a remare sul lago; in poco più di mezz’ora andando piano se ne fa il giro completo. Ma nonostante il sole caldo non è possibile farci il bagno: è un’acqua troppo buia e melmosa e piena di erbacce.
Io in montagna non faccio neanche un passo a piedi; lascio che le passeggiate le facciano gli altri. Tanto non sono ancora diventato un carnone in modo preoccupante. Così prendevamo la macchina e facevamo grandi giri, lasciando gli altri alle loro scalate, e a cader giù dalle cime che hanno i nomi di tante disgrazie. Quando muoiono le cordate è una cosa che non mi commuove proprio: facciano come me, stiano giù. Siamo andati ai laghi di Carezza, di Braies, di Alleghe, a San Martino, in val di Fassa e a Canazei, e in un sol giorno tutta la val Gardena, con calma, attraverso i tre passi Falzarego Pordoi e Sella: colazione a Ortisei, e salita all’Alpe di Siusi. Tutte le decine di montagne famose sprovviste di seggiovia, le abbiamo guardate bene dal basso.
Insomma, dopo le primissime volte abbiamo visto sempre meno le tre ragazze e il Sernagiotto, stavamo tutto il giorno insieme io e Laura, in giro o fermi a parlare intorno al lago, e giù nei bar di Cortina. Mi sentivo molto bene con lei; su qualunque argomento toccato aveva qualche cosa da dire, mai stupidaggini: una compagnia ideale.
Non ho preso «la cotta» immediata, no. Anzi, in un primo momento stavo sempre con lei e solo con lei «perché c’era più sugo», fatti i primi confronti era senz’altro lei la più simpatica. E poi: bel corpo, vestita con gusto, pelle luminosa, grandi occhi. Solo alla fine mi sono accorto che le volevo anche bene; e soltanto allora mi sono messo a baciarla.