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«Mémé?»
«Sì?»
«Il giorno dell’incidente... perché non ci hanno portato con loro a quel battesimo?»
«Non lo so. Credo sia stato il nonno a non volerlo.»
«Pépé?»
«Sì.»
«Perché?»
«Non lo so. Mi sembra di ricordare che Jules avesse qualche linea di febbre.»
«Mémé?»
«Sì?»
«Cosa ti hanno detto il papà e la mamma prima di salire in macchina?»
«’A stasera.’»
Ripenso alle mie eterne domande mentre aspetto Starsky davanti al piccolo locale che ospita gli agenti di Milly. Ho messo il lucidalabbra e un po’ di fard. Come prima di andare al Paradis. Quando mi si avvicina col piglio da cowboy, col berretto calcato in testa, mi chiede subito se ho informazioni su quel «maledetto Corvo» che glieli sta «triturando». Gli rivolgo il mio sorriso migliore (tre anni di apparecchio per ridurre le fessure tra un dente e l’altro...) «No, voglio vedere il dossier che avete aperto dopo l’incidente dei miei genitori. Sa, sono rimasti uccisi, in quell’incidente.»
Lui mi guarda con disprezzo e non fa il minimo sforzo per dimostrare un po’ di comprensione. Non sono il suo tipo, è chiaro. «Io ho il sindaco alle costole, quindi ho bisogno del suo aiuto, porca miseria. Soprattutto dopo quello che è successo domenica scorsa.»
Si riferisce alle chiamate che avevano piantato quel gran casino alle Ortensie. «Ma... è stato bello, domenica scorsa: erano tutti contenti.»
«Contenti? Mi sta prendendo per il culo?»
«Non c’erano mai state così tante visite. Sì, è stato bello.»
«E tutti quelli convinti che la loro madre fosse morta? Erano contenti anche loro?»
«Di solito mi metto più nei panni dei residenti che in quelli dei loro familiari.»
«Be’, io mi metto nei panni del sindaco che mi sta scassando le palle! Per cui: niente Corvo, niente dossier Neige.»
«Ma io non ho idea di chi sia!»
«Su, faccia un piccolo sforzo.»
Mentre sono impegnata a parlare con quel panzone di merda sul marciapiede, osservo l’esterno dell’edificio. A un certo punto smetto di ascoltare Starsky ed elaboro un piano: tornare qui di sera e spaccare il vetro della finestra sul retro. È a tre metri di altezza ed è l’unica senza sbarre. Userò la scala del nonno.
«Lei è la più giovane, lì dentro, quindi anche la più sveglia. Veda di arrangiarsi.»
Che delusione. Non ho più voglia di sorridergli e di essere carina con lui. Per non parlare poi di fargli un pompino: no, nemmeno a occhi chiusi, nemmeno immaginando che sia Roman.
«Arrivederci.»
Vado a dar da mangiare al Micione di Madame Dreyfus. Mi aspetta sul marciapiede. Gli verso mezzo chilo di croccantini al pesce in una ciotola e gli cambio l’acqua.
Lo faccio ogni tre giorni. Mentre mangia, gli scatto una foto da mostrare a Madame Dreyfus. È di un rossiccio schifoso, pieno di cicatrici. Non posso toccarlo, non si fida di me. Quand’ero piccola, mi sarebbe tanto piaciuto avere un cane o un gatto. Io e Jules – ma soprattutto io – abbiamo implorato il nonno e la nonna per anni. Ma la nonna rispondeva sempre che il nonno era allergico al pelo degli animali. Tutte palle, ne sono sicura. Il punto era che gli animali erano «sporchi».
Al momento, con Jo e Maria stiamo facendo firmare una petizione a tutti i residenti per avere un cagnolino alle Ortensie. Nelle case di riposo, gli animali domestici dovrebbero essere obbligatori. E rimborsati dal Servizio sanitario nazionale.
Dopo aver fotografato Micione, mi fiondo in camera di Jules e cerco effrazione su Internet.
La cosa buona è che a Milly arrivi dove vuoi in cinque minuti. È il vantaggio di vivere in un buco.
Leggo un po’ di suggerimenti e mi precipito al negozio di père Prost per ordinare un piede di porco e un grimaldello. Invento che sono per mio nonno e, perché la cosa non sembri strana, ordino pure qualche prodotto per la messa in piega della nonna e le batterie per la mia Polaroid. Père Prost mi dice che per la consegna ci vorranno tre settimane.
Io non ho fretta. Aspetterò anche due mesi prima di entrare in quell’edificio. In perfetta coincidenza col ritorno di Roman.