Capitolo 19
Era passata mezz’ora, da quando Dragos aveva perso i contatti stabiliti con Pia attraverso l’incantesimo di localizzazione. Lui e le sue sentinelle arrivarono all’incrocio fra la superstrada 17 e Averill Avenue. Ci trovarono delle auto della polizia, un’ambulanza e un camion dei pompieri che circondavano un pick-up Dodge Ram nero. Allora Tiago, Rune e Grym furono mandati a sorvolare il parco di Harriman, alla ricerca di una Lexus grigia.
Ampio quasi centonovanta chilometri quadrati, il parco era il secondo più grande di New York e ospitava più di trenta laghi e più di trecento chilometri di sentieri di montagna. E anche un passaggio a un’Altra Terra molto grande.
Continuando a nascondere la propria presenza agli umani, Dragos arrivò a terra in picchiata, seguito da Graydon, Bayne e Constantine. Mutò e poi corse verso la vettura del pronto intervento, affiancato dai grifoni.
Graydon si avvicinò a una poliziotta e si presentò. «Che è successo?»
«C’è stata una sparatoria» disse la donna, muovendo lo sguardo da Dragos ai grifoni, con occhi spalancati. «La vittima è un uomo di mezza età; gli hanno sparato in strada. Dei ragazzini lo hanno trovato...»
Dragos ignorò il resto. Con ampie falcate, si allontanò dal camion. C’era una pozza di sangue. Bayne si fermò a esaminare la situazione. Gli sportelli dell’ambulanza erano aperti. Guardò dentro. Due soccorritori stavano lavorando su un uomo.
«È cosciente?» chiese a uno dei due.
«Non può stare qui adesso» gli rispose l’uomo, senza alzare lo sguardo.
Si spinse all’interno, afferrò l’uomo e lo gettò fuori dall’ambulanza. Disse all’altro soccorritore: «L’uomo è cosciente?»
Quello annuì, con occhi sgranati. «Stiamo cercando di stabilizzarlo. Dobbiamo portarlo all’ospedale.»
Dragos salì sull’ambulanza e si accovacciò vicino alla barella. Gli occhi della vittima erano vitrei per lo shock. Lui gli abbassò la mascherina per l’ossigeno e chiese: «Era viva quando l’hanno presa?»
La bocca dell’uomo si mosse. Ansimava, con piccoli respiri affannati, e non aveva un bel colorito. «Che cosa...»
Dragos si fece più vicino. «La donna che hanno rapito. Era viva quando l’hanno presa?»
«Sì... sì, penso di sì...» riuscì a dire fra i singulti. «Sparato... Le hanno... sparato.»
La mano del soccorritore andò su quella di Dragos per afferrare la mascherina e rimetterla a posto. «Per favore» gli disse. «Ha già avuto un arresto cardiaco. Lei se ne deve andare.»
Bayne lasciò andare il soccorritore che aveva sbattuto fuori, mentre Dragos usciva dall’ambulanza. Si fermò, pallido e con i pugni serrati, intanto che Graydon e Constantine li raggiungevano correndo. Attraverso labbra bianche, disse: «Crede che fosse viva. Ha detto che le hanno sparato.»
«Oh, merda» disse Graydon, impallidendo.
Constantine strinse il braccio di Dragos. «Non darla già per morta» disse. «Ricordati che la prima volta l’hanno drogata e rapita, non l’hanno uccisa. La vogliono viva.»
«Hai ragione» disse. Li guardò, con occhi iniettati di sangue. Per la prima volta, riuscì a ripetere ciò che lei gli aveva detto. «È incinta. Urien ha la mia compagna incinta.»
I grifoni lo fissarono, con espressioni di terrore e costernazione.
Poi Tiago disse: Abbiamo trovato la Lexus. Hanno attraversato il confine da qui.
Galvanizzati, i quattro corsero via dalla scena umana e presero il volo per unirsi agli altri. La buona notizia era che la Lexus non aveva tracce di sangue. Il peso che Dragos sentiva sul petto si alleggerì. Riprese a respirare.
Trovarono il passaggio ed entrarono nell’Altra Terra. Dragos aveva sperato fino all’ultimo, ma l’incantesimo di localizzazione lanciato sulla treccia di capelli non resse la separazione e il passaggio nell’Altra Terra. Avrebbero dovuto trovare lei e i suoi rapitori via terra.
Per fortuna, avevano con loro uno dei migliori segugi fra tutte le specie. Tiago procedette a grandi passi, studiando il terreno, finché non partì a correre in una direzione. Rune e Graydon perlustrarono la zona più avanti, mentre gli altri proseguirono via terra con Tiago.
Dragos rimase in aria, nascondendo la propria presenza ed esplorando l’area in traiettoria con Tiago.
La morte era un’altra sua cara amica, e volava al suo fianco.
Pia non aveva idea di dove fosse, né di dove stesse andando. Praticamente la storia della sua vita. Aveva un solo obiettivo: correre il più lontano possibile da Urien, il più veloce possibile. Sperava che lui non avesse nessuna di quelle specie di libellule con sé. Se si fosse trattato di una gara a terra, avrebbe avuto buone speranze.
La campagna ondeggiante alternava zone di fitta foresta a spazi aperti, tappezzati da grandi distese di fiori selvatici. Si fermò sul limitare di un bosco e fece scorrere rapidamente lo sguardo sullo scenario alle sue spalle. Nessun segno o suono di inseguimento.
L’oro, il viola e il rosso scarlatto cospargevano il campo verde smeraldo che aveva appena attraversato. I suoi occhi si posarono su un fiore viola brillante, con petali simili a quelli di un giglio, mentre questo sputava fuori un gambo con uno stame e, con un gesto rapido, catturava un insetto che ronzava sulla punta appiccicosa, per poi ritirarlo all’interno del fiore, con la preda attaccata.
Pia rabbrividì. Non consideriamola una metafora.
Appese la balestra sulla schiena e si tuffò nella foresta, per avere copertura. Evitava tutto ciò che sembrava un sentiero. Se fosse riuscita ad andare abbastanza lontano, avrebbe iniziato a pensare a un modo migliore per nascondere le proprie tracce, ma in quel momento non aveva il tempo di occuparsi di simili sottigliezze.
Una pioggerellina leggera iniziò a picchiettare sulle cime degli alberi, e ogni tanto una goccia riusciva ad atterrare su di lei. Magari, con un po’ di fortuna, avrebbe iniziato a diluviare. Un temporale l’avrebbe aiutata a disperdere il proprio odore.
Il wyr che aveva da poco liberato dentro di sé fremeva per sgranchirsi le zampe e gettarsi in una bella corsa, ma la mente umana di Pia non lo acconsentiva. Sei mesi dopo avrebbe avuto l’occasione di fare pratica con tutti i trucchi che sua madre aveva cercato di insegnarle su come nascondere le proprie tracce, ma in quel caso, non osava cercare di attingere al proprio potere, per paura di commettere uno sbaglio e rivelare la propria posizione.
Ebbe circa un quarto d’ora di pace e tranquillità, poi Urien sibilò nella sua mente: Hai commesso un terribile sbaglio, Pia Giovanni. Ciò che ho fatto al tuo fidanzato non è niente, paragonato a ciò che farò a te quando ti prenderò.
Marameo. Dài, minacciami, minacciami.
La pazza che viveva dentro di lei disse al re dei fae: Posso battere qualsiasi velocità tu stabilisca, coglione. Prendimi, se ci riesci.
Okay, diciamolo. Non fu la cosa più intelligente che avesse mai fatto. Ma lo aveva fatto, perché ne aveva fin sopra i capelli dei cattivi.
La pioggia iniziò a cadere più forte. E lei prese a correre più veloce.
La sua coscienza restrinse il proprio campo d’azione a ciò che la circondava, per evitare gli ostacoli, pianificare il percorso fra gli alberi, e per mantenere i piedi incollati a un terreno che si faceva sempre più scivoloso. Presto fu completamente zuppa. La foresta si faceva sempre più buia e minacciosa.
Poi vide uno spazio aperto fra gli alberi davanti a sé. Riuscì a scivolare per fermarsi, prima di cadere giù da un pendio roccioso.
Così non va bene. Davanti a lei si estendeva un enorme prato ondeggiante. Non era grande quanto la pianura in cui lei e Dragos erano caduti in trappola, ma era comunque troppo grande e scoperta per i suoi gusti.
Si morse le labbra, cercando di pensare. Non poteva tornare indietro. Non doveva andare sui lati. Urien avrebbe sparpagliato i propri uomini mentre la inseguivano. Maledizione. Non poteva fare altro che andare avanti. Magari sarebbe riuscita ad arrivare dall’altra parte prima di essere vista.
Saltò giù dal pendio, colpì il fondo e si lanciò a tutta velocità.
Pia, disse Dragos.
Lei inciampò in una specie di tana di animale e cadde giù. Il dolore le trafisse una gamba. La afferrò e prese a dondolare. Dragos! Accidenti.
Le sembrò di sentirgli dire Grazie, dèi. Per poi chiedere con tono più alto: Dove sei?
Be’, sai che proprio non lo so? disse lei di scatto. Mi hanno drogata ancora e portata in una delle case delle vacanze di Urien. Poi sono scappata, e adesso lui mi dà la caccia, e sono appena andata a finire nella tana di un coniglio o di un altro maledettissimo roditore. Cazzo, cazzo, cazzutissimamente cazzo.
Ti sei fatta male?
Non lo so. Si morse le labbra e, con un grande sforzo, piegò la caviglia. Il dolore salì alle stelle in un attimo.
Riesci a correre?
Non lo so! Si tirò in piedi e cercò di appoggiare il peso sulla caviglia.
Descrivimi il posto in cui sei, domandò lui.
Lei scostò i capelli dal viso, si guardò attorno e gli disse cosa vedeva. La caviglia protestava, ma riusciva a reggere il suo peso. A malapena. Barcollando e zoppicante si mise a correre, ma la velocità che aveva tenuto fino a quel momento era andata.
Ehi, ragazzone, disse stringendo i denti per il dolore. Non immagini quanto sono felice che tu sia venuto, e quanto sia bello sentire la tua voce.
Quanto sei felice che io sia venuto, disse lui inespressivo. Ma che cazzo significa?
Cosa credi che significhi! scattò lei. Lascia perdere. Non posso parlare adesso. È troppo difficile.
Fece un altro sforzo, lottando per guadagnare un po’ di velocità, ma non era possibile. Delle scariche di dolore le trafiggevano la gamba a ogni passo. Se fosse stata un cavallo, si sarebbe fatta sopprimere.
Non ce l’avrebbe fatta.
Si mise le mani sui fianchi, fece un respiro profondo e camminò. La pioggia era piacevole, fredda sul suo corpo caldo. Era a circa metà strada nel prato, quando una pessima sensazione la fece voltare. Guardò all’indietro, verso il limitare degli alberi da cui era appena arrivata.
Urien e i suoi uomini, a cavallo, erano fermi e la fissavano.
Stava saltando dalla padella nella brace. E non era una brace qualsiasi, erano le fiamme dell’inferno. Barcollando all’indietro, sollevò il dito medio verso il re dei fae.
I cavalli scesero giù dal pendio. Con una noncuranza che sapeva di sdegno, lui e i suoi uomini trottarono verso di lei.
Pia prese la balestra dalla schiena. Non appena arrivati a portata di tiro, lei sarebbe stata a tiro per loro. Doveva spiccare nella penombra come un faro. Si strappò la maglietta bianca e la lanciò da una parte, poi si girò di profilo, per ridurre la superficie del bersaglio.
Mi dispiace tantissimo, fagiolino.
Individuò Urien nel mirino della balestra. Il bastardo aveva tirato fuori un sorriso maligno. Andava al piccolo galoppo. Pia fece partire il dardo proprio mentre un altro la colpiva.
Mandandola al tappeto.
Distesa sulla schiena, sbatteva le palpebre sotto la pioggia, che era così piacevole, perciò forse fu l’unica a terra a vedere il drago scendere in picchiata, urlando, squarciando il cielo.
Distendendo gli arti anteriori, con gli artigli spalancati e i denti ben in mostra, Dragos afferrò Urien dalla sella del cavallo. Sbatté le ali per alzarsi in cielo, al di sopra degli alberi; poi gettò la testa all’indietro e ruggì mentre dilaniava il re.
«Ecco il mio ragazzaccio» sussurrò lei. Dio, era bello da togliere il fiato.
Una strana rissa prese forma nel prato. Sembrava venuta fuori da un incubo. I grifoni attaccavano i fae, mentre i cavalli nitrivano, in preda al panico. Le sembrò di vedere una creatura alata, dall’aspetto demoniaco, che squarciava la gola a un fae. C’era un enorme uccello nero che faceva tuonare il cielo a ogni battito delle sue magnifiche ali. I suoi occhi emanavano lampi, ma forse a quel punto Pia iniziava ad avere le allucinazioni.
Graydon si piegò su di lei. «Oh, cazzo, no» sussurrò. La afferrò dalla maglietta lacera e iniziò a premere nel punto in cui il dardo le spuntava dal petto. «Tieni duro, tesoro.»
Lei gli toccò la mano. «Sto bene» cercò di dirgli. «Andrà tutto bene, adesso.»
Pensò di non essere riuscita a far uscire le parole, perché lui si asciugò la guancia sulla spalla e urlò: «Dragos!»
Poi Dragos si gettò in ginocchio al suo fianco, e il suo mondo tornò a posto. Il suo volto era livido, gli occhi tetri. Premette forte sulla ferita sul suo petto e appoggiò una mano sulla sua guancia.
«Pia.» Parlava come se le parole gli venissero strappate dal petto. «Non ti azzardare a lasciarmi. Lo giuro su dio, ti seguirò fino all’inferno se sarà necessario, e ti porterò indietro tirandoti per i capelli.»
Un angolo della bocca di Pia si sollevò. Mise una mano sulla sua, sulla propria guancia. Gli rispose: «Dici le cose più tremende.»
Era stanca, e riposò gli occhi per un minuto.
Più tardi, ricordò una serie di immagini, come perle su un filo.
Aprì gli occhi per scoprire che Graydon le stringeva la schiena contro il suo petto, con un braccio lungo le spalle, e l’altro stretto attorno alla vita. Erano seduti in una gabbia fatta degli artigli delle zampe anteriori di Dragos. Rune stava sopra di loro e li osservava attraverso gli artigli. «Tienila così» gli disse con il volto cupo. «Non farla urtare.»
«La tengo» disse Graydon. «Andiamo.»
Si comportavano in un modo così drammatico, come se fosse una questione di vita o di morte. Alla faccia dei guerrieri grandi e grossi. Si comportavano peggio di un gruppo di scolarette.
Svenne mentre Dragos spiccava il volo.
Quando riprese i sensi, Dragos la teneva in braccio. Avrebbe potuto tenere in mano un bicchiere colmo fino all’orlo, senza versarne una goccia, mentre lui correva lungo la rampa di scale. «Non mi interessa!» ruggì. «Portate qui un dottore, più in fretta che potete. Rubatene uno a Monroe se necessario. Uno di voi voli a New York e prenda il nostro curatore wyr!»
Pia cercò di mettere a fuoco la vista annebbiata. Erano di nuovo a casa di Urien? Sono sveglia, sto dormendo, sono sveglia, sto dormendo. Sono in casa, sono fuori. Adesso sono di nuovo dentro. Sta diventando ridicolo.
E svenne ancora.
Poi le cose si fecero davvero strane.
Era immersa nel potere del drago. Lui l’aveva assorbita. Con ogni respiro, era lui a far lavorare i suoi polmoni. Il cuore esitava. E la grande macchina che era il cuore di lui subentrò per tenere il ritmo. Il potere di Pia iniziò a svanire, ma lui conosceva il suo nome. Le chiese di restare nel proprio corpo. Lei scivolò dentro di lui, intrecciata in maniera inestricabile alla sua forza vitale.
Le sembrò di sentire sua madre che diceva: Non può trattenerti per sempre. Puoi venire da me, se vuoi.
Ma c’era qualcun altro con loro, una piccola e luminosa scintilla testarda. Era una nuova creatura, ma aveva già le sue opinioni. Dragos tratteneva la vita dentro il corpo di Pia, ma il potere di suo figlio pulsava dentro di lei.
Stava cercando di guarirla. Lei si svegliò.
Oh, no, piccolino, sussurrò. Sei troppo piccolo.
Il fagiolino si permise di dissentire.
Un caldo bagliore di energia si diffuse nel suo corpo, tanto simile al potere guaritore di sua madre, e anche suo. Per un attimo tutto divenne brillante, e giusto, e buono. Poi, con delicatezza infinita, il drago posò il proprio potere su quella piccola scintilla di vita, che brillava troppo intensamente, troppo luminosa, e la attenuò fino a farla tornare a posto.
Piccolo tesoro.
Le dita di Pia si mossero sul lenzuolo. Strette da una mano più grande e forte, che le teneva saldamente mentre si addormentava.