Capitolo 12
Dopo un momento in cui rimase pietrificata, Pia si buttò giù dal letto. Afferrò il set da cucito e andò nel guardaroba con passi pesanti. «Non posso credere che tu me lo stia chiedendo!»
Lui la seguì e appoggiò una spalla contro lo stipite della porta. Si era infilato un paio di pantaloni di seta neri. I suoi occhi dorati brillavano. «È abbastanza chiaro che mi hai guarito con il tuo sangue. È per quello che eri così preoccupata di eliminarne ogni traccia. Il tuo sangue dice cose importanti su di te. Non potevi lasciarne in vista.»
Pia guardò la sua sagoma scura in attesa e distolse lo sguardo con determinazione. No, non c’erano parole per dire quanto fosse sexy. Era anche assolutamente insopportabile e non aveva un briciolo di vergogna o di imbarazzo. «Immagino che, quando mi hai promesso di non farmi domande, tu intendessi dire che non lo avresti fatto quando non volevi farlo» disse lei con tono serio. Spinse il kit da cucito in un cassetto e passò davanti a Dragos.
«Certo.» Si voltò per seguirla. «L’ho imparato da qualcuno che conosco. Sai, quella che aveva promesso di non discutere solo quando non voleva farlo» disse, alzando le sopracciglia verso di lei. «Sai chi potrebbe essere?»
Lei gli arrivò davanti come una furia, e gli gettò il dito medio sotto il naso. «Era diverso.»
«Sulla base di cosa?»
«Eravamo in una situazione difficile. Mi riservo il diritto di sapere meglio di te cosa bisogna fare, a volte. Perciò discuterò con te tutte le volte in cui mi sentirò di farlo, ragazzone.»
La bocca di Dragos si appiattì. Lui incrociò le braccia. Era ovvio che restava indifferente al suo dito medio e alla sua postura. «Come hai fatto quando eravamo in macchina e i goblin ci guardavano?»
Lei si accigliò. «Quello è stato uno sbaglio. L’ho già detto e mi sono scusata. E vorrei anche sottolineare che se avessi fatto la brava bambina e avessi seguito ciecamente tutti i tuoi ordini, forse sarei ancora seduta nella mia cella. È stata la mia iniziativa a salvarti il culo.»
«E l’ho già detto anche io» rispose lui, con occhi stretti. Andò a parlarle muso contro muso. «Stai sviando il discorso. Non vuoi proprio parlarne, eh?»
Lei indietreggiò, spalancando gli occhi. «Qual è la parte di ‘su questa cosa non devi farmi domande’ che ti ha suggerito quest’idea?»
Lui la seguì, con aria predatoria, e il corpo che si muoveva con eleganza fluida. «Allora, vediamo, che cosa so? Non c’è serratura che possa fermarti, sei erbivora, devi usare un incantesimo opacizzante per sembrare umana, e tua madre era riverita dagli elfi.»
«Smettila» sussurrò lei. Era come se la stesse scuoiando viva, mostrando ogni cosa dentro di lei.
Non c’era pietà nello sguardo del predatore. «Sai, ho sentito il potere nel tuo sangue, quando ti ho ripulita, in macchina. Poi, nella pianura, quando hai messo la mano su di me, ho creduto che mi avresti buttato per terra. Ma neanche tu eri sicura che avrebbe funzionato. Perché sei una mezzosangue, giusto? Tutte quelle abilità vengono dal tuo sangue wyr. Le hai ereditate da tua madre.»
Lei si voltò e guardò altrove nella stanza. Sembrava molto più piccola di quanto non fosse stata prima. Andò verso le porte-finestre, le spalancò e corse fuori, alla disperata ricerca di un po’ d’aria.
Subito prima di accorgersi che non c’era ringhiera né muretto, ma solo un ampio davanzale all’aria aperta. Le raffiche di vento fischiavano forte fra i suoi capelli. Tutto le girava attorno e iniziava a inclinarsi. Delle forti braccia l’afferrarono e la tennero stretta.
«Cazzo» disse lei, tremante. Si aggrappò a lui. «Non c’è la ringhiera.»
«Sei stata così brava in volo, che ho pensato non soffrissi di vertigini» le disse. La riportò dentro, tenendole un braccio attorno alla vita, mentre chiudeva le porte. Con aria accigliata, la guardò. «Sei bianca come un lenzuolo.»
«Non soffro di vertigini... quando c’è la ringhiera! O un muretto, o un qualsiasi genere di barriera!» Indicò le finestre. «Quello è un volo giù da ottanta piani. Non è una cosa da niente, per uno senza paracadute e senza ali.»
«Pia, il bordo è a una decina di metri da noi, adesso.» Con mano gentile, le accarezzò il braccio.
«Lo so. Ho detto forse che era un comportamento razionale?» disse. L’imbarazzo e lo spavento la resero ancora più irritabile. Non appena recuperò l’equilibrio, si raddrizzò, liberandosi dalla sua stretta. Poi bussarono delicatamente alla porta. Rune e Graydon entrarono. Lei gettò le mani al cielo e disse bruscamente: «Ma non c’è nessuno qui dentro che aspetta una risposta prima di entrare?»
I due uomini si bloccarono. Fissarono Pia, con i suoi capelli biondi arruffati e l’espressione iraconda, la vestaglia rosa corta e le delicate gambe sode fino alle dita dei piedi, con le unghie dipinte di rosso. Poi guardarono Dragos, con i suoi pantaloni neri di seta, il petto nudo e una treccia bionda legata attorno al polso scuro.
Dragos seguì Pia, che si affrettava come una furia verso il bagno. Sbatté la porta. Lui mise le mani sui fianchi e alzò la voce, parlandole attraverso la porta: «Non abbiamo finito di discuterne.»
La porta del bagno si spalancò. Pia scattò. «E mia madre non è affar tuo!» E sbatté la porta di nuovo.
Dragos si girò per guardare i due uomini. Graydon, il più muscoloso dei grifoni, stava scuotendo la testa e tornava indietro nella stanza. Rune stava solo fissando la scena.
«Che c’è?» chiese Dragos.
«Tu chi sei» disse Rune «e cosa hai fatto a Dragos?»
Lui lanciò loro il suo sorriso machete. «Non pensavo che potesse essere così divertente.»
Rune disse: «Pensavamo che fossi pronto a iniziare la giornata. Ci sono un sacco di questioni arretrate che aspettano la tua attenzione.»
Graydon disse: «Adesso andiamo, torneremo più tardi... molto tardi.»
«No, non preoccupatevi.» A grandi passi andò al carrellino del servizio in camera e iniziò a ispezionare i contenuti sotto le campane d’argento. Una nascondeva fiocchi d’avena con noci e mele. Lo richiuse subito. L’altro era mezzo chilo di bacon fritto e sei uova strapazzate. Prese il piatto e una forchetta.
Disse a Graydon: «Preparaci una brocca di caffè.» Si fermò per un attimo, con aria pensierosa. «Per favore.»
Graydon girò la testa da un lato e spalancò gli occhi verso Rune, mentre diceva: «Sì, signore.»
Dragos si sistemò su uno dei divani, prese il telecomando e accese sulla CNN. Mangiava la sua colazione in bocconi veloci ed efficienti. Rune si spaparanzò su un altro divano. Graydon portò tre tazze di caffè dall’angolo bar.
Con gli occhi sulle notizie del mattino, Dragos disse: «Niente più intromissioni.»
«Mai più» disse Graydon. Il grifone parlava con tono molto convinto. «Spargeremo la voce.»
«Lo avrà di certo già fatto la fae della colazione» commentò Dragos con la bocca piena di bacon. «È a voi due pagliacci che è sfuggita la notizia.»
«La fae della colazione.» Rune mise pollice e indice agli angoli degli occhi e tossì. Degli occhi divertiti incontrarono i suoi, poi si rigirarono verso il nastro telescrivente che scorreva sullo schermo al plasma.
«Quali cose aspettano la mia attenzione?»
Finì la colazione mentre ascoltava. Scorsero una lista che comprendeva questioni interne, amministrative, economiche e militari. Lui rispose sempre con la sua solita fermezza. I due grifoni iniziarono a trasmettere i suoi ordini telepaticamente alle persone incaricate.
La porta del bagno si aprì e una ventata di profumo Chanel invase la stanza. Gli uomini si ammutolirono. Pia uscì con addosso la sua vestaglia rosa corta. Entrò nel camerino e chiuse la porta.
Dragos aggrottò la fronte. «Trovate un personal shopper per Pia. E assicuratevi che sulla lista delle cose da comprare ci sia una vestaglia più lunga.»
«Va bene.» Graydon sembrava vittima di una tortura.
«I muratori hanno finito di riparare l’altra camera da letto?»
«Quasi» disse Rune. «Ci sono stati dei danni strutturali quando hai... ehm... preso a pugni il muro. Si stanno impegnando per essere il meno rumorosi possibile. Dato che si trovano all’altro capo dell’edificio, il rumore non dovrebbe essere insopportabile. Sanno già che potrebbero doversi fermare, a volte, e sono preparati a organizzarsi in funzione dei tuoi impegni, se necessario.»
Lui guardò fuori dalle finestre e si strofinò il mento. «Quando avranno finito, fate mettere anche un muretto sulla balconata. Dite loro di andare a metà dell’edificio e di mettere delle ringhiere con dei cancelletti su ogni sezione. Ci resterà comunque un sacco di spazio aperto.»
Pia emerse con indosso dei jeans a vita bassa e una maglietta blu a maniche lunghe che le lasciava scoperta metà della pancia. Sotto un braccio portava una borsa di stoffa chiusa da una zip. Si fermò e fece scorrere lo sguardo dai tre uomini al carrellino della colazione, fino al letto disfatto, con espressione titubante. Sembrava molto più calma.
Dragos si drizzò dal divano e andò fino al carrellino. «Vieni a fare colazione con noi» disse. Mise il suo piatto vuoto sul carrello e prese la ciotola di fiocchi d’avena e un cucchiaio. «Ti va un po’ di caffè?»
Lei annuì, seguendolo fino ai divani. Graydon scattò in piedi.
Dragos mise i fiocchi d’avena e il cucchiaio su un tavolinetto vicino al divano su cui era seduto. «Te ne prendo una tazza» le disse. Graydon si fermò a metà dalla propria sedia.
Lei lanciò a Dragos un’occhiata diffidente. «Stai facendo il ruffiano?»
«Ma certo.» Si piegò per baciarla al volo. Un colore scuro le toccò la guancia. Lui le sfiorò uno zigomo delicato.
Pia guardò di traverso gli altri due uomini. Erano vestiti con jeans e magliette. Delle giacche di pelle erano buttate sullo schienale del divano, e ognuno di loro indossava una fondina ascellare e una pistola. E immaginò che avessero molte altre armi nascoste addosso.
Graydon aveva l’aria di chi assiste a un disastro ferroviario. Rune era sdraiato, con le lunghe gambe ben distese e un’espressione indecifrabile. Lei si raggomitolò in un angolo del divano, ringraziò Dragos per il caffè, intanto che lui si sedeva al suo fianco, e si concentrò nel tenere la testa bassa e fare colazione, mentre gli uomini parlavano. Aveva di nuovo così tanta fame che quasi inalò i fiocchi d’avena.
Tirò fuori dalla borsa una bottiglietta di solvente per unghie, dei batuffoli di cotone e una boccetta di smalto per unghie rosso-rosa. Tolse lo smalto rosso scheggiato, infilò i batuffoli di cotone fra le dita sottili dei piedi e iniziò a stendere lo smalto sulle unghie.
Da ciò che diceva Dragos, la Torre Cuelebre era una piccola città. Solo ascoltando gli uomini ebbe una vaga idea di quanto vasta e complessa fosse la Cuelebre Enterprises. Era una multinazionale di portata globale.
La conversazione si interruppe. Lei alzò lo sguardo. Dragos si era rivolto verso di lei, con una lunga gamba ancorata sul cuscino del divano e un braccio appoggiato lungo lo schienale. Con la testa piegata, la guardava lavorare. Lei lanciò un’occhiata agli altri due uomini. Continuavano a non essere particolarmente socievoli. Abbassò lo sguardo sulle unghie dipinte a metà e le guance le si infiammarono.
«Vado in bagno» disse.
«No» disse Dragos. «Devi sentirti a tuo agio, qui.»
Lei sospirò e brontolò: «Non puoi ordinare alle cose di accadere, ragazzone.»
«Io posso ordinare qualsiasi cosa» le disse lui.
Lei fece roteare gli occhi. Decise di cercare di ignorare gli altri due uomini e tornò a mettere lo smalto sulle unghie. Finì un piede e iniziò con l’altro.
«C’è nient’altro?» chiese Dragos ai grifoni.
«Un’ultima cosa» disse Rune. «L’Alto Signore degli elfi insiste nel chiedere una teleconferenza in cui avere prova del fatto che Pia sta bene. Sta diventando un po’ un problema.» Gli occhi gialli e inespressivi del grifone caddero su di lei; poi lui distolse subito lo sguardo.
Un’ira improvvisa le bruciò dentro. «Io non sono un problema» dichiarò. Finì di pitturare l’unghia dell’ultimo dito. «Sono un elemento dell’analisi tattica.»
Dragos lasciò cadere una mano sulla sua spalla. E la strinse. Lei lo guardò di traverso. Lui le sorrise. E disse a Rune: «L’Alto Signore degli elfi può andarsene a fare in culo. Puoi citarmi testualmente.»
«Signorina Giovanni,» disse Rune «mi perdoni. Non intendevo dire che lei è un problema. Volevo dire che gli elfi stanno trasformando la situazione che la riguarda in un problema.»
Con il mento appoggiato su un ginocchio sollevato, Pia guardò il grifone. Le scuse sembravano molto poco sentite, il suo bel viso era troppo tranquillo.
Sei furbo, ma io non credo tu volessi dire quello. Lo guardò con un’espressione dura, e si assicurò che lui la vedesse.
Ma non era il momento di sollevare un’altra discussione. Perciò disse: «Se stanno trasformando la mia situazione in un problema, perché non la sistemiamo?» Si rivolse a Dragos. «Potresti organizzare una teleconferenza con me presente.»
Lui mise un po’ troppo in mostra i denti bianchi, mentre diceva: «Non ho nessuna intenzione di assecondare le richieste di quello stronzo.»
Lei mise via lo smalto e appoggiò le mani sopra le sue. «È così importante?» gli chiese. Lui la guardò da sotto le sopracciglia scure abbassate, con occhi d’oro ostinati. Lei gli strofinò il pollice sul dorso della mano. «Non sarebbe meglio se gli elfi si tappassero la bocca e sparissero? E se la smettessero di farsi prendere un colpo quando gli attraversi il cortile? Non gli hai mica mangiato i tulipani o scavato buche nel prato. Non hai fatto pipì contro gli alberi quando non guardavo, vero?»
Le nubi minacciose che avevano oscurato il suo viso si aprirono. E lui rise. «Se ci avessi pensato, lo avrei fatto.»
Rune sorrise. E Graydon scoppiò in una risatina, per poi coprirsi la bocca con una mano grande quanto un piatto da portata.
Lei abbassò la testa e sfilò i batuffoli di cotone che teneva fra le dita dei piedi. Non l’avevano accettata. Ma almeno era qualcosa.
Mentre Dragos faceva la doccia e si vestiva, Pia cedette a un bisogno che la divorava da quando Rune e Graydon erano entrati nella stanza, e fece il letto con rapida efficienza. Dopo si sentì meglio, meno esposta, anche se era chiaro come il sole che lei e Dragos avevano dormito insieme la notte precedente. Tenne il viso nascosto alle occhiate clandestine dei grifoni, sempre con la CNN in sottofondo.
Dragos venne fuori con degli stivali, pantaloni militari e una maglietta nera che si modellava attorno al suo torso muscoloso. Il messaggio nascosto nella sua tenuta non le sfuggì. Era ancora in modalità combattiva. Lei gli passò di fianco per prendere un paio di sandali. Ne scelse un paio nero con delle cinghie con lustrini argentati e il tacco basso. Rimpianse le scarpe da tennis. Le erano costate una follia, fatte su misura, e dubitava che si potesse lavare via abbastanza sporco e sangue secco da farla sentire a suo agio nell’indossarle di nuovo.
Dragos fece strada verso il piano inferiore. Pia fu costretta a trottare per stare al passo. Rune e Graydon li seguirono. Lei si guardava attorno, osservando quante più cose poteva, restando in movimento. Si sentiva allo sbando. Non conosceva la forma dell’attico, e il percorso che facevano non la aiutava a capirla meglio. Passarono davanti a un’enorme palestra con attrezzatura per l’allenamento aerobico, i pesi e un’area di addestramento con le armi. Attraverso i vetri, fissò i quattro wyr impegnati in un esercizio con le spade, e quasi andò a sbattere contro una parete. La mano di Dragos spuntò fuori e corresse la sua traiettoria.
La sua presenza era un ariete che apriva loro la strada. La gente faceva largo quando si avvicinavano, salutandolo con vari cenni, inchini e altri segni di rispetto. Lei cercò di evitare di concentrarsi su dei visi in particolare, in quel mare di facce sconosciute e occhiate incuriosite.
Arrivarono a una sala riunioni riccamente arredata e progettata sulla stessa scala gigantesca di tutto il resto. Un paio di persone erano già lì. La fae PR della Cuelebre Enterprises, Thistle Periwinkle, stava in piedi in una posa formale, con le mani strette in vita. Era vestita con un tailleur con i pantaloni di seta blu chiaro e dei sandali da gladiatore. Non più alta di un metro e cinquanta, sembrava ancora più minuta quando era circondata da wyr enormi. La fae era rivolta verso una parete e parlava in elfico. La teleconferenza era già iniziata.
Dragos prese Pia per mano e andò avanti. Guardandola con curiosità, la fae si spostò per fare loro spazio. Dragos si voltò per guardare il grande schermo piatto sulla parete di fronte. Rune e Graydon presero posto dietro di loro.
Tre elfi alti e snelli riempivano lo schermo. Stavano in un ufficio luminoso, molto simile alla sala riunioni. Ferion stava sulla destra. Una elegante elfa con lunghi capelli neri e uno sguardo luminoso come le stelle stava a sinistra. L’elfo nel mezzo aveva la stessa bellezza senza età degli altri, ma il potere nei suoi occhi era palese anche attraverso la distanza della teleconferenza.
Le loro espressioni erano tutte fredde, nel guardare Dragos. Lo sguardo dell’Alto Signore degli elfi si illuminò. Dragos sembrò restare indifferente, con il corpo in atteggiamento aggressivo. Il suo volto era diventato minaccioso, gli occhi piatti e malvagi.
E va bene. Forse non era stata proprio un’ottima idea.
L’Alto Signore degli elfi guardò lei, e la primavera giunse sul suo elegante viso, freddo come l’inverno. «Vediamo che Ferion non aveva esagerato» disse con voce profonda e musicale. Piegò la testa verso di lei. «Signora, è un nostro grande onore conoscervi. Sono Calondir, e questa è la mia consorte, lady Beluviel.»
Un tremore leggero si insinuò sotto la pelle di Pia. La sensazione di essere troppo esposta era tornata, e quella volta era tutt’altro che sopportabile. In quella lunga serie di cattive idee, fare quella teleconferenza davanti a dei testimoni scalò immediatamente le prime posizioni della classifica. Le dita di Dragos si strinsero sulle sue fino a farle male.
Lei fece un respiro profondo. Era troppo tardi per tirarsi indietro. Magari avrebbe pensato a come destreggiarsi nell’ennesimo casino. «È un onore conoscervi» disse. «Vi prego di perdonarmi. Non ho alcuna istruzione sui cerimoniali di corte.»
L’elfa le sorrise. «Quel genere di cose non è niente davanti a un cuore buono.»
Dragos disse: «Volevate vedere se stava bene. Sta bene. Abbiamo finito.»
«Aspetta. Vogliamo sentirlo dire da lei» rispose freddamente Calondir. L’Alto Signore degli elfi guardò Pia. «Signora, state bene?»
Lei guardò il volto gelido di Dragos e poi tornò a rivolgersi agli elfi. E impulsivamente rispose: «Vengo trattata con straordinaria gentilezza, mio signore. Anche se non volevo farlo, ho commesso un crimine. Dragos ha ascoltato le ragioni che mi hanno spinta a farlo e ciò che è accaduto. E ha scelto di perdonarmi. Con tutto il rispetto, vi chiederei di valutare la possibilità di fare lo stesso con lui. Le sue azioni non vi hanno in alcun modo danneggiati. Ma le mie hanno danneggiato moltissimo lui, e io ne sono mortificata.»
Ci fu un po’ di agitazione nella sala riunioni, un sussulto. Dragos si girò a guardarla. L’Alto Signore la fissò per un lungo, intenso momento. «Rifletteremo sulle vostre parole» disse alla fine. «Se la Grande bestia è capace di avere pietà, forse noi non possiamo essere da meno.»
Sentendosi impacciata, si inchinò all’Alto Signore degli elfi. «Grazie. Lo apprezzo molto.»
«Nel frattempo, vorremmo chiedervi di venire a trovarci» disse Beluviel. I suoi occhi sorridenti erano caldi. «La vostra presenza ci darebbe grande gioia. Potremmo parlare... be’, di cose di un lontano passato.»
Pia capì che quella frase voleva dire che Beluviel aveva conosciuto sua madre, e le aveva voluto bene. I suoi occhi si velarono e lei annuì.
Dragos si fece avanti e la spinse dietro di sé. Il gesto fu inconfondibilmente possessivo. Nonostante la sua vista fosse limitata, dietro la sua spalla, Pia riusciva a vedere che gli elfi si erano irrigiditi. «Smettila! Ma che diavolo ti ha preso?» gli sussurrò. Cercò di spingergli via il braccio. Era come cercare di muovere un macigno. Lui roteò il busto per guardarla. Lei si piegò da un lato per guardare oltre Dragos e promise agli elfi: «Gli parlerò io.»
L’Alto Signore degli elfi sollevò le sopracciglia. Il volto di Ferion era l’immagine dell’offesa. Beluviel sembrava sorpresa. L’elfa aveva appena iniziato a sorridere quando lo schermo si spense.
Dragos si girò verso di lei. Sembrava furioso. «Non andrai a fare visita agli elfi!»
«Ho detto che sarei andata a fare visita agli elfi?» scattò lei. «Mi sforzavo di essere gentile! Prova a cercare questa parola sul dizionario, ogni tanto!»
Guardandosi attorno, lui disse: «Fuori.»
La stanza si svuotò. Thistle lanciò a Pia un sorriso a trentadue denti, con uno sguardo luminoso. La fae sollevò la mano verso la guancia, con il pollice e il mignolo distesi nell’imitare la cornetta di un telefono. «Ci sentiamo» sillabò con la bocca, senza parlare, mentre sloggiava.
Pia tirò forte. Dragos si rifiutava di lasciarle andare il braccio. Lei sospirò e si coprì gli occhi con la mano, abbassando le spalle. E borbottò fra sé e sé: «Come sono finita qui e che cazzo sto facendo?»
Di fianco a lei, Dragos fece diversi respiri profondi. Lei riusciva a sentire l’aria attorno a lui che ardeva di potere. Era molto arrabbiato con lei, forse per la prima volta da quel giorno sulla spiaggia. Lasciò andare il braccio e iniziò a camminarle attorno.
«Gli elfi sanno più cose su di te di quante ne sappia io» le ringhiò nell’orecchio mentre passava. «È inaccettabile. Sanno chi era tua madre. Anche questo è inaccettabile. Vogliono che tu vada a vivere con loro. Sono miei nemici.»
L’essere tanto esposta, lo stress costante, le incertezze della sua situazione, all’improvviso divennero troppo. «Io volevo solo cercare di aiutarti!» esplose. Si gettò le braccia sopra la testa e scoppiò in lacrime.
Lui iniziò a imprecare, le parole scorrevano come un fiume di livore. Le mise le mani sulle spalle. Lei si scansò e gli voltò le spalle. Lui le mise le braccia attorno da dietro. E la tirò a sé, piegandosi attorno a lei, mettendo la testa di fianco alla sua. «Sssh» disse, ancora arrabbiato. «Smettila. Calmati.»
Lei singhiozzò ancora più forte e piegò le spalle, opponendosi alla sua stretta.
Il corpo di Dragos si irrigidì. Lui disse: «Pia, ti prego, non allontanarti da me.» Sembrava provato.
Attirò la sua attenzione, e lei si lasciò rigirare. La fece appoggiare con la schiena al tavolo da conferenza, le abbassò le braccia e la strinse forte. Lei piegò il corpo su di lui, e mise la testa sulla sua spalla.
«Non avrei dovuto dire niente a nessuno, su di me» disse. Le lacrime scorrevano lungo il viso e inzuppavano la maglietta di Dragos. «Avrei dovuto vivere la mia vita in gran segreto. Ma non volevo essere sola. Ho rivelato soltanto un dannato segreto, e questa cosa continua a crescere come una valanga dietro di me. Prima Keith, poi tu, poi gli elfi, i goblin, poi il re dei fae, poi di nuovo gli elfi, e tutta la gente in questa stanza che guardava, e tu che continui a scavare, a scavare dentro di me e non ti fermerai finché non mi metterò a urlare.»
Lui abbassò la guancia sulla sua testa e le accarezzò la schiena. «Soffro di un grave caso di curiosità terminale» disse. «Sono geloso, egoista, avido, territoriale e possessivo. Ho un pessimo carattere, e so di poter essere un crudele figlio di puttana.» Piegò la testa. «Un tempo mangiavo le persone, sai?»
Se voleva scioccarla per farla smettere di piangere, ci riuscì. Lei fece un verso infastidito. «È terribile» disse. Aveva il naso chiuso. «Voglio dire, è terribile. Non è divertente. Non mi fa ridere.»
Lui sospirò. «È stato tanto tempo fa. Migliaia di anni fa. Un tempo ero davvero la bestia di cui parlano gli elfi.»
Lei chiuse gli occhi, fece un profondo respiro tremante e strofinò le dita lungo le cuciture della maglietta di lui. «Cosa ti ha fatto smettere?»
«Ho fatto una chiacchierata con una persona. È stata un’illuminazione.» Aveva un tono triste. La fece oscillare. «Da quel momento in poi, ho giurato che non avrei mai più mangiato qualcosa che potesse parlare.»
«Ehi, è un po’ come se fosse la tua versione dell’essere vegetariano, no?» disse lei.
Lui rise. «Immagino di sì. Tutto questo è un modo un po’ lungo per dirti che mi dispiace. Non sempre colgo le sfumature emotive delle situazioni, e non volevo farti piangere.»
«È un po’ tutto, non è solo colpa tua.» Lei girò la testa e affondò la faccia nel suo collo.
Lui la strinse più forte. «Voglio che tu ti fidi di me più di quanto ti fidassi di quel coglione del tuo fidanzato.»
Lei sospirò. «Quando la smetterai con questa storia? Ex fidanzato. Ex. E comunque è morto.»
«Voglio che tu mi dica chi e che cosa sei, non solo perché lo voglio sapere, ma perché tu me lo vuoi dire.»
«Perché?» sussurrò lei.
«Perché sei mia» disse lui di colpo.
«Io non sono una proprietà, come una lampada.» Si allontanò e lo guardò. Lui ricambiava il suo sguardo, con viso duro e occhi per nulla dispiaciuti. Pia sospirò. «Immagino che questo sia il lato possessivo e territoriale, giusto? Sai, non voglio litigare con te.»
Come qualsiasi predatore efficiente, lui fiutò quella debolezza e si comportò di conseguenza. «Allora non farlo» disse. Le fece un sorriso per convincerla. «Dammi tutto quello che voglio e basta.»
Lei emise un lamento e lasciò cadere la testa all’indietro. Fissò il soffitto. Doveva ammettere che gli doveva parecchio rispetto. Lui almeno era completamente in mostra, non nascondeva nulla. Era sincero su ciò che era e su cosa voleva, e non se ne vergognava per niente. Non come lei.
«Immagino di avere molte cose su cui riflettere» disse lei.
Anche se gli piaceva restare a guardare la linea semplice e delicata della sua gola, Dragos aggrottò la fronte. Non era ciò che voleva sentire. Le mise una mano dietro la testa e la spinse verso l’alto, così da poterla guardare negli occhi. Erano di un viola profondo e brillante, più grandi e più belli che mai. Lei ricambiò il suo sguardo, aspettando di scoprire la sua prossima mossa. Lui non voleva neanche quello.
Eccola lì, nella sua pelle, ed era più misteriosa che mai per lui. Lo stava facendo impazzire. La curiosità lo attanagliava, e senza accorgersi del passo importantissimo che stava facendo, le chiese: «Tu cosa vuoi?»
La sorpresa le accese il viso. Piegò la testa e gli sorrise. Avrebbe avuto il coraggio che aveva lui e avrebbe detto ad alta voce cosa voleva? «Credo di volere quello che vogliono un sacco di persone. Voglio sentirmi al sicuro» disse, sollevando una spalla. «Voglio avere il diritto di decidere della mia vita. Voglio essere amata. Non voglio vivere questa vita a metà, senza essere né umana né wyr. Vorrei essere o una cosa o l’altra. Voglio trovare il mio posto.»
Lui aveva una strana espressione concentrata, mentre l’ascoltava. Con gli occhi ben aperti, prendeva ciò che gli diceva come Pia non aveva mai visto fare a nessun altro prima.
«Io non so cosa significhi amare» disse lui. «Ma il tuo posto esiste già. È qui, vicino a me. Io ti terrò al sicuro. E credo che tu sia più wyr di quanto pensi.»
Lei corrugò la fronte. «Che vuoi dire?»
«Sei più forte da quando siamo stati nell’Altra Terra. Posso sentirlo.» Socchiuse gli occhi. «Non lo hai notato?»
«Be’, sì, ora che me lo dici...» Ridacchiò. «Voglio dire, sono stata un po’ troppo impegnata a rielaborare tutto ciò che è successo, ma mi sento ancora come mi sentivo lì... non saprei, più viva. Il mio udito, la vista, tutto è... di più.»
«Non eri sicura di riuscire a curarmi» disse lui, come aveva già fatto prima. «E forse non ci saresti riuscita, un paio di settimane fa. Ricordi quando ti ho detto che ad alcuni mezzosangue può fare questo effetto, se si ritrovano immersi nella magia di un’Altra Terra? A volte la magia scatena una reazione, e i mezzosangue riescono a raggiungere totalmente la loro natura wyr.»
Lei si aggrappò a pugni chiusi alla sua maglietta. Poteva essere la verità?
Lui le coprì le mani con le sue, guardandola. «Quanto tempo è passato dall’ultima volta che hai provato a mutare?»
«Anni» sussurrò lei. Lanciò lo sguardo verso l’infinito e ricordò. «Dopo la pubertà. Prima che mia madre morisse. Avrò avuto sedici anni. Provavamo ogni sei mesi, circa. Una volta diventata adulta, dal punto di vista fisico, decidemmo che non aveva più senso continuare a sottoporre entrambe a quella cosa. A lei andava bene comunque: mi voleva bene incondizionatamente. Ma io continuavo a rimanere troppo delusa perché non riuscivo a mutare.»
Lui le toccò il naso. «Sedici anni è un po’ troppo presto per arrendersi. La maggior parte dei wyr ha un’aspettativa di vita molto più lunga di quella umana, persino quando si tratta di wyr mortali, e la maturazione avviene più tardi.»
Lei riusciva a malapena a respirare. «Non so cosa pensare.»
«Non posso prometterti niente» le disse lui. «Ma nel corso del tempo ho aiutato un sacco di wyr ad attraversare le difficoltà della prima mutazione. Se vorrai provare di nuovo e fidarti di me, farò tutto ciò che posso per aiutarti.»