Capitolo 11

Cadde in un sonno agitato e senza spazio per muoversi, con la testa su un braccio e il corpo appoggiato all’artiglio ricurvo. Ripensandoci, era un po’ come cercare di dormire sul sedile di un aeroplano. Un cambio d’altitudine la svegliò. Si alzò di scatto e si guardò attorno. New York si spandeva tutta intorno a lei. Il panoramico trionfo di luci nel crepuscolo le trafisse gli occhi. Fece una smorfia e si strofinò il viso, nel tentativo di svegliarsi.

Dragos si inclinò e virò, tracciando un grande cerchio. Erano diretti a uno dei grattacieli più alti. Pia si lamentò, sentendo il proprio stomaco brontolare. Poi scesero su una pista di atterraggio sul tetto della Torre Cuelebre.

Lei esaminò ciò che la circondava, stupefatta, e cercò di non barcollare quando Dragos la rimise in piedi. Il tetto era una superficie enorme, più che adeguata ad accogliere qualcuno della stazza di Dragos, con lo spazio per decolli e atterraggi di altre creature contemporaneamente.

Un gruppo di persone li aspettava davanti a una coppia di porte-finestre. Davanti a loro, un uomo dai capelli fulvi stava a gambe divaricate e braccia incrociate. Di fianco a lui c’era una bellissima donna dall’aria spietata, con le mani sui fianchi. Un uomo coi tratti da nativo americano stava un po’ in disparte, con un gilè di pelle e dei jeans neri, i capelli scuri tagliati corti con delle rasature che formavano dei disegni concentrici, e delle muscolose braccia tatuate.

Erano tutti armati fino ai denti. Ed erano tutti alti dal metro e ottanta in su. Pia non avrebbe voluto incontrare nessuno di loro in un vicolo buio.

L’aria dietro di lei brillò di potere. Guardò oltre la spalla e vide Dragos che mutava, e ogni grammo della forza e dell’energia di quel drago si compattava nel corpo alto e muscoloso dell’uomo. Grazie a un qualche trucco magico, indossava ancora i suoi jeans luridi e malconci, gli stivali e nient’altro. Scrutandolo dal petto nudo fino al volto affilato e agli occhi da predatore, Pia rimase ancora una volta senza fiato.

Lui la prese per un braccio e con lei si avvicinò a grandi passi al gruppo che li aspettava davanti alle porte. Il volto di Pia bruciava sotto gli sguardi curiosi e ostili che la studiavano.

«Era ora che ti facessi vedere» disse l’uomo fulvo. Con un gesto del mento, indicò il nativo americano. «Ho mandato a chiamare Tiago in Sudamerica e un po’ di cavalieri. Stai bene?»

«Sto bene» disse Dragos. Due degli uomini mantenevano aperte le porte. Dragos ignorò le porte aperte dell’ascensore e prese le scale. Lei non aveva alternative e trottava al suo fianco. Gli altri li seguivano. «In riunione fra dieci minuti. La stanza è pronta?»

Quale stanza? La sua stanza? Pia gli lanciò un’occhiata trasversale, mentre mettevano piede sul pavimento dell’attico.

«È tutto sistemato» disse il fulvo dietro di lei. Il resto del gruppo si era distaccato per andare in sala riunioni.

Attraversarono un lungo corridoio, girarono e ne percorsero un altro. I corridoi avevano lussuosi pavimenti di marmo. Opere d’arte originali erano appese sulle pareti e illuminate da faretti. Pia allungò il collo. Aspetta un attimo... era un quadro di Chagall quello?

Dragos si fermò davanti a una porta di legno chiaro. La aprì con una spinta e accompagnò Pia all’interno. L’uomo fulvo e gli altri due rimasero nel corridoio, davanti alla porta.

Pia si trovò davanti l’immagine sfocata di una stanza più grande di una piccola casa. Le sue scarpe da ginnastica sudice affondarono in una morbida moquette bianca. Da un lato c’erano un camino a doppia facciata e un salotto incassato con divani e poltrone di pelle chiara. Un letto grosso quanto una barca, con la struttura in ferro battuto nero, stava dall’altro lato, coperto di cuscini e trapunte. Un gigantesco schermo piatto al plasma era appeso a una parete e in una nicchia era infilato un angolo bar. Un’altra parete era fatta solo di finestre a nastro con delle porte a vetri. Delle altre porte aperte conducevano a una cabina armadio e al bagno.

Lui la girò per guardarla in faccia e le sollevò il mento. Lei lo osservò, con occhi spalancati e circospetti. «So che sei stanca» le disse lui a voce bassa. «Voglio che resti qui, che faccia un bagno caldo e ti rilassi. Qui c’è tutto ciò di cui potresti avere bisogno: vestiti, bevande, e ti farò mandare su un pasto caldo. Va tutto bene?»

In un certo senso, il panorama lì era ancora più alieno di quanto non fosse stata l’Altra Terra. Il groviglio confuso dentro di lei si fece ancora più contorto. Aveva di nuovo un po’ paura di lui, ma allo stesso tempo non voleva che lui andasse via. Si morse le labbra, strinse i pugni per trattenersi dall’allungare la mano verso di lui e per non sembrare una difficile da accontentare. Gli lanciò un banale cenno di assenso col capo.

Lui le mise una mano sulla nuca, un tocco caldo e pesante, con il volto teso. Come se lei avesse protestato, disse: «Ho parlato con Rune, mentre arrivavamo in città. Siamo stati via per una settimana. Devo aggiornarli su ciò che è successo.»

«Ci saranno un milione di cose che devi fare» disse lei. Si sottrasse alla sua stretta, incrociò le braccia sul busto e si allontanò da lui. «Non riesco neanche a immaginarle.»

Lui rimase lì, con la mano sospesa a mezz’aria, e la guardò accigliato. Lei lanciò un’occhiata in corridoio, dove c’era l’uomo fulvo, che doveva essere Rune, insieme con altri due maschi imponenti. Tutti e tre fissavano Dragos come se non lo riconoscessero.

Lui girò i tacchi e uscì a grandi passi. «Bayne, Con, restate qui. E fatele avere qualsiasi cosa voglia» disse.

«Va bene» disse uno di loro. Si scambiò un’occhiata con l’altro uomo. «Qualsiasi cosa voglia.»

Dragos scomparve con Rune, lasciandola sola in una splendida stanza grande come una casa, con due uomini davanti alla porta.

Delle guardie armate. Pensò che una delle sue domande aveva trovato risposta: era prigioniera.

Uno di loro afferrò la maniglia della porta e le fece un cenno, senza espressione nel volto segnato dalle intemperie. «Busseremo quando arriverà il cibo» le disse. «Hai bisogno di qualcosa adesso?»

«No, grazie» disse lei con voce roca. «Sto bene.»

La sua guardia chiuse la porta e la lasciò sola.

Pia girò in cerchio, osservando ogni cosa. La stanza vuota era drappeggiata dalle ombre che calavano con l’arrivo della sera. Senza la vitalità di Dragos, quell’attico lussuoso sembrava più freddo e vuoto. Si accarezzò le braccia, colta da un brivido.

Si sfilò le scarpe disgustose e le mise sulle piastrelle all’entrata del bagno, che era più grande di tutto il suo appartamento. Poi, con passi felpati, si diresse alla nicchia che nascondeva l’angolo bar.

Anche se piccolo, aveva un vasto assortimento di alcolici, naturalmente delle marche migliori. Si fermò lì, distratta dalla collezione. Aveva sempre voluto provare un bicchiere di Johnnie Walker Blue. Sul bancone c’erano una macchina del caffè e un lavandino. Sotto il ripiano, c’era un piccolo frigorifero. Ne controllò il contenuto. Delle bottiglie di Evian e di Perrier, della birra chiara e doppio malto, vari succhi di frutta, del vino bianco e dello champagne.

Prese due bottiglie d’acqua. Trangugiò la Evian. Poi, una volta placata un po’ la sete, aprì la Perrier e la bevve con più calma.

Il camino era di quelli veri, non a gas. Era immacolato e già preparato con una bella catasta di legna, pronta per essere accesa. Una scatola di fiammiferi lunghi era appoggiata vicino al telecomando, sul tavolino da caffè, davanti ai due divani. Pia cedette alla tentazione e accese il fuoco. Il bagliore giallo delle fiamme la aiutò ad allontanare un po’ della anonima freddezza della stanza.

Poi avanzò lentamente verso la cabina armadio e il camerino. Da una parte c’erano dei vestiti da uomo. Dall’altro c’erano i suoi.

Presi dal suo appartamento.

Scostò le grucce e aprì i cassetti del comò. La sua biancheria, i calzini, le magliette e i pantaloncini, tutti immacolati, stirati e piegati.

Sollevò un piccolo pacchettino lindo che erano un paio di mutandine. Uno sconosciuto aveva lavato la sua biancheria... e l’aveva stirata?

Lo stesso era successo con i vestiti appesi. Le scarpe non erano più accatastate, ma lucidate e messe in ordine. Il suo piccolo portagioie di cedro era su uno degli scaffali. Lo aprì e gli occhi le si riempirono di lacrime nel vedere la collana antica di sua madre. La accarezzò, poi chiuse con cura il cofanetto e si appoggiò al comò.

Le faceva accapponare la pelle... ma era anche stato un gesto premuroso. Trovare degli oggetti familiari le era di conforto e, allo stesso tempo, la spaventava a morte.

Quando aveva dato l’ordine di andare a prendere le sue cose? Era successo nella casa sulla spiaggia, quando aveva chiamato Rune? Aveva detto di avergli chiesto un cuoco vegetariano. Quando aveva deciso di trasferire la roba di Pia in camera sua?

Afferrò una maglietta, un reggiseno sportivo, delle mutandine e un paio di pantaloncini di flanella. Andò in bagno. Avrebbe potuto trascorrere una settimana di vacanza solo lì dentro. C’era una vasca grande come una piccola piscina, con i gradini e i sedili, e c’erano delle bottiglie chiuse di bagnoschiuma Chanel. I suoi articoli da toeletta e i trucchi erano disposti sul ripiano di marmo vicino al lavandino. Nella cabina della doccia c’erano dei flaconi nuovi della marca di shampoo e balsamo che preferiva.

Sembrava che qualcuno avesse pensato a ogni dettaglio, fino all’ultima maledettissima cosa, tranne che all’idea di chiederle la sua opinione a riguardo. Che bella gabbia dorata.

Anche se Dragos l’aveva spinta a fare un bagno caldo, Pia si sentiva troppo vulnerabile e inquieta per rilassarsi. Proprio come aveva fatto alla casa sulla spiaggia, chiuse la porta del bagno prima di spogliarsi.

La doccia era grande diversi metri, aveva una panca e diversi soffioni. Dopo aver capito come accenderli, rimase sotto i vari getti d’acqua, con gli occhi chiusi, finché il calore non le lavò via tutta la forza nelle gambe. Si sedette sulla panca, insaponò i capelli e ci mise sopra il balsamo, e strofinò bene su tutto il corpo, finché non le sembrò di essersi tolta uno strato di pelle. Dopo il risciacquo, avvolse i capelli in un asciugamano, si asciugò e si vestì. Che fosse razionale o no, si sentì meglio una volta indossati degli abiti puliti.

Quando uscì dal bagno, notò che un carrellino per il servizio in camera e una sedia erano stati sistemati davanti alle finestre. C’erano una pesante tovaglia di cotone bianco e delle stoviglie semplici ma eleganti, e piatti coperti da cloche d’argento. In un secchiello con del ghiaccio, c’era una bottiglia piccola di vino bianco. Divorata dalla fame, scoprì tutti i piatti.

Vi trovò un delicato risotto con asparagi e limone, cosparso di mandorle a lamelle; un’insalata verde mista con fettine di pera e mirtilli rossi secchi; del pane fresco con delle porzioni singole di margarina di soia e un crumble ai mirtilli per dessert. Si avventò sul cibo e lo spazzò via fino all’ultima briciola.

Una volta pulita, comoda e sazia, non aveva più spazio per stare sulla difensiva e preoccuparsi. Non riusciva neanche a tenere gli occhi aperti. Riuscì a lavarsi i denti prima di gattonare fra le lenzuola di quel letto enorme. Come prigione, sarebbe stata difficile da battere. Sbadigliò, rinunciò a pensare e si addormentò.

Al piano di sotto, Dragos entrò in sala riunioni, seguito da Rune. Situata in fondo al corridoio, comodamente vicina ai suoi uffici, era una grande stanza con poltrone di pelle nera, un ampio tavolo in legno di quercia e un’attrezzatura all’avanguardia per le teleconferenze.

Tutte le sue sentinelle erano presenti, con la sola eccezione di Bayne e Constantine, i due grifoni che stavano di guardia davanti alla porta di Pia. Rune prese posto di fianco al quarto grifone, Graydon, spingendo la sedia all’indietro, tenendola in equilibrio sulle sole gambe posteriori. Tiago si appoggiò alla parete in fondo, come una presenza oscura e meditabonda. Aryal si allungò sulla poltrona e iniziò a tamburellare sul tavolo con le dita. Non riusciva mai a stare ferma, a meno che non stesse cacciando. Grym, la gargolla, posizionò la propria sedia in modo da poter guardare Aryal.

Tricks, la fae conosciuta come Thistle Periwinkle, a capo delle pubbliche relazioni di Cuelebre, era seduta con gambe e braccia incrociate all’altro capo del tavolo. La sua nuvola di capelli lavanda, che sfoggiava un taglio da quattrocento dollari, era scompigliata. Scuoteva uno dei suoi piccoli piedi e fumava una sigaretta dopo l’altra.

Dragos, come Tiago, preferì non sedersi. Invece andò ad appoggiarsi al bancone di legno di quercia all’entrata della stanza. Mise un piede sull’altro e incrociò le braccia, incassò il mento e rimuginò guardando il pavimento.

Non gli piaceva il modo in cui si sentiva. Non gli piaceva per un cazzo. Era scosso e irrequieto al pensiero di aver lasciato Pia da sola. La sensazione peggiorava a ogni passo che lo allontanava da lei e a ogni minuto che scorreva lento. Gli era sembrata persa e sola, nel mezzo di quella enorme stanza vuota.

Non gli piaceva neanche il modo in cui lo aveva guardato, come fosse stato un mistero irrisolvibile che non riusciva a decifrare. O una bomba che avrebbe potuto esploderle in faccia. Lo aveva guardato con aria incerta, diffidente. Con qualcosa che sembrava avvicinarsi di nuovo alla paura.

Si era allontanata da lui.

Era inaccettabile. Ma prima di poter andare a occuparsi di qualsiasi cosa stesse fermentando nella sua testa, avrebbe dovuto fare ciò per cui era lì.

Alzò gli occhi e mosse lo sguardo su tutti i presenti nella stanza. Tutti lo stavano guardando e aspettavano.

«Ehi, Tricks» disse alla fae fumatrice incallita. «Ti saluta tuo zio Urien.»

Tricks iniziò a imprecare, con i suoi lineamenti da birbante che si contorcevano. Affondò una sigaretta ancora a metà nel posacenere. «Che ha fatto il bastardo stavolta?»

Rune disse: «Tutti sanno cosa è successo fino al punto in cui hai chiamato dalla Carolina del Sud. Abbiamo gestito la disputa con gli elfi. Hanno invocato un embargo economico e negli affari, per non avere niente a che fare con la Cuelebre Enterprises, oltre a qualsiasi altra attività economica dei wyr. Hanno anche giurato di aver scortato te e la donna fino al confine del loro territorio. E insistono nel voler sapere cosa è successo alla donna.»

«Intende oltre all’essere accolta in una suite dell’attico e sfamata da uno chef privato tutto per lei? Be’, si parla di una criminale che sta ricevendo una punizione crudele ed esemplare» sussurrò Aryal a Grym, ma Dragos, con il suo udito acuto, sentì comunque e scelse di ignorare la cosa per il momento.

«Ci hanno scortati fino al confine. È vero, per quello che vale» disse. Raccontò loro il resto, omettendo ciò che era accaduto in privato fra lui e Pia, e glissando su qualsiasi cosa avesse a che fare con i suoi segreti. Pia era il suo mistero. E di nessun altro. E voleva risolverlo tutto da solo.

L’umore nella stanza divenne pessimo, mentre raccontava dello scontro nella pianura dell’Altra Terra.

Quando finì, Tiago era scosso. Nella sua forma come uccello di tuono, era grande quanto uno qualsiasi dei grifoni. «Quindi, è guerra. Era ora, cazzo» disse. Un’oscura soddisfazione illuminò i suoi occhi di ossidiana.

Dragos annuì. «È guerra. E non ci fermeremo finché Urien non sarà morto.» Guardò Tricks. «Questo significa che tu finalmente diventerai la regina dei fae oscuri.»

«Oddio, no» si lamentò lei. «Io odio la corte dei fae oscuri.»

«Be’, rassegnati, Tricks. Sei fuggita troppo a lungo. E questa volta Urien ha davvero esagerato.»

Più di duecento anni prima, secondo il tempo degli umani, Urien aveva preso la corona di re grazie a un sanguinario colpo di stato. Aveva massacrato il re suo fratello, la moglie e chiunque altro potesse rivendicare una successione diretta al trono, ma si era lasciato sfuggire una piccolezza: la loro figlia più giovane, Tricks.

Appena diciassettenne, Tricks era considerata poco più che una bambina, quando a quel tempo era riuscita a scappare. Era corsa dritta da Dragos, la sola entità che credeva capace di affrontare suo zio senza paura, e gli aveva chiesto asilo. E da allora, era sempre stata con lui.

«È stato un bel gioco di rimbalzi e vaffanculo, no? Siamo riusciti a farlo andare avanti per un bel po’, ma si sapeva che sarebbe dovuto finire, presto o tardi» le disse lui. E lei annuì con aria impotente.

«Okay, ecco cosa faremo» disse. «Tiago, manda un po’ delle truppe che hai portato con te a perlustrare la fortezza dei goblin. Sapranno cosa fare a chiunque sia sufficientemente stupido da essere ancora lì.»

Tiago sorrise. «Certo.»

«Aryal,» continuò lui «tu devi investigare sul legame con gli elfi. Voglio sapere chi potrebbe aver spifferato le informazioni a Urien.» L’arpia fece un cenno d’assenso. Poi Dragos rivolse l’attenzione alla gargolla. «Grym, voglio che tu lavori con Tricks per disegnare la mappa del palazzo dei fae oscuri, e i punti da cui è possibile sferrare un attacco. Ho un po’ di idee, ma voglio sapere anche cosa viene in mente a voi. Tricks, so che sarai parecchio impegnata, ma apprezzerei molto se tu riuscissi ad assumere qualcuno che ti sostituisca, prima di andare, o almeno a preparare una breve lista di candidati. Avremo bisogno di una nuova PR

«Certamente» disse Tricks. «È il minimo che ti devo.»

«Le cose non saranno più come prima» disse Graydon con voce malinconica. «Guardare il suo visino carino in televisione e sapere che Urien si mangiava i gomiti ogni volta che la vedeva.» Tutti risero. Persino Tricks riuscì a sorridere.

Rune e Graydon stavano guardando Dragos. Lui disse loro: «Fino a nuovo ordine, voi due, con Bayne e Con, avrete dei compiti speciali. Fatevi sostituire dai vostri vice nelle vostre solite mansioni. Voi farete la guardia a Pia in qualsiasi momento io non sarò con lei. In turni da due, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Non deve mai rimanere da sola, capito?»

La sedia di Rune ricadde su tutte e quattro le gambe. L’uomo attraente sembrava molto attento. L’espressione di Graydon era l’incarnazione dell’incredulità. Era più o meno il pensiero che echeggiava nella stanza. Le sopracciglia di Tricks si sollevarono e le sue labbra si contrassero.

«Stai mettendo quattro dei nostri guerrieri più potenti a fare da babysitter a una ladra?» disse Aryal. «In un momento come questo?»

Dragos la guardò da sotto le sopracciglia abbassate. Grym le mise una mano sul braccio. La gargolla gli disse: «A meno che non ci sia altro da fare, ci metteremo subito al lavoro, mio signore. Credo che tutti abbiamo un sacco da fare.»

Dragos rimase concentrato sull’arpia per qualche altro istante, con il drago, infastidito, che si muoveva nelle profondità dei suoi pensieri. Aryal abbassò lo sguardo e chinò il capo in segno di obbedienza.

«Andate» disse lui.

Gli altri si sparpagliarono. Rune e Graydon seguirono lui, tornando di sopra. Attraversò il corridoio, ancora pensieroso, mentre loro lo coprivano da entrambi i lati. Arrivò alla porta di Pia, dove Bayne e Constantine chiacchieravano, appoggiati alla parete. Al loro arrivo, i due uomini si ricompo­sero.

«Aggiornali» disse a Rune, che annuì. Il drago era ancora irritato, e li squadrava tutti. I grifoni lo guardarono con volti calmi e attenti. Lui disse: «Lasciate che chiarisca le cose una volta per tutte, così che non ci siano equivoci. Lavoriamo bene insieme da quasi mille anni. Siete tutti diventati importanti per me. Il vostro aiuto è prezioso e stimo la vostra fedeltà al di sopra di tutti gli altri.» Guardò Rune. «Ti considero il mio migliore amico.»

Tutti erano ben dritti e composti, mentre parlava. Dragos indicò la porta. «Ladra o no, lei adesso è mia e la terrò con me. Se le viene torto anche solo un capello, voi quattro stronzi farete meglio a farvi trovare ammazzati e fatti a pezzi, quando vi scoverò.»

Lo sguardo sicuro di Rune incontrò il suo. «Non dovete preoccuparvi, mio signore» disse il grifone. «La proteggeremo a costo delle nostre vite. Lo giuro.»

Stanca com’era, e nonostante il letto comodo, Pia si girava e si rigirava, senza riuscire ad addormentarsi profondamente. Sognava di essere rincorsa. Le scene continuavano a cambiare. Prima stava camminando in punta di piedi nei passaggi segreti di un’enorme casa, alla ricerca di un nascondiglio. Poi stava zigzagando in una strada affollata di una città che non conosceva, mentre una presenza minacciosa la seguiva. Non riusciva mai a vedere il viso del suo inseguitore, ma comunque la spaventava a morte.

Poi qualcuno sollevò le coperte. Un corpo nudo di uomo, umido e massiccio, si infilò nel letto di fianco a lei. Lei sussultò, svegliandosi completamente di soprassalto.

«Sssh, sono io» sussurrò Dragos. «Non volevo svegliarti.»

«Non preoccuparti» mormorò lei. «Quel sogno non mi stava neanche piacendo.»

C’era un motivo per cui non era una buona idea che lui fosse nel suo letto. O era lei che stava in quello di lui? Pia non era sufficientemente sveglia da capirci qualcosa. Era sveglia solo quanto bastava a sentire una scarica di sollievo e piacere.

La strinse fra le braccia. Lei mugolò e si rannicchiò al suo fianco. Il suo calore e la sua energia la avvolsero. Lei mise la guancia sulla sua spalla, contro la pelle umida e profumata che copriva come un velo di seta i grossi muscoli duri, e appoggiò una mano sul suo petto.

«Ti è piaciuta la cena?» chiese lui.

«Deliziosa.»

«Bene.» Le premette un bacio sulla fronte. «Togli l’incantesimo.»

«Ho sonno» si lamentò lei.

Le accarezzò i capelli. «Per favore?»

Lei borbottò, in maniera maldestra prese il controllo dell’incantesimo e lo annullò.

L’ampio petto di Dragos si mosse in un profondo sospiro. «Così va meglio.»

«Sssh» lo rimproverò lei. Si girò da un lato. Lui avvolse il proprio corpo attorno al suo. La guancia di Pia era appoggiata su uno dei suoi gonfi bicipiti, mentre lui teneva l’altro braccio attorno al suo busto. Con una coscia pesante, le fermò le gambe. Lei lanciò un’occhiata annebbiata dal sonno verso i loro corpi intrecciati. Il suo pallido bagliore era racchiuso dal possessivo corpo di bronzo scuro dell’uomo. Era una stretta gelosa, soffocante. Avrebbe voluto liberarsene. Sospirò. Qual­cosa, dentro di lei, tornò a posto e lei chiuse gli occhi, sod­disfat­ta.

A quel punto, quando si addormentò, non sognò più niente.

Dopo un lungo riposo, qualcosa la strappò alla sua profonda incoscienza. Per un po’, rimase alla deriva, come nel crepuscolo. Una grande mano scorreva sul suo petto. Delle dita delicate salirono, partendo dal ventre piatto, passarono sulle costole e arrivarono a cerchiare un seno e poi l’altro.

Lei sospirò e si stiracchiò. Si girò sulla schiena, inarcandosi verso il piacere di quelle carezze vaganti. Delle labbra si strofinarono sulla spalla nuda, accarezzarono la curva aggraziata del suo collo. Dei denti graffiarono la pelle sensibile e le mordicchiarono il lobo dell’orecchio.

La spalla nuda? Pia aprì gli occhi. Essere distesa nuda con lui fu scioccante come la prima volta. Strofinò un piede sulla sua gamba, sentendo la pelle ruvida di peli sotto le dita. Le prime luci dell’alba illuminavano la stanza di un grigio leggero. Dragos era appoggiato su un braccio, e si allungava su di lei. Il suo volto serio era concentrato a studiarla con palpebre pesanti. La linea scolpita della sua bocca era curvata in un pigro e sensuale sorriso.

Era così bello che tutto il corpo di Pia palpitò. Le sue narici armoniose si allargarono, e lei capì che lui lo aveva percepito.

Si leccò le labbra. E lui abbassò lo sguardo, guardando quel movimento. «Sono abbastanza sicura di essere andata a letto vestita» mormorò lei.

«E infatti è così» disse lui, con tono languido. Con un dito cerchiò la corona di uno dei suoi seni. Lo guardò mettersi in bocca un capezzolo turgido. «Li ho trovati sulla mia strada.»

«Mi hai spogliata mentre dormivo?» Rabbrividì mentre lui cerchiava il contorno dell’altra corona. «Dovevo essere completamente fuori.»

«Forse ti ho dato una mano.» Lei inarcò un sopracciglio. Lui le disse: «Era solo un trucchetto. Avevi bisogno di riposare.»

«Senza vestiti.» Ed eccolo lì, a incasinarle di nuovo la testa. Si prese un appunto mentale: dovevano discutere del fatto che non era la sua Barbie, da spogliare e rivestire in qualsiasi momento ne avesse voglia.

«Anche io avevo bisogno di riposare» disse lui con voce piatta. «E mi stavano dando fastidio.»

Lei ridacchiò. Chi lo avrebbe detto che quel terrificante, esotico maschio sarebbe stato tanto divertente? Lo adorava, adorava le sue sorprese.

Poi lui tracciò il contorno delle sue labbra. Lei ebbe la sensazione di essere seguita senza neanche aver lasciato il letto.

Gli prese un dito, se lo mise in bocca e lo succhiò, facendolo eccitare.

Lui tirò fuori il dito. I suoi velati occhi d’oro si accesero famelici. La sua testa si abbassò con violenza. Spinse Pia sul cuscino, affondando nella sua bocca con lingua affamata. Nello stesso tempo, la chiuse fra le proprie gambe, esplorando il suo sesso umido e spingendo due dita dentro di lei.

Pia gemette e si strinse al suo braccio. Quella aggressione aveva scatenato una risposta immediata in lei. Divenne bagnata e gonfia, e gli inzuppò le dita. Lui ruggì e spinse la lingua e le dita dentro di lei, in una penetrazione simultanea. I fianchi di Pia spingevano contro la sua mano.

Poi lei staccò la bocca dalla sua. «Aspetta... Non voglio...» disse ansimando.

Lui si alzò alcuni centimetri sopra di lei, come un rapace che aspetta di scendere in picchiata, intanto che le strofinava il clitoride con il pollice. Lei emise un lamento e tirò la mano con forza verso di sé. «Non vuoi?» mormorò lui, lanciandole un sorriso spietato.

Lei trovò il suo pene duro e lo afferrò. Lui sibilò e spinse nella sua mano, pulsando sul suo palmo. «Voglio esplorarti anch’io, prima che mi distruggi di nuovo.» Lo guardò negli occhi, incerta. Lui era così dominante. Non aveva modo di dire se gli sarebbe piaciuto. «Ti piacerebbe?»

Dragos si fermò, e lei lo vide lottare fra impulsi contrastanti. Poi le prese la mano, se la tolse di dosso e la bloccò sopra la testa di Pia. «Lo adorerei» le sussurrò nell’orecchio. «Dopo averti fatta venire un pochino, però.»

Spinse a fondo le sue abili, lunghe dita e strofinò il palmo della mano su di lei, proprio nel punto giusto. Lei si agitava e si contorceva sotto la sua presa, spingendo contro quella pressione, dimenandosi per trovare sollievo. «Vieni dentro di me» lo blandì.

«No» miagolò lui contro il suo orecchio, godendosi le sue reazioni. «Non ancora. Tu adesso vieni proprio così.»

«Cazzo!» Era diabolico. La pressione cresceva, e le sue dita erano così abili nell’accarezzarla... Dio! Ma lei voleva sentirlo, duro e grosso, dentro di sé. Si voltò e gli morse la spalla.

Lui rise, con una risata sexy e profonda. Si piegò in avanti per succhiarle un capezzolo, stuzzicandolo con la lingua, mentre continuava a occuparsi di lei.

Ed eccolo, l’orgasmo che fioriva dentro di lei come un fiammifero che si accendeva. Pia si incurvò e gli fece sentire il proprio piacere. Lui lasciò il capezzolo per strofinare la bocca sulla sua, che gemeva, intanto che i muscoli interni si contraevano. «Ecco, così» le bisbigliò contro le labbra. Alleggerì il tocco del palmo della mano, riportandola giù con delicatezza. «Bellissima.»

Rimasero fermi in silenzio per un momento, respirando insieme.

Poi lei si tirò su e gli lanciò un sorrisetto perverso. «Volevi sapere perché dicevo di essere fuori di testa.»

Un angolo della bocca di Dragos si sollevò. «Sì, volevo proprio saperlo.»

Lei fece scorrere le dita sul suo petto. «Continuavo ad avere delle fantasie erotiche su di te nei momenti meno opportuni.»

«Come quando?» chiese lui, accarezzandole un fianco fino alla coscia. Con un tocco leggero e delicato delle dita, scese fino al garbuglio di riccioli biondi che lei aveva fra le gambe. Sembrava molto interessato.

Lei sospirò per il piacere. Come era diventato così esperto di tutti i modi in cui eccitarla? «Come quando sei sceso dal cielo e ti sei seduto sopra di me. Sembravi la manifestazione dell’ira di Dio, e mi hai spaventata a morte. Ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era quel cavolo di sogno e quanto eri eccitante. Non è normale essere spaventati ed eccitati contemporaneamente.»

«Neanche io riuscivo a pensare ad altro.» Le prese la mano e baciò la ferita ormai chiusa sul suo palmo. «In quel sogno volevo tenderti una trappola. E invece ho intrappolato me stesso.»

«E poi» bisbigliò lei con occhi che brillavano «ti ricordi quando eri incatenato nella fortezza dei goblin?»

«Non è un ricordo che svanirà in fretta» rispose lui con tono secco.

«È stato terribile» ammise lei. «Io mi sentivo malissimo, la cella era lurida ed ero di nuovo spaventata. E poi c’eri tu, incatenato e disteso, con braccia e gambe spalancate, come un banchetto prelibato. E in barba a tutto il resto, per un attimo quella vista mi ha fatto venire l’acquolina in bocca.»

Il suo interesse si acuì, diventando elettrico. «Devo ricordarmi di aggiungere le catene a tutte le camere da letto.»

Lei rise e si rannicchiò più vicina a lui. «Era solo una fantasia. La situazione reale era parecchio disgustosa.»

«Perciò, faremo finta.» Si girò sulla schiena e strinse le mani attorno al ferro battuto della testiera del letto. Quella posizione allungava i muscoli delle braccia e del petto, accentuando la cassa toracica e l’addome piatto.

Lei lo fissava con palpebre pesanti, e il corpo che fremeva. Il suo sguardo emanava una grande, strabiliante sensualità. Il suo corpo eccitato e il suo viso erano le cose più sexy che lei avesse mai visto. Era persino più eccitante che se si fosse offerto di distendersi supplicante davanti a lei, quel maschio imponente e pericoloso.

Scivolò su di lui finché non furono torso su torso, con i seni schiacciati contro il suo petto. Piegò la testa e strofinò le labbra aperte sulle sue. Le leccò, le baciò, le morse. Il suo respiro si fece più pesante. Lui la mordicchiò, cercando di farla abbassare per darle un bacio più profondo, ma lei si tirò indietro e scivolò più in basso su di lui.

Fece scorrere la bocca aperta sulle increspature del suo petto, baciando lo sterno e strofinando il naso fra i peli scuri che la guidavano più in basso su quel lungo corpo, fino all’inguine. Lui si mosse sotto di lei, stiracchiandosi come un gatto. Lei si fermò a giocare con i suoi capezzoli scuri, facendoli diventare turgidi.

Si stava eccitando quanto lui. Arrivò giù e gli prese il pene. Lui sibilò e spinse i fianchi verso l’alto. Lei abbassò lo sguardo sulla sua mano pallida e lucente che lo stringeva, e il respiro divenne irregolare. Aveva una silhouette splendida, con l’erezione grossa e dura, e la pelle dell’asta e della punta morbida come velluto. I testicoli erano tesi e alti sotto di essa. Pia li massaggiò. Erano pesanti, voluttuose sfere rotonde.

A lui brillavano gli occhi quando alzò la testa per guardarla mentre lo accarezzava. Era tutto fatto di spigoli e lati affilati. I muscoli sulle sue braccia tremavano. Pia gli guardò le mani, strette sulla testiera del letto. Le nocche erano bianche per lo sforzo.

«Adesso giochiamo come dico io. Non mollare la presa» lo avvisò. Sostenne il suo sguardo aggressivo mentre scendeva lungo il suo corpo. Qualunque questione o problema importante rimanesse irrisolto fra loro, quando si trattava di questo diventavano combustibile magico, insieme.

Si accovacciò su di lui, sollevò la sua erezione, gli prese la punta in bocca e la succhiò. Lui emise un breve urlo acuto, e lasciò andare la testa sui cuscini. I fianchi si staccarono dal letto quando spinse verso la bocca di Pia.

Lei stringeva il pene dall’attaccatura con una mano, con l’altra teneva i testicoli e banchettava. Il sapore e la sensazione di averlo in bocca erano inebrianti. Gemeva intanto che lo spingeva più in fondo, spalancando la gola più che poteva, tirandolo fuori lentamente e con forza, per poi spingerlo ancora in profondità. La fame di lui la travolse, bollente e selvaggia, e le fece perdere il controllo.

Dimenticatosi del gioco, le prese i capelli in pugno e le spinse la testa per pompare. Mise l’altra mano fra le sue gambe, esplorando e tastando le pieghe bagnate e setose.

Poi le tirò i capelli, costringendola a scostare la testa. Lei emise un suono di protesta, quando il suo cazzo lasciò la bocca. Lui la tirò a sé per un divorante bacio con la lingua. Fremeva, e questo la fece impazzire. La mise sopra di sé, e Pia aprì le gambe per sedersi a cavalcioni, piegandosi su di lui e strofinando il sesso contro la sua erezione, mentre lui la teneva ancora per i capelli, prigioniera del suo assalto.

Sopraffatta dal desiderio, Pia si sollevò e lo posizionò in modo che la sua grossa punta varcasse l’entrata. Poi lui prese il controllo, l’afferrò per i fianchi e spinse giù fino alla fine. Tendendo tutto il corpo, lanciò un urlo.

Anche lei faceva rumore, degli insistenti versi animali, intanto che, percorso dai brividi, il suo corpo si adattava a quella grossa e lunga invasione. Lui trovò il ritmo giusto, spingendosi dentro di lei con urgenza crescente, affondando le dita nella sua morbida pelle candida.

Lei cercò di sorreggersi come meglio poteva, con i gomiti appoggiati sul petto di Dragos. Lui sollevò la testa, toccandole il naso con il suo. Aveva il viso scolpito dalla brutalità del sesso, dalla ferocia del suo sguardo tremante, fisso su quello di lei. Le mostrò i denti.

E la sua bellezza animale la fece sciogliere completamente. Allungò le braccia e spinse, a mani spalancate sui cuscini, con le labbra aperte, avvicinandosi fino a che il piacere nell’essere trafitta da lui non l’annientò completamente, e lei non si contorse in un orgasmo.

Dragos si unì a lei con un ruvido gemito, spingendo ancora e ancora verso l’alto, intanto che il suo orgasmo schizzava dentro di lei. Si strinsero forte per dei lunghi istanti. I polmoni di Pia si spalancarono, mentre cercava di riprendere fiato. Quei capelli maledetti erano dovunque. Li scansò dagli occhi in tempo per intravedere il suo viso: sembrava disperato, fuori controllo.

Lui scosse la testa. «Non basta» borbottò. Tenendola per i fianchi con un braccio, perché i loro corpi non si separassero, girò entrambi, facendola atterrare con la schiena sul materasso e salendole addosso. Era ancora duro. Ricominciò a muoversi, scivolando dentro e fuori da quella sua fessura stretta e succosa.

«Oddio, tu mi farai morire» gemette lei. Dragos si fermò, in cerca dei suoi occhi. Lei gli strinse le braccia attorno al collo e sussurrò: «Farai meglio a non fermarti, finché non hai finito. Ricordati: posso tenere qualsiasi passo stabilisci, ragazzone.»

Il volto di Dragos si accese di un sorriso selvaggio. Poi perse quel sorriso, perse le parole, perse ogni cosa in una passione incontrollabile che trascinò anche lei con lui. Non si fermò finché non ebbe esaurito tutte le energie che aveva.

Distrutta. L’aveva distrutta di nuovo. L’aveva portata in profondità, così lontana e fuori da sé stessa, che Pia tornò cambiata in modi radicali che non comprendeva. Si lasciava andare a dei suoni con lui e faceva cose che non aveva mai fatto prima, cose che non aveva mai concepito di fare. Non si era mai accorta di quanto il sesso potesse essere un atto di totale perdita del comportamento civile. Lui l’aveva messa faccia a faccia con l’animale che viveva dentro di lei. Non aveva avuto più niente a cui aggrapparsi, né dentro, né fuori di sé, fra i rapidi cambiamenti che avevano stravolto la sua vita. C’era solo lui, colui che aveva distrutto il suo mondo, e lei si stringeva forte a lui con tutta la forza che aveva.

Rimasero distesi assieme, intrecciati, con la testa di Dragos sulla spalla di Pia, intanto che la luce del mattino avanzava lungo il soffitto. Forse lei sonnecchiò. Aveva perso il conto dei suoi orgasmi, per non parlare di quelli di lui. Dragos la baciò sul seno. «Ti ho segnata di nuovo» disse.

Lei sbadigliò e cercò di capire il tono che lui aveva usato. Era complesso, ecco la parola giusta: nella sua voce c’erano sia il rammarico che la soddisfazione. «Anche tu hai qualche morso e qualche graffio che prima non avevi, ragazzone.»

Lui sorrise sulla sua pelle. Il rammarico svanì e lasciò la pura soddisfazione maschile vincitrice sul campo di battaglia. «Ebbene sì.»

Bussarono alla porta, che si aprì dietro la spinta di una fae che portava un carrellino da servizio in camera. «Buon giorno» cinguettò.

Più veloce della luce, Dragos tirò su le lenzuola e si gettò a coprire Pia. E ringhiò, da sopra una spalla. «Che cosa fai?»

Pia lanciò l’incantesimo opacizzante più in fretta che poté. Dragos sembrava sul punto di ammazzare qualcuno. Lei gli mise una mano sulla guancia, lo baciò e spuntò oltre la sua spalla.

La povera fae era bianca come un lenzuolo, e sembrava sul punto di svenire. «Ogni giorno io... non è mai stato...» balbettò.

Pia, con voce gentile, le rispose: «Ciò che intendeva dire è ‘grazie mille per la colazione’. E tu non hai fatto niente di male. Non è arrabbiato con te. È solo sorpreso.»

Sotto le lenzuola, lo pizzicò con forza. Lui le afferrò la mano, ma non la contraddisse. «Le cose sono un po’ diverse adesso, quindi potrebbe essere una buona idea, se la prossima volta decidessi di bussare e di aspettare che qualcuno ti dica che puoi entrare.»

La fae si inchinò convulsamente più volte. «Ma certo! Ma certo! Grazie, signora. Io...» Indicò l’uscita e schizzò via.

La porta tornò al suo posto. Pia guardò Dragos, un po’ disorientata. C’erano così tante cose che erano appena accadute. Non sapeva come comportarsi o cosa dire. Gli accarezzò il viso e attese che lui si calmasse.

«Mi ha chiamata ‘signora’» gli disse con voce lamentosa. «Io non so con chi parlasse. Io non sono una signora.»

Ciò che restava della sua rabbia svanì, sostituito da un rapido bagliore. Sbirciò sotto le lenzuola. «Posso testimoniarlo!»

«Oooh!» Gli diede uno schiaffo sulla spalla.

Si guardarono, e scoppiarono a ridere.

Lui ammucchiò i cuscini, si risistemò sopra di essi e tirò Pia verso di sé. Lei appoggiò la testa sulla sua spalla e cercò di raggiungere il senso di pace che aveva perduto. Si rivelò una sensazione sfuggente che svaniva.

Lui faceva scorrere le dita fra i suoi capelli. «Mi devi una ciocca di capelli» disse.

Lei chiuse gli occhi, cercando di ignorare la realtà del mattino che irrompeva. «Quanti ne vuoi?» domandò.

«Un sacco» disse lui, sollevando delle ciocche per farle brillare alla luce. Poi si accigliò. «Non troppi.»

Lei iniziò a ridere. «Devi decidere. Posso tagliarli corti e darteli tutti, se vuoi.»

«Non ti permettere. Ne voglio solo quanti bastano.»

«Certo, adesso è chiarissimo.» Alzò la testa per lanciargli un’occhiata interrogativa. Lui era accigliato. Pia sospirò. «Aspetta.»

Nuda e scalza, si diresse nel guardaroba, prese la vestaglia rosa lunga fino alle cosce da uno degli appendiabiti, e se la legò addosso. Frugò nei cassetti in cui c’erano le sue cose, trovò il suo set da cucito da viaggio e tornò in camera da letto. Si sedette a gambe incrociate sul letto, di fronte a Dragos. Lui mise le mani dietro la testa, guardandola con interesse.

Lei prese le forbici dal kit, isolò un po’ di capelli vicino all’attaccatura, sul retro, dove si sarebbe notato meno, e li tagliò via. Sollevò la ciocca per fargliela vedere. Era un bel ciuffo, largo come il suo mignolo e lungo quanto l’intera lunghezza dei suoi capelli.

«È perfetta» disse lui, con gli occhi che brillavano di soddisfazione.

«Ho pagato il mio debito?» chiese lei.

«Debito pagato.» Lui strofinò le punte dei capelli fra le dita.

«Che cosa ne farai?» chiese lei.

Lui si accigliò di nuovo. «Non lo so.»

«Dammela. Te la intreccio. Altrimenti spargerai capelli dovunque.»

Lui la osservò affascinato mentre tagliava due fili dorati, che avevano quasi lo stesso colore dei suoi capelli. Quasi, ma non esattamente. Era il colore più simile che riuscì a trovare nel kit da cucito, e la differenza non si sarebbe notata, ma i fili mancavano della lucente qualità dei suoi capelli.

Mise un pezzo di filo fra i denti. Intrecciò più volte l’altro attorno alla punta dei capelli e li legò assieme. Poi usò una spilla da balia per fermare quella estremità a un cuscino, e con rapida abilità intrecciò la ciocca. Disse a denti stretti: «Non li userai per fare qualche specie di magia nera o hoodoo su di me, vero?»

«Ma no» disse lui, con lo sguardo fisso sulle sue dita. «È solo che mi piace il colore.»

Pia sorrise fra sé e sé, confortata e anche stupita da come si stavano comportando l’uno con l’altra. Sembrava così naturale, così giusto. C’erano così tante ragioni per cui non avrebbe dovuto essere così. Prese il secondo filo per legare la fine della treccia.

Uno stupido impulso le fece dire: «Potrei legartela attorno al polso, se vuoi.»

Si aspettava che lui le dicesse di non fare la stupida. Invece, con sua grande sorpresa, lui sollevò le sopracciglia e disse: «Mi piacerebbe.»

Le porse il polso destro. Lei gli legò la treccia attorno. Nonostante lo spessore del suo polso, la treccia era lunga abbastanza da girargli attorno quasi due volte. Pia prese un altro po’ di filo e cucì la treccia per chiuderla. Quando fu sicura di averla allacciata, la legò bene e tagliò le estremità del filo.

Lui sollevò il polso e ne ammirò il pallido bagliore dorato. Passò un dito lungo il polso, per sentire i morbidi rilievi della treccia. Il bronzo scuro della sua pelle metteva ancora di più in risalto lo splendore dei capelli.

«Dragos, io sono prigioniera?» chiese. Dopo aver portato quel peso fin dalla notte prima, la domanda venne fuori abbastanza facilmente.

Lui socchiuse gli occhi, ma alzando lo sguardo. Lei mantenne la propria attenzione sugli oggetti che stava riponendo nel set da cucito e desiderò che non le tremassero le dita. «No» disse lui dopo un momento di riflessione. «Perché me lo chiedi?»

«Per le guardie di ieri sera.» Il sollievo le fece fare un sorriso incerto.

«Le guardie sono qui per la tua sicurezza. Quando non ci sono io, ci saranno loro.» Non appena Pia aprì la bocca, lui disse: «Non è una cosa negoziabile.»

Il suo volto si indurì. «Non discutere, Pia» disse. «In questo momento sono in guerra. Finché non avrò seppellito Urien, lui continuerà a essere un serio pericolo. Che sapesse o meno di te prima è irrilevante. Dopo ciò che è successo nella pianura, sei diventata un obiettivo primario.»

«Ma servono guardie persino qui?» Sentiva che anche la più piccola speranza di avere anche solo un’illusione di libertà le stava scivolando fra le dita.

«Qui, ogni giorno, lavorano più di duemila persone. Diverse migliaia vengono in visita. Sì, c’è un sistema di sicurezza e ci sono delle aree riservate, ma nessun luogo è sicuro al cento per cento, non quando è coinvolto il potere. Ti ricordi come sono arrivato da te in sogno? E se ci fosse un qualche attacco magico? Avrai le guardie finché non sarà tutto finito. La discussione è chiusa.»

Le labbra di Pia si strinsero. La logica di Dragos era indiscutibile e il suo atteggiamento autoritario tutt’altro che insopportabile. Quando pensò di avere le proprie emozioni sotto controllo, gli fece un rapido cenno di assenso col capo. Non era necessariamente in disaccordo con lui, ora che le aveva spiegato le cose. Solo che si sarebbe aspettata di avere il diritto di dire la sua, riguardo a ciò che accadeva nella sua vita.

Lui si risistemò sui cuscini e rimise le mani dietro la testa. Le lanciò un sorriso rilassato e spietato. «Adesso che ci penso, e possiamo finalmente fare quel discorsetto, perché non mi racconti tutto su tua madre e su come hai fatto a curarmi?»