Capitolo 18
Una voce mefistofelica tuonò nella sua testa, chiamandola con il suo vero nome.
Usa il tuo potere, maledizione. Riesco a sentire che sei lì. Provaci ancora, pretendeva la voce autoritaria. Svegliati, cazzo.
Tutto le vorticò attorno. C’era puzza di benzina e gas di scarico. Era distesa su una superficie dura, che vibrava, e lei teneva la guancia schiacciata contro un tappeto ruvido. Si sentiva stordita, nauseata. Ansimava con piccoli respiri.
Qualcuno stava emettendo un debole lamento. Ah, era lei. Zitta, stupida.
Si sforzò di fare come le diceva la voce, e si spinse nelle profondità di sé stessa. Il suo istruttore avrebbe detto che attingeva al proprio chi, al flusso di energia, al luogo del respiro.
Per un terribile attimo rimase disorientata e senza timone nel buio. Poi si riconnetté. Il potere sgorgò dalla base della spina dorsale e invase il corpo intero. Non riuscì a dissolvere tutti gli effetti della droga, ma aiutò a schiarirle un po’ la mente.
Era legata, con le braccia dietro la schiena, imbavagliata e chiusa nel bagagliaio di un’auto che viaggiava ad alta velocità. Crollò. Piove sempre sul bagnato.
Rispondimi adesso, ordinò Dragos.
È una settimana infernale, riuscì ad articolare lei.
La sua voce mentale era debole e priva di controllo, ma lui la sentì.
Eccoti. Il tuono era scomparso, sostituito da un sollievo disperato. Parlami. Sei ferita?
No, una droga. Si sforzava di trovare delle parole che avessero senso. Legata. Nel bagagliaio, una macchina. Andiamo veloce.
Va bene. Stai calma, disse Dragos.
Bayne e Aryal. Cercò il modo di articolare i loro nomi in una domanda.
Li abbiamo trovati fuori dalla clinica. Anche loro erano drogati. Stanno bene, stanno smaltendo. Dragos sembrava di nuovo composto. Finalmente abbiamo trovato qualcuno che può lanciare un incantesimo di localizzazione. Fra un attimo riuscirò a seguirti. Come sei legata? Riesci a liberarti?
La nausea tornò. Lei cercò il più possibile di trattenersi. Non poteva assolutamente vomitare con il bavaglio in bocca. Si chinò, così da poter toccare la parte inferiore delle gambe con le mani che formicolavano, ormai intorpidite.
Sono quelle fettucce di plastica. Non hanno serratura. Non posso toglierle.
Va bene, disse di nuovo lui. Non preoccuparti.
Lei doveva dirgli delle cose importanti. Ma quali erano? Per quanto tempo sarebbe riuscito a parlarle? Graydon le aveva accennato che il suo raggio d’azione telepatico era di circa duecento chilometri, ma lei non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta incosciente o di quanto lontano fossero l’uno dall’altra.
Devo dirti delle cose, nel caso in cui perdessimo il contatto.
Non perderemo il contatto, scattò lui. Ecco. Ho un incantesimo di localizzazione sulla tua treccia. Sto arrivando.
Si sforzava di mantenere il respiro profondo e costante. Sembrava che l’aiutasse a tenere calmo lo stomaco, nonostante i gas di scarico le facessero venire i conati. Cercò di pensare. Cos’era quella magia che percepiva in lontananza?
L’incantesimo funzionerà anche se attraversiamo il confine ed entriamo in un’Altra Terra?
Non ti lascerò andare tanto lontano.
Non le disse che l’incantesimo avrebbe funzionato e Pia ebbe la sensazione che volesse dire che non lo avrebbe fatto.
Due fae oscuri. Stanno lavorando con una strega del Magic District.
La voce di Dragos si fece minacciosa. Descrivimela.
Ha i capelli scuri, è umana, si chiama Adela. È la proprietaria del negozio Divinus. Non mi ricordo il cognome. Si sforzò di pensare.
Non preoccuparti, non importa, le disse lui. Riesci a descrivermi i fae?
Fece del suo meglio, ma era riuscita a intravederli solo per un attimo, prima di perdere i sensi. Mi dispiace.
Lui rispose gentilmente. Niente di tutto questo ha importanza, adesso. Concentriamoci sul riportarti a casa.
La sensazione di una terra ricca di magia si fece più forte. Oh-oh. Ma io devo dirti una cosa: sono incinta.
Il suo ruggito le riempì la testa. Che cosa?
Lei parlò in fretta. Avevo una spirale. Quando mi sono accorta di cosa stava succedendo, stamattina, ho avuto tanta paura di abortire e tutto quello che sono riuscita a pensare era che dovevo andare in fretta dal dottore per togliere la spirale. Ed ero incazzata nera con te. Ho pensato che tu lo avessi fatto di proposito.
Pia. Mio dio.
Stamattina l’ho sognato. Credo fosse vero. Era un drago bianco, il bimbo più bello che abbia mai visto. Fecero una curva molto ampia, presero velocità per un po’, per prendere poi un’altra svolta. Imponendosi calma, gli disse: Stiamo lasciando la statale e rallentiamo. Posso sentire una terra piena di magia che si avvicina.
Presto, disse lui. Sembrava più turbato di quanto non fosse mai stato. Il bagagliaio ha una serratura. Cerca di sollevarlo e dimmi cosa vedi.
Se lei avesse avuto le mani libere, o anche solo legate davanti, avrebbe semplicemente potuto aprire il bagagliaio dall’interno. Si divincolò per mettere le ginocchia sotto il resto del corpo e spingersi verso l’alto con la spalla. Il bagagliaio si aprì mentre si fermavano a uno stop.
Ma perché no? Spalancò il portello, così da poter strisciare fuori e cadere sull’asfalto con un tonfo doloroso. Alzò lo sguardo davanti al muso di un pick-up Dodge Ram che le arrivava addosso. Il furgoncino inchiodò a pochi centimetri dal suo viso. La macchina in cui era stata fino a poco prima ripartì e girò a sinistra.
«Ehi!» urlò l’uomo nel furgoncino.
Zitto, brutto stupido. Zitto.
Lo sportello del furgoncino si chiuse con un colpo.
Pia si mise seduta intanto che appariva un uomo di mezza età. Si inginocchiò vicino a lei, con il viso sconvolto e infuriato.
«Ma che diavolo fai?» disse. «Oddio santo, signora, è stata rapita?»
Tu che dici?
Alcuni metri più avanti, le luci dei freni di un’auto si accesero. Pia urlò nel bavaglio, rivolgendosi all’uomo.
«Aspetta un secondo, cara. Andrà tutto bene.» L’uomo cercò di allentare il bavaglio.
Sono scivolata fuori a uno stop, disse lei a Dragos. Se ne sono accorti. Sono in una Lexus grigia e stanno tornando indietro. Vedo i cartelli della... superstrada 17 e... di Averill Avenue, o della statale 32. C’è un cartello di un parco nazionale, ma non riesco a leggere il nome. Ci sono sempre i due uomini di prima, senza la strega.
So dove sei, disse lui soddisfatto. Brava.
L’uomo riuscì ad allentare il bavaglio e lo sfilò da sopra alla testa di Pia, proprio mentre la Lexus accostava. Pia urlò all’uomo: «Corri!»
I due scesero dall’auto, incazzati. Erano armati.
No, non sono stata brava. Ho fatto un brutto errore. Oddio, oddio, oddio.
Dragos cercava di parlarle, ma lei non riusciva a stare zitta, non riusciva a correre, non riusciva a fare altro che fissare con gli occhi spalancati dall’orrore, mentre l’uomo si alzava e si voltava. Uno dei fae sollevò la pistola e gli sparò.
Lei singhiozzò. Credo di aver appena fatto uccidere qualcuno.
Poi l’altro sollevò la pistola e sparò a lei. Pia abbassò lo sguardo verso il dolore che sentì nel petto. Un altro dardo si era infilato nella maglietta.
Dissolvenza al nero.
Il drago ruggì, tormentato, precipitandosi a nord con tutta la forza e la velocità che aveva. Tutte le sue sentinelle lo seguivano, tranne una che era rimasta ad affrontare la strega.
Era troppo, troppo lontano, e ora lei era svanita di nuovo.
I suoi nemici avevano preso la sua compagna. Suo figlio.
Doveva essere viva.
Qualsiasi altra ipotesi era inaccettabile.
Un potere gelido e bruciante la svegliò di colpo. Tossì e si girò su un lato. Il bavaglio non c’era più, come anche le fettucce su caviglie e polsi. Le braccia e le gambe erano attraversate da un doloroso formicolio, mentre la circolazione nel suo corpo riprendeva.
Era distesa sul pavimento. Toccò il legno massello lucidato. Era un interno, quindi.
«Ecco la nostra ladra» disse un’acculturata voce maschile sopra di lei. «È ora di alzarsi!»
Non era una voce umana. Era fatata. Non aveva perfettamente chiaro di chi fosse? Peccato che avesse ancora la testa attaccata al corpo. Aveva sperato di trovarlo diversamente, quando lo avrebbe incontrato di nuovo.
«Dormo, poi mi sveglio. Poi mi addormento e adesso mi risveglio» gracchiò. «Deciditi, una buona volta.»
L’uomo rise. «Be’, non sei per niente noiosa, te lo concedo, ma sei stata una stronzetta sfuggente da agguantare. E a quanto pare anche Cuelebre ha fatto fatica a trattenerti.»
Sì, be’, non ne parliamo. Guardò gli stivali neri e lucidi che aveva vicino alla testa. Appartenevano a gambe che andavano ben più in alto di quanto riuscisse a mettere a fuoco. «Posso avere un po’ d’acqua?»
«Certo, perché no.»
Le gettò dell’acqua fredda in faccia. Era sfinita e non riuscì a reagire in altro modo se non ansimando. «E va bene» disse dopo un momento. «Adesso posso avere un po’ di acqua da bere, per favore, altezza?»
Lui rise ancora. «Non sei noiosa e non sei stupida. Molto meglio del tuo fidanzato, che mi ha annoiato e che era stupido. A essere sinceri, non capisco cosa ci trovassi in lui.»
«Ex. Ex fidanzato» disse lei. «Giuro su dio, non smetterò mai di vergognarmene.»
Finalmente sembrò che i suoi arti avessero ripreso a funzionare. Si sollevò per mettersi seduta. Si trovava in una grande sala dal gusto medievale. C’era un grande camino di pietra con vicino un gruppo di sedie, un lungo tavolo di legno con delle panche, dei candelieri accesi alle pareti che illuminavano la scena di una luce tremula che trovava inquietante, e un alto soffitto con travi a vista.
C’erano anche delle guardie, vicino ad alte finestre con infissi in metallo. I due che l’avevano acciuffata erano piazzati davanti a una grande porta a due ante.
Ancora una volta, non aveva idea di quanto tempo avesse passato incosciente, o di dove fosse. Sperava che le droghe non avessero fatto del male al fagiolino. Fece scivolare una mano sull’addome. Si esaminò furtivamente. Sospirò sollevata quando individuò la piccola vita che brillava dentro di lei. Eccoti qui. Sembra che siamo solo io e te, fagiolino. Almeno per adesso.
Il re dei fae si accovacciò vicino a lei. Le porse un calice. Lei bevve cautamente un sorso. Era acqua fresca e limpida. La tracannò in fretta.
Poi alzò lo sguardo verso l’assassino di Keith. Un paio di settimane prima non avrebbe potuto immaginare che c’erano così tante persone da odiare nel mondo. Urien. La strega Adela. I due soldati alla porta, che avevano sparato a un umano innocente senza neanche battere ciglio. La sua lista di persone di cui vendicarsi diventava sempre più lunga.
I pochi fae che aveva incontrato avevano sembianze maliziose come Tricks oppure una strana e severa bellezza, come Urien. Era davvero un peccato che fosse un tale mostro. Con la sua corporatura snella e agile, gli zigomi alti, la pelle bianca e i capelli neri corvini, avrebbe dovuto essere uno dei miracoli della natura.
«Questo è uno dei miei rifugi in campagna» le disse, avendo notato la sua curiosità. «Non c’è l’intera Corte, ci siamo solo io e i miei uomini. E adesso tu, ovviamente.» Indicò il calice. «Ne vuoi ancora?»
«Sì, grazie.» Glielo diede e si alzò in piedi, intanto che lui riempiva il bicchiere da una brocca d’argento appoggiata sul tavolo. Tracannò anche il contenuto di quel calice.
«Bevine quanta ne vuoi. Il sedativo può dare molta sete, o così mi hanno detto. Immagino tu ti sia svegliata molto assetata, visto che ti hanno fatto due dosi, una dopo l’altra. Il che ha stupito parecchio i miei uomini, visto che una dose avrebbe dovuto essere sufficiente per il viaggio.»
«Ho sempre avuto il metabolismo veloce» disse lei. Riempì il calice un’ultima volta e lo prosciugò. L’idratazione cambiava notevolmente la situazione. Le cose smisero di girare agli angoli del suo campo visivo, e iniziò a sentirsi più forte. «L’anestesia locale del dentista? Lasciamo perdere. Non funziona finché non mi fanno una dose da elefante.»
«Capisco.» Il re, con grandi falcate, raggiunse una delle sedie dallo schienale alto, vicino al camino, e si sedette. Indicò la sedia di fronte alla sua, con un sorriso. «Ti prego, unisciti a me. Abbiamo un sacco di cose di cui parlare.»
La cosa peggiore che si può fare davanti a un predatore è mostrargli la propria paura e fuggire. Immaginò che avere a che fare con il re dei fae potesse essere un’esperienza simile. Prese la sedia che le aveva indicato, appoggiò la schiena e incrociò le gambe.
Urien la guardava attraverso la piramide disegnata dalle dita delle sue mani, appoggiate le une contro le altre, ben distese; poi si allungò per prendere un bicchiere di vino sul tavolo vicino e bere un sorso. «Che sorpresa e che mistero sei stata, signorina Giovanni.»
«Non era una cosa voluta» disse lei. «Be’, forse il mistero sì, ma avrebbe dovuto restare irrisolto.»
Lui le lanciò un sorriso che lasciava inespressivi i suoi freddi occhi neri. «Mi sei piaciuta da subito, da quando ho avuto quel penny fra le mani. Mi ha davvero fatto ridere.» Il suo sguardo si fece più penetrante. «C’è qualcosa in te che...»
Tutti questi vecchi stupidi. Ma avevano tutti incontrato, visto, sentito, o annusato sua madre in lontananza? Gran bel modo di non dare nell’occhio. Brava, mamma. Grazie.
Premette le dita sugli occhi e sospirò. «Sì, somiglio a Greta Garbo, me lo dicono tutti.»
«Davvero? E chi sarebbe questa Greta Garbo?»
Lo guardò al di sopra della propria mano. «Una vecchia stella del cinema.»
«Io non seguo i passatempi moderni degli umani.» Liquidò l’argomento con un gesto rapido delle dita. «Questo essere insulso continuava a dare fastidio ai miei uomini, perciò, quando ho sentito dei suoi insensati vaneggiamenti riguardo alla sua fidanzata, ho pensato: lanciamo nella mischia un amuleto di ricerca e vediamo che succede. Sai, per provare uno dei prototipi sui quali sto lavorando nel tempo libero. Immagina la mia sorpresa, quando tutto ciò che diceva si è dimostrato vero. Poi immagina la mia sorpresa quando non voleva più dire una parola su di te.» Si sporse in avanti. «Non dopo averlo castrato, non dopo averlo sbudellato, non dopo averlo accecato. Non credevo che quel ragazzo potesse essere tanto leale. Ero convinto che ti avrebbe venduta nei primi dieci minuti.»
Lei si coprì la bocca, sforzandosi di non mostrare alcuna emozione. Dopo un momento, ebbe la forza di controllarsi al punto da dire: «Non poteva raccontarti niente. Gli avevo fatto fare un giuramento.»
Urien schioccò le dita. «Ecco la spiegazione! Un mistero è stato risolto. Adesso dimmi com’era il tesoro del drago. Era eccezionale come raccontano le leggende?» La sua espressione si era fatta avida.
«Se devo essere sincera, ero troppo spaventata per guardarmi intorno.» Chiuse gli occhi, ricordando quel terrore. Sembrava passato un sacco di tempo. «Per quel che sapevo, sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. Sono entrata, ho trovato un’anfora piena di monete all’ingresso, ho preso il penny e sono scappata via. Avrei potuto prendere qualcos’altro, ma ero così arrabbiata con Keith che non volevo dargli la soddisfazione di mettere le mani su qualcosa di veramente prezioso. E speravo che, prendendo solo quel penny, magari Cuelebre non mi avrebbe uccisa, se anche mi avesse trovata.»
«Il che funge da transizione perfetta verso il nostro prossimo mistero» disse Urien. Abbassò la testa, esaminandola come se fosse stata un insetto al microscopio. «Perché Cuelebre non ti ha ancora uccisa?»
Pia strinse entrambe le mani attorno al grembo. Resisti, fagiolino. Se c’è qualcuno che ha il potere per riconoscere una bugia, questo è lui. Adesso dobbiamo fare un po’ gli equilibristi.
«Dovresti chiederlo a lui» disse. Spalancò gli occhi. «Perché, devo ammetterlo, ha sorpreso moltissimo anche me.»
Lui strinse gli occhi, senza sbattere le palpebre. Pia percepì il suo gelido potere che le scorreva sulla pelle, e si sforzò di non rabbrividire. «Come hai fatto a sfuggire ai goblin?»
Lei scosse la testa. «Anche questo, dovresti chiederlo a lui. Io ero chiusa nella mia cella, quando è venuto a prendermi. Rubare solo quel penny non mi ha aiutata per niente. Era davvero furioso quando mi ha trovata, e dovresti sapere già che non è un tipo molto misericordioso. Voleva a tutti i costi essere lui a giudicarmi, lui e nessun altro.»
Poi le venne in mente una cosa. «Sai, non ci avevo mai pensato prima, ma credo che non avrebbe voluto che ne uscissi viva, perché so dove si trova il suo nascondiglio.»
Le sopracciglia del re si sollevarono. «Verissimo.»
«Ma adesso non ha più importanza» aggiunse lei.
«Che vuoi dire?»
Pia scrollò le spalle. «Una delle guardie ha detto che Cuelebre ha deciso di trasferire il suo tesoro. Immagino che adesso che la sua ubicazione è compromessa...» Lasciò scemare la propria voce.
Anche lui scrollò le spalle. «Dovevamo aspettarcelo. Peccato. Mi ha ostacolato in così tanti modi, che mi sarebbe piaciuto rubargli qualcosa in più. Magari ti farò prendere qualcosa dal nuovo nascondiglio.» Agitò una lunga mano pallida. «Ma questo è un argomento che tratteremo un’altra volta. Quello che voglio sapere adesso è come hai fatto.»
Il suo potere la avvolse e la strinse forte, un boa constrictor invisibile che la avviluppava fra le sue spire. Le venne la pelle d’oca. Si morse le labbra per impedire ai denti di battere. La mente corse rapida alla ricerca di ogni eventuale punto debole della sua storia, per eliminarlo prima di raccontare.
«Sai quanto sono piccole, veloci e buffe le marmosette?» chiese.
«Le marmosette?»
«Non hai saputo da Keith o da qualcun altro che sono una mezza wyr?»
«Qualcuno deve averlo accennato, sì» rispose lui lentamente.
«Be’, io sono buffa e veloce. E ho l’abilità straordinaria di aprire ogni serratura.» Sollevò le dita e le fece ondeggiare. Insinua, sottintendi, non affermare. Adesso stai attenta. «È così che pensavo di scappare... oggi? Be’, prima. Le guardie non sanno che lo so fare. Li avrei ingannati, spingendoli a guardare nella direzione opposta, per poi sgattaiolare fuori dalla zona chiusa in cui mi stavano tenendo.»
Lui le lanciò un sorriso affascinato e la stretta gelida si allentò un po’. «Stupefacente. Quindi, mia cara, non solo hai umiliato Cuelebre derubandolo, ma hai anche l’abilità di fuggire dalla sua torre. Sapevo che sarebbe valsa la pena di rintracciarti.»
Che fortuna, fagiolino.
«E questo mi porta al nostro ultimo, piccolo mistero» disse Urien. «Che è successo fra te e Cuelebre in quella pianura? Sembravate parecchio affiatati. È successo qualcosa, un qualche potere si è alzato e lui è riuscito a mutare. Ci era stato garantito che non sarebbe riuscito a farlo così presto.»
Una goccia di sudore gelido le scivolò fra i seni. Urien aveva appena confermato esplicitamente un complice elfo. Pia chiuse gli occhi e premette le mani sulle tempie. Iniziava a sentirsi esausta e le mani le tremavano.
«Sai che i goblin mi hanno picchiata duramente?» Le tremava anche la voce. «Cercavano di provocare una reazione in Cuelebre, ma ovviamente non è successo, perché lui è rimasto a guardare con quel cazzo di sguardo gelido in faccia.»
Ehi, non sapeva di essere ancora arrabbiata per quella storia, ed era un atteggiamento parecchio irrazionale, no? Come se Dragos avesse avuto alternative. Quella messinscena poteva averle salvato la vita.
Il re sorseggiava vino e la guardava.
«Be’, ci siamo trovati davanti a un’intera distesa di quei goblin puzzolenti. Io avrei fatto qualsiasi cosa per riuscire a scappare. Almeno a New York avrei avuto qualche speranza di sopravvivere, se fossi riuscita a trovare un modo per scappare. C’era quel punto bianco sulla sua spalla, il punto in cui gli elfi lo avevano colpito con quella roba magica.» Indicò il punto su sé stessa. «Era proprio qui. Perciò ho fatto un tentativo disperato. L’ho convinto a lasciarmi incidere la ferita. E a quanto pare tu eri lì... forse eri travestito? Come dicevo, hai sentito il suo potere che si alzava.» Lasciò che l’orrore di quel ricordo trapelasse dal suo sguardo. «Ha ucciso qualsiasi cosa in quella pianura tranne me.»
Il silenzio riempì la sala. Esaminò il volto di Urien, che era rilassato e privo di espressione. Credi se la sia bevuta, fagiolino? Io non riesco a capirlo. Forse sì, forse no. Mi raccomando: non giocare mai a poker con questo verme.
Ma quello che era successo non era ancora più assurdo? Le era accaduto tutto di persona e lei stessa faceva un po’ fatica a crederci.
Provò lo stesso senso di disorientamento che provava ogni volta che lei e Dragos stavano lontani per un po’. Si disse con convinzione: sta venendo a prendermi. Ha detto che stava venendo. Forse siamo una coppia. Magari. Oppure adesso io sono il suo tesoro, come dice Graydon. Il che non ha alcun senso. Comunque, sono incinta di suo figlio. Può anche non amarci, ma deve importargli almeno un po’. Giusto?
«Capisco» disse il re dei fae alla fine. Terminò il vino e appoggiò il bicchiere. «Be’, hai vissuto una bella avventura negli ultimi giorni, non credi?»
«Ascolta» disse lei. Si sentiva così vuota da star male, e le pareti della stanza erano troppo lontane. «Sono ospite o prigioniera? Hai intenzione di torturarmi per qualche strano motivo che io non capisco... perché nel caso in cui tu non intenda farlo, voglio che tu sappia che non mangio da ieri, e non mi sento molto bene in questo momento.»
Il re fece una smorfia e un verso di disappunto. «Cuelebre non si prendeva per niente cura di te, vero? Mia cara, mi domando perché mai dovrei torturarti.»
«Non lo so.» Gettò le mani al cielo e le lasciò cadere sul grembo. «Da due settimane a questa parte, vivo sempre giornate d’inferno» disse. Non c’era motivo per nascondere quella estrema spossatezza nella sua voce, perciò non ci provò neanche. «E non capisco metà delle cose che mi sono successe, non ultimo il motivo per cui i tuoi scagnozzi mi hanno drogata, invece di venirmi incontro in strada e presentarsi.»
«Questa» disse il re «è un’ottima osservazione. Diciamo solo che non sapevamo come avresti reagito, e non volevamo rischiare che ci sfuggissi di nuovo. Considerato poi che tutti riferivano un atteggiamento sorprendentemente protettivo da parte tua, verso il Wyrm, durante il dialogo con gli elfi nella Carolina del Sud.»
Lei rimase pietrificata. Non se l’aspettava. Cosa potevano avergli detto? Come avrebbe dovuto rispondere?
Attraverso labbra intorpidite, disse: «Se quella discussione fosse degenerata oltre, due territori delle Antiche Razze sarebbero in guerra, in questo momento. Se fosse accaduto, un sacco di persone sarebbero morte. È vero, l’ho derubato, ma non sono un’assassina. Se ti hanno raccontato di quella discussione, allora saprai anche che lo avrei scortato fino al confine del territorio elfico e poi avrei schiodato, ma dei camion pieni di goblin ci sono venuti addosso. E chissà come quell’incidente ci riporta a te, giusto?»
Lui le sorrise, con le palpebre socchiuse. «Be’, vedi, un giorno o l’altro riuscirò finalmente a uccidere Cuelebre. Tu ti sei solo trovata nel mezzo, sfortunatamente; ma è tutto passato adesso.» Agitando una mano disse: «Credo dovremmo considerarti più come una lavoratrice forzata, che come un’ospite o una prigioniera. Riesco a immaginare molti modi per usarti. Ci sono così tante persone che hanno così tante cose che vorrei.»
«Non sapevo che fosse un colloquio di lavoro, altrimenti avrei messo un tailleur» disse lei, preda di una rabbia che la rendeva spericolata. Ehi, rallenta, ragazzina. Non ti sta torturando. Ricordati che è una cosa buona.
Lui gettò la testa all’indietro e rise. «Mi piaci proprio, Pia. La questione è molto semplice: farai quello che ti verrà detto. Se lo farai, avrai una vita relativamente comoda. Altrimenti? Be’, lo sconsiglierei. Davvero.» Si alzò. «La conversazione è finita. Piran, Elulas, scortatela nella sua stanza e assicuratevi che ci resti. Ricordatevi di perquisirla, per controllare che non abbia niente per scassinare le serrature. Ah, e datele qualcosa da mangiare. Questa poverina ha gli occhi cerchiati di viola. Sembra che sia sul punto di svenire.»
I suoi rapitori si avvicinarono. I suoi Coso uno e Coso due. Si alzò e andò con loro. Che altro avrebbe potuto fare?
Le permisero di usare il bagno al piano terra. Si sentì sollevata nello scoprire che la casa non era poi così medievale: aveva almeno l’acqua corrente e gli scarichi. Poi la portarono su per una rampa di scale e attraverso un lungo corridoio, fino a una stanza spoglia, con dentro solo un letto striminzito e due coperte ripiegate e una finestra sbarrata.
Poi Coso uno la perquisì in maniera esasperatamente minuziosa, mentre Coso due guardava. Le tastò le cuciture dei vestiti; fece scorrere le mani sul lato interno delle cosce e le strizzò il cavallo dei pantaloni; esaminò lo spazio in mezzo e sotto i seni, e le fece togliere le scarpe per poterle ispezionare.
Lei strinse i denti e soffrì in silenzio. Riuscì a contenere la propria rabbia solo perché, dall’espressione piatta e annoiata di lui, era chiaro che quella perquisizione non aveva alcun risvolto sessuale. Anche provandoci, non sarebbe riuscita a nascondere neanche un grimaldello piccolissimo.
La chiusero nella stanza. Aprì una delle coperte sul materasso nudo e ci si buttò sopra, in ascolto dei due soldati che parlavano fra loro nella loro lingua dai suoni celtici. Un paio di piedi si allontanò, e Pia sperò che lo facesse per portarle qualche forma di nutrimento. Avrebbe dovuto mandar giù qualsiasi cosa le avessero portato, in modo da potersi rimettere in forze e prepararsi alle mosse successive, qualsiasi sarebbero state. Sperava solo che non fosse carne.
Fuori sembrava essere sera, grigia e plumbea e con una promessa di pioggia che rendeva buia la stanza. Con lo sguardo attraversò le pareti spoglie fra cui riposava. Dragos? provò. Ci sei?
Nient’altro che un silenzio ovattato. Che significava? Con molta attenzione, espanse la propria coscienza. Non riusciva a sentire niente, nessuna magia della terra, nessun fae, nient’altro che il gelido potere di Urien che l’ammantava. Era forse in grado di soffocare la magia nelle sue vicinanze? Se fosse stato così, era un meccanismo di difesa davvero utile.
Sollevò le sopracciglia quando guardò sé stessa: non stava brillando. Doveva essere in grado di soffocare la magia, ma non di sciogliere gli incantesimi già attivi. Qualsiasi fossero le sue caratteristiche, Pia immaginava che potesse percepire ogni innalzamento nel potere attorno a lui.
Ripeté la storia che aveva inventato. Ehi, fagiolino, sono fortissima sotto pressione.
Ma quella fandonia non avrebbe retto per molto. Prima di tutto, non sapeva fino a che punto Adela la conoscesse e quanto fosse realmente coinvolta e alleata con i fae oscuri. Se avesse saputo anche solo una parte della verità, presto o tardi Pia doveva aspettarsi che l’avrebbe detta a Urien.
E riguardo a quel legame con gli elfi, Ferion era a conoscenza delle sue vere origini, aveva parlato con gli Alti Signori degli elfi e aveva presenziato alla teleconferenza. Poteva azzardarsi a sperare che il contatto di Urien non fosse lui? L’aveva trattata in modo così caloroso. Significava che non avrebbe parlato di lei al re dei fae?
Cercò di ricordare ciò che Ferion aveva detto ad alta voce a Folly Beach, e ciò che le aveva detto durante la loro conversazione telepatica privata. Non ci riusciva. Era inquietante. Ma sembrava quantomeno logico che Ferion non fosse il contatto di Urien fra gli elfi.
C’erano troppe variabili ignote, e non ultima fra queste il fatto che lei non avesse alcuna abilità nel distinguere le menzogne. Urien avrebbe potuto benissimo avere i suoi buoni motivi per imbrogliarla o mentirle. Perciò l’unica cosa che aveva il coraggio di sperare era di essere riuscita a guadagnare un po’ di tempo.
Sentì dei passi che si avvicinavano. Si mise seduta quando una chiave grattò nella serratura. Coso due entrò. Appoggiò un vassoio per terra. Uscì e chiuse di nuovo a chiave la porta. Pia andò a ispezionare il contenuto del vassoio.
Mezza pagnotta di pane nero, delle mele e altra acqua. Bingo.
Si avventò sul cibo. Forse il pane era vecchio di un giorno, perché iniziava a essere un po’ raffermo, ma era ancora morbido e granuloso e delizioso. Le mele erano magnifiche. Erano di una qualità così buona da farle pensare che venissero da un’Altra Terra. Mangiò tutto, bevve metà dell’acqua e sentì un’immediata impennata di energia. Molto meglio.
E adesso? C’erano due modi per uscire da quella stanza. Spinse il vassoio contro la parete, così da non rischiare di rovesciare l’acqua che le era rimasta. E andò a esaminare la finestra.
Rimase a fissarla, incredula davanti alla propria fortuna. Le sbarre della finestra erano sull’esterno del vetro. Erano due semplici spranghe di ferro verticali, con sbarre di sostegno orizzontali, in alto e in basso. Avevano cardini su entrambi i lati della finestra ed erano chiuse da un lucchetto e una catena metallica avvolta attorno alle barre finali. Sembravano aver sostituito delle vecchie persiane. Qualcuno aveva preparato quella stanza per il suo arrivo.
Aprì lentamente la finestra, facendo meno rumore possibile e poi si fermò ad ascoltare. Le sue guardie continuavano a parlare, indisturbate.
Urien poteva essere bravo a soffocare la magia, ma sua madre diceva sempre che la magia contro l’abilità naturale intrinseca era una cosa complicata da definire e, nella sua dimostrazione pratica, Dragos non era riuscito a percepire niente di ciò che aveva fatto. Prese il lucchetto e tirò. E quello si aprì.
Lo sfilò e svolse la catena. La soppesò, valutando la situazione. Era bella solida, lunga più di un metro. La ripiegò, avvolse un’estremità attorno alla mano e la fece roteare per sentirne il peso.
Non era male come arma, per qualcuno a corto di alternative. Fece cadere il lucchetto sul materasso, bevve l’acqua rimasta e aprì l’inferriata di un paio di centimetri, cercando di sbirciare in basso i dintorni della casa.
Urien, o chiunque avesse il compito di occuparsi della sicurezza, era stato abbastanza scaltro da mantenere la zona priva di arbusti. Il paesaggio non era molto gradevole, ma non lasciava spazi in cui nascondersi. Pia si tirò indietro quando una guardia girò l’angolo e camminò sotto la finestra. La sua fortuna sembrava fermarsi lì.
Rimase a guardare per un po’, pensando di stimare il passare del tempo e tenere traccia delle guardie. La quinta guardia che passò era quella originaria, perciò c’erano quattro guardie lì fuori, una per ogni lato, che perlustravano la zona in cerchio. Quattro più Coso uno e Coso due, le guardie alle finestre della sala riunioni, e sicuramente altre che non aveva visto. Forse Urien aveva con sé un totale di venti guardie: un numero ragionevole, se voleva muoversi in fretta e senza dare nell’occhio.
Per come la vedeva lei, aveva due scelte: poteva richiudersi dentro e restare in attesa degli eventi, il che era rischioso. Oppure poteva saltare fuori dalla finestra, fare fuori in fretta una delle guardie e correre come se non ci fosse un domani. Estremamente rischioso.
Non avrebbe avuto né alternative né difese, se fosse rimasta. Sarebbe stata alla mercé del re dei fae; la storia che aveva messo in piedi era come una bomba a orologeria; lei non avrebbe osato sottoporsi a un esame più dettagliato: non riusciva neanche a pensare a cosa sarebbe successo se Urien avesse scoperto che aspettava il figlio di Dragos.
Perciò, in realtà, non aveva alcuna scelta.
Osservò le guardie che continuavano a ruotare. Qual era quella con l’aria più lenta, assonnata, la più incompetente? Accidenti, sembravano tutte brave.
Be’, morire non era una possibilità da prendere in considerazione. Stava lottando per due, ormai. «Tieni duro, fagiolino» sussurrò, appoggiando il piede sul davanzale.
Quando la guardia successiva arrivò, lei spalancò l’inferriata e balzò fuori. Il tonfo con cui atterrò fece in modo che la guardia sollevasse la balestra ancora prima di voltarsi.
Fu veloce.
Lei fu più veloce.
Si girò e usò ogni grammo di forza centrifuga che poté raccogliere per sferzargli un colpo con la catena. Capì dal modo in cui lo colpì alla tempia che era morto, intanto che toccava terra.
Lei non provò niente, né pietà, né rimorso, mentre guardava quel corpo crollare. Ah. Quindi è questo che si prova con un istinto omicida.
E va bene.
Afferrò l’arma e con un’occhiata la valutò. Era una balestra moderna, già carica, leggera e veloce, con un mirino telescopico e una faretra montata sul braccio principale, che conteneva cinque o sei dardi. Conosceva quell’arma.
Ehi.
Il cuore prese a battere forte, Pia schizzò veloce nell’angolo della casa in cui la prossima guardia sarebbe apparsa pochi secondi dopo. Premette la schiena contro il muro, fece un respiro profondo e attese con l’arma puntata.
Si ritrovò faccia a faccia con la guardia successiva che girava l’angolo. Questa spalancò gli occhi. E lei la colpì a bruciapelo, per poi sbirciare rapidamente oltre l’angolo.
Da quello che riuscì a intravedere, quel lato della casa era più lungo, e parte di un altro edificio era visibile lì vicino. Forse era una stalla? Dove tenevano quelle specie di libellule, al chiuso o all’aperto?
Si fece indietro, ricaricò la balestra e si mise a contare.
Millequattro, milletré, milledue...
Non riusciva a sentirla, ma sapeva che doveva esserci la guardia. Si sporse oltre l’angolo, gli sparò e tirò il suo corpo dall’altro lato, per ammassarlo sugli altri. Ricaricò e contò ancora. Quasi non riusciva a crederci, quando l’ultima guardia cadde. Rimase a fissare il cadavere, grata del fatto di essere ancora insensibile. Aveva appena ucciso quattro persone in altrettanti minuti, solo per avere qualcosa in più di una manciata di secondi di vantaggio.
Meglio fare in modo che fossero valsi a qualcosa.
Lasciò cadere la balestra, raccogliendo quella dell’ultima guardia morta, ancora piena di dardi, e si mise a correre.