Capitolo sesto
L’ossessione per le piccole cupole d’oro sulle cattedrali. Le corone o berretti degli zar e il loro “potere temporale e spirituale”. La diversità di configurazione delle cupole dorate tra Kiev, Pietroburgo e Mosca.
Perché cosí tante cupole dorate sulle cattedrali e sulle chiese? E perché sono state ideate e costruite in modo tanto differente fra loro, a seconda che fossero situate nella città e nelle piazze di Kiev, oppure di Pietroburgo, o ancora, nella grande piazza del Cremlino di Mosca e dintorni? Perché cosí tanta attenzione e quasi ossessione, nella diversa creazione e configurazione delle tantissime, piccole cupole d’oro? Non sarò certo stata l’unica fra i turisti – e a parte i cittadini russi, abituati a vederle sin dalla nascita – a rimanere meravigliata per tutte quelle cupole d’oro in bella mostra sulle cattedrali di Kiev, di Pietroburgo, di Mosca, ma anche di tutta la Russia. Comprese le cupole dorate viste qua e là in mezzo alle case cittadine, o nei piccoli paesi, e che affiorano ovunque, persino tra le fronde degli alberi. O, al contrario, fra antichi palazzi e nuovi grattacieli, da qualsiasi parte si guardi? Credo che, dopo esserne rimasti stupefatti, molti viaggiatori giunti da altri luoghi, e forse alcuni fra gli stessi nativi russi, si chiederanno a volte il “perché”.
Ad esempio, perché tutte queste cupole dorate sono state costruite ed esposte su chiese e basamenti cosí vicini fra loro, tanto da farle apparire talvolta – da distante – quasi saldate l’una all’altra, non soltanto nella piazza del Cremlino, ma ovunque: in modo tale che nelle strade delle città si vedono sbucare da lontano, da ogni angolo e viuzza, fra le case, e in mezzo ai grattacieli?
Proprio nel Cremlino si erge il campanile di Mosca (1508), emblema del potere su tutta la Russia (sino ai giorni nostri, e certo anche in futuro), chiamato «campanile di Ivan il Grande», e sulla sua cima vi è, naturalmente, una cupola dorata. È alto 81 metri ed è considerato l’edificio piú rappresentativo dell’architettura russa rinascimentale. La parte piú bassa della struttura risale ovviamente ai tempi di Ivan il Grande, da cui il nome. Un editto imperiale russo vietava nel modo piú tassativo che qualunque costruzione di Mosca superasse in altezza il campanile di Ivan il Grande.
Chissà quante altre persone di passaggio si saranno poste la medesima domanda e certo avranno tentato di fornire a se stessi una qualche spiegazione, piú o meno valida. Fra i primi, vi saranno gli stessi studiosi russi appartenenti a differenti discipline, anch’essi attratti (o interdetti) dalla costante presenza delle cupole d’oro. E certo avranno suggerito interpretazioni interessanti circa le corone (o berretti degli zar). Soprattutto a causa del richiamo del «potere temporale e spirituale».
Come ad esempio Dmitrij Lichačëv, profondo esperto di arte russa già citato in precedenza. A suo parere, tutte queste cupole dorate sono dovute al fatto che
[…] la terra russa, o meglio l’antica Ruś, che comprendeva le future Ucraina, Bielorussia e Grande Russia, era relativamente poco popolata. Del resto succede ancora oggi, in rapporto alla incommensurabile estensione del territorio russo. La popolazione soffriva di tale forzata separazione, e si insediava prevalentemente lungo le vie di comunicazione commerciale (i fiumi), in paesi che non erano mai grandi, e dove si temeva l’ignoto da cui si era circondati.
I nemici venivano infatti da tutto ciò che era sconosciuto: la steppa era un paese inesplorato, i vicini occidentali erano chiamati nemcy (tedeschi), alias il popolo dei nemye (muti), cioè persone che parlavano in lingue estranee, quasi misteriose. Perciò fra i boschi, le paludi e le steppe, la gente cercava di affermare la propria esistenza, di dare segnali della sua presenza mediante le alte costruzioni delle chiese, poste come fari sulle anse dei fiumi, sulle rive dei laghi, o sulle colline, perché si vedessero da lontano.
Cosí – spiega ancora Lichačëv – nacque in Russia quell’amore per il luccichio dell’oro, per le cupole e i campanili delle chiese, visibili da distante, per l’arte della voce, destinata ai grandi spazi, per il canto corale, per i colori vivaci, in contrasto con il verde degli alberi, e per i colori puri dell’arte popolare, che si stagliano sullo sfondo delle nevi bianche1.
Una riflessione che ha in sé qualcosa di poetico, persino romantico, ma al tempo stesso racchiude la propria razionalità. In certo senso aiuta anche a comprendere, a svelare, la profonda emotività che caratterizzava, e forse caratterizza tuttora, una buona parte della popolazione russa, sin dal primo momento in cui – da vicino e dal vero sulla piazza antistante il Cremlino – guarda e ammira quelle cupole dorate.
La vicinanza era tale da far addirittura sembrare che, allungando un braccio, si sarebbe potuto toccarle da qualunque parte ci si trovasse, davanti, dietro o di fianco. Ma non era tanto il fatto di averle cosí a portata di mano, e tantomeno “l’amore per il luccichio dell’oro”, a far prendere in considerazione l’insieme. Gli incentivi erano piuttosto: l’estrema numerosità, il loro essere cosí piccole e, soprattutto, la conformazione liscia e arrotondata, armoniosa, tipica delle cupole di Mosca ma al tempo stesso molto differente – si immagina in modo intenzionale – da quelle di Kiev e di Pietroburgo, configurate invece «a forma di berretto», di cui si parlerà ancora.
È ovvio che non è obbligatorio che le cupole delle cattedrali siano grandi (fa eccezione, in questo discorso, l’enorme cupola della cattedrale di Sant’Isacco, a Pietroburgo, oggi adibita a museo). E d’altronde noi italiani siamo certo portati a considerare piccole quelle russe in quanto, anche senza volerlo, le paragoniamo alle cupole costruite dai nostri architetti rinascimentali. Come la cupola del duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze, costruita da Filippo Brunelleschi, o quella della basilica di San Pietro, in Vaticano, concepita dal Bramante ed elaborata poi ulteriormente da Michelangelo Buonarroti e dal Bernini. In entrambi questi casi si tratta infatti di una sola grande cupola. Il confronto vale pure per le cupole di altri Paesi, non soltanto europei e di religione cristiana, ma anche islamici, le cui bellissime moschee hanno tutte ben altre dimensioni. A cominciare dalla grandiosa cupola di Santa Sofia a Bisanzio (poi Costantinopoli, e oggi Istanbul), circondata dai suoi quattro snelli e alti minareti, che è servita da modello architettonico per numerose altre moschee.
Quanto alla conformazione, si può avanzare l’ipotesi che cosí tante piccole cupole d’oro poste talvolta quasi a grappolo, sopra le cattedrali e spesso tra le case, abbiano un significato metaforico diverso a seconda dei luoghi, in particolare nelle differenti città e capitali della Russia, in cui sono state a suo tempo ideate e costruite. La diversità si nota di piú rimirando, da un lato, le cupole delle chiese edificate a Kiev (la cui fondazione risale al 1051 circa) e quelle simili di San Pietroburgo (fondata nel 1703 dallo zar Pietro il Grande). E dall’altro lato quelle innalzate a Mosca (fondata nel 1147 dal principe Jurij Dolgorukij)2.
Le corone o berretti degli zar, e le cupole d’oro di Kiev – in modo peculiare quelle dell’antico monastero delle Grotte – o quelle di Pietroburgo piú recenti, paiono voler trasmettere un messaggio esplicito, tale da richiamare l’attenzione del popolo (russo e non) sulla loro conformazione, oltre che sulla loro bellezza. Per comprenderne a fondo il significato occorre però risalire indietro nel tempo e riprendere un’antica leggenda che narra come Vladimiro detto «Monomonaco» (1053-1125), gran principe di Kiev, avesse fatto trasferire da Bisanzio a Kiev la corona bizantina che, secondo la tradizione, gli era stata donata nel XII secolo da suo nonno, l’imperatore Costantino.
Da allora in poi, durante la cerimonia di incoronazione, veniva posta sulla testa dei discendenti della stirpe la medesima corona bizantina, chiamata «berretto di Monomonaco». Con quel gesto particolare gli eredi venivano proclamati «zar di tutta la Russia»3. Un bel ritratto di Pietro il Grande, incoronato zar a Mosca nel 1682 (a soli 10 anni), dopo la morte di suo padre e sotto la reggenza di sua madre, lo mostra in effetti con un berretto-corona di foggia bizantina, ricoperto di perle e pietre preziose, e con una piccola croce d’oro in cima al capo.
Se si esamina attentamente la configurazione di tali berretti-corona sulla testa degli zar, sarà facile rilevare la somiglianza con le cupole delle cattedrali di Kiev, sagomate in modo da apparire molto arcuate, e al tempo stesso rilassate – chiaramente in contrasto con il materiale e il modo indeformabile con cui le cupole erano state forgiate e ricoperte, in bronzo e oro. In sostanza, le cupole afflosciate in cima alle cattedrali – e i berretti sulle teste incoronate degli zar – dovevano mostrare quanto piú possibile la medesima conformazione simbolica, per trasmettere a tutto il popolo il messaggio che il berretto-corona degli zar, cosí come le cupole in cima alla cattedrale – anch’esse a forma di berretto – rappresentavano entrambe, allo stesso modo, il «potere temporale e spirituale» attribuiti esclusivamente allo zar, monarca e imperatore.
La sovranità dello zar era infatti suprema, una e indivisibile. Dipendevano esclusivamente dagli zar il governo dello Stato, ogni decisione politica, il dominio del territorio, e la stessa Chiesa ortodossa: vale a dire il governo delle anime e il rapporto uomo-Dio, nonché i principî morali da esigere dai fedeli: cioè dall’intera popolazione. Come detto in precedenza, tutto l’insieme è raffigurato e ben evidenziato nello stesso ritratto di Pietro il Grande da “bambino”. Con la mano destra tiene lo scettro (potere temporale), con la sinistra una sfera sormontata da una piccola croce (potere spirituale). Il tutto in aggiunta al berretto-corona sul modello di Monomonaco.
Uno fra i tanti esempi piú consoni e ben visibili da vicino delle cupole inarcate e quasi flosce in basso, a forma di berretto-corona, si trova a Petrodvorec (Peterhof), che si affaccia sul golfo di Finlandia, nella giurisdizione di San Pietroburgo, dove lo zar Pietro il Grande aveva curato di persona, insieme all’architetto fiorentino Francesco Bartolomeo Rastrelli, la costruzione della sua nuova reggia chiamata Peterhof4. Questa, inaugurata nel 1723, dopo un viaggio in Francia di Pietro nel 1717, era diventata subito famosa come la «Versailles russa».
La cappella della reggia ha cinque cupole dorate – realizzate come il modello già descritto del berretto-corona del monarca – su ognuna delle quali fa bella mostra di sé una piccola sfera dorata su cui spicca la croce cristiana e, su quella al centro, anche la mezzaluna o falce di luna, di origine islamica e bizantina. Come se tutto quell’oro non bastasse, e a differenza delle cattedrali di Kiev, Pietro il Grande aveva abbellito ancor piú le sue cupole dall’aspetto afflosciato con nervature che supportavano una serie di borchie dorate.
Oltre la cappella, e sulla terrazza al di sopra della magnifica cascata delle fontane, affollata di statue dorate e anch’essa progettata da lui, Pietro, si vede invece il Palazzo reale con un padiglione ornato di stralci di felci d’oro, e il “tamburo” su ognuno dei quali vi è una sola cupola, sempre a forma di berretto monomonaco, con varie nervature e rosette. Al di sopra della cupola c’è infine un’altra sfera dorata che sostiene l’aquila bizantina, o aquila bicefala, a sua volta simbolo del patriarcato ecumenico, universale, di Costantinopoli e dell’ortodossia. Vale a dire l’antico emblema imperiale di Bisanzio, che Pietro il Grande voleva utilizzare per se stesso e il proprio impero, e che ostentava in ogni modo possibile. L’aquila bizantina possiede infatti due teste, entrambe fornite di un vistoso becco adunco. Con la zampa sinistra l’aquila tiene ben stretto lo scettro che termina in alto con una croce, e con la destra regge una sfera, dotata a sua volta di una croce (unificando cosí tutti i poteri, temporali e spirituali). Su ogni testa dell’aquila è posta una corona, mentre una terza corona, piú grande, sta al di sopra delle due teste aquiline.
Le tre corone sono sovraccariche di significati metaforici, variabili da una situazione all’altra. Secondo alcuni studiosi, all’inizio le tre corone sulla testa dell’aquila dovevano rappresentare infatti i tre grandi principati conquistati dalla Russia: Kazań, Astrachań, Siberia. In seguito erano state considerate simbolo della Santissima Trinità, e piú tardi ancora emblemi dell’unità del popolo: «russo, ucraino, bielorusso». Anche nella famosa fortezza dei Santi Pietro e Paolo, a San Pietroburgo, si possono contemplare cupole simili. Ma la loro conformazione, per quanto sempre arcuata – e ben diversa dalle cupole moscovite –, non è cosí deliberatamente lasca sulla parte bassa come quella della reggia di Peterhof. Inoltre sopra le cupole della fortezza non compaiono le aquile bicefale.
Ben diverse da quelle di Kiev e Pietroburgo sono invece le cupole d’oro rotonde di Mosca. Il panorama che si apre all’improvviso in questo grandioso teatro e palcoscenico all’aperto che è la piazza del Cremlino di Mosca è senz’altro stupefacente. Chi, provenendo dal mondo occidentale, giunga nella piazza delle Cattedrali, per quanto preparato all’arte e all’architettura russa, non può non rimanere attonito di fronte allo spettacolo grandioso, fantasioso, e insieme ossessivo, che la piazza del Cremlino offre/impone a chi – già prima ancora di entrarvi – vede lo scenario da lontano. E magari si ferma, si stropiccia gli occhi, forse incerto sul fatto se di fronte a lui/lei si apra un insieme di edifici concreti e molto reali, da toccare quasi con mano. Oppure se si tratti di una propria visione surreale, un fenomeno di rifrazione ottica, come può essere la “fatamorgana”, per cui l’immagine appare sospesa nell’aria, distante e moltiplicata dai propri sensi.
Senza saperlo ci si trova quasi di fronte alla vertigine della ripetizione, all’ebbrezza dello stordimento, e non è certo casuale il fatto che molti pittori e illustratori russi abbiano spesso dipinto e profuso l’immagine delle piccole cupole d’oro nei loro quadri, tanto incantevoli da rappresentare un mondo da favola. Tuttavia, mentre le cupole d’oro di Kiev, e ancor piú di Pietroburgo, paiono voler trasmettere un messaggio studiatamente esplicito – mirato a far rispettare il potere temporale e spirituale degli zar –, dalle cupole d’oro di Mosca viste da vicino sembra promanare un’idea diversa, indifferente al potere, all’arroganza e alla superbia degli zar.
Tutte le diverse mura che contornano la piazza interna del Cremlino mostrano tuttora un massiccio basamento quadrangolare, composto da una sequenza di torri bianche che si congiungono fra loro. O ancora, altre grandi pareti a foggia cubica che si elevano fino ad una determinata e uguale altezza, dove formano una sorta di terrazza. Le une e le altre di un bianco abbagliante. Su queste spianate sorgono altre torrette piú piccole (dette anche tamburo), con la funzione di sostenere il piú in alto possibile – in modo da riuscire ben visibili da ogni parte, anche da lontano – le configurazioni piú belle e affascinanti delle cupole d’oro, levigate e rotonde, come cristallizzate. Decisamente diverse da quelle di cui si è già parlato: «le cupole afflosciate come le corone o berretti degli zar», che ornano le cattedrali di Kiev e di Pietroburgo.
Le cupole delle cattedrali – afflosciate che siano come a Kiev e a Pietroburgo oppure ben diritte e arrotondate come a Mosca – rimandano di continuo all’oro, in russo zoloto, termine che si incontra spesso anche nelle fiabe russe, in specie quelle proibite, dove si ricordano talvolta antichi culti pagani. Nel descriverle si aggiungono poi parole slave dialettali, come zolotnik, che significa “mammina”, ma anche “grembo femminile”. Inoltre, sempre in riferimento alle fiabe russe, in particolare quelle vietate, è risaputo che «nelle rappresentazioni mitologiche sul coito», si associa spesso l’organo genitale femminile a un anello d’oro, a un buco d’oro, e cosí via.
In una delle piú antiche byliny, dove l’eroe maschio si chiama Stavra Godinovič, marito e moglie sono entrambi bogatyri (lui bogatyŕ; lei, al femminile, bokatyrka). Parlando fra loro richiamano l’un l’altro i propri rapporti erotici: «Ti ricordi come noi insieme giocavamo al dardo; e il mio – aggiunge la moglie – era l’anello d’oro, mentre il tuo era il dardo d’argento?»5. Il richiamo allo zoloto è comunque assiduo nelle «fiabe russe proibite», in particolare per quanto concerne il fallo maschile, a sua volta associato alla ricchezza: «Il fallo è rappresentato come mezzo di arricchimento; uno strumento per ottenere oro e denaro; e il coito è indicato come ottenimento dell’oro»6.
Da ultimo, la terminologia «Anello d’oro» viene oggi usata in particolare come pubblicità e richiamo prevalente per i molti tour di viaggio, da Mosca a Pietroburgo e viceversa, in crociera sui fiumi o con altri mezzi. Ai turisti si spiega che i paesi da visitare «costituiscono l’anima russa». E le numerose chiese e cattedrali che incontreranno durante il percorso, e il viaggio, saranno poi tutte ben dotate di moltissime, seducenti, piccole cupole d’oro.
1. D. S. LICHAČËV, Le radici dell’arte russa cit., pp. 16-17.
2. Le prime fortificazioni del Cremlino risalgono al 1156, ma subirono poi varie invasioni, demolizioni e ricostruzioni.
3. E. KOSTJUKOVIČ (a cura di), Note cit., p. 342.
4. Parecchi architetti italiani sono diventati famosi per le costruzioni delle regge e dei piú bei palazzi di San Pietroburgo. Fra gli altri è da ricordare Carlo Rossi, al quale è stata dedicata una strada da lui costruita e considerata tra le piú belle di Pietroburgo. La strada, che forma anche una piazza, è pedonale, ed è ben visibile anche dal lungofiume.
5. B. A. USPENSKIJ, Introduzione cit., pp. 17-18 e 27-28, nota 48. Si vedano inoltre le fiabe XX, XLIIIa, XV, XLVII in A. N. AFANAŚEV, Fiabe russe proibite cit.
6. Ibid.