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Il bar si trovava in un hotel di lusso di Washington, ad appena un isolato di distanza dall’appartamento di suo padre. Si era data il permesso di uscire, ubriacarsi e poi passare il resto del weekend a riprendersi; una cosa che non faceva da quando aveva finito la scuola di legge. Era un venerdì sera di novembre e il locale era scarsamente illuminato e affollato di gente che partecipava a quella che sembrava una sorta di bizzarra convention ingegneristica. Mallory prese posto su uno sgabello vuoto all’estremità del bancone. Si sfilò il cappotto e se lo stese sulle ginocchia, poi ordinò un McClelland’s.

«Grazie.»

Sollevò il bicchiere per brindare a sua sorella e buttò giù il liquore. Si era truccata e aveva indossato un vestito da cocktail nero, così avrebbero pensato che dovesse incontrare qualcuno per cena e non l’avrebbero buttata fuori prima che raggiungesse il limite. Aveva bisogno di qualcosa che l’aiutasse a dimenticare, e starsene seduta da sola nel suo appartamento con una bottiglia di scotch sembrava ancora più patetico che circondarsi di estranei. Aveva amici in città, ma non aveva voglia di vedere nessuno, non quella sera.

Quella sera, diciotto anni prima, era andata a dormire e quando si era svegliata, la sua vita e quella di molti altri erano state distrutte. Perché quel bastardo aveva presto Payton e non lei? Aveva forse detto o fatto qualcosa che aveva messo in pericolo sua sorella? Era stata colpa sua, oppure si era trattato di cieca fortuna?

Mallory aveva avuto un episodio di sonnambulismo? Se n’era andata quando era arrivato il rapitore? Poi era tornata a letto e aveva continuato a dormire nel suo oblio infantile? Aveva forse aperto la porta d’ingresso? Aveva lasciato entrare qualcuno in casa? Non lo sapeva. Non riusciva a ricordarselo. Quella notte era stata rimossa dalla sua memoria. Tutto ciò che ricordava era di essersi svegliata e che Payton non c’era più. Alzò un dito in direzione del barman, che le rispose con un cenno del capo mentre serviva un altro cliente.

Le luci natalizie brillavano e Michael Bublé cantava Jingle Bells. Se avesse avuto con sé la sua arma, avrebbe fatto esplodere lo stereo in mille pezzi.

Sorseggiò il nuovo drink, che le bruciò la gola. Quando ebbe finito con quello, si dedicò al vino bianco, prima che il barman decidesse di non darle più da bere. Voleva ubriacarsi, ma non voleva arrivare a perdere i sensi. Non ancora, comunque.

Nello spazio di una settimana, la sua graduale e tranquilla avanzata tra i ranghi dell’FBI aveva subito un radicale cambiamento. Le erano entrati in casa, era riuscita a far arrabbiare sua madre e le era stato assegnato un nuovo incarico con l’espresso proposito di spiare i colleghi e scoprire se uno di essi fosse in combutta con un assassino, e fosse quindi un potenziale candidato per il braccio della morte.

Grandioso.

Non era certo un modo per farsi degli amici e in quel momento, Mallory era a corto di amicizie. Qualcuno la sfiorò prendendo posto sullo sgabello di fianco al suo. Fece stridere i denti e strinse gli occhi mentre guardava le bollicine del suo vino. Se qualcuno avesse tentato di rimorchiarla, gli avrebbe fatto del male.

«Non mi aspettavo di vederla a Washington, Agente Speciale Rooney.»

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Mallory si voltò e vide Alex Parker seduto di fianco a lei. Il suo cuore ebbe un piccolo tremito di panico. Non ora. Non stasera.

Ma perché non quella sera? Perché non incasinare anche questo, come il resto della sua vita?

Al diavolo. Alzò il bicchiere in un cenno di saluto e prese un lungo sorso. «I miei piani sono cambiati in modo inaspettato. Viene qui spesso, Mr Parker?» C’era una punta di amarezza nel suo tono. Era inspiegabilmente felice di vederlo, ma non voleva compagnia durante la sbronza di quella sera. Desiderava soltanto un oblio spensierato. E nessuno spettatore interessato.

«A volte.» Alex si strinse nelle spalle. Sembrava diverso quel giorno. Sempre bellissimo, ma non nello stile dell’uomo d’affari. Una maglietta nera metteva in risalto muscoli ben definiti e jeans dall’aspetto vissuto avvolgevano il resto. Gli occhi di Mallory lo percorsero mentre lui ordinava una birra. Un tatuaggio faceva capolino da sotto l’orlo della manica. Aveva l’aspetto del soldato che era stato un tempo, invece che del consulente per la sicurezza che era ora. Attirò la sua attenzione con un’espressione seria. «Le dispiace se mi siedo qui?»

Lei scosse la testa, anche se si sentiva combattuta. Il fatto era che desiderava conoscere quell’uomo, e, per una volta, voleva scapparsene un po’ dalla sua mente. In termini di soddisfazione, chiacchierare con qualcuno non era neanche lontanamente paragonabile all’annegare il proprio dispiacere per qualche ora o qualche giorno nell’alcol. 

«Questo non viola la tua regola del non uscire con gli uomini?»

La bocca di Mallory divenne secca. «Sedersi di fianco a me non viola la regola del non uscire con un uomo.»

Gli occhi di Alex si fecero scuri come il carbone. «E parlare? Violerebbe la regola del non uscire con gli uomini?»

Il vino era fresco mentre le scivolava in gola. Ma un guizzo di calore le pervase lo stomaco e i suoi muscoli cominciarono a sciogliersi. Finalmente l’alcol stava facendo il proprio lavoro. «Neanche parlare viola la regola del non uscire con gli uomini, ma non ho molto da dire in questo momento. In effetti, non sono una gran compagnia.» Tanto valeva essere onesti. Lui sembrava un ragazzo carino e lei non amava prendere in giro le persone. Sfortunatamente, sul lavoro non aveva alcuna scelta, almeno nell’immediato futuro. Grandioso. Si stava comportando in modo patetico e odiava i patetici. Prese un altro sorso di vino.

«Nemmeno io parlo molto.» Gli angoli delle labbra di Alex s’incurvarono e Mallory avvertì una scarica di eccitazione che le attraversò tutto il corpo. Quell’uomo aveva una bocca peccaminosa. Labbra piene e una piccola fossetta sul mento. E aveva anche un buon odore. Profumava di sapone al sandalo e di maschio. «C’è una ragione particolare per cui stiamo festeggiando stasera?» Si portò la bottiglia di birra alle labbra e lei osservò i muscoli della sua gola lavorare mentre deglutiva.

E allora realizzò.

Lui non lo sapeva.

Non sapeva del suo tragico passato

Signore.

Fu pervasa da un’ondata di sollievo per il fatto che qualcuno nell’universo non la considerasse oggetto di compassione. Finì il suo vino e ordinò un altro whiskey.

«Ne porti due» disse Alex al barman.

Rimasero in silenzio a sorseggiare i loro drink e ad ascoltare Michael Bublé cantare All I Want for Christmas Is You. La malinconia di quel periodo dell’anno l’adombrò come se una nube le fosse passata sulla testa. La settimana prima del Ringraziamento rimarcava il rapimento di sua sorella. Il Natale, invece, rimarcava l’enorme voragine nella vita della sua famiglia. Un posto vuoto a tavola. Anni di regali mai aperti.

Mallory non era più in vena di bere. Era piacevolmente sbronza e un diverso tipo di energia cominciava a invadere le cellule del suo corpo. Per qualche ragione, quella stupida canzone d’amore natalizia le aveva ricordato che non faceva sesso da oltre due anni e che l’uomo seduto accanto a lei non era solo affascinante, ma le aveva anche chiesto di uscire. Non era un estraneo qualunque che aveva rimorchiato al bar; era uno dei migliori amici di Lucas Randall, e Lucas non tollerava gli stronzi. Si sorprese ad avvicinarsi di più a lui, perché aveva un profumo così dannatamente buono. I suoi bicipiti si gonfiavano sotto quel tatuaggio ogni volta che prendeva in mano il bicchiere e il solo guardarlo le provocava un leggero fremito. Fece scorrere lo sguardo sui capelli corti sulla nuca, sulle spalle ampie e sul petto definito. Persino gli stivali erano sexy. Voltò la testa e incontrò il suo sguardo nello specchio dietro al bancone. Lui sorrise beffardamente. L’aveva scoperta mentre se lo stava mangiando con gli occhi e il fuoco in quelle profondità grigie parlava da sé.

Nel profondo, c’erano spire di desiderio. Mallory abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, ma non aveva più sete.

La sua pelle era ipersensibile. I capezzoli erano turgidi contro la seta nera del vestito e rendevano evidente la sua eccitazione. Avvertì gli occhi di lui su di sé. Sentì il peso del suo interesse. Il calore si sparse per tutto il corpo. Un fremito tra le gambe le fece stringere forte le cosce.

Trepidazione. Voglia.

Mallory si leccò le labbra e lui smise di guardarla attraverso lo specchio e si voltò invece verso di lei. C’era un’attenzione particolare nei suoi occhi. Una certa solennità nel modo in cui la osservava. Quell’uomo era incredibilmente sexy. Viso dalla simmetria perfetta. Mascella forte. Sguardo seducente e quella sua dannata bocca. Esistevano altri modi per trovare l’oblio…

Con la punta del dito, Mallory prese una goccia di liquido ambrato che colava dal suo bicchiere, poi lo succhiò. Udì un ringhio basso, quasi impercettibile, e sorrise. L’idea di farlo eccitare la elettrizzava. Era come se fosse entrata nella pelle di qualcun altro. Lei non si comportava mai così. Non aveva mai rimorchiato un ragazzo in un bar prima d’ora, ma dire che stava passando un periodo di astinenza, nelle relazioni con gli uomini, era un enorme eufemismo.

E tecnicamente, fare sesso non significava uscire con qualcuno.

Si dimenò sulla sedia. Ora Michael Bublé non la irritava neanche la metà di quanto aveva fatto prima. Scusa, Michael. Tutto perdonato. Un’immagine di Payton che cantava motivetti natalizi le balenò in mente, ma al ricordo di sua sorella si accompagnò il bisogno disperato di dimenticare tutto ciò che quella sera rappresentava.

Lasciò cadere la mano sulla coscia di Alex. Sentì i suoi muscoli duri come pietra.

«Vuoi che andiamo in un posto più tranquillo?»

Lui sostenne il suo sguardo, gli occhi ora quasi neri. Era per il desiderio? Non lo sapeva. Alex le prese la mano che aveva posato sulla sua coscia e ne strinse le dita. «Questo sì che viola la regola del non uscire con nessuno.»

«Solo se ci baciamo» rispose lei.

«Come?» La parola uscì con un tono basso.

«Ci ho pensato un po’ su.» E se lui avesse detto no? Non voleva che le dicesse di no. «Violeremmo la regola solo se ti baciassi.»

«Se tu baciassi me?» Diamine, le piaceva il colore dei suoi occhi quando si facevano scuri e misteriosi.

«Esatto.» Mallory annuì e dovette aggrapparsi al bancone. Oops. Quel primo drink cominciava a fare effetto e non doversi preoccupare di ogni piccola cosa era una sensazione magica. Ma era pur sempre un’agente federale, non voleva cadere per terra in pubblico. Appoggiò i soldi sul bancone e scese dallo sgabello. Il suo cappotto scivolò sul pavimento. Alex lo raccolse e glielo tenne aperto mentre lei se lo infilava. La sensazione del raso freddo che le sfiorava le braccia nude era deliziosa, ma era il tocco delle dita di lui a farla fremere.

«Ti accompagno.»

Significava che non era interessato? O voleva essere gentile e comportarsi come se lei non fosse cosa già fatta?

Si ritrovarono sul marciapiede fuori dalla hall dell’hotel. Il vento gelido le mozzò il respiro. Il freddo pungente le colpì il viso e le gambe mentre si stringeva nel cappotto. «Oddio, perché ho indossato i collant?» Batté i denti nonostante il lungo cappotto di lana e pestò i piedi a terra sui suoi stupidi tacchi.

Alex abbassò lo sguardo sulle sue gambe. «Sul serio, perché hai messo i collant? Siamo sotto zero.» Lui però aveva indosso solo una giacca leggera e non sembrava per niente infreddolito.

«Perché…» Gli afferrò il braccio, mentre le luci cominciavano a girare in vortici dietro di lui «…in questi posti ti lasciano bere di più se non hai l’aspetto da stracciona.»

Presero a camminare lungo l’ampio marciapiede e lei si strinse a lui. Le stelle erano luminose in quella notte gelida, anche se era difficile vederle oltre le luci di Washington. Aveva dimenticato quanto amasse quella città e quanto fosse bella la sensazione di stare con un uomo che l’attraeva.

«E volevi bere di più perché…?»

Nonostante la sbronza, quella domanda la ferì. Signore. Batté le palpebre per frenare un accenno di lacrime, fingendo che fosse l’effetto del vento gelido negli occhi. Aveva bisogno di un altro drink. O di un bacio. Fermò Alex con uno strattone, piroettò su se stessa per trovarsi di fronte a lui e fece scivolare le mani sul suo petto. Quell’uomo sembrava essere stato scolpito direttamente nel granito ed emanava un tale calore che Mallory avrebbe voluto insinuarsi fin dentro la sua pelle. Perché gli uomini producevano così tanto calore? Non era giusto. Gli fece scivolare le braccia intorno al collo e sentì che le mani di lui si posavano in basso, sulla sua vita. Il desiderio le faceva quasi male. Premette i seni contro il suo petto e giurò che riusciva a sentire il battito del suo cuore attraverso la spessa lana del cappotto. Lui la stava guardando con un’espressione diffidente. Lei si protese in avanti per assaporare le sue labbra, ma Alex si ritrasse quando lei era solo a un sospiro di distanza.

Il suo respiro era caldo sul volto di Mallory. «Hai dimenticato la tua regola del non uscire con nessuno.»

«L’ho fatto?» I contorni dell’uomo stavano diventando un po’ sfocati, ma il senso di sicurezza che trasudava la avvolgeva come un manto. Mallory si tirò indietro, poi agitò un dito verso di lui. «Giusto.»

Aveva dimenticato una parte di quella regola, ma faceva così freddo là fuori e prima fossero arrivati al suo appartamento, prima avrebbe potuto scoprire se quei muscoli sotto la maglietta erano tanto sexy alla vista quanto al tatto. Batté di nuovo i denti e lui le mise un braccio intorno alle spalle.

«Stai congelando.» La strinse più vicino a sé.

Per anni, quella notte era stata piena soltanto di ricordi dolorosi. Voleva spazzarli via. Voleva cancellare ogni memoria di quelle orribili cene lasciate intatte a casa di sua madre e tutto quell’inutile dolore senza fine.

Cosa stava facendo sua madre in quel momento?

Il senso di colpa cercò d’insinuarsi, tentando di farle cambiare idea su Alex, ma la sensazione del corpo di lui contro il suo era decisamente migliore dell’agonia di rivivere il giorno più brutto della sua vita. Poi si ritrovarono davanti al suo condominio. Magia.

Mallory frugò nella tasca in cerca del portafoglio, ma non riuscì a tirarlo fuori.

«Lascia fare a me.» Alex fece scivolare la mano dentro al cappotto di lei e trasalirono entrambi quando le sfiorò l’apice della coscia. Lui si immobilizzò, aprì la bocca per offrirle quelle che sembravano delle scuse, e lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Chi se ne frega delle regole?

Le sue labbra erano sorprendentemente morbide, la sua bocca sapeva di whiskey e birra e di uomo supersexy. All’improvviso, lui assunse il controllo di quel bacio, rendendolo più profondo, aggrovigliando la lingua a quella di lei in un modo così possessivo che la fece sciogliere fin nelle viscere. Mallory si ritrovò premuta contro la facciata in vetro dell’edificio. La mano di Alex ancora sepolta nella sua tasca, mentre l’altra era poggiata sulla sua nuca.

Il suo corpo le premeva addosso in un incastro perfetto. Non sentiva più il freddo. Anzi la sua pelle stava per prendere fuoco. Un gemito riverberò nel petto di Alex, anche se la mano intrappolata nella tasca rimase immobile mentre lei desiderava disperatamente che lui la toccasse. Mallory staccò a fatica la bocca da quella di lui con un ansito, all’improvviso consapevole che si trovavano in un posto pubblico.

«Entriamo.» La sua voce era ansante e sensuale.

Alex si staccò da lei e tirò fuori il suo portafoglio dalla tasca, estraendone la chiave elettronica. Poi le aprì la porta dell’atrio. Lei fece per entrare, tirandolo per la mano, ma lui non si mosse.

«Non posso, Mallory.» Lo sguardo nei suoi occhi era tormentato.

«Cosa?» Dopo quel bacio, non c’erano dubbi che lui la desiderasse.

«Non posso salire da te» ripeté.

«Perché no? Sei sposato?» In un giorno qualunque, la delusione nella propria voce l’avrebbe fatta sussultare. Ma quella giornata non era una qualunque, non lo era mai stata. Era il Giorno della Marmotta con un colpo di scena nel finale. Beh, lei non aveva più intenzione di sopportarlo ancora. A costo di doversi spogliare nuda in mezzo alla strada, avrebbe cambiato le sorti di quella giornata e Alex Parker era l’uomo giusto per aiutarla a farlo.

«Non sono sposato o impegnato con qualcun altro al momento, ma…» Rise, ma c’era abbastanza disperazione in quel suono da togliere qualunque umorismo. «Hai bevuto troppo. Non stai pensando lucidamente. Non voglio essere qualcosa che domani mattina rimpiangerai.»

Il disappunto ribollì dentro di lei. «Non sono così ubriaca.»

Lui non sembrava convinto.

«Davvero.» Ti prego non cambiare idea. Si morse il labbro e vide gli occhi di Alex accendersi e pensò che non stesse leggendo i segnali nel modo sbagliato. Okay. Avrebbe dovuto sedurlo. Si accigliò. Come si seduceva un uomo? Se mai l’aveva saputo, se l’era dimenticato. Lui le lasciò la mano e lei approfittò di quel movimento per sfilarsi il cappotto. Scivolò sul pavimento e mentre Alex si chinava per raccoglierlo, la porta dell’androne si chiuse dietro di lui. Sorridendo, Mallory si diresse verso l’ascensore, assicurandosi di non barcollare su quei tacchi maledetti. Che importava se era leggermente allegra? Era forse illegale? No, signore, no. Col cavolo che lo era.

Tenendo aperta la porta dell’ascensore, si tolse le scarpe, le prese in mano e le lasciò penzolare dalle dita. Lui rimase lì con un’espressione nervosa e incerta, con la sua chiave elettronica in una mano e il suo cappotto nell’altra.

«So cosa sto facendo, Mr Parker.»

A quelle parole, un angolo della sua bocca si piegò all’insù e i suoi occhi luccicarono. «Lo vedo.»

Mallory si appoggiò alla parete dell’ascensore e lasciò andare il pulsante. Lui lanciò un’occhiata alla porta dietro di sé come a una via di fuga e, mentre le porte si chiudevano tra loro, lei pensò che sarebbe rimasto lì. Poi all’improvviso Alex fu dentro l’ascensore e Mallory non l’aveva neanche visto muoversi.

 

*     *     *

 

L’uomo osservava la puttana ubriaca dall’interno buio della propria auto. Quando quel bastardo l’aveva sbattuta contro il muro del palazzo in cui viveva, gli era venuta voglia di estrarre la pistola e piantare un proiettile in testa a entrambi. Quel giorno, fra tutti, si era aspettato che lei avesse un po’ più di rispetto per la memoria di sua sorella. La furia si diffuse in tutto il suo corpo. Non valeva neanche la metà della persona che era stata Payton. Lei si sarebbe vergognata di vedere cos’era diventata sua sorella: una puttana, una troia da due soldi.

Controllò la pistola. Afferrò la maniglia della portiera proprio mentre i due entravano nello stabile. Merda.

Rimase a osservare per un momento. Aspettò di vedere una luce accendersi da qualche parte nel complesso residenziale, ma ciò non accadde. L’immagine di loro due che scopavano gli bruciava il cervello. Nonostante lei non fosse Payton, vederli era stato come vedere la sua amata tradirlo con un altro e non riusciva a sopportare quel pensiero. Il suo cuore prese a battere più forte e immaginò di afferrare il coltello e inciderle il nome della sorella sulla fronte. Ma lei non era nemmeno degna di quello. Le mani dell’uomo tremarono mentre mise in moto la macchina. Ripensandoci, le avrebbe inciso troia.

Si guardò alle spalle e si immise sulla carreggiata, guidando fuori città e dirigendosi verso la Route 66. I suoi piani erano andati a monte. Si era aspettato di trovare Mallory da sola, magari perfino ad attenderlo. Un sorriso gli affiorò sulle labbra. Avrebbe dovuto educarla su ciò che si aspettava da lei. Payton non aveva mai avuto bisogno di alcuna lezione, nemmeno di un’alzata di voce. Era stata perfetta. Sempre felice di vederlo.

L’autostrada era tranquilla, nonostante non fosse così tardi. Avrebbe lavorato l’indomani, quindi doveva comunque tornare a casa. Era un bene che non l’avesse presa quella sera. Doveva elaborare un piano su come gestire questa femmina che assomigliava così tanto alla donna che aveva amato, ma che si comportava come una prostituta. Un’idea prese forma nella sua mente: doveva ricordarle sua sorella, assicurarsi che gliene fregasse qualcosa. Era certo di saper come.

I suoi occhi intravidero una figura solitaria sul ciglio della strada. Femmina. Caucasica. Capelli scuri.

Non farlo. La tentazione era in guerra con il buon senso. Continua a guidare.

Mise la freccia, rallentò e accostò. Maledizione. Abbassò il finestrino. «Dove sei diretta?»

La ragazza – che non doveva avere più di vent’anni – fece un passo avanti, esitante. «Gainesville.» I suoi occhi scrutarono l’interno della macchina. Batté i denti mentre si stringeva nella felpa. Le temperature erano di gran lunga sotto lo zero ed era prevista altra neve. «Senza offesa, ma accetto passaggi solo se ci sono altre donne in macchina.»

Lui si strinse nelle spalle. «Per me va bene, ma auguri nel riuscire a fermare una donna a quest’ora della notte.» Cominciò a tirare su il finestrino, ma con una rapida occhiata all’autostrada deserta, la ragazza mise le mani in cima al vetro.

«Aspetta!» Il suo sorriso era incerto. «Okay. Vorrei davvero un passaggio, se non ti dispiace.»

Lui le sorrise. Sembrava una ragazzina carina, molto più simile a Payton di quanto si era rivelata Mallory. «Salta su.»

Lei salì in macchina, sistemandosi lo zaino sulle gambe. Lui rientrò sulla carreggiata e per la prima volta da ore, si sentì bene. Lanciò una rapida occhiata al profilo della ragazza. Aveva un viso dolce. Occhi marroni…

Forse era lei quella giusta? Non Mallory, ma questa ragazza sconosciuta?

Si sentiva come se lo stessero mettendo alla prova.

Si raddrizzò sul sedile. Ne sarebbe venuto a capo. Ci sarebbero voluti tempo, pazienza e determinazione. Per lui andava bene. Li possedeva tutti e tre e Mallory Rooney non sarebbe andata da nessuna parte che lui non avrebbe potuto raggiungere. 

 

*     *     *

 

Era uno sbaglio. Un enorme, dannato disastro totale. Ma aveva bisogno di sapere che Mallory era sana e salva nel proprio appartamento, poi se ne sarebbe andato. Certo, lui sì che era un vero boyscout. Sempre pronto ad aiutare le vecchiette ad attraversare la strada e a piantare proiettili tra gli occhi ai serial killer.

Ma forse poteva far fruttare la situazione. Una cosa veloce, e non del tipo che il suo corpo desiderava.

Se fosse riuscito ad avere accesso al portatile di Mallory, avrebbe potuto scaricarvi un software che gli avrebbe permesso di monitorare qualunque cosa lei avesse fatto. Poteva anche sistemare la piccola telecamera che aveva in tasca nel suo ufficio o nel soggiorno. La guardò dalla parte opposta dell’ascensore e resistette all’impulso di passarsi una mano sul volto.

Chi diavolo credeva di prendere in giro? La voleva. Ma non sarebbe mai successo. Lei era ubriaca e stava soffrendo.

Quando l’aveva seguita in quel bar qualche ora prima, aveva capito che era sull’orlo di un precipizio. Comprendeva il significato di quella data e di come una ricorrenza del genere potesse rovinare qualcuno generalmente sensibile e sobrio. Era intervenuto quando aveva visto un paio di tipi adocchiarla come un pezzo di carne fresca. Aveva immaginato che sarebbe rimasto a guardarla mentre si ubriacava e allontanato qualsiasi tizio più grosso e peloso di lui, poi l’avrebbe portata a casa e si sarebbe assicurato che fosse andata a letto sana e salva. Da sola. Nonostante fosse uno spietato assassino, il gene della cavalleria era ancora vivo e vegeto nel suo DNA.

Ma pensa un po’.

L’idea poteva ancora funzionare. Sempre che non gli fosse venuto in mente di entrare in intimità con lei. Perché anche se il suo capo gli aveva ordinato di tener d’occhio l’agente speciale, probabilmente la cosa non comprendeva ficcarle la lingua in gola e dare una controllatina alle sue tonsille.

Mallory era appoggiata contro la parete metallica dell’ascensore e faceva scorrere un piede ricoperto dal collant dietro alla caviglia. Era così dannatamente sexy che gli fece venir voglia di fermare l’ascensore in quel preciso istante e baciarla fino a quando nessuno dei due sarebbe riuscito a reggersi in piedi.

No, non succederà.

Solo qualche notte prima si era scontrato con lei nella sua camera da letto, spaventandola a morte. Ora voleva baciarla? Stava giocando col fuoco, poco ma sicuro. Quella sera, lei sembrava fragile e bisognosa di protezione. Sembrava come se il più piccolo urto potesse farla a pezzi, il che gli fece pensare immediatamente a come sarebbe stato guardarla venire e scosse la testa. Ma che diavolo di problema aveva? Cosa aveva questa donna che lo faceva sentire sottosopra?

Prima di aver mandato a puttane la missione in Marocco, era uscito con un sacco di donne bellissime che non significavano niente per lui, non ricordava nemmeno i loro nomi. Mallory era diversa. Tutto ciò che la riguardava era diverso; compreso il fatto che fosse un’agente dell’FBI che l’avrebbe messo con le spalle al muro, se mai avesse scoperto la sua vera identità.

Non era solo il suo aspetto fisico ad affascinarlo, anche se quegli occhi dal taglio obliquo lo facevano rimescolare dentro. C’era una specie di luce interiore che lo attraeva. Rammollito. Non poteva permettersi quel tipo di attaccamento.  Non poteva permettersi di concentrarsi su altro che non fosse onorare il proprio impegno con il Progetto Portale. A prescindere da ciò che la gente poteva pensare, lui era un uomo onesto, che pagava i propri debiti e manteneva le promesse. Cinquecentotrentotto giorni da ora.

Rimase distante da lei durante la salita dell’ascensore, ma l’odore del suo tenue profumo floreale e il rumore dei suoi respiri irregolari strisciavano sui suoi nervi come filo spinato. Arrivarono al sesto piano e lui la seguì fino alla porta dell’appartamento, cercando di tenere gli occhi lontano dal suo corpo avvolto in quella sottospecie di vestito.

«Questa è casa tua?» chiese lui. Come se non lo sapesse.

«È di mio padre, ma lui vive in West Virginia.»

La seguì all’interno. Le luci erano spente, ma le tende erano aperte e rivelavano una vista magnifica della città illuminata per le feste. Mentre la porta si chiudeva con un click alle sue spalle, un crepitio di consapevolezza si diffuse sulla sua pelle. Okay, era a casa, sana e salva. Alex distese il cappotto di Mallory sullo schienale del divano e la guardò allontanarsi. La sua sola vista lo faceva impazzire. Cominciò a indietreggiare verso la porta. Sarebbe entrato in un altro momento per piazzare le cimici, in un momento in cui lei non sarebbe stata lì, con un aspetto così assolutamente scopabile. Era ora di andarsene.

«Ti andrebbe un drink?»

Lui adocchiò il suo portatile ed esitò. Le chance di averne accesso in altre occasioni sarebbero state molto più basse, perché Mallory portava con sé il dispositivo quasi ovunque e, poiché era un’agente federale, aveva un buon sistema di sicurezza contro i malware. Poteva farcela, ma era probabile che lasciasse delle tracce. «Certo.»

Il fatto che lei fosse stata trasferita a Quantico prima di avere il tempo di fare ulteriori ricerche sui vigilanti era un sollievo e, allo stesso tempo, una preoccupazione. L’infiltrato – o infiltrata – l’aveva tenuta sotto stretto controllo, ma con Lucas Randall a capo dell’indagine sull’omicidio di Meacher, non era da escludere che Mallory avesse condiviso i propri sospetti con il suo amico. O che l’avrebbe fatto. Alex doveva sapere se e quando ciò era successo.

Odiava mentire al suo amico, odiava mentire a questa donna che prendeva il proprio lavoro seriamente, ma l’alternativa era molto peggio. Il Progetto Portale operava in segretezza, tuttavia, questa piccola ondata di scrutinio aveva portato tutti a ritrarsi più profondamente nell’ombra. Alex non sapeva quanto a lungo un’organizzazione governativa clandestina come quella sarebbe riuscita a custodire i propri segreti, ma date le potenziali conseguenze di ciò che stavano facendo, immaginava che non avrebbero esitato a lasciarsi alle spalle qualche cadavere di ufficiali delle forze dell’ordine. Non avrebbe mai permesso che ciò accadesse.

Dubitava che Mallory corresse qualche pericolo reale in relazione alla loro operazione, ma in quel momento, non era certo che fosse al sicuro da se stessa.

«Ti rendi conto che hai portato uno sconosciuto in casa tua? E se io fossi un qualche bastardo pervertito?»

«Non lo sei.»

«Come fai a saperlo?»

«Lucas è bravo a giudicare il carattere delle persone e mi sembra ovvio che tu gli piaccia.» Si piegò per accendere lo stereo, e quel vestitino striminzito risalì tanto da fargli quasi venire un infarto. Nonostante l’alcol che Mallory aveva bevuto – con l’efficienza di un marinaio in licenza – si muoveva con la grazia fluida di una ballerina. «Non avrei portato a casa chicchessia.» Agitò il dito verso di lui. «In più, ho una pistola,» sicuro come la morte non era armata in quel momento, perché il suo vestito non avrebbe nascosto una moneta da cinquanta centesimi, figuriamoci una pistola, «e ho degli amici all’IRS. Quindi, se sei un bastardo pervertito, renderò la tua vita un inferno, non appena mi sveglierò lunedì mattina.»

Nonostante il suo tentativo di fare una battuta, era palese che ci fosse qualcosa, nel pensiero del lunedì mattina, che la deprimeva parecchio. Che cosa poteva essere? Un impiego nell’Unità di Analisi Comportamentale rappresentava un sogno per ogni agente dell’FBI e lei era a Quantico solo da un giorno. Non aveva avuto nemmeno il tempo di disfare i bagagli, figuriamoci di far incazzare qualcuno.

Mallory si diresse verso il mobiletto dei liquori di suo padre e cominciò a rovistare tra le bottiglie. Trovò quella di bourbon e, sollevandola con un sorriso trionfante, versò un bicchiere per entrambi. Lui le tolse i pesanti bicchieri di cristallo dalle mani prima che lei potesse fare un solo sorso.

«Rallenta. Ti sentirai male.» Alex spostò i due drink lontano dal tavolino da caffè e cercò di dissuaderla dalla sua autodistruzione.

«Non m’importa.» Le lacrime comparvero dal nulla, e il modo frenetico con cui sbatteva le palpebre andò a colpire una parte di lui che credeva morta da tempo. «Ho bisogno di dimenticare una cosa, Alex. E credimi, non sono neanche a metà della sbronza che mi serve per farlo.»

«Quindi vuoi ubriacarti e scoparmi di brutto per non ricordare?» Aveva sperato che quelle parole brusche l’avrebbero fatta tornare alla realtà, invece vide la sua anima annegare nei suoi grandi occhi ambrati.

«Sì» rispose lei semplicemente.