Prologo
Lindsey Keeble canticchiava la canzone trasmessa alla radio, tentando di fingere di non aver paura del buio. Era l’una di notte e odiava guidare lungo quel tratto solitario di statale tra Greenville e Boden. La pioggia minacciava di trasformarsi in neve. Il vento soffiava con così tanta violenza che i maestosi alberi che torreggiavano su di lei facevano convergere nervosamente l’auto verso la striscia al centro della strada. Le ruote posteriori scivolarono sull’asfalto e Lindsey rallentò; non avrebbe rischiato di distruggere la sua preziosa macchinina per nulla al mondo.
Faceva il turno serale in una stazione di servizio di Boden. Di solito era un posto abbastanza tranquillo e lei riusciva a studiare un po’ tra un cliente e l’altro. Quella sera, invece, tutti volevano fare provviste in vista della possibile bufera invernale in arrivo anzitempo. Sembrava che non avessero mai visto la neve prima di allora.
Un lampeggiare di luci rosse nello specchietto retrovisore le provocò un tuffo al cuore. Accidenti!
Non stava correndo troppo – non poteva permettersi una multa – e non beveva alcol. Mise fuori la freccia per segnalare che avrebbe accostato e si fermò a lato della strada. Si comportava in modo responsabile, perché voleva una vita che andasse oltre quella piccola cittadina di provincia in cui era nata. Non era una contadinotta. Voleva viaggiare e vedere il mondo – Parigi, la Grecia, magari le piramidi se l’ansia si fosse placata. Sbirciò attraverso il finestrino tempestato di nevischio mentre un SUV nero accostava subito dietro di lei.
Una figura alta e scura si avvicinò al suo veicolo. Un distintivo della polizia a forma di scudo dorato batté contro il vetro. Quando Lindsey tirò giù il finestrino, una folata di aria gelida e umida invase l’abitacolo, costringendola a stringersi nella propria giacca mentre veniva colpita dalla pioggia.
«Patente e libretto» tuonò una voce gutturale con il tono autoritario tipico dei poliziotti. L’uomo indossava un impermeabile scuro sopra i vestiti neri. La pistola che portava al fianco scintillava alla luce dei fari del suo veicolo. Lindsey non riconobbe il suo volto, ma del resto non riusciva a vedere bene i suoi lineamenti con la pioggia ghiacciata che le entrava negli occhi.
«Di che cosa si tratta?» chiese, con i denti che battevano. Prese i documenti dal cruscotto e dalla borsetta, e glieli porse. Poi le sue mani tornarono a stringere la plastica rigida del volante mentre aspettava. «Non stavo superando il limite.»
«È stata diramata un’allerta per il furto di una Neon rossa, quindi ho pensato di dare un’occhiata.»
«Beh, questa è la mia macchina e non ho commesso alcuna infrazione.» Conosceva i suoi diritti. «Non ha alcuna ragione per fermarmi.»
«Stava guidando in modo pericoloso.» La voce dell’uomo si era fatta più profonda e arrabbiata. Lindsey sussultò. Mai far incazzare un poliziotto. «In più, uno dei fanali posteriori è rotto. Questa è una valida ragione.»
La preoccupazione di Lindsey fu sostituita dall’irritazione. Si slacciò la cintura di sicurezza e sistemò il cambio in modalità parcheggio. Era rimasta fregata l’anno prima, quando un’altra macchina le aveva rifatto la fiancata in un parcheggio e l’autista aveva poi dato la colpa a lei davanti all’assicurazione. «Era a posto quando sono uscita per andare al lavoro questo pomeriggio. E nel frattempo non ho urtato nulla.» Dannazione.
«Vada a dare un’occhiata.» Il poliziotto fece un passo indietro. Aveva un bel viso, nonostante la linea severa della bocca e gli occhi che apparivano ancora più severi. Forse avrebbe potuto convincerlo a non farle la multa. Non che l’arte della persuasione fosse il suo forte. Suo padre poteva sistemarle il fanale la mattina seguente, ma se avesse dovuto anche pagare una multa, ogni ora di lavoro di quella giornata sarebbe stata vana.
Si tirò su il cappuccio dell’impermeabile e scese dall’auto. I fari del SUV l’abbagliarono mentre percorreva quei pochi passi. Si schermò la vista con la mano e s’accigliò. «Non vedo niente…»
Un’ondata di fuoco le attraversò la schiena. Il dolore esplose in una scarica di agonia acuta che la pervase dalla punta delle orecchie fino allo spazio tra le dita dei piedi. Non aveva mai provato niente di simile. Il sudore le imperlò la pelle, scontrandosi con il nevischio mentre lei entrava in collisione con l’asfalto. Mani rudi l’afferrarono per la vita e la sollevarono per aria. Lindsey non riusciva a controllare le proprie braccia né le gambe. Fu spostata contro il fianco dell’uomo, dove qualcosa di rigido le si conficcò nello stomaco. Lottò contro il bisogno di vomitare, anche mentre la sua mente turbinava.
Impiegò un attimo a dare un senso a ciò che stava succedendo.
Quell’uomo non era un poliziotto.
Ancora stordita dal TASER, non riusciva ad avere abbastanza presa per dargli un calcio, ma si dimenò contro le sue ginocchia, cercando di dargli una gomitata nelle palle. Il tentativo non sortì alcun effetto e Lindsey fu scaricata tra le fredde pareti del baule del SUV. Venne colpita ancora con il TASER finché non le sembrò che le interiora le uscissero dal corpo e la vescica non si svuotò involontariamente.
Il mondo vacillò e si ritrovò sdraiata sulla pancia, la faccia premuta contro uno sporco materassino di gomma, le mani tese dietro la schiena, mentre qualcosa di metallico le mordeva la pelle di un polso, e poi dell’altro. Manette. Oh, Dio. Era ammanettata. Un dolore pungente le attraversò il petto: se non si fosse calmata, sarebbe morta per un attacco di cuore.
Il rumore lacerante di uno strappo risuonò nell’oscurità. L’uomo la girò sulla schiena e le schiaffò un pezzo di nastro adesivo sulla bocca. Le si aggrovigliò ai capelli e le avrebbe fatto un male boia quando l’avrebbe tolto.
Qualcosa le diceva che quella era l’ultima delle sue preoccupazioni.
Non aveva motivo di rapirla, a meno che non volesse farle del male. O ucciderla.
Rendersene conto fece fermare tutto. Ogni movimento. Ogni respiro convulso. Il cuore le batteva all’impazzata e sentì la bile bruciarle la gola, mentre guardava dentro quegli occhi freddi e spietati. Con un grugnito, l’uomo chiuse lo sportello, facendola sprofondare in una vasta oscurità logorante. La pioggia picchiettava sul metallo intorno a lei come un tamburo nefasto. Aveva paura del buio. Aveva paura dei mostri. Si sentiva umiliata dalla fredda umidità tra le sue gambe. Com’era possibile che questo fosse accaduto a lei? Un attimo prima stava guidando verso casa, e un attimo dopo…
Dov’era il suo telefono?
Tentò di rotolare su se stessa per sentirne la presenza nelle tasche. Merda. Era ancora nella sua borsetta, sul sedile del passeggero in macchina. Si udì il rumore di uno schianto tra gli alberi. Lindsey chiuse gli occhi contro il panico che aumentava. Si era liberato della sua auto. Un groppo in gola delle dimensioni di un elefante minacciò di soffocarla. Si era fatta un culo enorme per permettersi quella macchina, ma le sue finanze e la sua affidabilità creditizia sarebbero state irrilevanti, se non fosse sopravvissuta. Quell’uomo aveva intenzione di farle del male. Strisciò all’indietro, in modo che le dita potessero armeggiare con la serratura, ma non trovò nulla e il pannello sopra di lei non cedette minimamente nemmeno quando lo calciò. Come osa quest’uomo farmi questo? Come osava trattarla come se fosse niente? Voleva ribellarsi e inveire contro quell’ingiustizia, ma quando il SUV si mise in moto, fu immobilizzata dalla paura. Per tutta la vita, aveva lottato per migliorare le cose, aveva combattuto per avere un futuro e ora quest’uomo, questo bastardo, voleva strapparle tutto. Non era giusto. Doveva esserci una via d’uscita. Doveva esserci un modo per sopravvivere.
Non voleva morire. Soprattutto, non voleva morire nell’oscurità, con un uomo che aveva due occhi freddi come la morte. Le lacrime le traboccarono dagli occhi. Non era giusto. Non era affatto giusto.