Sì, tu
«Sì, tu, - disse Dio. – Ci sono degli altri italiani qui attorno?»
«Non lo so, - rispose l’Italiano, - e non so se sono io l’Italiano. Da qui a qui sono fatto in un modo, e da qui in giù mi sento diverso. E poi, non mi piace chiamarmi con quel nome».
Per la prima volta nella sua esistenza infinita, Dio sorrise. «Se vuoi, - disse, - posso chiamarti Lunatico, o Marziano. Ma anche con il nuovo nome, dovrai rassegnarti all’idea che sei tu».
Poi Dio disse: «Vediamo». Si mise gli occhiali e guardò dentro uno schermo, dove vedeva tutte le cose del mondo. Osservò: «Sei stato tenuto a balia per mille e cinquecento anni da una religione, e questo ha influito sul tuo carattere rendendolo infantile». Fece scorrere delle altre immagini. «Hai inventato la pizza, il fascismo e la mafia. La pizza è una cosa buona, ma il fascismo e la mafia sono due cose pessime».
«Il fascismo era una dittatura, - disse l’Italiano con voce piagnucolosa, - e io ho dovuto subirla. Non so chi l’abbia inventata, ma certamente non sono stato io. Soltanto a pensarci, mi sento ancora un’oppressione qui…»
Dio tornò a sorridere e scosse la testa. Domandò: «E la mafia?»
«La mafia è una cosa schifosa», disse l’Italiano. Poi ci ripensò e si corresse: «Cioè, intendiamoci… Io non so nemmeno cosa sia, ma ne ho sempre sentito parlare male da tutti».
«Ti manderò in un posto speciale, dove tenevo i bambini, - disse Dio, dopo aver riflettuto un istante. – Quel posto si chiama Limbo e i teologi vorrebbero che io lo chiudessi, perché nell’eternità non ci sono bambini. Si sbagliano. Ci sei tu». L’Italiano non disse nulla e Dio continuò, accarezzandosi la barba: Potrai aprirci un ristorante e fare la pizza…»
«So anche cantare», disse l’Italiano.
«Sì, bravo. Canterai mentre fai la pizza. Ma adesso devo occuparmi di un altro abitante del vostro pianeta». Dio si rimise gli occhiali. Chiamò:
«Il Tedesco!»
A Giulio Bollati
Caro Giulio, il titolo è tuo, ma anche i racconti che compongono questo libro in qualche misura ti appartengono. Ricordi? Le cose di cui parlavamo ventiquattro anni fa, seduti in giardino sotto l’albero dei cachi…
FINE